Il tomismo
di Papa Francesco
Cara
Sorella,
la
sua replica pubblicata dall’amico Valli mi pare interessante e perciò adesso nel
nostro dialogo tocca a me.
Comincio col
dire che i quattro postulati di Papa Francesco non sono affatto
«neo-hegeliani», come sostiene Padre Scalese, ma si conciliano benissimo col
realismo cristiano e con S.Tommaso d’Aquino.
1.Per quanto
riguarda il principio della superiorità della realtà sull’idea comincio col
dire che non ha senso contrapporre l’insegnamento del Papa a quello di S.Tommaso, che resta sempre, come ha
indicato il Concilio, punto essenziale di riferimento, anche per la teologia di
oggi. E sappiamo bene quanto il Papa ha preso a cuore la prosecuzione della
riforma conciliare. Pertanto l’uso del pensiero dell’Aquinate è ottimo criterio
per interpretare gli insegnamenti del Papa.
In secondo
luogo, che cosa interessa che il contesto del discorso del Papa sia sociologico
o pastorale? Forse che quel principio non vale anche in questi campi? Forse che
anche qui non dobbiamo adeguare le nostre idee alla realtà? «Realtà
fenomenica»? Ma non si tratta sempre di realtà?
Supporre poi che il Papa non intenda collegare
il reale con l’essere, ma col «fenomeno», è una supposizione del tutto
gratuita, non provata dal contesto, che farebbe del Papa un seguace di Kant, di
Husserl o di Heidegger, il fenomenismo
dei quali è già stato condannato da S.PioX nella Pascendi. Vogliamo fare di Francesco un modernista? Equivarrebbe ad
accusarlo di eresia. Se la sente?
Forse che
non dobbiamo cercare la verità anche in campo sociale? Non dobbiamo anche qui
adeguare le nostre idee alla realtà sociale, al fine di migliorare la società secondo
idee giuste, tratte dalla verità sull’uomo, ossia dalla realtà della natura umana
fatta ad immagine di Dio?
Quando mai
il Papa ha negato l’esistenza di princìpi assoluti ed universali, che servono
per trasformare il mondo secondo il Vangelo? I dieci comandamenti, sui quali tanto Francesco
di recente si è fermato, che cosa sono,
se non leggi morali assolute? O vogliamo
fare di Francesco un relativista, dimenticando quante volte Papa Benedetto ha condannato
il relativismo?
O forse che Papa
Francesco se ne infischia delle condanne dottrinali di Benedetto? O vogliamo dire
che un Papa può smentire la dottrina di un Papa precedente? Se può esserci questa
apparenza nei discorsi di Francesco, vuol dire appunto che è solo un’apparenza. Per cui, anche se egli a
volte è poco chiaro o è ambiguo, dobbiamo cercare di interpretare in senso buono,
perchè forse non abbiamo capito. Adagio, quindi, prima di sparare giudizi
temerari, soprattutto di carattere dottrinale.
Diverso è il
caso della sua condotta morale e pastorale, dove c’è molto spazio per una
critica legittima e costruttiva, come faccio io da tempo nelle mie
pubblicazioni. Ma se non sappiamo dove il Papa può essere criticato e dove no,
è meglio rinunciare a dar giudizi.
Per questo,
la sua interpretazione del concetto bergogliano di «realtà», secondo la quale
il Papa non intenderebbe riferirsi alla realtà dell’essere, ma solo ad una
«realtà puramente fenomenica», è del tutto gratuita e senza fondamento. Come Le
ho già detto, non facciamo del Papa un kantiano o un discepolo di Husserl.
Se un Papa parla
di «realtà», concetto decisivo per un corretto realismo cristiano, è chiaro non
c’è bisogno di conoscere la metafisica per comprendere con facilità il senso
comunissimo ed evidente di questa parola basilare del linguaggio umano, nota a
tutti, anche ai bambini. Sono gli idealisti che hanno creato confusione attorno
ad essa.
Similmente, per
quanto riguarda l’uso del termine «idea». È evidente che il Papa intende riferirsi
al senso corrente di «rappresentazione mentale o concettuale del reale», che
può essere adeguata, e allora è vera; o inadeguata, e allora è falsa. Molto
semplice. Non c’è bisogno d scomodare S.Tommaso per sapere queste cose, ma
basta, come dice Mons.Livi, il comune buon senso. Buon senso che purtroppo manca
agli hegeliani.
In quarto
luogo, trovare, poi, nel suddetto princìpio una traccia di hegelismo, vuol dire
aver frainteso completamente Francesco, quando anche gli studenti del liceo sanno
e lo sa pure Francesco che la gnoseologia hegeliana precisamente si fonda sulla
dipendenza della realtà dall’idea, perché
per Hegel non è l’essere la regola del pensiero, ma il pensiero è la regola
dell’essere, cosa che vale certamente per la Mente divina, ma non certo per il
pensiero umano, per il quale vale il primato del reale sull’ideale.
