Gratitudine a San Tommaso


Gratitudine a San Tommaso[1]

Iustum deduxit Dominus per vias rectas
 Sap 1,10
                        Misericordias Domini in aeternum cantabo
Sal 88,2                    
         Fecit mihi magna qui potens est
                                                                  Lc 1,49

La prova decisiva della mia vita

Il parlare di sé, come tale, non è esibizionismo o narcisismo, purchè non parliamo tanto di quello che abbiamo fatto noi, quanto piuttosto di ciò che Dio ha fatto in noi e servendosi di noi, nonostante i nostri peccati e le nostre disobbedienze a Lui. È questo lo spirito che voglio assumere e il metodo che voglio seguire accingendomi a ricordare alcuni fatti importanti della mia vita. Se un poveraccio ha ricevuto una grossa eredità da un ricco signore, da distribuire ai poveri, che farà? Non dovrà proclamarlo con gioia a tutti sui tetti?

Ormai al termine della mia vita, guardando al mio passato di cattolico, mi accorgo con gratitudine a Dio, d’aver percorso sin dalla fanciullezza le vie del Signore in un continuo avanzamento fino ad oggi. Un impulso decisivo lo ricevetti a 16 anni nel 1958 dall’incontro con un santo sacerdote, Don Giovanni Buzzoni, mio  insegnante di religione al liceo classico e poi mio confessore. Pativo una profonda crisi di certezza, essendo stato avvelenato dallo scetticismo soggettivista cartesiano, dall’esistenzialismo ateo e dallo storicismo crociano.

Soprattutto l’incontro con Cartesio al liceo provocò in me un angoscioso dubbio circa la veridicità dell’esperienza sensibile, e quindi l’esistenza e la verità della stessa realtà esterna così come si presentava al mio intelletto, un dubbio atroce, che in precedenza non mi era mai venuto in mente: le nostre percezioni sensibili corrispondono a cose esterne fuori di noi? 

Come esserne certi? Cartesio  provoca artificialmente il dubbio, ma in realtà non lo risolve affatto col suo famoso cogito, il quale è piuttosto un’innaturale e forzata contorsione del pensiero su se stesso[2]. In fondo la gnoseologia e la metafisica cartesiana non sono che una ripresa e dell’antica sofistica greca: l’essere è ciò che appare a me e ciò mi fa comodo, perché così faccio quel che mi pare, senza dover render conto a nessuno.

Inoltre, in collegamento con Cartesio, che non raggiungeva la realtà sensibile, rimasi turbato dall’esistenzialismo ateo sartriano, allora di moda[3], che, aggiungendosi al dubbio cartesiano, mi portava a credere che l’esistere non aggiungesse nulla al non-esistere.

Un’altra esperienza che mi fece molto male, aggravando la mia crisi esistenziale, fu l’incontro, sempre al liceo, con Giacomo Leopardi. Già avevo difficoltà di comunicazione interpersonale a causa del dubbio che avevo circa l’esistenza oggettiva della realtà esterna, per cui anche le persone non mi sembravano enti reali, ma mie immaginazioni. 

Ciò mi portava a chiudermi amaramente nel mio io senza la fiducia di poter contattare una realtà esterna, della quale dubitavo. Anche la certezza suggerita da Cartesio dell’esistenza del mio io pensante non mi bastava, giacchè posso sì aver coscienza di pensare; ma pensare che cosa? Le mie idee? Ma non so se corrispondono alle cose. Pensare le cose? Ma non sono certo che esistano. E quindi siamo daccapo. E il mio corpo? Lo attingo con i sensi. Ma i sensi ingannano. E allora?

Incontrandomi con Leopardi in qualche modo mi ritrovavo in lui, in quel suo sentirsi solo, penso al «passero solitario», solitudine amara, che non riusciva a spiegarsi e non riusciva a superare. Ma purtroppo Leopardi era deforme e il suo aspetto fisico non attirava l’interesse degli altri. Io, grazie a Dio, non avevo questo problema, ma il mio era quel problema psicologico al quale ho accennato.

C’è inoltre il fatto che Leopardi, forse per una cattiva educazione ricevuta,  era un aristocratico schifiltoso. Gli ripugnava il contatto col popolo e la gente semplice del suo paese, Recanati, che spregiativamente chiamava «natìo borgo selvaggio». Era vittima dello stesso sentimento sprezzante di Orazio: odi profanum vugus et arceo.  

Neppur questo era il mio problema. Sempre per quella mia crisi di scetticismo tendente al nichilismo, ero invece rimasto infettato dalla totale assenza in Leopardi dell’interesse per gli altri, che non fosse  l’ambizione di aver fama di poeta tra i dotti. Io non nutrivo nessuna sete di gloria umana, ma quello che mi rodeva l’anima era sempre questo dubbio sull’esistenza degli altri. Era il nichilismo. Severino ha scritto un saggio interessante sul nichilismo di Leopardi mettendo in luce che per lui tutto viene dal nulla e tutto va al nulla. Mi chiedo come si fa a vivere con una visuale del genere. 

Eppure, anche questa squallida visione dell’esistenza è effetto di quella medesima superbia che è all’origine dell’idealismo cartesiano. Questo lo capii successivamente accostandomi al realismo tomista. Infatti, sia in Cartesio che in Leopardi c’è la negazione dell’essere o del reale, sostituita dall’io: in Cartesio, il cogito, che, come osserva giustamente il Fabro, è un volo; in Leopardi,  l’aggancio al reale è sostituito dallo spasmodico desiderio o sogno romantico di acquistar fama presso i dotti.

A me però non stava a cuore né la mia volontà, né la gloria umana, ma solo il bisogno di sapere se il reale esiste o non esiste e, appurato che esiste, se lo si può conoscere o no. Per Kant esiste (la «cosa in sè»), ma non si può conoscere. Tommaso invece mi ha fatto riscoprire e l’essere e il conoscere. Ma ciò a molti non interessa. Quello che a molti interessa è affermare se stessi. Per questo il maggior successo di Cartesio rispetto a S.Tommaso.

Difatti l’autofondazione cartesiana del proprio io conduce oggi molti a fare i gradassi e a gonfiare talmente il proprio io fino ad una scelta atea o panteista.  Io non ho mai sentito questa tentazione, perché ho sempre avvertito di non essere fondato su me stesso, ma di avere quindi bisogno di un Fondamento esterno a me, basato sulla realtà. Adesso invece l’eventualità prospettata da Cartesio che questa realtà esterna non esistesse non mi arrideva affatto, ma mi angosciava, perchè capivo che conduceva alla negazione dell’esistenza di Dio come fondamento della realtà e di me stesso. La tentazione disperante era quindi quella del nichilismo.

