Sul concetto coranico di Dio (Seconda ed ultima Parte)

 Sul concetto coranico di Dio[1]



[1] Ho usato la Traduzione interpretativa in italiano a cura di Hamza Piccardo, con la revisione e controllo dottrinale dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia – UCOII. 

 

Seconda ed Ultima Parte

L’intervento storico di Papa Benedetto

Papa Benedetto toccò con interessanti, utili e decisive osservazioni il difficile problema del volontarismo islamico nella lezione che tenne all’Università di Ratisbona il 12 settembre 2006. In quell’occasione accennò ad un aspetto della concezione coranica di Dio riferendo circa un dialogo fra l’imperatore Emanuele Paleologo e un dotto musulmano tenutosi a Costantinopoli durante l’assedio della città fra il 1394 e il 1402.

In questo dialogo l’imperatore rimprovera alla concezione islamica di Dio di presentare un Dio che agisce per pura volontà senza dar ragione di quello che fa. Ora, osserva l’imperatore, agire senza ragione o senza motivo razionale per pura volontà vuol dire agire con violenza, commettere violenza. La violenza, infatti, si definisce appunto come azione irragionevole o irrazionale, contro ragione. Ma ciò equivale a volere il male, a commettere il male. Che cosa è infatti il bene se non ciò che è conforme a ragione?

«L'imperatore, - spiega il Papa - dopo essersi pronunciato in modo così pesante, spiega poi minuziosamente le ragioni per cui la diffusione della fede mediante la violenza è cosa irragionevole. La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima. "Dio non si compiace del sangue - egli dice -, non agire secondo ragione, „σὺν λόγω”, è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un'anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte…".

L'affermazione decisiva in questa argomentazione contro la conversione mediante la violenza è: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. L'editore, Theodore Khoury, commenta: per l'imperatore, come bizantino cresciuto nella filosofia greca, quest'affermazione è evidente. Per la dottrina musulmana, invece, Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza. In questo contesto Khoury cita un'opera del noto islamista francese R. Arnaldez, il quale rileva che Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l'uomo dovrebbe praticare anche l'idolatria.

Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive. In contrasto con ciò, la fede della Chiesa si è sempre attenuta alla convinzione che tra Dio e noi, tra il suo eterno Spirito creatore e la nostra ragione creata esista una vera analogia, in cui – come dice il Concilio Lateranense IV nel 1215 – certo le dissomiglianze sono infinitamente più grandi delle somiglianze, non tuttavia fino al punto da abolire l'analogia e il suo linguaggio. Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore».

Papa Benedetto fa notare che San Giovanni chiama Logos Dio (Gv 1,1).  Solo che qui Giovanni non sta parlando della natura divina, sulla quale si ferma il Corano, ma sta parlando di Dio Figlio, che egli chiama Logos (Verbum, Verbo). Giovanni chiama Logos il Figlio per spiegare che cosa si deve intendere col fatto che il Padre genera il Figlio.

Evidentemente Maometto non ha mai capito o nessuno gli ha mai spiegato il perchè di quella scelta di Giovanni, altrimenti non avrebbe fatto quella ridicola obiezione che Dio non può avere un figlio, perché, per averlo, dovrebbe avere una compagna[1]. Infatti Maometto ignorò il fatto che Giovanni aveva chiamato Logos (Verbum, Verbo) il Figlio perché voleva farci capire che il generare divino non ha nulla di biologico, essendo Dio purissimo Spirito, ma va concepito a somiglianza della produzione del concetto da parte della mente: il Figlio esce dal Padre in modo simile a quello per cui l’idea esce dalla mente di colui che la concepisce; solo che mentre in noi l’idea è un accidente della mente, in Dio il pensante e il pensato sono due Persone distinte: il Padre e il Figlio. Con tutto ciò è chiaro che Dio, come natura divina, può essere benissimo definito una Ragione sussistente, in quanto creatore della ragione umana, che è partecipazione alla Ragione divina.

Maometto non ha difficoltà ad accettare i passi evangelici nei quali Gesù si rivolge a Dio come farebbe ciascuno di noi, ossia come la creatura nei riguardi del creatore, per esempio con la preghiera. Anzi loda in questo senso Gesù e lo raccomanda come modello di profeta e di santo[2].

Maometto mostra una grande stima per l’umanità di Cristo e gli piace chiamarlo «figlio di Maria»[3], della quale, come è noto, loda e venera la verginità[4] e che considera beneficata dallo «Spirito» di Dio, che però non è la terza Persona della Santissima Trinità, ma è l’Arcangelo Gabriele[5].

Tuttavia non va a Maometto quando Gesù chiama Dio suo Padre e parla di sé come Figlio di Dio Padre. Maometto ha l’impressione di un uomo che, considerandosi come Dio, pretenda di rapportarsi con Dio, come un Dio che si rapporti con Dio, come un altro Dio. Per cui verrebbero fuori due dèi: da una parte Gesù che si fa Dio e dall’altra il vero Dio, col quale Gesù si rapporterebbe come a un altro Dio ora uguale a sé (Gesù-Dio), ora superiore a sé (Gesù uomo) Questo duplice atteggiamento di Gesù sembra a Maometto contradditorio, intollerabile e blasfemo[6].