Il che non toglie
che l’idea morale possa plasmare l’azione concreta. Ma occorre ricordare
altresì che l’idea morale, per essere vera, deve misurarsi, come ho detto, sulla
realtà della natura umana e dei suoi fini. Fare di Francesco un hegeliano è una
vera e propria calunnia, segno di mancanza di fede nel suo magistero dottrinale.
Il Papa non
parla affatto di una realtà, alla quale ci si dovrebbe semplicemente adeguare, senza illuminarla e cambiarla in
base alla legge naturale e all’etica evangelica. E da dove egli trae la verità
del suo insegnamento morale e pastorale se non adeguando le sue idee alla
realtà morale di ragione e di fede, che sta a loro fondamento?
2. Che il tempo
sia superiore allo spazio è già un principio di Aristotele, per il quale, mentre
lo spazio è un accidente della sostanza materiale, il tempo è parzialmente determinato
dalla memoria, che è facoltà dello spirito. Per cui Aristotele dice che «non ci
sarebbe il tempo, se non ci fosse l’anima». Difatti, il tempo è legato alle
azioni umane, mentre lo spazio riguarda il mondo fisico inanimato. È più
importante ciò che fa l’uomo che non l’azione delle forze chimiche e fisiche
della natura inanimata.
Invece in
Hegel non c’è il primato del tempo sullo spazio come espressione del primato
dello spirito sulla materia, ma la materia stessa è espressione dello spirito e
lo spirito è l’autotrascendenza della materia.
3. L’unità
prevale sul conflitto. Anche qui Hegel non c’entra nulla, anzi questo è un
principio biblico contrario ad Hegel, per il quale l’unità non prevale affatto
sul conflitto, ma è precisamente la sintesi degli opposti («coincidentia
oppositorum», come disse già il Cusano), in modo tale che il conflitto, dopo la
sintesi ritorna come antitesi, onde far procedere oltre il moto dialettico, che
diversamente si fermerebbe e sarebbe la morte dello spirito.
In Hegel
l’unità è sempre provvisoria, mentre il conflitto è costitutivo, perché è la
stessa vita dello spirito. Il simbolo della successione dialettica di
guerra-pace-guerra è la ruota, ossia la svastica, che è anche un simbolo della
massoneria esoterica.
Invece il
Papa si rifà al principio biblico della «ricapitolazione» (apokefalàiosis, Ef 1,10), per il quale Cristo ricompone o restaura
l’unità originaria dell’universo in se stesso e con Dio, spezzata dal peccato.
Tuttavia, anche nella visione cristiana, come in Hegel, il conflitto resta.
Ma c’è
questa differenza: che mentre in Hegel il conflitto rinasce sempre, perchè
altrimenti la storia si fermerebbe, nel cristianesimo – e questa è la dottrina
del Papa – il conflitto si configura come l’ostilità dei nemici di Cristo nei
suoi confronti – l’inferno -; ma essi non possono più nuocere, né possono tornare
a tormentarci perché Cristo li tiene «sotto i suoi piedi» (I Cor 15,25).
4. Che il
tutto sia superiore alla parte è un principio di tale evidenza, che non vale
neppure la pena di commentarlo. E di nuovo anche qui Hegel non c’entra nulla,
ma è solo questione di buon senso. Questo principio ha un’applicazione in metafisica,
dove fonda la dottrina della partecipazione («parte di un tutto»), molto
importante nella teologia della grazia («consortes divinae naturae», I Pt 2,4),
alla quale probabilmente il Papa si riferisce, al di là della banale
constatazione quantitativa.
La polemica del
Papa contro le idee astratte non va vista nel senso di una sua ostilità verso
l’universalità della legge morale, egli che è il maestro della morale evangelica.
Ma vuol dire che l’azione avviene nel concreto, per cui occorre calare l’astratto
della legge nel concreto dell’esistenza, della storia e delle situazioni. Inoltre, se Francesco è maestro nella dottrina della fede, come fa
Lei a dire che è «contro la dottrina»? È contro un modo di insegnare la dottrina
privo di carità e di comprensione!
Insomma i
quattro princìpi non c’entrano nulla con la dialettica hegeliana. Padre Scalese
fraintnde. Non sono basati sull’aut-aut,
che del resto svolge nella realtà un’insostituibile funzione: pensi all’opposizione
tra vero e falso o tra bene e male. Esiste, certo, anche il principio dell’et-et. Esso vale quando abbiamo due enti
congiungibili e paritari, per esempio uomo e donna.
