Iustum deduxit Dominus per vias
rectas
Sap 1,10
Misericordias Domini in aeternum cantabo
Sal 88,2
Fecit mihi magna qui potens est
Lc 1,49
La
prova decisiva della mia vita
Il parlare
di sé, come tale, non è esibizionismo o narcisismo, purchè non parliamo tanto
di quello che abbiamo fatto noi, quanto piuttosto di ciò che Dio ha fatto in
noi e servendosi di noi, nonostante i nostri peccati e le nostre disobbedienze
a Lui. È questo lo spirito che voglio assumere e il metodo che voglio seguire
accingendomi a ricordare alcuni fatti importanti della mia vita. Se un
poveraccio ha ricevuto una grossa eredità da un ricco signore, da distribuire
ai poveri, che farà? Non dovrà proclamarlo con gioia a tutti sui tetti?
Ormai al termine della mia vita, guardando al
mio passato di cattolico, mi accorgo con gratitudine a Dio, d’aver percorso sin
dalla fanciullezza le vie del Signore in un continuo avanzamento fino ad oggi.
Un impulso decisivo lo ricevetti a 16 anni nel 1958 dall’incontro con un santo
sacerdote, Don Giovanni Buzzoni, mio insegnante
di religione al liceo classico e poi mio confessore. Pativo una profonda crisi
di certezza, essendo stato avvelenato dallo scetticismo soggettivista
cartesiano, dall’esistenzialismo ateo e dallo storicismo crociano.
Soprattutto l’incontro con Cartesio al liceo
provocò in me un angoscioso dubbio circa la veridicità
dell’esperienza sensibile, e quindi l’esistenza e la verità della stessa
realtà esterna così come si presentava al mio intelletto, un dubbio atroce, che
in precedenza non mi era mai venuto in mente: le nostre percezioni sensibili corrispondono
a cose esterne fuori di noi?
Come esserne certi? Cartesio provoca artificialmente il dubbio, ma in
realtà non lo risolve affatto col suo famoso cogito, il quale è piuttosto un’innaturale e forzata contorsione del
pensiero su se stesso[2].
In fondo la gnoseologia e la metafisica cartesiana non sono che una ripresa e
dell’antica sofistica greca: l’essere è
ciò che appare a me e ciò mi fa comodo, perché così faccio quel che mi
pare, senza dover render conto a nessuno.
Inoltre, in collegamento con Cartesio, che
non raggiungeva la realtà sensibile, rimasi turbato dall’esistenzialismo ateo
sartriano, allora di moda[3],
che, aggiungendosi al dubbio cartesiano, mi portava a credere che l’esistere
non aggiungesse nulla al non-esistere.
Un’altra esperienza che mi fece molto male,
aggravando la mia crisi esistenziale, fu l’incontro, sempre al liceo, con
Giacomo Leopardi. Già avevo difficoltà di comunicazione interpersonale a causa
del dubbio che avevo circa l’esistenza oggettiva della realtà esterna, per cui
anche le persone non mi sembravano enti reali, ma mie immaginazioni.
Ciò mi portava a chiudermi amaramente nel mio
io senza la fiducia di poter contattare una realtà esterna, della quale
dubitavo. Anche la certezza suggerita da Cartesio dell’esistenza del mio io
pensante non mi bastava, giacchè posso sì aver coscienza di pensare; ma pensare
che cosa? Le mie idee? Ma non so se corrispondono alle cose. Pensare le cose?
Ma non sono certo che esistano. E quindi siamo daccapo. E il mio corpo? Lo attingo
con i sensi. Ma i sensi ingannano. E allora?
Incontrandomi con Leopardi in qualche modo mi
ritrovavo in lui, in quel suo sentirsi solo, penso al «passero solitario»,
solitudine amara, che non riusciva a spiegarsi e non riusciva a superare. Ma
purtroppo Leopardi era deforme e il suo aspetto fisico non attirava l’interesse
degli altri. Io, grazie a Dio, non avevo questo problema, ma il mio era quel
problema psicologico al quale ho accennato.
C’è inoltre il fatto che Leopardi, forse per
una cattiva educazione ricevuta, era un aristocratico
schifiltoso. Gli ripugnava il contatto col popolo e la gente semplice del suo
paese, Recanati, che spregiativamente chiamava «natìo borgo selvaggio». Era
vittima dello stesso sentimento sprezzante di Orazio: odi profanum vugus et arceo.
Neppur questo era il mio problema. Sempre per
quella mia crisi di scetticismo tendente al nichilismo, ero invece rimasto infettato
dalla totale assenza in Leopardi dell’interesse per gli altri, che non fosse l’ambizione di aver fama di poeta tra i dotti.
Io non nutrivo nessuna sete di gloria umana, ma quello che mi rodeva l’anima
era sempre questo dubbio sull’esistenza
degli altri. Era il nichilismo.
Severino ha scritto un saggio interessante sul nichilismo di Leopardi mettendo
in luce che per lui tutto viene dal nulla e tutto va al nulla. Mi chiedo come
si fa a vivere con una visuale del genere.
Eppure, anche questa squallida visione dell’esistenza
è effetto di quella medesima superbia che è all’origine dell’idealismo
cartesiano. Questo lo capii successivamente accostandomi al realismo tomista.
Infatti, sia in Cartesio che in Leopardi c’è la negazione dell’essere o del
reale, sostituita dall’io: in Cartesio, il cogito,
che, come osserva giustamente il Fabro, è un volo; in Leopardi, l’aggancio al reale è sostituito dallo
spasmodico desiderio o sogno romantico di acquistar fama presso i dotti.
A me però non stava a cuore né la mia
volontà, né la gloria umana, ma solo il bisogno di sapere se il reale esiste o
non esiste e, appurato che esiste, se lo si può conoscere o no. Per Kant esiste
(la «cosa in sè»), ma non si può conoscere. Tommaso
invece mi ha fatto riscoprire e l’essere e il conoscere. Ma ciò a molti non
interessa. Quello che a molti interessa è affermare se stessi. Per questo il
maggior successo di Cartesio rispetto a S.Tommaso.
Difatti l’autofondazione cartesiana del
proprio io conduce oggi molti a fare i gradassi e a gonfiare talmente il
proprio io fino ad una scelta atea o panteista. Io non ho mai sentito questa tentazione,
perché ho sempre avvertito di non essere fondato su me stesso, ma di avere
quindi bisogno di un Fondamento esterno a me, basato sulla realtà. Adesso
invece l’eventualità prospettata da Cartesio che questa realtà esterna non
esistesse non mi arrideva affatto, ma mi angosciava, perchè capivo che
conduceva alla negazione dell’esistenza di Dio come fondamento della realtà e
di me stesso. La tentazione disperante era quindi quella del nichilismo.