Da come Maometto parla della profezia[7] si capisce che ne ha un concetto sbagliato. Il profeta certamente parla a nome di Dio e rivela la sua essenza e la sua volontà. Ma lo fa solo in modo parziale. Non esiste, quindi, una profezia insuperabile, oltre la quale null’altro si possa sapere di Dio. Maometto, quindi, si sbaglia a considerarsi il profeta che abbia portato a compimento la rivelazione divina. La pienezza della rivelazione non viene dalla profezia, ma dallo stesso Logos divino, cioè da Gesù Cristo. Infatti, mentre il profeta parla di Dio, il logos è la stessa Parola di Dio (Verbum Domini) fatta persona, il Figlio. Il profeta parla di Dio con concetti umani e naturali, essendo un semplice uomo. Gesù, il Logos, il Concetto del Padre, ci parla con concetti divini e soprannaturali: i misteri della fede cristiana. Solo Gesù può dirci tutto del Padre, perché solo Lui, come Verbo del Padre, conosce perfettamente e compiutamente il Padre.

Maometto chiama con disprezzo «associatori»[8] coloro che affiancavano a Dio altre divinità, come facevano i politeisti, negando quindi il monoteismo. E in ciò aveva perfettamente ragione. Senonchè purtroppo egli se la prese anche con i cristiani perché consideravano Gesù come Dio, credendo che essi volessero aggiungere un altro finto Dio al vero Dio. Non capì che la natura divina di Cristo non è l’aggiunta di un’altra natura divina a quella già esistente, ma è la stessa natura dell’unico Dio già esistente. Maometto fu tratto in errore dal fatto che Gesù si presenta come effettivamente un’altra persona distinta da Dio (Dio Padre) e come persona divina (il Figlio). Ma non afferrò che la natura divina di Gesù era la stessa di quel Dio, ossia Dio Padre, in rapporto con il quale Gesù si poneva come Figlio.

Maometto non comprende inoltre che la fede cristiana in Gesù Figlio di Dio non vuol dire che la natura divina possa avere un figlio. In questo senso Maometto ha ragione quando dice che Dio non può avere un figlio. Infatti Gesù Figlio di Dio vuol dire Figlio del Padre. E qui i conti tornano perfettamente per la nostra ragione e per la nostra esperienza: se c’è un figlio, tutti capiscono che ci dev’essere il padre. È chiaro però anche che sul piano delle creature, sul quale tutti noi siamo, figlio e padre sono due persone.

Il mistero divino che invece Gesù ci propone a credere e davanti al quale Maometto si è ribellato o non ha compreso, è che Gesù è Figlio di Dio Padre come persona distinta da persona. Quindi Gesù ci rivela che in Dio, nell’unico Dio esistono due persone divine, Lui e il Padre, pur continuando a sostenere che esiste un solo Dio. Il monoteismo non è infranto, a patto però che si distingua natura divina (una) e persona divina (tre), cosa che Maometto non seppe o non volle capire.

I cristiani hanno invece capito fin dall’inizio che occorreva adattare il concetto naturale di persona come sostanza, a come Gesù intendeva il suo essere persona divina in rapporto alla persona del Padre. Cominciarono a capire che in questo caso occorreva abbandonare il concetto di persona come sostanza per evitare di concepire due sostanze divine, ossia due dèi. D’altra parte non c’era dubbio che Padre e Figlio apparivano come persone.

Ma come concepire queste due persone perchè non venissero fuori due dèi? Dio non è forse una sola persona? Metafisicamente Dio è una sola persona, in quanto soggetto spirituale che intende e vuole. Ed è chiaro che la natura divina ha un intelletto e una volontà. Ma si può concepire in Dio la persona divina in modo da ammetterne tre?

Dopo una riflessione ecclesiale durata tre secoli, Sant’Agostino si accorse che bisognava concepire la persona divina come relazione sussistente, ed egli fu ripreso da San Tommaso nel sec. XIII. Intanto il Concilio di Nicea del 325 aveva chiarito la divinità di Cristo («consubstantialem Patri»), senza tuttavia dogmatizzare sul concetto di persona divina. Ci sarebbe voluto il Concilio di Calcedonia del 451 per distinguere natura o sostanza divina da persona divina e infine il Concilio di Firenze del 1441 per dogmatizzare il concetto di persona divina come relazione sussistente: «In Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio» (Denz.1330). La luce era fatta!

Ma sin dalla prima generazione cristiana, la Chiesa aveva compreso, anche senza speciali precisazioni concettuali metafisiche o dogmatiche, che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo, un solo Dio, una sola natura, una sostanza, l’unico Dio in tre Persone. A Maometto si concedeva tutto quello che aveva diritto di pretendere, ma ovviamente si disapprovava il suo rifiuto di accogliere umilmente e fiduciosamente, senza stolte obiezioni, quanto Nostro Signore Gesù Cristo ci ha rivelato del mistero di Dio. Maometto non costitituì quindi affatto un momento di pienezza della rivelazione, ma una retrocessione!

