Il concetto di Dio da Kant a Feuerbach - Da Dio come idea della ragione a Dio come alienazione della ragione - Seconda Parte (2/5)

 Il concetto di Dio da Kant a Feuerbach

Da Dio come idea della ragione a Dio come alienazione della ragione

 
 Seconda Parte (2/5)
 

L’esistenza di Dio non pare oggi

esser più oggetto di dimostrazione, ma di esperienza

Nei secoli passati, sin dall’antichità i filosofi hanno sempre discusso e dibattuto la questione circa l’esistenza di Dio, se essa si possa o non si possa dimostrare razionalmente.  I cattolici, consapevoli del valore e del potere della ragione e basandosi sull’insegnamento stesso della Scrittura (Sap 13,5 e Rom 1,20) hanno sempre avuto cura di portare prove convincenti dell’esistenza di Dio, confutando le posizioni fideistiche, scettiche, agnostiche ed atee, ed avendo cura di elaborare un giusto concetto di Dio, ben distinto da quello naturalistico, politeistico, antropomorfico o panteista.

Ma oggi l’impressione che abbiamo è che in campo teologico e nello stesso campo filosofico la fiducia nella ragione speculativa sia calata e siamo ancora tutto sommato, nell’orbita del romanticismo. Certo, di grande prestigio godono le scienze fisiche per le loro meravigliose applicazioni tecniche. Ma a chi interessa oggi sostenere il potere, i doveri e di diritti della ragione? Dove troviamo oggi dibattiti fra credenti e non credenti circa l’esistenza di Dio? Quale credente oggi si applica più a persuadere il non credente circa l’esistenza di Dio? Ma il quadro è ancora più sconfortante: quanti sono oggi i teologi che hanno un retto concetto di Dio, conforme al Catechismo e alla dottrina della Chiesa?

Col sec. XVII appaiono e si diffondono in Europa nei paesi protestanti, soprattutto inglesi e tedeschi, due concezioni di Dio: una, che insiste sulla ragionevolezza dell’idea di Dio ed ha origini aristoteliche, ma si chiude alla luce dei misteri rivelati, e un’altra, invece, che si basa su di una concezione antinomica di Dio, con la pretesa di conoscere Dio come Egli stesso si conosce e come lo conosce Cristo stesso, una gnosi esoterica ed occultista che ha fondamento nella sofistica greca e nella Kabbala: un Dio che è e non è, che è essere e nulla, che è buono e cattivo, che è verace e che mente. Certamente è il dio di questo mondo.

Il tema del Dio concepibile dalla ragione era già stato sviluppato da San Tommaso, fondatore della teologia naturale e teorico della religione naturale[1]. Si tratta del Dio biblico, che è un Dio identitario, è Lui e non altri, con una ben precisa identità e ben precisi attributi. È il Dio che fonda il principio d’identità e non-contraddizione. È per il bene e si oppone al male.

A questo Dio sin dai primi secoli del cristianesimo una certa corrente ebraica anticristiana oppose il Dio della Kabbala, che invece è un Dio dialettico, un Dio doppio, opposizione di essere e non-essere, di sì e di no, che si richiamano e si richiedono a vicenda. È principio sia del bene che del male, sia del vero che del falso. Il Dio di Cartesio non è senza rapporto col Dio della Kabbala, probabilmente mediatogli dai Rosa-Croce, precursori della massoneria. Ricordiamo che Cartesio respinse il principio di identità sostituendolo col suo cogito, che suppone la falsità dell’esperienza sensibile, cosa che implica contraddizione.

Nella cultura odierna la categoria della ragione non è certamente così apprezzata come lo fu nell’illuminismo. In mezzo, infatti, abbiamo avuto il romanticismo, un movimento spirituale di rivalorizzazione dell’emotività, nato in Germania nei primi ‘800 in reazione appunto agli eccessi di crudeltà ai quali aveva condotto un concetto di ragione fondata su se stessa sotto la forma di  un’universalità astratta (l’égalité), che, al lato pratico, insensibile alle legittime diversità e alla gerarchia dei valori, si risolveva nella ingiustizia e nella disumanità, come avevano dimostrato gli orrori della Rivoluzione francese compiuti in nome della dea ragione, proprio tutto il contrario di quel senso di umanità che l’illuminismo dichiarava di voler rispettare.