Come ne sono venuto fuori

Hanno scavato davanti a me una fossa
                                               e vi sono caduti
Sal 57,7


Il mio problema non era, come si diceva allora, quello del «senso della vita», quello di come comportarmi, ma era più radicale: era il problema del senso dell’esistenza. Non mi bastava uno psicologo o un moralista o un buon pastore o un buon confessore: mi occorreva un metafisico. La metafisica non era per me l’interesse accademico per un sapere astratto: no, era per me questione di vita o di morte. Per questo nel mio trentennale insegnamento della metafisica nello Studio bolognese mi sono sempre ritrovato con gli studenti così persuasivo, perché alla conoscenza scientifica si aggiungeva l’esperienza personale.

E fu così che S.Tommaso mi fece incontrare la persona adatta in Don Giovanni, il quale appunto mi guarì nel 1958 con la metafisica e la gnoseologia di S.Tommaso: mi dette la certezza che le cose che vedo fuori di me esistono e le posso conoscere, esistono quindi il principio d’identità o di determinazione, il principio di causalità e il principio di finalità, i princìpi primi della ragione speculativa, sui quali si costruisce tutto il nostro sapere. Quindi Dio esiste. 

L’aver ritrovato Dio era la mia consolazione, anche se so benissimo che il mio io di peccatore, lisciato da Cartesio, vorrebbe che il reale esterno e quindi Dio non esistessero per regolarsi da solo senza di Lui. L’umile, invece, cioè il realista, sente il bisogno di Dio, si rallegra della sua esistenza, perché trova in Lui il suo creatore, la sua guida morale, l’aiuto nelle difficoltà, il consigliere nei dubbi, il consolatore nelle afflizioni, il sostegno nelle prove, il padre amoroso che lo corregge nei difetti, il suo sommo bene e il fine ultimo della sua vita.  

 
Al contrario, al superbo e all’uomo carnale l’esistenza di Dio, al quale dover render conto del proprio operato, dà fastidio e per evitare che la ragione arrivi a scoprirla, applicando i suoi princìpi, la restringe e le blocca il cammino nell’orizzonte delle idee e dei fenomeni, ed inventa una gnoseologia ad usum delphini, che invalidi l’esistenza oggettiva dell’essere e del reale, alla maniera idealista, preferendo la gnoseologia allucinatoria e la metafisica visionaria di Cartesio.

Don Giovanni, presentandomi attraverso Maritain la gnoseologia[4] e la metafisica di S.Tommaso[5] mi fece ritrovare ad un tempo l’essere ovvero il reale, nonchè la possibilità di conoscere la verità del reale e di conoscere Dio. Era la scoperta del famoso realismo gnoseologico tomista, saldamente radicato nella ragione e inculcato dalla stessa Sacra Scrittura[6].

E per ottenere questo scopo, Don Giovanni usò un metodo semplice ma profondo. Ricordo che mi domandò se potevo fare a meno di determinarmi con evidenza e certezza sensibile. Ricordo che mi trovavo a sedere in un certo modo su di una data sedia e non potevo non riconoscere come evidente che stavo a sedere in quel dato modo in quella data sedia. 

Era risolto il problema della conoscenza e del reale esterno. Certo, quello non era altro che un primo, umile inizio empirico di buon senso. Ma lo spettro dell’idealismo svanì e tornava la luce del realismo, quel realismo col quale da bambino avevo iniziato il cammino della verità. Cartesio era vinto! Sartre era vinto! Croce era vinto! Leopardi era vinto! In seguito iniziai famelicamente a studiare attraverso Maritain la gnoseologia e la metafisica di S.Tommaso. Ma la resurrezione era irrevocabilmente  iniziata.

La partenza per un cammino sicuro

Da quel momento, partii sul sentiero della verità, senza che nessuno sia mai riuscito a smuovermi. Anzi cominciai io stesso a diffondere la verità. Fu quello il primo germe di vocazione domenicana che sarebbe maturato continuamente nella lettura delle opere di Maritain, prima, a partire dal 1959 e poi, a partire dal 1960, nella lettura delle opere di S.Tommaso. 

Fu così che nel 1958, per grazia di S.Tommaso mediatami da quel santo sacerdote che fu Don Giovanni, il mio «Elia», la grazia del carisma domenicano, senza che me ne rendessi conto, avendo trovato in me, suo «Eliseo», un buon terreno, dissodato dallo stesso Don Giovanni, si radicò e prese in me radici saldissime ed inestirpabili, che nel corso di più di sessant’anni, da quel lontano 1958, nulla e nessuno, né creatura umana, né il demonio, né tentazioni, né prove subìte, né sofferenze, né minacce, né seduzioni della carne o del mondo, hanno potuto mai infirmare o togliere, così come non si toglie da un vivente ciò che lo fa vivere, senza con ciò stesso farlo morire. 

Questo è il senso delle parole che pronunciai quando nel 1975 feci la mia professione solenne nell’Ordine: usque ad mortem. Certo, io potrei, in linea di principio, essere giuridicamente cacciato dall’Ordine, ma allora mi chiederei se non fosse piuttosto chi mi caccia ad essere indegno di appartenere all’Ordine domenicano.

È successo così che quando entrai nell’Ordine nel 1971, ero già domenicano nello  spirito da dieci anni, anche se ovviamente riconosco che per essere una frate domenicano occorre appartenere all’Ordine giuridicamente, per cui sarò sempre grato ai miei Superiori e formatori per avermi accolto ed aver avuto misericordia di me. Sì, perché, se non lo sapete, quando un postulante chiede a una comunità domenicana di essere ammesso nell’Ordine, a sua volta il Superiore gli chiede: che cosa domandi? E il postulante risponde: la misericordia di Dio e la vostra.

Don Giovanni mi fece mettere al sicuro due nozioni razionali fondamentali, che poi sono state alla base incrollabile del  mio successivo pensiero: la nozione della metafisica e la nozione della conoscenza. La metafisica, intesa come conoscenza dell’ente reale, che parte dall’esperienza delle cose, ente che analogicamente si predica del mondo e di Dio.