Purtroppo infatti Maometto non riuscì a formarsi il concetto di persona divina trinitaria, per cui, fermo all’evidente opposizione dell’uno al tre e al concetto di Dio come unica persona, non seppe far altro che ingiungere perentoriamente ed insistentemente a tutti, sotto minaccia dell’inferno, di non usare, parlando di Dio, il numero tre: «Non dite tre!»[9].

Il rifiuto islamico della Trinità è molto simile a quello ebraico, ma più scusabile, perché, mentre gli Ebrei posseggono l’Antico Testamento, Maometto vien su da un popolo di beduini del deserto politeisti ed idolatri. Egli ebbe un senso vivissimo dell’unità, maestà e trascendenza divina, che gli fa onore, come riconosce lo stesso Concilio.

Senonchè, però, scandalizzato dalle infinite supersottili controversie teologiche bizantine[10], poco atto alla speculazione e dotato di forti capacità pratiche ed organizzative, sensibile allo sfruttamento del suo popolo da parte dell’impero bizantino, volle togliere dal messaggio cristiano quelle che a lui sembravano inutili e dannose complicazioni, mentre nel contempo ebbe l’ambizione, credendosi ispirato dall’arcangelo Gabriele, di dare al suo popolo una sua propria religione, migliore di quella cristiana.  

C’è inoltre da considerare il fatto che Maometto non venne a contatto con autentici cristiani, ma con monaci eretici, nestoriani, monofisiti e docetisti, che gli presentarono una concezione deformata della Trinità e di Cristo. Inoltre Maometto, uomo certamente geniale, ma senza cultura teologica, un grande intuitivo, ma vissuto tra i beduini del deserto superstiziosi, idolatri e politeisti, volle ad un tempo sollevarli dalla loro ignoranza.

Un monoteismo autentico, ma chiuso alla comprensione della Trinità

È interessante come il Concilio, parlando del monoteismo islamico, associa nella traduzione italiana[11] due espressioni diverse, possibili solo in italiano, che ha gli articoli a differenza del latino che non li ha: «un unico Dio» (unicum Deum,  in Lumen Gentium, 16) e «l’unico Dio» (unicum Deum in Nostra aetate, 3).

Che differenza c’è fra il dire un unico Dio e l’unico Dio? Che si può ammettere un unico Dio, che però non è il vero unico Dio. Per esempio, Plotino ammette l’Uno, Un unico Dio, che però non è quello vero, perché non è creatore; Ockham ammette un unico Dio, che non è quello vero, perché può comandare l’adulterio; Cartesio e Kant ammettono un unico Dio, ma non è quello vero, perchè la sua esistenza non è dimostrata partendo dall’esperienza delle cose, ma è un’idea apriori; Hegel ammette un unico Dio, che però non è quello vero, perché è un Dio che non può esistere senza il mondo; Rahner ammette un unico Dio, ma non è quello vero, perché la sua esistenza non è dimostrata partendo dall’esperienza delle cose, ma è un dato immediato preconcettuale di un’esperienza trascendentale; i buonisti ammettono un unico Dio, ma non è quello vero, perché è un Dio che non castiga, contro l’insegnamento della Scrittura. Su questo punto il Corano è più vicino alla Bibbia dei buonisti.

Per sapere se un unico Dio è l’unico Dio, occorre verificare gli attributi che gli vengono assegnati. Ora, dato che il Concilio elenca alcuni attributi del vero unico Dio, anche se il testo latino consente entrambe le traduzioni suddette, è chiaro che la traduzione giusta è «l’unico Dio». Il credere dunque ad un unico Dio non è ancora il vero monoteismo, se gli attributi non sono giusti. Se mi fermo a parlare di un unico Dio, posso supporne molti diversi, e tutti mal concepiti, di questi dèi unici, come abbiamo visto negli esempi sopra riportati. Ma se io concepisco tutti e solo gli attributi giusti, allora non potranno più esserci molti dèi unici, in conflitto fra di loro, ma ce ne sarà un solo, che è quello vero.

Non c’è dubbio che nel Corano la preoccupazione di affermare che esiste un unico vero Dio e che il vero Dio è uno solo, è fortissima, insistente e quasi martellante. Come la Scrittura, il Corano proclama che c’è un solo vero Dio e non ce ne sono altri all’infuori di lui, con lui e alla pari di lui: «Non avrai altro Dio all’infuori di Me».

Qui troviamo la stessa preoccupazione della Scrittura di evitare l’idolatria e di evitare di divinizzare la creatura, ossia di innalzarla al livello di Dio «associandola» a Dio. Per il Corano gli «associatori» sono gli idolatri e i politeisti, coloro ai quali un solo Dio non basta e vogliono associare a Dio un altro Dio o altri dèi, perciò stesso falsi, perché non c’è altro Dio all’infuori di Dio.