Un’altra posizione circa la questione dell’esistenza di Dio è oggi data dall’agnosticismo. Il problema se Dio esiste o non esiste a molti non interessa o è un problema che non ha senso per il fatto che esso mette in gioco un certo concetto di Dio, concetto che molti stentano a formare per il suo carattere fortemente astratto e metafisico e sappiamo di quanto poca stima oggi soffra la metafisica. È chiaro infatti che per discutere se Dio esiste o non esiste, occorre previamente accordarsi su cosa s’intende con la parola «Dio». Se per esempio con questa parola s’intende una «causa prima», allora si tratterà di vedere se esiste o non esiste una causa prima. Se s’intende «essere perfettissimo», occorrerà dimostrare, basandosi sulla realtà e non sulla sua semplice idea, se esiste un Essere perfettissimo.

Alcuni, affettando una forma di modestia, si rifiutano di prender posizione, respingendo sia il teismo che l’ateismo. Ora però una simile posizione non può essere sincera, ma denota una forma di biasimevole doppiezza. Infatti, la questione concernente l’esistenza di Dio non è tale per cui possa legittimarsi uno stato di dubbio e di indecisione, come può essere la questione se Atlantide sia o non sia esistita o se Aldo Moro sia stato o non sia stato un santo.

Infatti la scoperta dell’esistenza di Dio è effetto di un ragionamento spontaneo, che tutti fanno almeno implicitamente, sicchè tutti sanno che Dio esiste e che a Lui devono render conto del loro operato. Non occorre possedere doti di metafisico o aver studiato la Metafisica di Aristotele per mettere in moto la ragione naturalmente bisognosa di ricevere piena soddisfazione del suo bisogno di conoscere il perché ultimo delle cose.

Altri non accettano l’esistenza di Dio perché non vogliono assoggettarsi alla sua volontà. Ne negano l’esistenza non perché siano veramente convinti che Dio non esiste, infatti è impossibile dimostrare che non esiste, per cui tutti implicitamente o esplicitamente sanno che esiste, dato che a Lui devono render conto del loro operato. Costoro odiano Dio perché lo considerano un tiranno che impedisce la loro libertà e che quindi li odia.

Non sanno comprendere l’infinita bontà di Dio e quindi non lo considerano affatto il sommo bene e il fine ultimo. Considerando l’esistenza del male e della sofferenza nel mondo, ritengono che sia impossibile considerare come buono e onnipotente un eventuale governatore del mondo. Essi pensano di poter rimediare ai mali del mondo, laddove il supposto Dio non fa nulla e li permette.

Dunque – così essi pensano – è l’uomo e non Dio che sa curare gl’interessi dell’uomo. L’uomo sa già da sé ciò che è bene e ciò che è male; non ha bisogno di essere istruito da Dio. L’uomo si arrangia da sé senza bisogno di Dio. La vita morale non comporta nessun rapporto con Dio simile a quello del misero servo con un padrone e signore celeste, ma si risolve semplicemente nel rapporto sociale e politico. Se poi la morte e la sofferenza prevalgono, ciò, essi pensano, è legge di natura. Se esiste un Dio, questo è la Natura, come pensavano Spinoza, Goethe ed Hölderlin[2].

L’ingiustizia esiste, ma bastano gli uomini a toglierla e a rimediarvi. Non occorre fondare l’amore del prossimo sull’amore di Dio. L’uomo è amabile e sa amare. Con la buona volontà e il dialogo a tutto si rimedia. Gli uomini sono sostanzialmente buoni. Il peccato nasce solo dai cattivi esempi. Questa era l’opinione di Rousseau. La pace e la concordia fra gli uomini nascono semplicemente dall’amore fraterno, senza che occorra fondarlo sull’amore di Dio. Senonchè pretendere di amare l’uomo senza ed anzi contro l’amore di Dio è l’illusione di Feuerbach.