 Sicchè la metafisica culmina nella teologia naturale, ossia nella dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio partendo dall’esperienza delle cose ed applicando il principio di causalità. La conoscenza razionale di Dio come causa prima creatrice del mondo, diventa poi la base della religione naturale e dell’etica naturale.

La nozione della conoscenza dice adeguazione dell’intelletto o del pensiero al reale e non, come sostiene Cartesio, al proprio io. È questa la verità del conoscere, per cui l’errore è la mancata adeguazione al reale. È, questo, quello che si chiama «realismo gnoseologico» od «oggettività della conoscenza», opposti all’idealismo, che vorrebbe far coincidere l’essere col pensare, in modo tale che l’essere diventa l’essere pensato. L’esistenza non svanisce nel nulla, non è una nostra semplice idea, ma cela nella sua profondità l’assoluto, l’eterno, il necessario, il bene infinito, nasconde Dio.

Il vero, allora, dipende dal mio adeguarmi all’essere oggettivo, che mi sta davanti (ob-jectum), e non dalla mia idea. Essa non è tutto ciò che posso conoscere. Invece per mezzo dell’idea e nell’idea raggiungo e conosco così com’è un reale o un essere esterno al mio pensiero o alla mia idea, quel reale o essere, che Tommaso chiama res extra animam.

I benefìci che ci concede S.Tommaso

La grandezza unica di S.Tommaso sta nella stupenda unione che egli realizza fra dottrina e carità, fra sapienza e santità, fra l’istruire il prossimo e l’imparare da Dio. Egli ha una concezione medicinale o terapeutica della dottrina. Quando tratta di eresie, non si scalda e non si sdegna, come fanno  certi predicatori nei quali l’ira prevale sulla lucidità mentale, mettendo quindi in pericolo la carità, perché la carità nasce solo dalla verità, ma Tommaso assume la serietà e la calma del medico, che diagnostica il morbo e prescrive la cura.  

Il discepolo di S.Tommaso riceve in eredità un patrimonio intellettuale incorruttibile, che può arricchire e trasmettere alle successive generazioni nei secoli, com’è dimostrato dalla secolare scuola tomista.
Chi segue la dottrina dell’Aquinate, che la Chiesa ha sempre raccomandato e dalla quale la Chiesa ha addirittura ricavato alcuni dogmi, è sicuro di seguire la sana dottrina cattolica.

Il discepolo dell’Aquinate acquisisce un criterio di discernimento sicuro per riconoscere e distinguere nelle dottrine la verità dall’errore, fondare la verità e confutare l’errore anche nei casi più difficili. Non si lascia ingannare o sedurre neanche dalle eresie più raffinate ed astute.

Il discepolo dell’Aquinate  possiede il senso dell’universalità della verità, per cui è aperto al vero da qualunque parte venga o lo scova anche laddove altri vedono solo errore.

Il discepolo di S.Tommaso, conscio della distinzione fra l’ordine naturale della ragione e delle virtù umane da una parte, e dall’altra l’ordine soprannaturale della fede e delle virtù cristiane, è qualificato come nessun altro a praticare un dialogo costruttivo con qualunque uomo ragionevole sulla base comune della ragione, caratterizzante l’uomo come tale e quindi posseduta da ogni uomo, a qualunque religione o cultura appartenga. 

Il discepolo di S.Tommaso vede con chiarezza la mozione della grazia nei confronti del libero arbitrio: come la volontà divina muove l’atto umano libero al compimento del bene soprannaturale, per cui Dio non solo lascia libera la volontà umana, ma causa e crea l’atto stesso del volere, volere, che però, se è peccaminoso, in quanto peccaminoso, è tutto e solo colpa del peccatore, sicchè il giusto è causa seconda delle sue virtù, mentre il peccatore è causa prima del peccato che compie.
Nel contempo il tomista, sapendo che il retto uso della ragione conduce alla fede, è il missionario e l’evangelizzatore più qualificato per diffondere il Vangelo presso tutti i popoli, come è ampiamente dimostrato dalla storia delle missioni domenicane da otto secoli ad oggi.

Il discepolo di S.Tommaso non vede fratture, nella storia del magistero della Chiesa, fra conservazione e sviluppo, fra tradizione e progresso, fra fedeltà e rinnovamento, ma vede nella storia del magistero della Chiesa un continuo approfondimento e chiarimento, una continua esplicitazione della conoscenza della Parola di Dio eodem sensu eademque sententia, come diceva S.Vincenzo di Lerino, così che essa viene conosciuta sempre meglio, senza, aggiunte, senza detrazioni e senza mutamenti di significato.

Il discepolo di S.Tommaso, nel momento in cui ha in lui una guida alla sapienza, ha anche, nei suoi scritti e nei suoi esempi di vita, una guida alla santità e alla perfezione della vita cristiana, anche se ovviamente gli esempi di vita sono adatti soprattutto per gli intellettuali e gli studiosi.

 Tommaso è anche un grande maestro di diritto, di morale, di ascetica e addirittura di mistica, con i suoi trattati sui doni dello Spirito Santo e sulla vita spirituale. Per il suo senso profondo del cattolicesimo è osservantissimo, anche come Religioso, della disciplina ecclesiale e pertanto è grande maestro di comunione ecclesiale col Sommo Pontefice.

I massimi segni di consenso, di approvazione e di solidarietà dottrinale li ho ricevuti da discepoli di S.Tommaso. I miei migliori amici e maestri in campo teologico sono tomisti. I miei ammiratori e discepoli, laici, religiosi o sacerdoti, uomini e donne, giovani e anziani, dotti e indotti, sono persone disposte ad accogliere la dottrina di S.Tommaso.

 Invece le più gravi incomprensioni, ostilità od opposizioni ideologiche le ho ricevute da nemici o falsi amici di S.Tommaso, dall’interno stesso dell’Ordine, per quanto ciò possa apparire sorprendente - «venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11) - , come i modernisti e i rahneriani, a parte i non-cattolici. 

Eppure, se ho resistito, ho saputo difendermi, far valere le mie ragioni, riconoscere i miei torti, correggermi, sopportare con pazienza ed offrire per i miei peccati, lo devo proprio agli insegnamenti, agli esempi, che mi vengono da questo Ordine benedetto, che mi ha accolto ed in primis lo devo all’intercessione dei Santi e di S.Tommaso, nonché ai confratelli e consorelle, che mi sono stati vicini, hanno pregato ed offerto per me, mi hanno compreso, consolato ed aiutato.