Non è difficile notare in trasparenza la polemica contro i cristiani, i quali, a giudizio del Corano, associano a Dio Gesù come fosse un altro Dio. Al riguardo è oscillante ciò che il Corano riferisce sulla condotta e sugli insegnamenti di Cristo: a volte presenta un Gesù soggetto a Dio e che afferma di non essere Dio; e questo è il Gesù che piace al Corano, tanto da considerarlo santo e presente alla risurrezione dei morti, alla fine del mondo e al giudizio universale. Se Maometto avesse tenuto conto del dogma di Calcedonia con la distinzione fra natura divina e Persona divina, avrebbe compreso che Gesù non pretende affatto di aggiungersi a Dio, che è il Dio della ragione e dell’Antico Testamento e quel Dio che il Corano adora.

La divinità di Cristo è la stessa divinità di Dio. Gesù non è una creatura divinizzata che il cristiano associa a Dio, ma è Dio stesso, il Dio unico che solo dobbiamo adorare. Ma Dio è una natura divina, una sola sostanza, un solo Dio, il solo ed unico Dio in tre persone, Dio Padre, Dio Figlio e Dio Spirito Santo. Tre Persone divine non vuol dire tre dèi. La Persona divina non è la natura divina, ma relazione sussistente di paternità, di figliolanza, di spirazione. Se Gesù si rapporta al Padre, non è un altro Dio che si accosta o si associa a Dio, ma è una Persona divina che si rapporta ad un’altra Persona divina, mentre entrambe sono l’unico Dio: una natura divina e due Persone divine.

Da tutto ciò vediamo con chiarezza quanto è grave l’impostura di Maometto di voler presentare il Corano come rivelazione divina, mentre esso si mostra nella sua vera realtà: certo un’opera geniale di estro religioso, ma nel contempo inquinata da abominevoli falsità su Cristo, che lasciano intendere un influsso diabolico, cioè lo spirito dell’anticristo.

Maometto non ha compreso che l’unità di Dio non chiude alla possibilità della Trinità.  Se è vero che uno e tre si escludono a vicenda, è anche vero che l’uno è l’origine e il fondamento del tre. Se è vero che natura non dice persona, però è vero che la natura umana specifica è il fondamento della pluralità delle persone umane.

Resta lo scoglio di concepire la Persona come relazione sussistente. Tuttavia anche la cosa non è del tutto inimmaginabile. È chiaro che presso di noi il padre è un soggetto preesistente all’esser padre e distinto dalla sua relazione col figlio e il figlio è un soggetto che non è solo figlio e che, tra le altre relazioni, ha quella ha di aver relazione col padre. Ora, si tratta di immaginare un padre che sia tutto e solo padre e un figlio che sia tutto e solo figlio. Quale perfezione di paternità! E quale perfezione di figliolanza! Cosa impossibile tra di noi, ma non inimmaginabile.

Quanto allo Spirito Santo, per Maometto non è Dio, ma è lo spirito dei profeti che scende da Dio o è un Angelo[12], più facilmente l’Arcangelo Gabriele[13]. Maometto annovera quindi tra gli «associatori» anche coloro che credono nella divinità dello Spirito Santo. La negazione della personalità divina dello Spirito Santo consegue nel Corano alla negazione della Persona del Padre e del Figlio, dato che lo Spirito procede da queste due Persone.

Certamente, inoltre, noi non sappiamo perché tre persone e non due o quattro. Non possiamo dimostrarlo, ma dobbiamo crederci. Sappiamo che la Trinità non è effetto della volontà di Dio, ma è strutturale all’essenza divina. Tra le Persone divine c’è un nesso necessario, che noi non possiamo razionalmente dimostrare. Sappiamo solo che è necessario. Sant’Agostino propone di paragonare le Tre Persone alla triade psicologica esse-nosse-velle: il Padre è il soggetto, il Figlio è il suo pensiero; lo Spirito è il suo amare. Ma sono solo motivi di convenienza che non dimostrano nulla.

Ridicola poi è l’interpretazione di Bruno Forte delle Tre Persone divine agitate e addolorate per la morte del Figlio: più che un quadro teologico, sembra la scena patetica di una commedia napoletana[14]. Buona invece è l’idea del Forte di proporre la vita cristiana sotto il segno della Trinità.

Un Dio contradditorio

Bisogna dire che il Dio islamico, più che essere un dio falso o un idolo, è profondamente contradditorio e incoerente. Il Corano ha una concezione realistica di Dio, sul modello del Dio biblico. Il Corano è lontanissimo dal concetto indiano di Dio come fondo ultimo dell’io. Il panteismo è escluso e c’è un vivo senso della trascendenza di Dio, che genera rispetto, riverenza e sacro timore per l’immensa Maestà divina, Rex tremendae maiestatis[15], il Sovrano dei Sovrani, per spingere all’adorazione, alla devozione, all’obbedienza e alla preghiera. Anzi, come fa notare Papa Benedetto, questo senso della trascendenza è persino esagerato fino quasi a far perdere all’uomo la consapevolezza che in fin dei conti egli è stato creato ad immagine di Dio.