Come ne sono
venuto fuori
Hanno scavato davanti a me una
fossa
e
vi sono caduti
Sal 57,7
Il mio
problema non era, come si diceva allora, quello del «senso della vita», quello
di come comportarmi, ma era più radicale: era il problema del senso dell’esistenza. Non mi bastava uno
psicologo o un moralista o un buon pastore o un buon confessore: mi occorreva
un metafisico. La metafisica non era
per me l’interesse accademico per un sapere astratto: no, era per me questione di vita o di morte. Per questo
nel mio trentennale insegnamento della metafisica nello Studio bolognese mi sono
sempre ritrovato con gli studenti così persuasivo, perché alla conoscenza
scientifica si aggiungeva l’esperienza personale.
E fu così che S.Tommaso mi fece incontrare la
persona adatta in Don Giovanni, il quale appunto mi guarì nel 1958 con la
metafisica e la gnoseologia di S.Tommaso: mi dette la certezza che le cose che
vedo fuori di me esistono e le posso conoscere, esistono quindi il principio
d’identità o di determinazione, il principio di causalità e il principio di
finalità, i princìpi primi della ragione speculativa, sui quali si costruisce
tutto il nostro sapere. Quindi Dio esiste.
L’aver ritrovato Dio era la mia consolazione,
anche se so benissimo che il mio io di peccatore, lisciato da Cartesio, vorrebbe
che il reale esterno e quindi Dio non esistessero per regolarsi da solo senza
di Lui. L’umile, invece, cioè il realista, sente il bisogno di Dio, si rallegra
della sua esistenza, perché trova in Lui il suo creatore, la sua guida morale,
l’aiuto nelle difficoltà, il consigliere nei dubbi, il consolatore nelle
afflizioni, il sostegno nelle prove, il padre amoroso che lo corregge nei
difetti, il suo sommo bene e il fine ultimo della sua vita.
Al contrario, al superbo e all’uomo carnale
l’esistenza di Dio, al quale dover render conto del proprio operato, dà
fastidio e per evitare che la ragione arrivi a scoprirla, applicando i suoi princìpi,
la restringe e le blocca il cammino nell’orizzonte delle idee e dei fenomeni, ed
inventa una gnoseologia ad usum delphini,
che invalidi l’esistenza oggettiva dell’essere e del reale, alla maniera idealista,
preferendo la gnoseologia allucinatoria e la metafisica visionaria di Cartesio.
Don Giovanni, presentandomi attraverso Maritain
la gnoseologia[4] e la metafisica
di S.Tommaso[5] mi fece ritrovare ad un tempo l’essere ovvero il
reale, nonchè la possibilità di conoscere la verità del reale e di conoscere
Dio. Era la scoperta del famoso realismo
gnoseologico tomista, saldamente radicato nella ragione e inculcato dalla stessa
Sacra Scrittura[6].
E per ottenere questo scopo, Don Giovanni usò
un metodo semplice ma profondo. Ricordo che mi domandò se potevo fare a meno di
determinarmi con evidenza e certezza sensibile. Ricordo che mi trovavo a sedere
in un certo modo su di una data sedia e non potevo non riconoscere come evidente
che stavo a sedere in quel dato modo in quella data sedia.
Era risolto il problema della conoscenza e
del reale esterno. Certo, quello non era altro che un primo, umile inizio
empirico di buon senso. Ma lo spettro dell’idealismo svanì e tornava la luce
del realismo, quel realismo col quale da bambino avevo iniziato il cammino
della verità. Cartesio era vinto! Sartre era vinto! Croce era vinto! Leopardi
era vinto! In seguito iniziai famelicamente a studiare attraverso Maritain la
gnoseologia e la metafisica di S.Tommaso. Ma la resurrezione era irrevocabilmente iniziata.
La partenza
per un cammino sicuro
Da quel momento, partii sul sentiero della
verità, senza che nessuno sia mai riuscito a smuovermi. Anzi cominciai io
stesso a diffondere la verità. Fu quello il primo
germe di vocazione domenicana che sarebbe maturato continuamente nella lettura
delle opere di Maritain, prima, a partire dal 1959 e poi, a partire dal 1960, nella
lettura delle opere di S.Tommaso.
Fu così che nel 1958, per grazia di S.Tommaso
mediatami da quel santo sacerdote che fu Don Giovanni, il mio «Elia», la grazia del carisma domenicano, senza che
me ne rendessi conto, avendo trovato in me, suo «Eliseo», un buon terreno,
dissodato dallo stesso Don Giovanni, si radicò e prese in me radici saldissime
ed inestirpabili, che nel corso di più di sessant’anni, da quel lontano 1958, nulla e nessuno, né creatura umana, né
il demonio, né tentazioni, né prove subìte, né sofferenze, né minacce, né
seduzioni della carne o del mondo, hanno potuto mai infirmare o togliere, così
come non si toglie da un vivente ciò che lo fa vivere, senza con ciò stesso farlo
morire.
Questo è il senso delle parole che pronunciai
quando nel 1975 feci la mia professione solenne nell’Ordine: usque ad mortem. Certo, io potrei, in
linea di principio, essere giuridicamente cacciato dall’Ordine, ma allora mi
chiederei se non fosse piuttosto chi mi caccia ad essere indegno di appartenere
all’Ordine domenicano.
È successo così che quando entrai nell’Ordine
nel 1971, ero già domenicano nello spirito da dieci anni, anche se ovviamente
riconosco che per essere una frate domenicano occorre appartenere all’Ordine giuridicamente, per cui sarò sempre
grato ai miei Superiori e formatori per avermi accolto ed aver avuto
misericordia di me. Sì, perché, se non lo sapete, quando un postulante chiede a
una comunità domenicana di essere ammesso nell’Ordine, a sua volta il Superiore
gli chiede: che cosa domandi? E il postulante risponde: la misericordia di Dio
e la vostra.
Don Giovanni mi fece mettere al sicuro due
nozioni razionali fondamentali, che poi sono state alla base incrollabile del mio successivo pensiero: la nozione della metafisica e la nozione della conoscenza. La metafisica, intesa come
conoscenza dell’ente reale, che parte dall’esperienza delle cose, ente che
analogicamente si predica del mondo e di Dio.
Sicchè
la metafisica culmina nella teologia naturale, ossia nella dimostrazione
razionale dell’esistenza di Dio partendo dall’esperienza delle cose ed
applicando il principio di causalità. La conoscenza razionale di Dio come causa
prima creatrice del mondo, diventa poi la base della religione naturale e
dell’etica naturale.