Le grazie ricevute 

Il superamento della crisi di scetticismo e di identità grazie all’aiuto di Don Buzzoni ispirato a princìpi teoretici ed educativi tomistici, produsse in me una rinnovata e più cosciente certezza della verità, fame di conoscenza e un grande desiderio di comunicarla al prossimo. Erano i primi germi della predicazione domenicana. Contemplata aliis tradere.

 Per il momento, nel 1963, Dio mi fece incontrare una giovane signora, madre di cinque figli, la Mariangela Baroncelli Molducci, donna di gran fede, maestra elementare, dotata di una spiccatissima attitudine ad occuparsi della educazione della gioventù alle virtù umane e cristiane. 

Essa aveva formato attorno a sé un giro di persone, giovani ed adulte, che condividevano questo suo impegno caritativo a favore del prossimo in difficoltà di vario genere, sanitario, psicologico, economico, ambientale, lavorativo, sociale, culturale, religioso. Essa individuò in me, che desideravo rendermi utile, un collaboratore e un riferimento intellettuale in quel genere di solidarietà, fraternità ed amicizia, che aveva la sua ispirazione nell’etica tomista,  che stava alla base delle «grandi amicizie»[7] maritainiane, delle quali sia io che Mariangela eravamo al corrente come grandi ammiratori.

Nel 1965 mi iscrissi all’Università di Bologna nella Facoltà di Filosofia con l’intento di conoscere il pensiero moderno e valutarlo alla luce di S.Tommaso, secondo il metodo di Maritain. Mi laureai nel 1970 e insegnai un anno storia e filosofia al liceo classico di Faenza. Nel frattempo, grazie al contatto con alcuni amici e le monache carmelitane di Ravenna, avvertii il sorgere in me dell’amore alla contemplazione, allo studio della Scrittura, all’ascetica, al silenzio, alla solitudine, alla penitenza, alla preghiera, alla vita fraterna, nella carità e nell’amicizia, nel soccorso e nella predicazione ai poveri, soprattutto nel senso spirituale: i cercatori di Dio, della verità e della sapienza. 

Già nel 1966 il Maritain, il più grande dei tomisti del ‘900, mi fece capire il significato del Concilio nel libro Le paysan de la Garonne, lettura che mi pose nel solco dell’autentica interpretazione del Concilio, quella di S.Paolo VI, contro la strumentalizzazione modernistica già allora insorgente e contro la reazione lefevriana.

Nel 1971 entrai nell’Ordine Domenicano nel convento di Bologna. Non vi conoscevo nessuno. C’era comunque uno Studio Teologico. Per la verità, mi immaginavo di incontrare discepoli di S.Tommaso come ne avevo già conosciuti per esempio in una precedente amicizia, il tomista maritainiano Padre Guido Casali e nelle mie letture o frequentazioni, soprattutto il Padre Garrigou-Lagrange, il Padre Clérissac, il Sertillanges, il Gredt, lo Journet, il Gilson, lo Spiazzi, il Padre Guido Casali o Padre Pietro Lippini. E stavo studiando S.Tommaso e Maritain già da dieci anni.

E invece, a parte il Padre Guido e l’ottimo Padre Provinciale Enrico Rossetti, che mi accolse nell’Ordine, e alcuni veri maestri, come il Padre Galli e il Padre Roberto Coggi, fu forte la mia delusione nel trovare confratelli contrari S.Tommaso.

In particolare io entrai nell’Ordine senza saper nulla e senza che nessuno mi avesse mai parlato prima del famoso teologo domenicano Edward Schillebeeckx, un astuto impostore, della cui pericolosità mi resi subito conto, allorchè venni a contatto col suo pensiero, improntato ad una forma di empirismo esistenzialista storicista ed evoluzionista, distruttore della metafisica e dell’immutabilità del dogma. 

Fu una scoperta che mi lasciò stupefatto e scandalizzato, perché non immaginavo mai che nell’Ordine potesse tranquillamente prosperare un simile sfrontato modernista. E la cosa che aumentò il mio scandalo e il mio sdegno fu che esisteva nell’Ordine una corrente così sfrontata di suoi sostenitori, che non si peritava di opporsi apertamente alla censura della CDF dei primi anni ’80 contro di lui, come se questi fosse una povera vittima della dittatura papale. In realtà erano così gravi le sue eresie, che avrebbe meritato di essere scomunicato ed espulso dall’Ordine, mentre era tenuto in palmo di mano dai suoi sostenitori.

Io notai bensì che nell’Ordine si trovavano anche teologi tomisti, che respingevano nettamente Schillebeeckx. Allora mi feci coraggio e cominciai a combatterlo. Il mio primo articolo  è del 1984[8]. Grazie a Dio, nessuno, né da dentro né da fuori dell’Ordine ha avuto l’imprudenza di ostacolarmi o di fermarmi in questa opera di purificazione del pensiero teologico alla luce dell’Aquinate, sicchè ho potuto combattere Schillebeeckx da allora fino ad oggi con molte pubblicazioni ed addirittura corsi scolastici, fino a una mia pubblicazione di quattro anni fa, per leE dizioni web Chorabooks di Hong Kong, dirette dal Maestro Aurelio Porfiri[9].

Altra nuova amara sorpresa è stata quella dell’ingresso nell’Ordine a Bologna, a partire dal 1997, addirittura sotto veste tomista (incredibile a dirsi!) dell’idealismo panteista severiniano, ad opera  del Padre Giuseppe Barzaghi[10]. In sette secoli di storia della teologia domenicana[11] non era mai successo – salvo forse il caso Eckahrt – che l’Ordine fosse infetto da questo morbo dello spirito, frutto della superbia e dell’empietà. Ho confutato il pensiero di Barzaghi[12] mostrando da una parte la falsità dell’idealismo e dall’altra l’assurdità del tentativo di far passare Tommaso per un panteista.

In particolare i tomisti dell’800 e della prima metà del ’900 avevano combattuto con valore  contro  l’idealismo e il panteismo, più volte condannato dalla Chiesa. Ci mancava anche questa disgrazia, per aggravare al colmo le difficoltà e le sofferenze attuali della teologia domenicana. Anche su questa grave questione nessuno, né nell’Ordine, nè da fuori dell’Ordine, si è opposto con argomenti alle mie critiche a Barzaghi.