Infatti il Corano conosce gli attributi divini. Non attribuisce a Dio i limiti dell’uomo o caratteri umani o peggio bestiali o fisici, come avviene nell’idolatria. Insiste molto sull’unicità di Dio. Ma manca del senso dell’unità di Dio. Per l’Islam c’è un solo Dio e non ce n’è altri all’infuori di lui. Ammette un unico Dio. È un Dio unico, ma non è un Dio coerentemente uno. Entra in contraddizione con sé stesso. È, direbbe il Cusano, una coincidentia oppositorum.

Ha in sé il vero e il falso, il bene e il male. Il che lascia intendere che l’essenza di questo Dio non è una, non è identica a sé stessa: è contradditoria in se stessa. Dio è immutabile e mutevole, è buono e cattivo, è giusto e ingiusto, è leale e sleale. Pur conoscendo la distinzione fra l’uomo e Dio, finisce per attribuire a Dio i difetti umani. Assegna pertanto a Dio attributi contradditori.

Mescola gli attributi divini con quelli umani nella stessa divinità, mantenendo tuttavia una rigorosa distinzione ontologica fra persona umana e Persona divina metafisica. Ed è in nome di questa distinzione che il Corano rifiuta l’idea cristiana di Cristo uomo e Dio. Quindi c’è il monoteismo e rifiuto del politeismo. Respinge l’idea pagana della divinizzazione dell’uomo innalzato alla pari di Dio ed associato a Lui, quasi fosse un altro Dio accanto a Dio, un altro Dio che si aggiunge a Dio. È in nome di questa esigenza in sé giusta che il Corano respinge la divinità di Gesù, pur ammirandolo come santo e profeta.

Da che cosa nasce la concezione volontaristica di Dio? Da un errato concetto dell’onnipotenza divina, che falsa il rapporto fra intelletto e volontà in Dio e per conseguenza nell’uomo, in quanto l’etica si ispira al costume e alla condotta di Dio. Per il Corano Dio può fare non solo che è impossibile all’uomo, perché supera le sue forze, ma anche ciò che è assolutamente impossibile, ciò che non può esistere perché contradditorio, come per esempio qualcosa che sia vero e falso o bene e male ad un tempo.

Ci chiediamo allora come è possibile assoggettarsi a un Dio insipiente, dispotico e prepotente, che violenta la ragione e genera violenza, che non dà ragione di quello che fa o che vuole, che può comandare o permettere cose irragionevoli o contrarie alla propria coscienza o riprovare ciò che è ragionevole o secondo coscienza, che può smentire quello che ha detto e non mantenere le promesse? Come può essere leale ed evitare la doppiezza? Come ci si può fidare di un Dio del genere? Come si può contare sul suo aiuto e sulla sua protezione? Come si può sperare in lui?

 Come possiamo essere sicuri che ci dica la verità? Come può essere il creatore e la guida della ragione? Come può guidare alla virtù e alla santità? Come può pretendere di correggere i nostri errori e i nostri vizi? Quale felicità ci procura? Come può presiedere all’ordine della natura? Come può rendere giustizia premiando i buoni e castigando i cattivi? Quali vantaggi, quali benefìci ci si aspetta da un Dio del genere? Come può un Dio del genere attirare a sé la devozione di miliardi di uomini da 14 secoli? Che arti usa per ingannarli e renderli schiavi in questo modo? O sono loro stessi che si compiacciono di un Dio del genere, perché se lo sono creati loro per proprio comodo? Questa è la tesi di Magdi Allam e ciò che si può ricavare dalla lezione di Benedetto XVI.

Il Corano non nega affatto a Dio – e come potrebbe? – l’attributo della sapienza. Solo che non è chiaro che cosa intende con questo sublime attributo, e il timore è che, considerato il contesto volontaristico, la sapienza scada nella proverbiale astuzia orientale, presente persino nella Scrittura – vedi per esempio gli episodi di Sansone e Dalila o Giacobbe ed Esaù o di Giuditta e Oloferne – per non parlare della doppiezza.

Tale sublime attributo è legato peraltro all’intelletto divino, alla ragione divina, alla scienza divina, alla verità divina, alla rivelazione divina, alla Parola di Dio. Siamo di fronte a un plesso di altissimi valori, dove purtroppo il Corano dà una prova alquanto deludente, sebbene non li neghi affatto e ciò certo gli fa onore, ma resta comunque che non è all’altezza dei temi trattati, come invece lo è la Scrittura.

