In odium fidei. Il peccato contro la fraternità (Quarta Parte - 4/4)

 In odium fidei

Il peccato contro la fraternità

Quarta Parte (4/4)

Come guarire dall’odio 

La guarigione dall’odio comporta una profonda conversione della volontà dalla soggezione a Satana all’obbedienza a Dio. Si tratta di un passaggio dallo stato di peccato mortale alla grazia. L’azione umana, infatti, avviene sempre sotto l’influsso o gli stimoli di forze superiori: o la grazia di Dio o le suggestioni del demonio. Tutti sono sollecitati dalla grazia; ma anche tutti sono tentati dal demonio.  E non tutti rispondono alle sollecitazioni della grazia.

D’altra parte, ognuno di noi, all’inizio dell’esercizio della sua ragione e della sua volontà, nella sua fanciullezza, consapevole di poter dare un orientamento alla sua vita ed istintivamente bisognoso di felicità, posto da Dio davanti alla prospettiva di scegliere o Lui o contro di Lui, di fare o la propria volontà o quella di Dio, o la via dell’amore o quella dell’odio, fa la sua scelta di vita e solitamente la mantiene per tutta la vita; salvi però i casi di mutamento della decisione, che solitamente avvengono in gioventù, ma possono avvenire in qualunque momento della vita e soprattutto nell’imminenza della morte, momento in cui il soggetto, pensando seriamente al suo dopo-morte, è portato a mettere a posto i suoi conti con Dio.

In gioventù, invece, attratto dalle seduzioni del mondo e insuperbitosi dalla coscienza delle proprie forze fisiche ed intellettuali, accade facilmente che il giovane educato nella fede apostati dalla fede, mentre succede che nella vecchiaia, constatando la propria fragilità e le conseguenze negative della propria condotta peccaminosa, il peccatore si penta e ritorni a Dio.

D’altra parte, ognuno di noi, in quanto dotato di libero arbitrio, ha sempre la possibilità, in linea di principio, in qualunque momento della vita presente di mutare la scelta di vita fatta e di passare dal servizio di Dio alla soggezione al demonio e viceversa. Una volta che l’uomo ha compiuto la propria scelta di vita, si tratti della conquista o della perdita della fede, della rinascita battesimale in Cristo o dell’apostasia dalla fede, solitamente mantiene la scelta fatta spesso per tutta la vita, superando e respingendo tutte le sollecitazioni in contrario.

Le defezioni dalla vita religiosa e sacerdotale e l’infedeltà coniugale sono un segno esterno di questo passaggio da Dio a Satana, salvo che non si tratti della presa di coscienza di essersi sbagliati. Ma la differenza tra chi ha tradito e chi si era sbagliato si vede dalla loro vita successiva: il traditore peggiora la sua condotta morale, mentre chi si era sbagliato spesso trova una via migliore verso il regno di Dio.

Altro presupposto da tener presente in questo problema della guarigione dall’odio è che mentre il credente resta continuamente aperto alle sollecitazioni della grazia, della coscienza e del prossimo, coltivando diligentemente ed a volte eroicamente l’amore, l’empio e l’ateo, che ha respinto Cristo per amore del mondo e di se stesso, permane anche lui solitamente a tempo indeterminato nella scelta fatta, con la differenza che mentre nel suo caso parliamo di ostinazione nel peccato, nel caso del giusto parliamo di perseveranza nel compimento della giustizia e delle opere buone.

Mentre l’empio è permanentemente fisso nell’odio, sostenuto dal demonio, il giusto persevera nell’amare sostenuto dalla grazia. In base a questo fatto è chiaro che cosa essenziale è sconfiggere il demonio, strappandogli la preda. E a tal fine il liberatore dovrà rafforzare al massimo la vita di grazia, perché in definitiva è lo Spirito Santo che caccia lo spirito impuro.

Cosa importante inoltre da tener presente, oggetto peraltro di comune esperienza, è che ognuno di noi compie nella vita, soprattutto in gioventù o nella fanciullezza, sollecitato dalla grazia o ribelle alla grazia, un’opzione fondamentale o per Dio o contro Dio, una scelta di amore o di odio, mettendo in atto quell’energia fondamentale della nostra volontà, che è l’amore. Se scegliamo Dio, ameremo tutto ciò che proviene da Dio, si concilia con Dio, ci favorisce o ci aiuta ad amare Dio e odieremo tutto ciò che si oppone a Dio o che ci allontana da Dio.

Se scegliamo noi stessi, se ci centriamo sul nostro io, se assolutizziamo noi stessi, odieremo tutto ciò che si oppone alla nostra volontà. Dovendo scegliere tra la nostra volontà e quella di Dio, sceglieremo la nostra e odieremo la volontà divina. Amor sui usque ad contemptum Dei, amor Dei usque ad contemptum sui, come dice Sant’Agostino.