In ogni caso, devo riconoscere che poi in fin dei conti è stata la mia appartenenza all’Ordine che mi ha concesso di venire a conoscenza e di studiare anche altri teologi tomisti, antichi e moderni. Tra gli antichi, il Goudin, Melchior Cano, il Card.Gaetano e Giovanni di S.Tommaso e, tra i moderni, il Dummermuth, il Lepidi, lo Schwalm, lo Zigliara, il De Groot, lo Schultes, il Del Prado, il Ramirez, il De Tonquédec, il Mattiussi, il Gardeil, il Merkelbach, il Giacon, il Degl’Innocenti, il Toccafondi, lo Zacchi, il Cordovani, l’Olgiati, la Vanni Rovighi, lo Joret, il Meynard, lo Chenu, il Congar, il Ghini, il Lobato, il Royo Marίn, il Composta, il Boccanegra, l’Héris, l’Hugon, il Bogliolo, il Card.Ciappi, il Pizzorni, il Caldera, il Livi, M.-D.Philippe, J.-H. Nicolas, il Perini e molti altri. Importantissima è l’interpretazione della metafisica di San Tommaso fatta dal Fabro, acuto critico dell’idealismo di Rahner.

In questi cinquant’anni da quando sono frate domenicano, a parte questi nomi sicuramente tomisti, ho però sempre notato nell’Ordine riguardo alla metafisica la difficile coesistenza di due correnti in conflitto fra loro: una piccola minoranza più attenta alla cultura ed alla vita intellettuale, ammiratrice e, se non cultrice, quanto meno rispettosa, della metafisica, il che è come dire devota a S.Tommaso; ed una maggioranza secolarizzata indifferente a S.Tommaso, per non dire ostile, influenzata da un moderato modernismo dello stile di Schilleeeckx, la quale è causa della decadenza dell’Ordine, che si manifesta soprattutto nella chiusura  di conventi, e nella quasi nulla incidenza dell’Ordine nei grandi dibattiti culturali, religiosi e teologici del nostro tempo.  

Grande grazia che attribuisco  all’intercessione di Tommaso, Dottore Eucaristico, è stata la grazia del sacerdozio, quando fui ordinato nel 1976 da Mons.Ersilio Tonini, allora Arcivescovo d Ravenna nel duomo di Ravenna, quel duomo che fin da piccolo avevo frequentato tante volte insieme con la mia carissima mamma, alla quale devo la mia prima iniziazione alla fede, lontanissimo allora dal solo immaginare quel felice evento di trent’anni dopo, se non altro perché, da ragazzo non desideravo assolutamente farmi sacerdote, anzi mi ripugnava.  E se mi sono fatto sacerdote – e ne sono contento oggi più che mai -  è per obbedire all’invito fattomi formalmente da quel sant’uomo che fu Padre Enrico Rossetti, il Priore Provinciale, che nel 1971 mi accolse nell’Ordine. 

Con la grazia del sacerdozio S.Tommaso mi ha particolarmente illuminato circa la Redenzione di Cristo, il sacrificio della Messa e il sacramento l’Eucaristia. Oggi purtroppo, come sappiamo tutti, circolano molte eresie in questi importantissimi campi della dogmatica: la negazione del sacerdozio come potere di dir Messa e confessare, ma come semplice «presidenza» della comunità, il sacerdozio delle donne, la negazione dei castighi divini come richiamo alla penitenza e alla conversione, la negazione del valore soddisfattorio del sacrificio di Cristo,  la favola del Dio «che soffre», la tesi che tutti si salvano, la negazione del dogma della transustanziazione eucaristica, sostituita dalla tesi luterana del «Cristo nel pane», sicchè  quando i fedeli fanno la Comunione, non mangiano la carne di Cristo, ma mangiano del pane benedetto, la Messa non come sacrificio, ma come banchetto. 

Ora è evidente che su questi punti la dottrina dell’Aquinate offre ottimi sussidi e criteri di valutazione e di discernimento per distinguere il vero dal falso, l’ortodossia dall’eresia, nella piena fedeltà alla Scrittura, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa.

Alla dottrina del Dottore Comune della Chiesa ovviamente mi ero ispirato, allorchè nel 1975 conseguii presso il nostro Studio Teologico Accademico Bolognese la licenza in teologia con Padre Galli, insigne moralista tomista, mio Maestro ed autore di molte autorevoli pubblicazioni in materia.  La tesi tratta dell’aspetto psicologico della differenza fra uomo e donna, un tema che ho approfondito in seguito fino ad oggi.

Sempre a S. Tommaso come a Maestro ed intercessore mi sono ispirato e rivolto in tutte le mie pubblicazioni scientifiche e divulgative. Nel 1976 scrissi il mio primo articolo scientifico sulla questione del sacerdozio della donna su Sacra Doctrina, la rivista teologica dello Studio Bolognese. 

Dal 1979 i Superiori mi incaricarono dell’insegnamento nel nostro Studio di Bologna, incarico che ho portato avanti fino al 2011, quando sono diventato emerito. Nel 1984 mi laureai in teologia all’Angelicum a Roma con una tesi sul dono della sapienza sotto la direzione del Padre spagnolo Alvaro Huerga, illustre storico della spiritualità domenicana.

Ritengo di dovere all’ispirazione di S.Tommaso anche il mio interesse circa la dignità della donna e in particolare per la differenza tra l’anima dell’uomo e quella della donna[13] e la questione della condizione dell’uomo e della donna nella resurrezione[14]. Ho riassunto il mio pensiero in merito nel libro La Coppia consacrata[15].

Questo mio interesse è nel mio ministero di predicatore e di guida delle anime in qualche modo un’eco del dono speciale che aveva il Santo Padre Domenico di profonda conoscenza del cuore femminile, che lo portava ad essere ottima e stimata guida delle Religiose, tanto che Papa Gregorio IX, volendo mettere ordine e disciplina nei monasteri femminili dell’Urbe, affidò a S.Domenico questo delicato compito prima che il Santo Patriarca ponesse mano all’organizzazione della predicazione dei frati. Ed è nota la tradizione domenicana di affiancare in ogni città che ospitava l’Ordine ad un convento di frati un monastero di monache, affinchè fosse assicurata ad esse una conveniente assistenza spirituale.  