Non che l’ateo non sia capace di buone azioni verso il prossimo, ma in esse non è sincero, perché le fa per i suoi interessi e non per gli interessi del prossimo. E se compie vere opere di misericordia, allora vuol dire che in realtà non è ateo, ma serve Dio nel prossimo senza rendersene conto (cf Mt 25). È comunque impossibile essere atei in buona fede, ossia ignorare che Dio esista, come ho detto sopra. È possibile invece credersi atei perché si respinge un falso concetto di Dio professato da certi credenti[3].

Eppure è interessante notare come quelli che ragionano così odiano coloro che amano Dio e osservano i suoi comandamenti. Essi pretendono per sé un amore assoluto, come fossero Dio e non accettano di essere amati per amore di Dio. E se amano il prossimo, non lo amano per amore di Dio, ma perché idolatrano il prossimo o per amore di se stessi. Questo è l’ateismo. Esso non si imita ad ignorare l’esistenza di Dio, ma esso comporta un vero e proprio odio verso Dio e per conseguenza verso il prossimo e verso i propri sani interessi. L’ateo crede di sapere meglio di Dio qual è il suo bene, ma in realtà cammina verso la dannazione eterna.

Non c’è dubbio che l’esistenza del male nel mondo, delle calamità naturali, dei difetti umani e della malvagità umana spesso impunita, accanto alla sofferenza degli innocenti costituisce un motivo di difficoltà ad ammettere l’esistenza di un Dio infinitamente buono, giusto e misericordioso, che non vuole il peccato e castiga il malfattore.

San Tommaso, considerando il male nella massima ampiezza del suo significato, osserva che anche l’esistenza del male è una prova dell’esistenza di Dio. Infatti il male è privazione del bene dovuto, per cui il male non potrebbe esistere senza il bene, la cui esistenza è prova dell’esistenza di Dio. Quanto all’esistenza del peccato, l’Aquinate osserva che Dio ha voluto non impedire il peccato, pur avendo potuto farlo. Il motivo di ciò è un mistero impenetrabile, ma che non   testimonia in Dio nessuna cattiva volontà, anzi è legato al fatto che Dio ha permesso il male in vista di un maggior bene[4]. Del resto, per conoscere quel motivo, dovremmo essere Dio stesso. Se Cristo non ci ha rivelato questo motivo è perché non avremmo assolutamente potuto capirlo. State contente, umane genti, al quia… Accontentiamoci di sapere che cosa è il peccato e di come ottenerne il perdono. Questo ci deve bastare.

D’altra parte, corrispettivamente a questa diffusa convinzione che tutti tendono a Dio, anche senza saperlo, compresi gli atei, si considera, ed è logico, il fenomeno dell’ateismo, sempre più diffuso, come una normale espressione della libertà di pensiero, un’opinione come un’altra, del tutto innocua, anzi perfettamente compatibile con una vita onesta, una spiccata apertura sociale, un sincero servizio al bene comune, e capacità di solidarietà umana e senso della giustizia.

Se le cose stanno così, è logico che quella grande preoccupazione che assillava i santi del passato circa la sorte futura degli atei, viene meno, per cui chi ancor oggi si studia di persuadere l’ateo del suo errore, lo avverte del pericolo che corre e cerca di confutarlo o  si adopera ad esortarlo a convertirsi e a credere in Dio, dai modernisti è considerato uno spirito sorpassato, che ancora non ha preso atto del fatto che Dio misericordioso salva tutti.

Una situazione impressionante

Tutto ciò ha causato una dissoluzione dell’apologetica. È vero che San Giovanni Paolo II, dietro impulso del Concilio Vaticano II ha istituito il Pontificio Consiglio per il dialogo con i non-credenti. Ma forse che da questo dialogo che dura da sessant’anni escono delle conversioni, delle quali almeno si parli, al teismo e dei rifiuti dell’ateismo?

Oggi non solo l’ateismo non fa problema, ma anche fra coloro che ammettono l’esistenza di Dio o si dichiarano cattolici, circolano su Dio le idee più strane ed assurde, attinte da altre religioni o da filosofie pagane, magari sotto pretesto della mistica o del fatto che l’essenza divina è al di sopra dei nostri concetti.  