Vi sono due vie per liberarsi dall’odio e sottrarsi dal dominio di Satana e tornare a Dio: o è lo stesso peccatore, che, obbedendo alle sollecitazioni della grazia, della propria coscienza e del prossimo, considerando le conseguenze negative della propria condotta, si pente e converte la propria volontà dall’odio all’amore, dall’amore di sé all’amore di Dio. Paradigma di questo comportamento è la parabola del figliol prodigo.

Oppure il giusto può far molto affinché l’empio si converta. E qui abbiamo la parabola del buon samaritano. Nella storia dei santi si dice comunemente che il dato santo «ha convertito il tale» con la parola e con l’esempio. Ma, per essere precisi, come faceva notare Papa Francesco, non è propriamente il giusto che converte l’empio, perché non è la volontà del giusto che muta la volontà dell’empio, ma quest’atto è di esclusiva facoltà dell’onnipotenza divina: è Dio che converte il cuore dell’empio e muove la sua volontà dall’odio all’amore.

Indubbiamente però Dio può servirsi del giusto per sollecitare l’empio a convertirsi e per scuoterlo dal suo torpore o per abbattere le mura di Gerico. Quindi la conversione a Dio è congiuntamente opera della grazia e del libero arbitrio dell’uomo. Si può dire che egli è ad un tempo convertito da Dio e che converte se stesso a Dio.

Al fine dunque di mutare il cuore dell’odiatore dall’odio all’amore, vi sono cose che può fare il giusto, e queste, però, se sono utili, non sono sempre necessarie. E vi sono cose che assolutamente l’odiatore deve fare per salvarsi: considerare la miseria nella quale si è cacciato, ricordarsi che ogni bene gli viene da Dio, pentirsi del male fatto, farne penitenza e tornare a Dio.

Per guarire dall’odio bisogna dunque che sia il giusto che l’empio agiscano di concerto sulla radice, sul moto primo della volontà, col quale l’odiatore ha orientato tutto il cammino della propria vita. E questa operazione va fatta con tanta maggior forza e decisione, quanto più il cuore dell’empio, nella lunga abitudine ad odiare, si è indurito ed ha perduto la sua capacità di intenerirsi e di commuoversi.

Occorre quindi un’operazione di ardente carità che sciolga il ghiaccio e la durezza del cuore scaldandolo ed intenerendolo, così che riottenga la sua normale vitalità e rimettere in moto con una potente iniezione di Parola di Dio, nella direzione dell’amore e della contrizione una volontà bloccata, paralizzata e pietrificata dall’ odio.

Occorre convertire il moto del volere a questo livello radicale, mutare l’orientamento di fondo dall’odio verso Dio all’amore per Dio. È possibile indurre un nostro prossimo a tale conversione della volontà, a tale mutamento della sua direzione fondamentale? In linea di principio è possibile.

Tuttavia, come ho detto, l’opera dell’apostolo non può giungere a causare lo stesso mutamento di volontà nell’odiatore, ma può e deve proporgli di convertirsi dandogli prove di volergli bene, studiandosi di trovare argomenti per convincerlo e persuaderlo ad abbandonare l’odio per abbracciare l’amore, riconoscendo e lodando le sue buone qualità, facendo leva su quella luce che ancora gli è rimasta, avvertendolo del pericoli che minacciano la sua anima, sopportandolo senza perdere la speranza e pregando ed offrendo sacrifici per lui.

Si tratta sostanzialmente della cosiddetta correzione fraterna, circa la quale Cristo stesso ci ha dato istruzioni precise: un’azione delicata e difficile, al termine della quale, se il fratello ci ascolta, possiamo «guadagnare il fratello».  Ma essa può anche non avere successo, per cui si deve addirittura rinunciare ad avere rapporti con lui, considerandolo come un «pagano o un pubblicano» (Mt 18,15-17). Resta sempre comunque per noi un fratello, benché egli non voglia essere nostro fratello. Simile provvedimento Gesù lo ordina quando comanda di «scuotere la polvere dai nostri piedi» allontanandoci da coloro ai quali abbiamo annunciato il Vangelo, offrendo prove di credibilità, i quali però non hanno voluto convertirsi (Mt 10,14).

Tutto ciò vuol dire che l’evangelizzatore e l’apostolo non possono limitarsi a una mera esposizione della dottrina, come fossero semplici maestri di scuola, i quali, finite le ore di scuola, se ne tornano a casa e chi si è visto si è visto. Ma egli è anche un padre, un educatore, un amico, un medico che sa trattare caso per caso ed offrire a ciascuno la cura e la medicina giuste e adatte a ciascuno.