La nozione della conoscenza dice adeguazione
dell’intelletto o del pensiero al reale e non, come sostiene Cartesio, al
proprio io. È questa la verità del conoscere, per cui l’errore è la mancata
adeguazione al reale. È, questo, quello che si chiama «realismo gnoseologico»
od «oggettività della conoscenza», opposti all’idealismo, che vorrebbe far
coincidere l’essere col pensare, in modo tale che l’essere diventa l’essere
pensato. L’esistenza non svanisce nel nulla, non è una nostra semplice idea, ma
cela nella sua profondità l’assoluto, l’eterno, il necessario, il bene
infinito, nasconde Dio.
Il vero, allora, dipende dal mio adeguarmi
all’essere oggettivo, che mi sta davanti (ob-jectum),
e non dalla mia idea. Essa non è tutto ciò che posso conoscere. Invece per
mezzo dell’idea e nell’idea raggiungo e conosco così com’è un reale o un essere
esterno al mio pensiero o alla mia idea, quel reale o essere, che Tommaso
chiama res extra animam.
I benefìci
che ci concede S.Tommaso
La grandezza unica di S.Tommaso sta nella
stupenda unione che egli realizza fra dottrina e carità, fra sapienza e
santità, fra l’istruire il prossimo e l’imparare da Dio. Egli ha una concezione
medicinale o terapeutica della dottrina. Quando tratta di eresie, non si scalda
e non si sdegna, come fanno certi
predicatori nei quali l’ira prevale sulla lucidità mentale, mettendo quindi in
pericolo la carità, perché la carità nasce solo dalla verità, ma Tommaso assume
la serietà e la calma del medico, che diagnostica il morbo e prescrive la
cura.
Il discepolo di S.Tommaso riceve in eredità
un patrimonio intellettuale incorruttibile, che può arricchire e trasmettere
alle successive generazioni nei secoli, com’è dimostrato dalla secolare scuola
tomista.
Chi segue la dottrina dell’Aquinate, che la
Chiesa ha sempre raccomandato e dalla quale la Chiesa ha addirittura ricavato
alcuni dogmi, è sicuro di seguire la sana dottrina cattolica.
Il discepolo dell’Aquinate acquisisce un
criterio di discernimento sicuro per riconoscere e distinguere nelle dottrine
la verità dall’errore, fondare la verità e confutare l’errore anche nei casi
più difficili. Non si lascia ingannare o sedurre neanche dalle eresie più
raffinate ed astute.
Il discepolo dell’Aquinate possiede il senso dell’universalità della
verità, per cui è aperto al vero da qualunque parte venga o lo scova anche
laddove altri vedono solo errore.
Il discepolo di S.Tommaso, conscio della
distinzione fra l’ordine naturale della ragione e delle virtù umane da una
parte, e dall’altra l’ordine soprannaturale della fede e delle virtù cristiane,
è qualificato come nessun altro a praticare un dialogo costruttivo con
qualunque uomo ragionevole sulla base comune della ragione, caratterizzante
l’uomo come tale e quindi posseduta da ogni uomo, a qualunque religione o
cultura appartenga.
Il discepolo di S.Tommaso vede con chiarezza la
mozione della grazia nei confronti del libero arbitrio: come la volontà divina
muove l’atto umano libero al compimento del bene soprannaturale, per cui Dio non
solo lascia libera la volontà umana, ma causa e crea l’atto stesso del volere,
volere, che però, se è peccaminoso, in quanto peccaminoso, è tutto e solo colpa
del peccatore, sicchè il giusto è causa seconda delle sue virtù, mentre il
peccatore è causa prima del peccato che compie.
Nel contempo il tomista, sapendo che il retto
uso della ragione conduce alla fede, è il missionario e l’evangelizzatore più
qualificato per diffondere il Vangelo presso tutti i popoli, come è ampiamente
dimostrato dalla storia delle missioni domenicane da otto secoli ad oggi.
Il discepolo di S.Tommaso non vede fratture,
nella storia del magistero della Chiesa, fra conservazione e sviluppo, fra
tradizione e progresso, fra fedeltà e rinnovamento, ma vede nella storia del
magistero della Chiesa un continuo approfondimento e chiarimento, una continua
esplicitazione della conoscenza della Parola di Dio eodem sensu eademque sententia, come diceva S.Vincenzo di Lerino,
così che essa viene conosciuta sempre
meglio, senza, aggiunte, senza detrazioni e senza mutamenti di significato.
Il discepolo di S.Tommaso, nel momento in cui
ha in lui una guida alla sapienza, ha anche, nei suoi scritti e nei suoi esempi
di vita, una guida alla santità e alla perfezione della vita cristiana, anche
se ovviamente gli esempi di vita sono adatti soprattutto per gli intellettuali
e gli studiosi.
Tommaso è anche un grande maestro di diritto,
di morale, di ascetica e addirittura di mistica, con i suoi trattati sui doni dello
Spirito Santo e sulla vita spirituale. Per il suo senso profondo del
cattolicesimo è osservantissimo, anche come Religioso, della disciplina
ecclesiale e pertanto è grande maestro di comunione ecclesiale col Sommo Pontefice.
I massimi segni di consenso, di approvazione
e di solidarietà dottrinale li ho ricevuti da discepoli di S.Tommaso. I miei
migliori amici e maestri in campo teologico sono tomisti. I miei ammiratori e
discepoli, laici, religiosi o sacerdoti, uomini e donne, giovani e anziani,
dotti e indotti, sono persone disposte ad accogliere la dottrina di S.Tommaso.
Invece
le più gravi incomprensioni, ostilità od opposizioni ideologiche le ho ricevute
da nemici o falsi amici di S.Tommaso, dall’interno stesso dell’Ordine, per
quanto ciò possa apparire sorprendente - «venne tra i suoi e i suoi non lo
hanno accolto» (Gv 1,11) - , come i modernisti e i rahneriani, a parte i
non-cattolici.
Eppure, se ho resistito, ho saputo difendermi,
far valere le mie ragioni, riconoscere i miei torti, correggermi, sopportare con
pazienza ed offrire per i miei peccati, lo devo proprio agli insegnamenti, agli
esempi, che mi vengono da questo Ordine benedetto, che mi ha accolto ed in primis
lo devo all’intercessione dei Santi e di S.Tommaso, nonché ai confratelli e
consorelle, che mi sono stati vicini, hanno pregato ed offerto per me, mi hanno
compreso, consolato ed aiutato.
Le grazie ricevute
Il superamento della crisi di scetticismo e
di identità grazie all’aiuto di Don Buzzoni ispirato a princìpi teoretici ed
educativi tomistici, produsse in me una rinnovata e più cosciente certezza della
verità, fame di conoscenza e un grande desiderio di comunicarla al prossimo.
Erano i primi germi della predicazione domenicana. Contemplata aliis tradere.