Sta di fatto che nel Corano, mentre è protagonista la volontà, la ragione ha una scarsissima parte e quasi non compare mai, mentre nella Scrittura abbondano i saggi ragionamenti, soprattutto nei Libri sapienziali, si promuove il ben ragionare (Sir 17,5), si condannano i ragionamenti fallaci (Qo 7,29), tortuosi (Sap 1,3), campati per aria (Gb 15,2), insensati (Sap 11,5) e vani (Rm 1,21; Ef 5,6). San Paolo ricorda che i pagani scoprono la legge naturale col ragionamento (Rm 2,5), raccomanda il ragionare da adulto (I Cor 13,11) e un culto ragionevole (cf Rm 12,1), ed applica il principio di causalità per dimostrare l’esistenza di Dio (Rm 1,20), mentre Giuda condanna gli uomini che sono come animali senza ragione (Gd 10). Non c’è da meravigliasi, pertanto, del fatto che il Dio biblico spiega i motivi del suo agire, e se essi sono misteriosi, non per questo sono irragionevoli. Invece il Dio Coranico non dà ragione di quello che fa e ordina anche contro alla ragione.

Un irrazionale Dio della ragione

Sebbene il Corano, carente di senso metafisico, non si fermi sul concetto mosaico di Dio come «Colui Che È», il concepirlo come creatore sottintende chiaramente questo concetto, che sarà in qualche modo esplicitato nel sec. XII da Avicenna come il «Necessario», Colui che non può non essere, perché la sua essenza coincide col suo essere, come poi spiegherà San Tommaso.

Il Dio coranico inoltre è Spirito, non è composto di materia e forma come gli dèi pagani ed è creatore anche degli angeli e dei demòni, che sono puri spiriti. Indubbiamente è uno spirito maschile, perché per l’Islam il sovrano è sempre maschio e non concepisce, come nel cristianesimo, una spiritualità femminile. Da qui la concezione della donna come inferiore al maschio e soggetta al maschio.

Dio concede grazie e favori, è misericordioso, consola, soccorre e perdona, ma l’uomo non può avere quella confidenza con Dio, entrare in comunione o in intimità o in vera amicizia con Lui, come prospetta il cristianesimo, che giunge a paragonare il rapporto dell’anima con Dio all’unione fra sposi.

Ma la grazia divina nel senso coranico è ben diversa dalla grazia in senso cristiano. Questa è partecipazione della stessa natura divina di Cristo Figlio di Dio. Ma per il Corano – vedi la sura 6 101 - è impossibile che Dio abbia un figlio, perché per avere un figlio, «dovrebbe avere una compagna». Invece la grazia nel senso coranico è sì un dono divino, non però tale da elevare l’uomo ad una vita soprannaturale e neanche tale da liberarlo da uno stato di colpa, che non può essere espiato dalla semplice penitenza. Per il Corano l’uomo peccatore che è pentito e desidera ricevere il perdono divino, può ottenere il perdono con la semplice offerta dell’agnello e la richiesta a Dio di essere perdonato.

L’uomo per il Corano non può neppure avere la confidenza che un figlio ha col padre, perché manca il mistero dell’incarnazione del Verbo e per conseguenza manca l’accesso dell’uomo alla figliolanza divina e la fruizione della grazia. L’uomo non può neppure sentire Dio come fratello, così come il cristiano può sentire Cristo come fratello. Il massimo di perfezione religiosa per il Corano è il prostrarsi in adorazione e in preghiera davanti a Dio riconoscendolo come l’unico vero Dio insieme col suo Profeta.

Il rapporto dell’uomo con Dio secondo il Corano raggiunge il massimo e si esaurisce nel rapporto di devozione ed obbedienza della creatura verso il creatore; non può raggiungere, come nel cristianesimo, un rapporto di figliolanza, rapporto basato sul fatto che il cristiano partecipa della stessa figliolanza di Gesù Figlio del Padre.

L’uomo, per il Corano, possiede il libero arbitrio, cosa evidente dal fatto che Dio legifera, comanda, raccomanda, proibisce, promette e minaccia. Tuttavia egli sembra nel contempo e contradditoriamente schiavo e succube di decreti divini irrazionali, violenti, arbitrari ed ingiusti, accettati supinamente e fatalisticamente per un falso concetto di fede, che offende la ragione e corrompe la condotta morale.

Se esaminiamo con attenzione il concetto coranico di Dio, ci accorgiamo che esso non dice nulla che non sia dimostrabile e raggiungibile dalla semplice ragione naturale. Eppure Maometto persuase i suoi che egli aveva ricevuto una rivelazione divina. Il Concilio stesso ammette che i musulmani riconoscono che «Dio ha parlato agli uomini».

Correggere il Corano?

Il problema è che nel Corano ci sono degli errori sul concetto di Dio. Questa non è rivelazione divina, ma, trattandosi di errori teologici perniciosi che durano da 14 secoli, non è escluso che essi vengano da un’oscura e potentissima suggestione diabolica, ignota agli stessi musulmani.

Il Corano avrebbe bisogno di correzioni, ma da 14 secoli non c’è verso di persuadere i musulmani, convinti di essere davanti ad un’intoccabile rivelazione divina fino alla minima parola: bisognerebbe farli ragionare. È chiaro che l’esegesi coranica è tuttora troppo letterale. Essa dovrebbe imparare dai moderni metodi storico-critici in uso nella Chiesa cattolica da più di un secolo. Essi ci aiutano a distinguere nella Scrittura ciò che è vera rivelazione di Dio, sacra, immutabile ed intoccabile, dalla parte dovuta all’agiografo, come tale superata o superabile, ed a volte erronea.