 
Nel 1982 su proposta del grande teologo domenicano tomista Padre Raimondo Spiazzi, fui improvvisamente ed inaspettatamente chiamato a collaborare con S.Giovanni Paolo II in Segreteria di Stato, dove rimasi fino al ’90. Considero pertanto questo fausto evento una grazia di S.Tommaso. In ufficio infatti ebbi modo di mettere ampiamente a frutto la mia preparazione tomistica, tanto che un giorno, mentre ero a pranzo col Santo Padre con poche altre persone, l’allora Sostituto della Segreteria di Stato, Mons.Eduardo Martinez Somalo, rivolgendosi al Papa ed indicando me, gli disse: «Santità, questo è il nostro tomista!”. Al che il Santo Padre ebbe un’espressione di compiacimento.

Nel 1992 fui associato alla Pontificia Accademia Teologica Romana per iniziativa di un grande cristologo tomista, Mons.Antonio Piolanti. Altra grazia concessami da S.Tommaso. Da  allora anche qui ho avuto modo di mettere a frutto la mia preparazione tomista soprattutto con la mia collaborazione a PATH, la rivista dell’Accademia, con articoli di commento al magistero di Papa Francesco.

 
Nel 1995 fui invitato da Padre Livio a collaborare a Radio Maria, incarico che ho mantenuto fino al 2016. Anche questa bella e lunga esperienza, che ho potuto fare la considero una grazia ottenutami da S.Tommaso. Ed infatti, nel corso di tanti anni ho potuto trasmettere a decine e decine di migliaia di attenti ascoltatori, nella luce e sotto la protezione di Maria, la nobilissima sapienza del Dottore Angelico.

Nel 2007, in modo del tutto inaspettato, fui richiesto dall’allora Postulatore dell’Ordine, Padre Vito Gomez, di curarmi, come vicepostulatore, assieme al mio confratello Padre Efrem Jindracek, l’altro vice postulatore, della Causa di Beatificazione del teologo domenicano Padre Tomas Tyn, neanche a dirlo, fedelissimo discepolo e zelantissimo divulgatore del Dottore Comune. Conoscevo molto bene Padre Tomas per aver vissuto con lui nel convento di Bologna dal 1973, data del suo arrivo, fino al 1982, allorchè fui trasferito a Roma.

Questo incarico di Vicepostulatore, che ho portato avanti fino al 2012, mi ha dato la possibilità di far conoscere e divulgare la teologia e la spiritualità e la santità di Padre Tyn, che fu apprezzato docente di teologia nel nostro Studio domenicano bolognese. 

Tale lavoro mi ha consentito pertanto di produrre il doppio frutto di far conoscere ad un tempo S.Tommaso e in PadreTyn un Santo teologo domenicano, che ne ha diffuso e commentato il pensiero nelle sue lezioni di scuola, nella sua predicazione, nel suo ministero sacerdotale e nelle sue pubblicazioni. Attualmente, per incarico dei Superiori, continuo ad occuparmi della figura e dell’opera del Servo di Dio, raccogliendo materiale, rispondendo a richieste di devoti, pubblicando studi o articoli su di lui in questo blog. 

Grazia ricevuta non senza l’intervento di S.Tommaso la considero l’incarico del ministero di Esorcista, che ricevetti nel 2010 dalla Curia di Bologna, incarico che poi lasciai nel 2012, essendo stato trasferito al convento di Fontanellato presso Parma. 
Cito anche qui S.Tommaso, perché ormai da molti anni mi ero acquistato una certa fama di demonologo sia con la mia predicazione e sia con la pubblicazione, fin dal  1985, del libro La buona battaglia, per le Edizioni Studio Domenicano di Bologna, libro che ha avuto tre edizioni. Naturalmente in esso mi rifacevo all’angelologia ed alla demonologia tomiste, per le quali, come è noto, S.Tommaso è chiamato Dottore Angelico.

Considerazioni conclusive

Il grande problema dei miei 16 anni, come ormai sa il lettore, fu questo: se il pensiero non è adeguazione al reale, che soddisfazione ci può dare il pensiero? E come possiamo essere indifferenti a che il reale esista o non esista? Eppure il cartesiano è soddisfatto proprio di questo. A lui il reale non interessa; gli interessa il proprio pensiero e l’affermazione di se stesso, perchè l’adeguazione al reale porta alla scoperta dell’esistenza di Dio e questo gli secca moltissimo,   perché conduce a scoprire Dio e al sapere che dipendiamo da Lui e che pertanto il nostro bene sta nel fare la sua volontà. Invece il cartesiano vuol fare la sua volontà.

Il fatto è che, a seguito del peccato originale, c’è in noi l’idea suggerita dal demonio che il nostro bene non sta nel fare la volontà di Dio, ma la nostra. Allora, per poterci giustificare nella nostra ribellione a Dio e nella nostra volontà di assolutizzare la nostra volontà, elaboriamo come Cartesio una gnoseologia per la quale il pensiero non ha per oggetto il reale, ma se stesso. Riduciamo il reale al nostro pensiero, in modo da bloccare al pensiero la via verso Dio. Se continuiamo a parlare di Dio, quel «Dio» siamo noi stessi.

La crisi che mi venne a 16 anni fu provocata dal fatto che per la prima volta in vita mia, al liceo, mi imbattevo in idee che rifiutavano l’adeguazione del pensiero al reale o perché ne dubitavano, come Cartesio o perché, come il mio insegnante di lettere, il prof.Franco Mollia, parlavano bensì di «vero storico», ma non ammettevano verità universali ed immutabili: non esistono verità definitive; ciò che è vero oggi diventerà falso domani e ciò che era falso ieri è vero oggi. Era lo storicismo di Benedetto Croce derivato dallo storicismo di Gian Battista Vico: «è vero solo quello che facciamo noi» (verum ipsum factum). 

Per costoro non esiste una verità assoluta, astratta, immutabile, oggettiva, inconfutabile, valida per tutti, ma ogni tempo, ogni cultura, ogni uomo ha la sua particolare  verità, perché la verità è libero prodotto di ciascuno di noi, come meglio gli piace. Queste idee mi turbavano moltissimo, mentre vedevo che i miei compagni di scuola non avevano problemi ad accettarle. Io invece percepivo benissimo che il mio pensiero non poteva fondarsi su se stesso e per conseguenza non lo poteva il mio volere. Avvertivo la mia insufficienza ontologica, per cui la proposta che mi veniva fatta, mentre piaceva ad altri, a me faceva orrore,  ne avvertivo l’infondatezza e l’illusorietà. 