Per il
momento, nel 1963, Dio mi fece incontrare una giovane signora, madre di cinque
figli, la Mariangela Baroncelli Molducci, donna di gran fede, maestra
elementare, dotata di una spiccatissima attitudine ad occuparsi della
educazione della gioventù alle virtù umane e cristiane.
Essa aveva formato attorno a sé un giro di persone,
giovani ed adulte, che condividevano questo suo impegno caritativo a favore del
prossimo in difficoltà di vario genere, sanitario, psicologico, economico,
ambientale, lavorativo, sociale, culturale, religioso. Essa individuò in me,
che desideravo rendermi utile, un collaboratore e un riferimento intellettuale in
quel genere di solidarietà, fraternità ed amicizia, che aveva la sua
ispirazione nell’etica tomista, che
stava alla base delle «grandi amicizie»[7]
maritainiane, delle quali sia io che Mariangela eravamo al corrente come grandi
ammiratori.
Nel 1965 mi iscrissi all’Università di
Bologna nella Facoltà di Filosofia con l’intento di conoscere il pensiero
moderno e valutarlo alla luce di S.Tommaso, secondo il metodo di Maritain. Mi
laureai nel 1970 e insegnai un anno storia e filosofia al liceo classico di
Faenza. Nel frattempo, grazie al contatto con alcuni amici e le monache
carmelitane di Ravenna, avvertii il sorgere in me dell’amore alla
contemplazione, allo studio della Scrittura, all’ascetica, al silenzio, alla
solitudine, alla penitenza, alla preghiera, alla vita fraterna, nella carità e
nell’amicizia, nel soccorso e nella predicazione ai poveri, soprattutto nel
senso spirituale: i cercatori di Dio, della verità e della sapienza.
Già nel 1966 il Maritain, il più grande dei tomisti
del ‘900, mi fece capire il significato del Concilio nel libro Le paysan de la Garonne, lettura che mi
pose nel solco dell’autentica interpretazione del Concilio, quella di S.Paolo
VI, contro la strumentalizzazione modernistica già allora insorgente e contro la
reazione lefevriana.
Nel 1971 entrai nell’Ordine Domenicano nel
convento di Bologna. Non vi conoscevo nessuno. C’era comunque uno Studio
Teologico. Per la verità, mi immaginavo di incontrare discepoli di S.Tommaso
come ne avevo già conosciuti per esempio in una precedente amicizia, il tomista
maritainiano Padre Guido Casali e nelle mie letture o frequentazioni,
soprattutto il Padre Garrigou-Lagrange, il Padre Clérissac, il Sertillanges, il
Gredt, lo Journet, il Gilson, lo Spiazzi, il Padre Guido Casali o Padre Pietro
Lippini. E stavo studiando S.Tommaso e Maritain già da dieci anni.
E invece, a parte il Padre Guido e l’ottimo
Padre Provinciale Enrico Rossetti, che mi accolse nell’Ordine, e alcuni veri
maestri, come il Padre Galli e il Padre Roberto Coggi, fu forte la mia delusione
nel trovare confratelli contrari S.Tommaso.
In particolare io entrai nell’Ordine senza
saper nulla e senza che nessuno mi avesse mai parlato prima del famoso teologo
domenicano Edward Schillebeeckx, un astuto impostore, della cui pericolosità mi
resi subito conto, allorchè venni a contatto col suo pensiero, improntato ad
una forma di empirismo esistenzialista storicista ed evoluzionista, distruttore
della metafisica e dell’immutabilità del dogma.
Fu una scoperta che mi lasciò stupefatto e
scandalizzato, perché non immaginavo mai che nell’Ordine potesse tranquillamente
prosperare un simile sfrontato modernista. E la cosa che aumentò il mio
scandalo e il mio sdegno fu che esisteva nell’Ordine una corrente così
sfrontata di suoi sostenitori, che non si peritava di opporsi apertamente alla
censura della CDF dei primi anni ’80 contro di lui, come se questi fosse una povera
vittima della dittatura papale. In realtà erano così gravi le sue eresie, che
avrebbe meritato di essere scomunicato ed espulso dall’Ordine, mentre era
tenuto in palmo di mano dai suoi sostenitori.
Io notai
bensì che nell’Ordine si trovavano anche teologi tomisti, che respingevano nettamente
Schillebeeckx. Allora mi feci coraggio e cominciai a combatterlo. Il mio primo articolo è del 1984[8].
Grazie a Dio, nessuno, né da dentro né da fuori dell’Ordine ha avuto l’imprudenza
di ostacolarmi o di fermarmi in questa opera di purificazione del pensiero
teologico alla luce dell’Aquinate, sicchè ho potuto combattere Schillebeeckx da
allora fino ad oggi con molte pubblicazioni ed addirittura corsi scolastici,
fino a una mia pubblicazione di quattro anni fa, per leE dizioni web Chorabooks di Hong Kong, dirette dal
Maestro Aurelio Porfiri[9].
Altra nuova amara sorpresa è stata quella dell’ingresso
nell’Ordine a Bologna, a partire dal 1997, addirittura sotto veste tomista
(incredibile a dirsi!) dell’idealismo panteista severiniano, ad opera del Padre Giuseppe Barzaghi[10].
In sette secoli di storia della teologia domenicana[11]
non era mai successo – salvo forse il caso Eckahrt – che l’Ordine fosse infetto
da questo morbo dello spirito, frutto della superbia e dell’empietà. Ho
confutato il pensiero di Barzaghi[12]
mostrando da una parte la falsità dell’idealismo e dall’altra l’assurdità del
tentativo di far passare Tommaso per un panteista.
In particolare i tomisti dell’800 e della prima
metà del ’900 avevano combattuto con valore
contro l’idealismo e il panteismo,
più volte condannato dalla Chiesa. Ci mancava anche questa disgrazia, per aggravare
al colmo le difficoltà e le sofferenze attuali della teologia domenicana. Anche
su questa grave questione nessuno, né nell’Ordine, nè da fuori dell’Ordine, si
è opposto con argomenti alle mie critiche a Barzaghi.
In ogni caso, devo riconoscere che poi in fin
dei conti è stata la mia appartenenza all’Ordine che mi ha concesso di venire a
conoscenza e di studiare anche altri teologi tomisti, antichi e moderni. Tra
gli antichi, il Goudin, Melchior Cano, il Card.Gaetano e Giovanni di S.Tommaso
e, tra i moderni, il Dummermuth, il Lepidi, lo Schwalm, lo Zigliara, il De
Groot, lo Schultes, il Del Prado, il Ramirez, il De Tonquédec, il Mattiussi, il
Gardeil, il Merkelbach, il Giacon, il Degl’Innocenti, il Toccafondi, lo Zacchi,
il Cordovani, l’Olgiati, la Vanni Rovighi, lo Joret, il Meynard, lo Chenu, il
Congar, il Ghini, il Lobato, il Royo Marίn, il Composta, il Boccanegra, l’Héris,
l’Hugon, il Bogliolo, il Card.Ciappi, il Pizzorni, il Caldera, il Livi, M.-D.Philippe,
J.-H. Nicolas, il Perini e molti altri. Importantissima è l’interpretazione
della metafisica di San Tommaso fatta dal Fabro, acuto critico dell’idealismo
di Rahner.