Ma purtroppo i musulmani, convinti come sono che Dio può rivelare o comandare cose contrarie alla ragione, l’uso della ragione che guida i suddetti metodi, a loro sembra un’empietà e sembra offendere Dio. A loro pare l’empia pretesa di correggere Dio. Non capiscono che Dio è il protettore e il garante, non il nemico della ragione. Ecco i guasti del volontarismo. Sentono in pericolo la loro fede, senza la quale vanno all’inferno. Per questo non c’è verso di persuaderli.

Sembrano vittime di un maleficio diabolico. Ma come se lo sono procurato? Come poterlo togliere? Come fanno i predicatori islamici a diffonderlo? Con le minacce? Su che cosa fanno leva? Su quali intereressi? Su quali aspirazioni? Quali sono i loro metodi? Occorrerebbe fare un attento studio. La Chiesa dovrebbe promuovere ricerche, dialoghi, sinodi, convegni e centri di studio. E sì che la Chiesa ha 2000 anni di esperienza di evangelizzazione: quanti popoli essa ha condotto a sé! Quanti pagani, idolatri, politeisti o fedeli di altre religioni o addirittura atei essa ha condotto a Cristo! Non son forse chiamati alla salvezza anche i musulmani?

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 agosto 2020

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[1] Cf Sura 6,101; 72,3. «Non si addice ad Allah prendersi un figlio» (sura 19, 35). «Dicono: “Allah Si è preso un figlio”» (sura 19,88); «Avete detto qualcosa di mostruoso» (sura 19,89).

 

[2]«Quando gli angeli dissero: “O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell'Altro, uno dei più vicini» (sura 3, 45); «A Gesù, figlio di Maria, abbiamo dato prove chiare e lo abbiamo coadiuvato con lo Spirito Puro» (sura 3,84); «Facemmo camminare sulle loro orme Gesù, figlio di Maria, per confermare la Torâh che scese prima di lui. Gli demmo il Vangelo, in cui è guida e luce, a conferma della Torâh, che era scesa precedentemente: monito e direzione per i timorati» (sura 4,46); «E quando Allah dirà: “O Gesù figlio di Maria, ricorda la Mia grazia su di te e su tua madre e quando ti rafforzai con lo Spirito Puro! Tanto che parlasti agli uomini dalla culla e in età matura. E quando ti insegnai il Libro e la saggezza e la Torâh e il Vangelo, quando forgiasti con la creta la figura di un uccello, quindi vi soffiasti sopra e col Mio permesso divenne un uccello. Guaristi, col Mio permesso, il cieco nato e il lebbroso. E col Mio permesso risuscitasti il morto. E quando ti difesi dai Figli d'Israele allorché giungesti con le prove. Quelli di loro che non credevano, dissero: "Questa è evidente magia"» (sura 4, 110).

[3] Sura 2,208; sura 3,45; sura 4, 157; sura 4,171 sura 4,171; sura 4,17; sura 4, 46; sura 4,72; sura 4, 75; sura 4,116; sura 5,46; sura 5,72; sura 5,110; sura 5,116; sura 9,31; sura 19,34; sura 23,20; sura 33,7; sura 43,57; sura 57, 27; sura 60, 6; sura 60,14,

[4] Sura 66,12.

[5] Sura 66,12.

[6] Sono certamente miscredenti quelli che dicono: “Allah è il Messia, figlio di Maria!” sura 4,110; !”. Mentre il Messia disse: “O Figli di Israele, adorate Allah, mio Signore e vostro Signore”. Quanto a chi attribuisce consimili ad Allah, Allah gli preclude il Paradiso, il suo rifugio sarà il Fuoco. Gli ingiusti non avranno chi li soccorra!» (sura 4,72); «O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di Allah, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Allah e nei Suoi Messaggeri. Non dite “Tre”, smettete! Sarà meglio per voi. Invero Allah è un Dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui! A Lui appartiene tutto quello che è nei cieli e tutto quello che è sulla terra. Allah è sufficiente come garante» (sura 4, 171); «E quando Allah dirà: “O Gesù figlio di Maria, hai forse detto alla gente: "Prendete me e mia madre come due divinità, all'infuori di Allah?", risponderà: “Gloria a Te! Come potrei dire ciò di cui non ho il diritto? Se lo avessi detto, Tu certamente lo sapresti, ché Tu conosci quello che c'è in me e io non conosco quello che c'è in Te» (sura 5,116).

[7] Sura 57,26; sura 45, 16; sura 69,6; sura 8,64; sura 8,70; sura 19,30.