Ciò non significa che l’evangelizzazione si riduca a un mero rapporto esistenziale affettivo-atematico, senza un messaggio verbale o dottrinale, perché il tal caso il rapporto con l’evangelizzando rischia di scadere in un sentimentalismo equivoco, che puo’ sconfinare nella più abbietta lussuria, come purtroppo in questi ultimi tempi abbiamo visto nei numerosi casi di preti pedofili, sodomiti e concubinari. 

L’apostolo diffonde l’amore e guarisce dall’odio, conduce a Cristo e libera da Satana, sì certo con la Parola di Dio, ma sempre accompagnando la predicazione con l’esempio di una vita irreprensibile, e una sincera carità come imitazione dell’esempio di Colui che ha detto e fatto: «nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13).

Fine Quarta Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 marzo 2021

 


Ognuno di noi, all’inizio dell’esercizio della sua ragione e della sua volontà, nella sua fanciullezza, consapevole di poter dare un orientamento alla sua vita ed istintivamente bisognoso di felicità, posto da Dio davanti alla prospettiva di scegliere o Lui o contro di Lui, di fare o la propria volontà o quella di Dio, o la via dell’amore o quella dell’odio, fa la sua scelta di vita e solitamente la mantiene per tutta la vita; 

salvi però i casi di mutamento della decisione, che solitamente avvengono in gioventù, ma possono avvenire in qualunque momento della vita e soprattutto nell’imminenza della morte, momento in cui il soggetto, pensando seriamente al suo dopo-morte, è portato a mettere a posto i suoi conti con Dio.

 

Immagini da internet:

Albert Anker, La devozione al nonno, 1893

Georgios Jakobides - The First Steps 

 

2 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    a proposito di “correzione fraterna” il pensiero non può non andare a quel particolarissimo caso narrato da San Paolo nella Lettera ai Galati:
    “Ma quando Cefa venne ad Antiòchia, mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto. Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma, dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi. E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, tanto che pure Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia. Ma quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?" (Gal 2, 11 - 14).
    Ancora oggi, sconcerta l’estrema franchezza che l’apostolo delle genti manifesta nel rivolgersi al primo Papa, San Pietro.
    “Mi opposi a lui a viso aperto perché aveva torto … lo imitarono nella simulazione… si lasciò attirare nella loro ipocrisia… non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo” sono espressioni che sembrano travalicare nella sfrontatezza, se pensiamo che sono dirette, tra gli altri, anche verso il vicario di Cristo, che fu nominato direttamente dal Signore.
    San Paolo non sembra minimamente preoccuparsi di mostrare sottomissione o reverenza verso il capo della Chiesa, né dello scandalo che le sue parole potrebbero provocare nelle prime comunità cristiane, anzi dapprima le manifesta apertamente ai presenti a quell’evento, e poi decide di immortalarle nella sua epistola, pro posteritate.
    Eppure, tutto questo è avvenuto ed è Parola di Dio.
    Per noi oggi, non è allora lecito insegnamento, discendente da tale passo della Sacra Scrittura, che quando un vescovo critica apertamente il Papa per temi pastorali, non rientranti nell’infallibilità magisteriale, anziché schierarsi subito, pregiudizialmente, in difesa del Santo Padre, cercare di capire se alla luce della S. Scrittura interpretata dal Magistero e dalla Tradizione cattolica, le ragioni del vescovo possano avere un fondamento, e solo dopo tale meditata riflessione prendere posizione?

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    1. Caro Bruno,
      non c’è dubbio che questo episodio fa impressione. La cosa che dobbiamo dire con tutta sicurezza è che non si tratta di una questione dottrinale, circa la quale sappiamo quanto rispetto Paolo avesse per Pietro, come Vicario di Cristo.
      IL problema fu squisitamente pastorale, concernente la linea da tenere nei confronti dei giudeo-cristiani e dei pagano-cristiani. Era una questione di prudenza e di schiettezza apostolica. Ora, un Papa, e qui Pietro lo dimostra, può effettivamente a volte assumere atteggiamenti opportunisti ed ipocriti.
      Tuttavia noi, comuni fedeli, dobbiamo essere molto cauti prima di fare simili accuse. Inoltre bisogna tenere presente la grandezza della santità e prudenza di Paolo, come quella di altri grandi riformatori, come San Bernardo, San Pier Damiani, Santa Caterina da Siena e Savonarola.
      Il rischio dell’estremismo è facile, come lo dimostra il caso di Lutero e di altri eretici, benché Lutero avesse qualche ragione, che poi è stata raccolta dai Concili di Trento e Vaticano II.

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