In tal modo sono vastamente diffuse concezioni di Dio idealiste, storiciste, panteistiche, induiste, cabalistiche, antropomorfiche, mitologiche, teosofiche. Siamo sicuri che il concetto di Dio di Rahner, di Schillebeeckx, di Teilhard de Chardin, di Bontadini, di Kasper, di Forte, di Sequeri, di Ravasi sia quello giusto? Il monoteismo ebraico ed islamico si concilia con quello cristiano? Il deismo massonico si concilia col teismo cristiano?

Ormai da più di cinquant’anni non si sente più di nessuno o quasi che si converta al teismo dall’ateismo, mentre viceversa non si contano i casi, soprattutto di giovani e ragazzi che, dopo aver ricevuto un’educazione religiosa, perdono la fede e passano all’ateismo.

Ci sono giovani che si fanno religiosi e sacerdoti e dopo alcuni anni, defezionano. Gli atei invece mostrano una perseveranza, che ameremmo piuttosto vedere in chi ha trovato Cristo. Come mai sono così perseveranti persone che hanno costruito sulla sabbia e vengono meno altre che hanno costruito sulla roccia? Come fanno alcuni a mostrarsi così sicuri di ciò che manca di fondamento e altri a dubitare di ciò che è fondatissimo? Come mai alcuni respingono l’evidenza, mentre altri si aggrappano ai sofismi? Perché aggrapparsi a quelle illusioni e abbandonare le verità assolutamente certe? Con quale vantaggio? Questo è il grande mistero del nostro tempo.

Il Papa non perde occasione per parlarci di Dio, dei suoi attributi, della sua attività, del suo rapporto con la natura, della sua opera di salvezza in Cristo, del mistero trinitario, nell’escludere falsi concetti di Dio. Ma chi collabora seriamente con lui in quest’opera apologetica ed evangelizzatrice? Sempre ha alle costole i soliti passatisti che hanno da ridire su tutto quello che dice e i soliti modernisti che vorrebbero tirarlo dalla loro parte.

Il Concilio Vaticano II ha giustamente segnalato «l’ateismo come una fra le cose più gravi del nostro tempo»[5] e vi ha dedicato particolare attenzione presentandone cause e rimedi. San Paolo VI dette successivamente alla Compagnia di Gesù come mandato primario per il nostro tempo il rimedio all’ateismo.

Senonchè, però, come raccontano due Autori Gesuiti, Antonio Caruso e Malachi Martin[6], la corrente modernista della Compagnia, prevalente nel suo ambito, elaborò astutamente un programma d’azione che provocò in America Latina il risultato opposto, ossia quello di favorire l’ateismo marxista. Quale fu infatti la geniale idea? Fecero questo ragionamento: l’ateismo è provocato dallo sdegno delle masse oppresse per la trappola nella quale i padroni capitalisti cattolici tentano di farle cadere, promettendo ad esse il paradiso a condizione di sopportare la loro soggezione ai padroni.

Dunque, come fare allora per impedire alle masse di diventare atee? Bisognava favorire la violenza rivoluzionaria predicata da Marx e finalizzata all’autoliberazione del popolo oppresso. Senonchè però che cosa successe? Che quei Gesuiti che appoggiarono la rivoluzione marxista in America Latina, soprattutto in Nicaragua, non poterono evitare che le masse abbracciassero l’ateismo marxista, e così Paolo VI e successivamente San Giovanni Paolo II furono ingannati da questa sporca manovra e si trovarono davanti ad un aumento anziché una diminuzione dell’ateismo.

Questo triste episodio ci dimostra che dobbiamo deciderci ad affrontare il problema dell’ateismo in una maniera seria e sincera. Non basta una qualunque affermazione dell’esistenza di Dio. Bisogna vedere quale concetto ci facciamo di Dio. Se Dio non dev’essere altro che un’espansione o un’assolutizzazione del nostro io, ciò equivale esattamente ad essere atei.

Non basta usare la parola «Dio» per essere teisti, ma occorre che ciò che chiamiamo con questa parola sia veramente Dio, ossia una Sostanza spirituale che non sia il vertice del nostro pensato, ma l’Essere che trascende e supera il nostro pensiero, al di là e non immanente al nostro pensiero, altrimenti il pensiero di Dio non è altro che il pensiero di noi stessi. Se si deve essere dei finti teisti, tanto vale essere apertamente atei: almeno qui c’è la chiarezza e la sincerità, anche se naturalmente ciò implica comunque la perdizione.