Ma c’è anche
un terzo principio, che si potrebbe chiamare il principio dell’alto e del basso
o principio di subordinazione o della gerarchia dell’essere. È quello che comunemente
si chiama «scala di valori». I quattro princìpi del Papa fanno riferimento a questo
principio fondamentale. Si parla anche dei gradi dell’analogia dell’essere,
come per esempio in Sap 13,5.
In
conclusione, cara Sorella, devo dirLe con franchezza che le sue critiche al Papa
sono troppo audaci e soprattutto fuori posto, perchè tendono ad essere di carattere
dottrinale, come se il Papa potesse
sbagliarsi nell’insegnarci la verità di fede o connessa alla fede, come la verità
filosofica.
Come Le ho detto,
diverso è il caso dove invece il Papa può sbagliare o peccare, che sono la sua condotta
morale, il suo linguaggio e il suo governo della Chiesa, benchè anche qui occorra
essere bene informati, molto modesti e prudenti. È vero che Lei si ferma sul piano
filosofico. Però, tenga presente che l’errore filosofico o impedisce l’atto di
fede o lo corrompe o falsifica i dogmi della fede. Un Papa che non credesse
nella verità o nella possibilità che l’intelletto raggiunga l’essere reale, ma
che si fermi ai fenomeni, potrebbe mai insegnarci le verità di fede?
Per questo, accusare
o anche solo sospettare il Papa di fenomenismo kantiano, di idealismo hegeliano
o di relativismo morale tipo Pannella o la Bonino, errori più volte condannati
dalla Chiesa, potrà trovar favore in un luterano, e purtroppo i lefevriani ci
cascano, ma per un cattolico è cosa empia, detestabile ed inconcepibile, perché
farebbe del Papa un maestro di incredulità, di empietà, di apostasia, di
nefandezze e di dissolutezza morale, un distruttore della Chiesa, peggio della
massoneria, insomma una specie di Anticristo, proprio come Lutero apostrofava
Papa Leone.
Oggi Papa
Bergoglio fa problema per tutta la Chiesa. Per la sua incapacità di mediazione
imparziale, egli ha esasperato anziché ridurre una cinquantennale polarizzazione
fra lefevriani e modernisti, col risultato che i primi lo considerano quasi
fosse Anticristo, mentre i secondi lo portano alle stelle e lo vedono come il
profetico e rivoluzionario iniziatore di una «svolta epocale». E in mezzo la
povera Chiesa, smarrita e sofferente, delle anime buone come Lei.
Stia attenta,
però, alla tentazione conservatrice. Distingua il conservare il deposito, che è
un sacro dovere, dal conservatorismo, che è, come ha detto Papa Francesco, una
«mummia» e un «pezzo da museo». Sappia conciliare
continuità e progresso, secondo l’aureo detto di Papa Benedetto.
Papa Francesco
in fondo vuol portare avanti la riforma conciliare, e in tal senso fa bene; ma lo
fa lasciandosi influenzare dai suoi collaboratori modernisti, quelli che il
Card.Müller chiama il «cerchio magico». In tal modo la riforma, anzichè
proseguire nel solco saggio dei Pontefici Santi che l’hanno preceduto, ha un
sapore sessantottino, rahneriano, modernista e luterano. Occorrerebbe una
S.Caterina, che, eludendo la sorveglianza delle guardie del cerchio magico,
riuscisse a toccare la coscienza e il cuore del Papa.
Le ho già detto
che Lei può trovare ispirazione nella grande Santa Senese, Dottore della Chiesa.
Ma mi permetto di invitarLa ad ascoltare le mie considerazioni e i miei stessi richiami.
So infatti come si tratta col Papa, essendo stato collaboratore di S.Giovanni
Paolo II in Segreteria di Stato dal 1982 al 1990.
Vedo che Lei
è ben consapevole del suo carisma monastico e ne gioisco. Strettissimo è il legame della monaca col Vicario di Cristo. E so bene
che la vostra è detta «clausura papale» a significare che voi vi offrite, nel cuore
della Chiesa, come dice S.Teresina, innanzitutto per il bene del Papa e quando si
dice il bene e la missione del Papa, si dice il bene e la missione della Chiesa,
perché le due cose sono inscindibili.
Sic rebus stantibus, mi permetto pertanto di suggerirLe la lettura
delle mie pubblicazioni. In esse critico severamente il Papa, con «parresia», ma
nei giusti limiti, senza travalicare nel campo dottrinale o dogmatico, perchè qui
il Papa non sbaglia, anche se si esprime male, in modo improprio, confuso,
equivoco, reticente o unilaterale.
P.Giovanni Cavalcoli, OP
Varazze, 27 marzo 2019
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