Mi pareva di precipitare in un baratro, quello che Kant chiama il «baratro della ragione». Don Giovanni, al quale mi ero rivolto disperato, mi confortò con molta pazienza e carità e mi ribadì e mi rifondò in modo decisivamente persuasivo le certezze della mia fanciullezza: la certezza  metafisica – la certezza dell’esistenza del reale -, gnoseologica – la verità come adeguazione al reale – e la certezza religiosa e di fede: il mio rapporto con Cristo e con la Chiesa -. 

Fu per me un’enorme consolazione, per la quale dalle tenebre venni alla luce, una luce, che da allora non mi ha più abbandonato. Certo, il problema speculativo era risolto per sempre, ma restava vivo il problema morale, ossia la mia necessità quotidiana di portare avanti il mio cammino di conversione e di purificazione dai miei peccati, nello sforzo continuo di mettere in pratica le verità certissimamente acquisite. 

Ciò da cui devo guardarmi adesso è l’eccesso di certezza, ossia la troppa fretta, causata dalla presunzione, che a volte ho, di esprimere giudizi negativi, senza un previo sufficiente e attento vaglio della tesi  dell’avversario. Mi fido troppo della mia esperienza e devo invece ricordare che anch’io sono come tutti, compreso il Papa, un povero fallibile peccatore. 

La tentazione di fare la mia volontà e non quella di Dio è certamente rimasta. Ma almeno conosco il mio dovere. Guardandomi attorno, invece, nell’attuale caotica situazione ecclesiale, dove capitano guai e mali di ogni genere, mi  sento come un fortunato naufrago in mare, scampato ad un naufragio, e mi vengono spontanee in mente le parole del Salmo: 

«la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno; la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra; ma nulla ti potrà colpire, poichè tuo rifugio è il Signore ed hai fatto dell’Altissimo la tua dimora. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai  leoni e draghi»  (Sal 91, 5-9.13). 

È esattamente la mia esperienza da quando mi sono messo alla scuola di S.Tommaso, soprattutto nell’Ordine Domenicano. Certamente non dimentico l’avvertimento di S.Paolo: «Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore» (Fil ,12). Mi ripugna il misericordismo buonista rahneriano o vonbalthasariano, che assicura che tutti si salvano e so benissimo che è falso, è una droga che addormenta le coscienze. 

Cerco, invece, sull’esempio dei Santi, di unire timore e confidenza, perché il solo timore conduce alla disperazione, come mi stava capitando a 16 anni; ma la sola confidenza, come in Cartesio e Lutero, non è il rimedio alla disperazione, ma è un peccato opposto: è segno di superbia e presunzione e provoca proprio quell’ira divina, che si crede di evitare, per essere oggetto di sola misericordia.

Guardando alla mia storia, vedo dunque con soddisfazione che ho costruito sulla roccia, un solido edificio. Ho accumulato molti beni, traendoli da un medesimo cespite sicuro, da una medesima sorgente inesauribile e sana. Ho trafficato i miei talenti. Una volta poste le basi, sono partito ed ho potuto proseguire e progredire sempre nella stessa direzione, sulla stessa linea. Non ho mai dovuto cambiar strada, disfare e ricominciare su nuove basi. Ho previsto la meta sin dall’inizio e ormai le sono vicino. Non mi sono sbagliato, non mi sono ingannato. Avendo ricevuto un’eredità secolare, ciò che trasmetto durerà nei secoli.

Per la verità Tommaso è giunto a confermarmi su di un cammino che avevo già intrapreso sin da bambino, sin da quando, con quel santo parroco carmelitano, che era Padre Torello Scali, studiavo il catechismo in parrocchia o, come lo si chiamava, la «dottrina», un libriccino azzurro striminzito e mal stampato – siamo nel 1948 - , ma pieno di saggezza: «Chi è Dio? Dio è l’Essere perfettissimo creatore del cielo della terra. Perché Dio ci ha creati? Per conoscerlo, amarlo e servirlo su questa terra e goderlo un paradiso». È la più pura metafisica. E un fanciullo la può capire benissimo. Sono le stesse basi sulle quali ho costruito tutto. Qui Tommaso è già implicito. 

Egli mi venne esplicitamente in soccorso, quando al liceo mi imbattei in quell’impostura che è il cogito di Cartesio[16] e nello storicismo del mio insegnante di lettere Franco Mollia, che diceva: «Non c’è la verità. C’è solo il vero». Il dubbio sull’esistenza della verità è stata la prova più grande della mia vita. Da quella prova mi ha tratto S.Tommaso per mezzo di Don Buzzoni. Da allora il mio spirito si è talmente corazzato contro lo spirito della menzogna, che mi rende capace di superare, con l’aiuto della grazia e l’intercessione dell’Aquinate, ogni prova, di sopportare ogni sofferenza, di confutare ogni errore, di respingere tutte le aggressioni, le tentazioni e le insidie del mondo e del demonio volgendo a mio vantaggio, ciò che il maligno tenta per rovinarmi.

 La gioia di questi ultimi anni, che il Signore mi concede, è quella di poter distribuire ai giovani e condividere con confratelli, amici e studiosi, sull’esempio del Santo Padre Domenico, del quale cantiamo aquam sapientiae propinasti gratis, tutte quelle dottrine e nozioni sapienziali, che, come discepolo del Dottore Comune, ho accumulato nel corso di questi sessant’anni, da quando, nell’ormai lontano 1959, iniziai la lettura prima del tomista Maritain, e poi, dal 1960, di Tommaso stesso direttamente.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 24 giugno 2020