In questi cinquant’anni da quando sono frate
domenicano, a parte questi nomi sicuramente tomisti, ho però sempre notato
nell’Ordine riguardo alla metafisica la difficile coesistenza di due correnti
in conflitto fra loro: una piccola minoranza più attenta alla cultura ed alla
vita intellettuale, ammiratrice e, se non cultrice, quanto meno rispettosa,
della metafisica, il che è come dire devota a S.Tommaso; ed una maggioranza secolarizzata
indifferente a S.Tommaso, per non dire ostile, influenzata da un moderato
modernismo dello stile di Schilleeeckx, la quale è causa della decadenza dell’Ordine,
che si manifesta soprattutto nella chiusura
di conventi, e nella quasi nulla incidenza dell’Ordine nei grandi
dibattiti culturali, religiosi e teologici del nostro tempo.
Grande grazia che attribuisco all’intercessione di Tommaso, Dottore
Eucaristico, è stata la grazia del sacerdozio, quando fui ordinato nel 1976 da
Mons.Ersilio Tonini, allora Arcivescovo d Ravenna nel duomo di Ravenna, quel
duomo che fin da piccolo avevo frequentato tante volte insieme con la mia
carissima mamma, alla quale devo la mia prima iniziazione alla fede,
lontanissimo allora dal solo immaginare quel felice evento di trent’anni dopo, se
non altro perché, da ragazzo non desideravo assolutamente farmi sacerdote, anzi
mi ripugnava. E se mi sono fatto sacerdote
– e ne sono contento oggi più che mai
- è per obbedire all’invito fattomi formalmente
da quel sant’uomo che fu Padre Enrico Rossetti, il Priore Provinciale, che nel
1971 mi accolse nell’Ordine.
Con la grazia del sacerdozio S.Tommaso mi ha
particolarmente illuminato circa la Redenzione di Cristo, il sacrificio della
Messa e il sacramento l’Eucaristia. Oggi purtroppo, come sappiamo tutti,
circolano molte eresie in questi importantissimi campi della dogmatica: la
negazione del sacerdozio come potere di dir Messa e confessare, ma come
semplice «presidenza» della comunità, il sacerdozio delle donne, la negazione
dei castighi divini come richiamo alla penitenza e alla conversione, la
negazione del valore soddisfattorio del sacrificio di Cristo, la favola del Dio «che soffre», la tesi che
tutti si salvano, la negazione del dogma della transustanziazione eucaristica,
sostituita dalla tesi luterana del «Cristo nel pane», sicchè quando i fedeli fanno la Comunione, non
mangiano la carne di Cristo, ma mangiano del pane benedetto, la Messa non come
sacrificio, ma come banchetto.
Ora è evidente che su questi punti la dottrina
dell’Aquinate offre ottimi sussidi e criteri di valutazione e di discernimento
per distinguere il vero dal falso, l’ortodossia dall’eresia, nella piena
fedeltà alla Scrittura, alla Tradizione e al Magistero della Chiesa.
Alla dottrina del Dottore Comune della Chiesa
ovviamente mi ero ispirato, allorchè nel 1975 conseguii presso il nostro Studio
Teologico Accademico Bolognese la licenza in teologia con Padre Galli, insigne
moralista tomista, mio Maestro ed autore di molte autorevoli pubblicazioni in
materia. La tesi tratta dell’aspetto
psicologico della differenza fra uomo e donna, un tema che ho approfondito in
seguito fino ad oggi.
Sempre a S. Tommaso come a Maestro ed
intercessore mi sono ispirato e rivolto in tutte le mie pubblicazioni
scientifiche e divulgative. Nel 1976 scrissi il mio primo articolo scientifico
sulla questione del sacerdozio della donna su Sacra Doctrina, la rivista teologica dello Studio Bolognese.
Dal 1979 i Superiori mi incaricarono
dell’insegnamento nel nostro Studio di Bologna, incarico che ho portato avanti
fino al 2011, quando sono diventato emerito. Nel 1984 mi laureai in teologia
all’Angelicum a Roma con una tesi sul dono della sapienza sotto la direzione del
Padre spagnolo Alvaro Huerga, illustre storico della spiritualità domenicana.
Ritengo di dovere all’ispirazione di
S.Tommaso anche il mio interesse circa la dignità della donna e in particolare
per la differenza tra l’anima dell’uomo e quella della donna[13]
e la questione della condizione dell’uomo e della donna nella resurrezione[14].
Ho riassunto il mio pensiero in merito nel libro La Coppia consacrata[15].
Questo mio interesse è nel mio ministero di
predicatore e di guida delle anime in qualche modo un’eco del dono speciale che
aveva il Santo Padre Domenico di profonda conoscenza del cuore femminile, che lo
portava ad essere ottima e stimata guida delle Religiose, tanto che Papa
Gregorio IX, volendo mettere ordine e disciplina nei monasteri femminili
dell’Urbe, affidò a S.Domenico questo delicato compito prima che il Santo Patriarca
ponesse mano all’organizzazione della predicazione dei frati. Ed è nota la
tradizione domenicana di affiancare in ogni città che ospitava l’Ordine ad un convento
di frati un monastero di monache, affinchè fosse assicurata ad esse una
conveniente assistenza spirituale.
Nel 1982 su proposta del grande teologo
domenicano tomista Padre Raimondo Spiazzi, fui improvvisamente ed
inaspettatamente chiamato a collaborare con S.Giovanni Paolo II in Segreteria
di Stato, dove rimasi fino al ’90. Considero pertanto questo fausto evento una
grazia di S.Tommaso. In ufficio infatti ebbi modo di mettere ampiamente a
frutto la mia preparazione tomistica, tanto che un giorno, mentre ero a pranzo
col Santo Padre con poche altre persone, l’allora Sostituto della Segreteria di
Stato, Mons.Eduardo Martinez Somalo, rivolgendosi al Papa ed indicando me, gli disse:
«Santità, questo è il nostro tomista!”. Al che il Santo Padre ebbe
un’espressione di compiacimento.