[8] «Di': “Io non sono che un uomo come voi: mi è solo stato rivelato che il vostro Dio è un Dio unico. Rivolgetevi a Lui e implorate il Suo perdono”. Guai agli associa tori della Scrittura» (sura 41,6); «Abramo non era né giudeo, né nazareno, ma puro credente e musulmano. E non era uno degli associatori» (sura 3,67); «Di': “Dovrei forse scegliere per patrono qualcun altro oltre ad Allah, il Creatore dei cieli e della terra, Lui che nutre e non ha bisogno di esser nutrito?”. Di': “Mi è stato ordinato di essere il primo a sottomettermi”. Non siate mai più associatori» (sura 6, 14); «Quando poi siano trascorsi i mesi sacri, uccidete questi associatori ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati. Se poi si pentono, eseguono l'orazione e pagano la decima, lasciateli andare per la loro strada. Allah è perdonatore, misericordioso» (sura 9, 5); «Egli è Colui Che ha inviato il Suo Messaggero con la guida e la Religione della verità, onde farla prevalere su ogni altra religione, anche se ciò dispiace agli associatori» (sura 9,33); «Proclama con forza quello che ti è stato ordinato e rifuggi dagli associatori» (sura 15, 94).

[9] «Non dite “Tre”, smettete! Sarà meglio per voi. Invero Allah è un Dio unico. Avrebbe un figlio?» (sura 4 171); «Sono certamente miscredenti quelli che dicono: “In verità Allah è il terzo di tre”. Mentre non c'è dio all'infuori del Dio Unico!» (sura 4,73); «Sono certamente miscredenti quelli che dicono: “In verità Allah è il terzo di tre”. Mentre non c'è dio all'infuori del Dio Unico!» (sura 5, 73).

[10] Si pensi, per esempio, a un Gregorio Palamàs, il quale nel sec.XIV sfornò 30 obiezioni al Filioque, una più astrusa dell’altra.

[11] Edizioni Dehoniane, Bologna 1971.

[12] «E quando Allah dirà: “O Gesù figlio di Maria, ricorda la Mia grazia su di te e su tua madre e quando ti rafforzai con lo Spirito Puro!» (sura 4, 110); «E quando il tuo Signore disse agli angeli: “Creerò un uomo con argilla secca, tratta da mota impastata” (sura 15,28); «quando poi lo avrò plasmato e avrò insufflato nell’uomo del Mio spirito, prosternatevi davanti a lui» (sura 15,29); «Di': “Lo ha fatto scendere lo Spirito Puro con la verità [inviata] dal tuo Signore, per rafforzare coloro che credono, come guida e buona novella per i musulmani» (sura 16 102); «E [ricorda] colei che ha mantenuto la sua castità! Insufflammo in essa del Nostro Spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per i mondi» (sura 21, 91);  «Dopo che avrò ben formato l’uomo e avrò soffiato in lui del Mio Spirito, gettatevi in prosternazione davanti a lui” (sura 38,72); «Egli è Colui Che eleva ai livelli più alti, il Padrone del Trono. Invia il Suo Spirito su chi vuole tra i Suoi servi, così che questi possa avvertire del Giorno dell'Incontro» (sura 40,15); «Ed è così che ti abbiamo rivelato uno spirito [che procede] dal Nostro ordine. Tu non conoscevi né la Scrittura, né la fede. Ne abbiamo fatto una luce per mezzo della quale guidiamo chi vogliamo, tra i Nostri servi. In verità tu guiderai sulla retta via» (sura 42,52); «Rimetterà i peccati e volgerà al bene lo spirito di coloro che credono e compiono il bene e credono in quel che è stato rivelato a Muhammad. Questa è la verità che proviene dal loro Signore» (sura 47,2); «E Maria, figlia di Imrân, che conservò la sua verginità; insufflammo in lei del Nostro Spirito. Attestò la veridicità delle Parole del suo Signore e dei Suoi Libri e fu una delle devote. A Gesù, figlio di Maria, abbiamo dato prove chiare e lo abbiamo coadiuvato con lo Spirito Puro. E se Allah avesse voluto, quelli che vennero dopo di loro non si sarebbero uccisi tra loro, dopo aver ricevuto le prove. Ma caddero nel disaccordo: alcuni credettero e altri negarono» (sura 66,12); «O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di Allah, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno spirito da Lui [proveniente]» (sura 4, 171).

[13] «Tese una cortina tra sé e gli altri. Le inviammo il Nostro Spirito che assunse le sembianze di un uomo perfetto» (sura 19,17); «Il Giorno in cui lo Spirito e gli angeli si ergeranno in schiere, nessuno oserà parlare, eccetto colui cui il Compassionevole l'avrà permesso e che dirà cose vere» (77,38); «In essa discendono gli angeli e lo Spirito, con il permesso del loro Signore, per [fissare] ogni decreto» (sura 97, 4).

[14] Cf La Trinità come Storia, Edizioni Paoline, 1985. Titolo sconveniente. La Trinità trascende la storia e non fa parte della storia. Non esiste una storia della Trinità come il racconto dei tre moschettieri. Non è certo questo il modo di presentare la Trinità ai musulmani per non farli ridere.

[15] Dall’inno Dies irae, di Innocenzo III.

 

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