[1] Questi ricordi prescindono totalmente da un altro aspetto della mia personalità, oggi estinto: l’attitudine al disegno, che nacque in me appena all’età di sei anni e in modo prodigioso, nel senso che già a quell’età sapevo fare dei disegni, che normalmente è capace di fare solo un adulto dotato. Ma poi è successo che all’età di 15-16 anni sono caduto in una crisi d’identità, dalla quale sono uscito, come racconto qui, nel 1959, per l’intervento di Don Giovanni Buzzoni, mio insegnante di religione al liceo. In quel periodo Dio fece nascere in me una vocazione filosofica, che poi mi avrebbe condotto a farmi Domenicano. Nel contempo quella vena di disegnatore si è gradualmente ed inesorabilmente estinta. Ne accenno in un’intervista fattami da Francesca Pannuti: Un teologo Domenicano oggi, Edizioni IF Press. Morolo (FR), 2012.
[2] Cartesio tenta bensì di recuperare il realismo sulla base del cogito, ma l’operazione non riesce, perché egli, invece di basarsi sulla veracità del senso, fa appello alla veracità divina, cosa del tutto fuori luogo, perchè la veracità divina serve a garantire la verità di fede, non quella della ragione. Chi parte dal cogito, osserva acutamente il Gilson, rimane chiuso dentro e non può uscirne per raggiungere il reale.
Il riflettere sul proprio pensare è atto utilissimo, ma non per fondare il sapere, bensì per le scienze morali e per quelle dell’ens rationis (logica e matematica). Per sapere che cosa succede fuori casa, bisogna uscire di casa. Stando chiusi in casa, non possiamo immaginare ciò che accade fuori. Tutt’al più possiamo riflettere su ciò che abbiamo imparato fuori casa.
Dall’autocoscienza o dal cogito si può tornare al sapere già acquisito nella realtà esterna, ma non si può partire per raggiungere il reale esterno. Questo è contattato inizialmente, immediatamente e direttamente dal vero punto di partenza del sapere, che è la conoscenza sensibile. Dopodichè l’intelletto può prender coscienza del sapere acquisito. Ma un pensiero che pretende di partire da se stesso riflessivamente, senza quella previa conoscenza sensibile, è un pensiero che gira su se stesso senza contenuti, prigioniero di un irresolubile egocentrismo.
[3] Ricordo un film francese di allora, Les tricheurs, che, nello stato di smarrimento nel quale mi trovavo, mi turbò profondamente, perché mi pareva che convalidasse tale smarrimento con la descrizione di una  vita giovanile senza senso, senza scopi e senza princìpi.
[4] Cf Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.
[5] Cf di Maritain, Sept leçons sur l’être et les premiers principes de la raison spéculative, Téqui, Paris 1933.
[6] L’ho ampiamente dimostrato nel mio libro Cristo fondamento del mondo,Edizioni Isola di Patmos, Roma 2019.
[7] Cf di Raissa Maritain, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1956.
[8] IL CRITERIO DELLA VERITA’ SECONDO SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 2, 1984, pp.188-205
LA CRISTOLOGIA DI SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 1, 1987,pp.65-80; LA CRISTOLOGIA DI SCHILLEBEECKX, corso di licenza in teologia presso lo STAB,Bologna 1998; LA NEGAZIONE DELL’INFERNO NELLA TEOLOGIA DI K.RAHNER E DI E.SCHILLEBEECKX, in Inferno e dintorni. E’ possibile un’eterna dannazione?,  Atti del Convegno Teologico Internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata, a cura di P.Serafino M.Lanzetta, FI, Edizioni Cantagalli, Siena, 2010,pp.223-251; Voce EDWARD SCHILLEBEECKX, nel DIZIONARIO ELEMENTARE DEL PENSIERO PERICOLOSO, Istituto di Apologetica, Milano 2016.
[9] Giovanni Cavalcoli, EDWARD SCHILLEBEECKX. UN CONFRATELLO ACCUSA, Edizioni Chorabooks di Aurelio Porfiri, Hong Kong, 2016.
[10] Cf la mia critica al suo pensiero Lo gnosticismo moderno, riprendendo un libro di Mons.Livi, in Fides Catholica,  2, 2012, pp.109-140. Questo articolo precorre la condanna dello gnosticismo fatta da Papa Francesco, che sarebbe sarebbe arrivata di lì a pochi anni nella esortazione apostolica Gaudete et exultate del 2018.
[11] Cf il mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia, PIEMME, 2000.
[12] PENSARE IL PENSIERO. CONSIDERAZIONI SULLA DIGNITA’, LE FUNZIONI E I LIMITI DEL PENSIERO, I, Divinitas, 3,2000,  pp. 279-300.
PENSARE IL PENSIERO. CONSIDERAZIONI SULLA DIGNITA’, LE FUNZIONI E I LIMITI DEL PENSIERO, II, Divinitas, 1, 2001, pp.43-72.
[13] SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, pp.227-234.
[14] LA DONNA IN S.TOMMASO D’AQUINO, in Problemi di storia e vita sociale, a cura della PUST, Ed.Massimo, Milano, 1982 pp.131-139; LA CONDIZIONE DELLA SESSUALITA’ UMANA NELLA RESURREZIONE SECONDO S.TOMMASO, Sacra Doctrina, 92, 1980, pp.21-146; LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO S.TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.
[15] Edizioni Vivere In, Monopoli (BA), 2008.
[16] Da notare che Cartesio fu messo all’Indice nel 1663. Ma chi ci ha fatto caso?

6 commenti:

  1. Grazie Padre, ho scoperto troppo tardi S.Tommaso...nella vecchiaia leggere o meglio studiare ( ancora troppo poco) la Summa è stato per scoprire un mondo meraviglioso, non so esprimermi adeguatamente comunque per me S.Tommaso, come dice qualcuno per me è ll’amico di tutte le ore, e ho capito innanzitutto che l’essenza della misericordia divina consiste nell’essere che mi ha donato, e sapere che dipendo dall’Essere e anche in questo momento Dio mi dona l’essere...chiedo scusa per la mia ignoranza...

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    1. Cara Rosa, sono molto contento che lei sia giunta a conoscere e ad apprezzare San Tommaso. Certamente non è un pensatore sempre facile. Tuttavia per l'utilità, che offre alla nostra vita spirituale, vale la pena di faticare per capirlo. San Tommaso ci ripaga con grandi frutti per la nostra anima e ci stimola alla santità.

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  2. Grazie confermo tutto soprattutto da quando per grazia è nata in me l'attrazione per la "verità" che mi ha spinto a leggere la Parola e tutti gli autori che studiano spiegano la Parola... questo insaziabile bisogno di Verità senza la quale perde di consistenza tutto. Teresa Bonfante

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    1. Cara Teresa, i miei migliori complimenti. Stai camminando per un'ottima strada, continua così. A questo riguardo ti consiglio di imitare Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).

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  3. Grazie confermo tutto soprattutto da quando per grazia è nata in me l'attrazione per la "verità" che mi ha spinto a leggere la Parola e tutti gli autori che studiano spiegano la Parola... questo insaziabile bisogno di Verità senza la quale perde di consistenza tutto. Teresa Bonfante

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