Nel 1992 fui associato alla Pontificia
Accademia Teologica Romana per iniziativa di un grande cristologo tomista,
Mons.Antonio Piolanti. Altra grazia concessami da S.Tommaso. Da allora anche qui ho avuto modo di mettere a
frutto la mia preparazione tomista soprattutto con la mia collaborazione a
PATH, la rivista dell’Accademia, con articoli di commento al magistero di Papa
Francesco.
Nel 1995 fui invitato da Padre Livio a
collaborare a Radio Maria, incarico che ho mantenuto fino al 2016. Anche questa
bella e lunga esperienza, che ho potuto fare la considero una grazia ottenutami
da S.Tommaso. Ed infatti, nel corso di tanti anni ho potuto trasmettere a
decine e decine di migliaia di attenti ascoltatori, nella luce e sotto la
protezione di Maria, la nobilissima sapienza del Dottore Angelico.
Nel 2007, in modo del tutto inaspettato, fui
richiesto dall’allora Postulatore dell’Ordine, Padre Vito Gomez, di curarmi,
come vicepostulatore, assieme al mio confratello Padre Efrem Jindracek, l’altro
vice postulatore, della Causa di Beatificazione del teologo domenicano Padre
Tomas Tyn, neanche a dirlo, fedelissimo discepolo e zelantissimo divulgatore del
Dottore Comune. Conoscevo molto bene Padre Tomas per aver vissuto con lui nel convento
di Bologna dal 1973, data del suo arrivo, fino al 1982, allorchè fui trasferito
a Roma.
Questo incarico di Vicepostulatore, che ho
portato avanti fino al 2012, mi ha dato la possibilità di far conoscere e
divulgare la teologia e la spiritualità e la santità di Padre Tyn, che fu
apprezzato docente di teologia nel nostro Studio domenicano bolognese.
Tale lavoro mi ha consentito pertanto di
produrre il doppio frutto di far conoscere ad un tempo S.Tommaso e in PadreTyn un
Santo teologo domenicano, che ne ha diffuso e commentato il pensiero nelle sue
lezioni di scuola, nella sua predicazione, nel suo ministero sacerdotale e
nelle sue pubblicazioni. Attualmente, per incarico dei Superiori, continuo ad
occuparmi della figura e dell’opera del Servo di Dio, raccogliendo materiale,
rispondendo a richieste di devoti, pubblicando studi o articoli su di lui in
questo blog.
Grazia ricevuta non senza l’intervento di
S.Tommaso la considero l’incarico del ministero di Esorcista, che ricevetti nel
2010 dalla Curia di Bologna, incarico che poi lasciai nel 2012, essendo stato trasferito
al convento di Fontanellato presso Parma.
Cito anche qui S.Tommaso, perché ormai da molti
anni mi ero acquistato una certa fama di demonologo sia con la mia predicazione
e sia con la pubblicazione, fin dal 1985, del libro La buona battaglia, per le Edizioni Studio Domenicano di Bologna, libro
che ha avuto tre edizioni. Naturalmente in esso mi rifacevo all’angelologia ed
alla demonologia tomiste, per le quali, come è noto, S.Tommaso è chiamato
Dottore Angelico.
Considerazioni
conclusive
Il grande problema dei miei 16 anni, come
ormai sa il lettore, fu questo: se il pensiero non è adeguazione al reale, che
soddisfazione ci può dare il pensiero? E come possiamo essere indifferenti a
che il reale esista o non esista? Eppure il cartesiano è soddisfatto proprio di
questo. A lui il reale non interessa;
gli interessa il proprio pensiero e l’affermazione
di se stesso, perchè l’adeguazione al reale porta alla scoperta
dell’esistenza di Dio e questo gli secca moltissimo, perché
conduce a scoprire Dio e al sapere che dipendiamo da Lui e che pertanto il
nostro bene sta nel fare la sua volontà. Invece il cartesiano vuol fare la sua
volontà.
Il fatto è che, a seguito del peccato
originale, c’è in noi l’idea suggerita dal demonio che il nostro bene non sta
nel fare la volontà di Dio, ma la nostra. Allora, per poterci giustificare
nella nostra ribellione a Dio e nella nostra volontà di assolutizzare la nostra
volontà, elaboriamo come Cartesio una gnoseologia per la quale il pensiero non ha per oggetto il reale, ma
se stesso. Riduciamo il reale al nostro pensiero, in modo da bloccare al
pensiero la via verso Dio. Se continuiamo a parlare di Dio, quel «Dio» siamo
noi stessi.
La crisi che mi venne a 16 anni fu provocata
dal fatto che per la prima volta in vita mia, al liceo, mi imbattevo in idee
che rifiutavano l’adeguazione del pensiero al reale o perché ne dubitavano, come
Cartesio o perché, come il mio insegnante di lettere, il prof.Franco Mollia,
parlavano bensì di «vero storico», ma non ammettevano verità universali ed
immutabili: non esistono verità definitive; ciò che è vero oggi diventerà falso
domani e ciò che era falso ieri è vero oggi. Era lo storicismo di Benedetto
Croce derivato dallo storicismo di Gian Battista Vico: «è vero solo quello che
facciamo noi» (verum ipsum factum).
Per costoro non esiste una verità assoluta,
astratta, immutabile, oggettiva, inconfutabile, valida per tutti, ma ogni
tempo, ogni cultura, ogni uomo ha la sua particolare verità, perché la verità è libero prodotto di
ciascuno di noi, come meglio gli piace. Queste idee mi turbavano moltissimo,
mentre vedevo che i miei compagni di scuola non avevano problemi ad accettarle.
Io invece percepivo benissimo che il mio pensiero non poteva fondarsi su se
stesso e per conseguenza non lo poteva il mio volere. Avvertivo la mia insufficienza
ontologica, per cui la proposta che mi veniva fatta, mentre piaceva ad altri, a
me faceva orrore, ne avvertivo
l’infondatezza e l’illusorietà.
Mi pareva di precipitare in un baratro,
quello che Kant chiama il «baratro della ragione». Don Giovanni, al quale mi
ero rivolto disperato, mi confortò con molta pazienza e carità e mi ribadì e mi
rifondò in modo decisivamente persuasivo
le certezze della mia fanciullezza: la certezza metafisica – la certezza dell’esistenza del
reale -, gnoseologica – la verità come adeguazione al reale – e la certezza religiosa
e di fede: il mio rapporto con Cristo e con la Chiesa -.
Fu per me un’enorme consolazione, per la quale
dalle tenebre venni alla luce, una luce, che da allora non mi ha più abbandonato.
Certo, il problema speculativo era risolto per
sempre, ma restava vivo il problema morale, ossia la mia necessità
quotidiana di portare avanti il mio cammino di conversione e di purificazione
dai miei peccati, nello sforzo continuo di mettere in pratica le verità certissimamente
acquisite.