D’altra parte non è neppure impossibile l’esercizio di un teismo implicito nascosto sotto l’amore del prossimo, come risulta dalla narrazione del giudizio finale di Mt 25, dove i premiati si sorprendono per essere ringraziati da Cristo: lo avevano servito nel prossimo senza rendersene conto. Difatti, la sostanza dell’opposizione teismo-ateismo non è teoretica, ma è una questione pratica, poiché in realtà tutti sanno, consciamente o inconsciamente, che Dio esiste. Chi afferma, può avere ragioni per affermare. Chi nega, se sa quello che dice, non le ha e non può essere in buona fede. Chi sta un mezzo, è un’ipocrita. La differenza allora sta nel fatto che mentre i primi fanno la volontà di Dio, i secondi fanno la propria, quand’anche sapessero dimostrare l’esistenza di Dio con le cinque vie di San Tommaso.

Potrà il teismo avere una ripresa? Certamente. L’attuale diffusione dell’ateismo è il segno di un’umanità in pericolo di dannarsi? Può essere. È segno dell’apostasia finale? È possibile. Ma per saperlo con certezza, occorrerebbe vedere nelle coscienze oltre che vedere i fatti esterni, che noi possiamo constatare. E questa visione è possibile solo a Dio, giusto e misericordioso.

Fine Seconda Parte (2/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 luglio 2023


La questione concernente l’esistenza di Dio non è tale per cui possa legittimarsi uno stato di dubbio e di indecisione, come può essere la questione se Atlantide sia o non sia esistita.

Infatti la scoperta dell’esistenza di Dio è effetto di un ragionamento spontaneo, che tutti fanno almeno implicitamente, sicchè tutti sanno che Dio esiste e che a Lui devono render conto del loro operato.

Non c’è dubbio che l’esistenza del male nel mondo, delle calamità naturali, dei difetti umani e della malvagità umana spesso impunita, accanto alla sofferenza degli innocenti, costituisce un motivo di difficoltà ad ammettere l’esistenza di un Dio infinitamente buono, giusto e misericordioso, che non vuole il peccato e castiga il malfattore.

San Tommaso, considerando il male nella massima ampiezza del suo significato, osserva che anche l’esistenza del male è una prova dell’esistenza di Dio.

Oggi non solo l’ateismo non fa problema, ma anche fra coloro che ammettono l’esistenza di Dio o si dichiarano cattolici, circolano su Dio le idee più strane ed assurde, attinte da altre religioni o da filosofie pagane, magari sotto pretesto della mistica o del fatto che l’essenza divina è al di sopra dei nostri concetti.  

In tal modo sono vastamente diffuse concezioni di Dio idealiste, storiciste, panteistiche, induiste, cabalistiche, antropomorfiche, mitologiche, teosofiche.

Il Concilio Vaticano II ha giustamente segnalato «l’ateismo come una fra le cose più gravi del nostro tempo» e vi ha dedicato particolare attenzione presentandone cause e rimedi.

 
Immagine da Internet: L'Atlantide, Makim Kantor
 

[1] Vedi Sum. Theol., II-II, qq.81-100.

[2] Vedi anche il mito di Pachamama.

[3] È ciò che osserva il Maritain nel suo opuscolo Il significato dell’ateismo contemporaneo, Morcelliana, Brescia 1954. Quello che Maritain chiama «ateismo pratico», consistente nella disobbedienza a Dio propria del credente, è l’ateismo vero e proprio come colpa morale e questo non è proprio solo dei credenti, ma di ogni uomo, perché anche chi rifiuta di credere in Dio sa benissimo che Dio esiste, come ho detto sopra. L’ateo in buona fede, che però è cristiano anonimo in base all’esperienza trascendentale atematica, è un’invenzione di Rahner fatta apposta per assicurare il paradiso a chi odia Dio.

[4] Cf di Maritain, Dieu et la permission du mal, Desclée de Brouwer, Bruges 1963.

[5] Gaudium et spes, n.19.

[6] Del primo: Tra grandezze e squallori, Edizioni Viverein, Monopoli (BA), 2008 e dell’altro: I Gesuiti, Edizioni SugarCo, Milano 1988.

 

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