Ciò da cui devo guardarmi adesso è l’eccesso
di certezza, ossia la troppa fretta, causata dalla presunzione, che a volte ho,
di esprimere giudizi negativi, senza un previo sufficiente e attento vaglio
della tesi dell’avversario. Mi fido
troppo della mia esperienza e devo invece ricordare che anch’io sono come
tutti, compreso il Papa, un povero fallibile peccatore.
La tentazione di fare la mia volontà e non quella
di Dio è certamente rimasta. Ma almeno conosco il mio dovere. Guardandomi
attorno, invece, nell’attuale caotica situazione ecclesiale, dove capitano guai
e mali di ogni genere, mi sento come un
fortunato naufrago in mare, scampato ad un naufragio, e mi vengono spontanee in
mente le parole del Salmo:
«la sua
fedeltà ti sarà scudo e corazza; non temerai i terrori della notte, né la
freccia che vola di giorno; la peste che vaga nelle tenebre, lo sterminio che
devasta a mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra;
ma nulla ti potrà colpire, poichè tuo rifugio è il Signore ed hai fatto dell’Altissimo
la tua dimora. Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai leoni e draghi» (Sal 91, 5-9.13).
È esattamente la mia esperienza da quando mi
sono messo alla scuola di S.Tommaso, soprattutto nell’Ordine Domenicano. Certamente
non dimentico l’avvertimento di S.Paolo: «Attendete alla vostra salvezza con
timore e tremore» (Fil ,12). Mi ripugna il misericordismo buonista rahneriano o
vonbalthasariano, che assicura che tutti si salvano e so benissimo che è falso,
è una droga che addormenta le coscienze.
Cerco, invece, sull’esempio dei Santi, di unire timore e confidenza, perché il
solo timore conduce alla disperazione, come mi stava capitando a 16 anni; ma la
sola confidenza, come in Cartesio e Lutero, non è il rimedio alla disperazione,
ma è un peccato opposto: è segno di superbia e presunzione e provoca proprio
quell’ira divina, che si crede di evitare, per essere oggetto di sola
misericordia.
Guardando alla mia storia, vedo dunque con
soddisfazione che ho costruito sulla roccia, un solido edificio. Ho accumulato
molti beni, traendoli da un medesimo cespite sicuro, da una medesima sorgente
inesauribile e sana. Ho trafficato i miei talenti. Una volta poste le basi,
sono partito ed ho potuto proseguire e progredire sempre nella stessa
direzione, sulla stessa linea. Non ho mai dovuto cambiar strada, disfare e
ricominciare su nuove basi. Ho previsto la meta sin dall’inizio e ormai le sono
vicino. Non mi sono sbagliato, non mi sono ingannato. Avendo ricevuto
un’eredità secolare, ciò che trasmetto durerà nei secoli.
Per la verità Tommaso è giunto a confermarmi su
di un cammino che avevo già intrapreso sin da bambino, sin da quando, con quel
santo parroco carmelitano, che era Padre Torello Scali, studiavo il catechismo in
parrocchia o, come lo si chiamava, la «dottrina», un libriccino azzurro striminzito
e mal stampato – siamo nel 1948 - , ma pieno di saggezza: «Chi è Dio? Dio è
l’Essere perfettissimo creatore del cielo della terra. Perché Dio ci ha creati?
Per conoscerlo, amarlo e servirlo su questa terra e goderlo un paradiso». È la
più pura metafisica. E un fanciullo la può capire benissimo. Sono le stesse
basi sulle quali ho costruito tutto. Qui Tommaso è già implicito.
Egli mi venne esplicitamente in soccorso,
quando al liceo mi imbattei in quell’impostura che è il cogito di Cartesio[16]
e nello storicismo del mio insegnante di lettere Franco Mollia, che diceva:
«Non c’è la verità. C’è solo il vero». Il dubbio sull’esistenza della verità è
stata la prova più grande della mia vita. Da quella prova mi ha tratto
S.Tommaso per mezzo di Don Buzzoni. Da allora il mio spirito si è talmente
corazzato contro lo spirito della menzogna, che mi rende capace di superare,
con l’aiuto della grazia e l’intercessione dell’Aquinate, ogni prova, di
sopportare ogni sofferenza, di confutare ogni errore, di respingere tutte le
aggressioni, le tentazioni e le insidie del mondo e del demonio volgendo a mio
vantaggio, ciò che il maligno tenta per rovinarmi.
La
gioia di questi ultimi anni, che il Signore mi concede, è quella di poter
distribuire ai giovani e condividere con confratelli, amici e studiosi, sull’esempio
del Santo Padre Domenico, del quale cantiamo aquam sapientiae propinasti gratis, tutte quelle dottrine e nozioni
sapienziali, che, come discepolo del Dottore Comune, ho accumulato nel corso di
questi sessant’anni, da quando, nell’ormai lontano 1959, iniziai la lettura
prima del tomista Maritain, e poi, dal 1960, di Tommaso stesso direttamente.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 24 giugno 2020
[1] Questi ricordi prescindono totalmente da un
altro aspetto della mia personalità, oggi estinto: l’attitudine al disegno, che
nacque in me appena all’età di sei anni e in modo prodigioso, nel senso che già
a quell’età sapevo fare dei disegni, che normalmente è capace di fare solo un
adulto dotato. Ma poi è successo che all’età di 15-16 anni sono caduto in una
crisi d’identità, dalla quale sono uscito, come racconto qui, nel 1959, per
l’intervento di Don Giovanni Buzzoni, mio insegnante di religione al liceo. In
quel periodo Dio fece nascere in me una vocazione filosofica, che poi mi
avrebbe condotto a farmi Domenicano. Nel contempo quella vena di disegnatore si
è gradualmente ed inesorabilmente estinta. Ne accenno in un’intervista fattami
da Francesca Pannuti: Un teologo
Domenicano oggi, Edizioni IF Press. Morolo (FR), 2012.
[2] Cartesio tenta bensì di recuperare il
realismo sulla base del cogito, ma
l’operazione non riesce, perché egli, invece di basarsi sulla veracità del
senso, fa appello alla veracità divina, cosa del tutto fuori luogo, perchè la
veracità divina serve a garantire la verità di fede, non quella della ragione.
Chi parte dal cogito, osserva
acutamente il Gilson, rimane chiuso dentro e non può uscirne per raggiungere il
reale.
Il riflettere sul proprio pensare è atto utilissimo, ma non per
fondare il sapere, bensì per le scienze morali e per quelle dell’ens rationis (logica e matematica). Per
sapere che cosa succede fuori casa, bisogna uscire di casa. Stando chiusi in
casa, non possiamo immaginare ciò che accade fuori. Tutt’al più possiamo
riflettere su ciò che abbiamo imparato fuori casa.
Dall’autocoscienza o dal cogito si può tornare al sapere già
acquisito nella realtà esterna, ma non si può partire per raggiungere il reale
esterno. Questo è contattato inizialmente, immediatamente e direttamente dal vero punto di partenza del sapere, che è la
conoscenza sensibile. Dopodichè l’intelletto può prender coscienza del
sapere acquisito. Ma un pensiero che pretende di partire da se stesso
riflessivamente, senza quella previa conoscenza sensibile, è un pensiero che
gira su se stesso senza contenuti, prigioniero di un irresolubile egocentrismo.
[3] Ricordo un film francese di allora, Les tricheurs, che, nello stato di
smarrimento nel quale mi trovavo, mi turbò profondamente, perché mi pareva che
convalidasse tale smarrimento con la descrizione di una vita giovanile senza senso, senza scopi e senza
princìpi.
[4] Cf Les
degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.
[5] Cf di Maritain, Sept leçons sur l’être et les premiers principes de la raison
spéculative, Téqui,
Paris 1933.
[6] L’ho ampiamente dimostrato nel mio libro Cristo fondamento del mondo,Edizioni
Isola di Patmos, Roma 2019.
[7] Cf di Raissa Maritain, I grandi amici, Vita e Pensiero, Milano 1956.
LA CRISTOLOGIA DI SCHILLEBEECKX, Sacra Doctrina, 1, 1987,pp.65-80; LA
CRISTOLOGIA DI SCHILLEBEECKX, corso di licenza in teologia presso lo STAB,Bologna
1998; LA NEGAZIONE DELL’INFERNO NELLA TEOLOGIA DI
K.RAHNER E DI E.SCHILLEBEECKX, in Inferno
e dintorni. E’ possibile un’eterna
dannazione?, Atti del Convegno
Teologico Internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata, a cura di
P.Serafino M.Lanzetta, FI, Edizioni Cantagalli, Siena, 2010,pp.223-251; Voce EDWARD
SCHILLEBEECKX, nel DIZIONARIO ELEMENTARE DEL PENSIERO PERICOLOSO,
Istituto di Apologetica, Milano 2016.
[9]
Giovanni Cavalcoli, EDWARD SCHILLEBEECKX. UN CONFRATELLO ACCUSA,
Edizioni Chorabooks di Aurelio Porfiri, Hong Kong, 2016.
[10] Cf la mia critica al suo pensiero Lo gnosticismo moderno, riprendendo un libro
di Mons.Livi, in Fides Catholica, 2, 2012, pp.109-140. Questo articolo precorre
la condanna dello gnosticismo fatta da Papa Francesco, che sarebbe sarebbe
arrivata di lì a pochi anni nella esortazione apostolica Gaudete et exultate del 2018.
[11] Cf il mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla
storia della teologia, PIEMME, 2000.
[12] PENSARE
IL PENSIERO. CONSIDERAZIONI SULLA DIGNITA’, LE FUNZIONI E I LIMITI DEL PENSIERO, I, Divinitas, 3,2000,
pp. 279-300.
PENSARE IL PENSIERO. CONSIDERAZIONI SULLA DIGNITA’, LE FUNZIONI E I
LIMITI DEL PENSIERO, II, Divinitas, 1, 2001, pp.43-72.
[13] SULLA
DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso
della SITA, Ed.Massimo, Milano, pp.227-234.
[14] LA DONNA
IN S.TOMMASO D’AQUINO, in Problemi
di storia e vita sociale, a cura della PUST, Ed.Massimo, Milano, 1982 pp.131-139; LA
CONDIZIONE DELLA SESSUALITA’ UMANA NELLA RESURREZIONE SECONDO S.TOMMASO, Sacra Doctrina, 92, 1980,
pp.21-146; LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO
S.TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso
Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso,
Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.
[15] Edizioni Vivere In, Monopoli (BA), 2008.
[16] Da notare che Cartesio fu messo all’Indice
nel 1663. Ma chi ci ha fatto caso?
Grazie Padre, ho scoperto troppo tardi S.Tommaso...nella vecchiaia leggere o meglio studiare ( ancora troppo poco) la Summa è stato per scoprire un mondo meraviglioso, non so esprimermi adeguatamente comunque per me S.Tommaso, come dice qualcuno per me è ll’amico di tutte le ore, e ho capito innanzitutto che l’essenza della misericordia divina consiste nell’essere che mi ha donato, e sapere che dipendo dall’Essere e anche in questo momento Dio mi dona l’essere...chiedo scusa per la mia ignoranza...
RispondiEliminaCara Rosa, sono molto contento che lei sia giunta a conoscere e ad apprezzare San Tommaso. Certamente non è un pensatore sempre facile. Tuttavia per l'utilità, che offre alla nostra vita spirituale, vale la pena di faticare per capirlo. San Tommaso ci ripaga con grandi frutti per la nostra anima e ci stimola alla santità.
EliminaGrazie confermo tutto soprattutto da quando per grazia è nata in me l'attrazione per la "verità" che mi ha spinto a leggere la Parola e tutti gli autori che studiano spiegano la Parola... questo insaziabile bisogno di Verità senza la quale perde di consistenza tutto. Teresa Bonfante
RispondiEliminaCara Teresa, i miei migliori complimenti. Stai camminando per un'ottima strada, continua così. A questo riguardo ti consiglio di imitare Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).
EliminaGrazie confermo tutto soprattutto da quando per grazia è nata in me l'attrazione per la "verità" che mi ha spinto a leggere la Parola e tutti gli autori che studiano spiegano la Parola... questo insaziabile bisogno di Verità senza la quale perde di consistenza tutto. Teresa Bonfante
RispondiEliminaCara Teresa, i miei migliori complimenti. Stai camminando per un'ottima strada, continua così. A questo riguardo ti consiglio di imitare Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein).
EliminaCaro padre, secondo lei, come domenicano, come si può definire la spiritualità tomista?
RispondiEliminaCaro Anonimo,
Eliminala spiritualità tomista consiste in una concezione della perfezione spirituale che prevede il perfezionamento dell’esercizio delle tre virtù teologali grazie alla presenza operante dei sette doni dello Spirito Santo, che hanno come frutti le beatitudini evangeliche e consentono una pregustazione della visione beatifica nella luce della fede, animata dalla carità.
Per essere più precisi, ciò che caratterizza specificatamente questa spiritualità, a differenza di altre come quella francescana, quella carmelitana, quella monastica o quella ignaziana, è la sua impronta intellettuale, mentre le altre spiritualità accentuano l’aspetto affettivo.
Per quanto riguarda l’esperienza mistica, è ammessa da tutte le spiritualità. La concezione tomistica mantiene la funzione del concetto anche in questa esperienza, mentre le altre hanno un aspetto più apofatico.