La vera
truffa sul sacerdozio
Un
increscioso malinteso
È molto spiacevole ed increscioso il
malinteso verificatosi tra due eminentissimi personaggi della Chiesa, il Card. Sarah
e il Papa emerito, riguardo all’appena pubblicato libro sul sacerdozio, che
porta la firma e la foto di entrambi. La cosa tanto più dispiace, in quanto ci troviamo
inaspettatamente di fronte ad un dissapore
tra due campioni della fede e della comunione ecclesiale, quando essi
scarseggiano e imperversano invece i nemici
e i falsi amici della sana dottrina e della Chiesa.
Non ho lo letto il libro, ma, conoscendo la saggezza
e la competenza degli illustri Autori, posso ben immaginarne il contenuto, che
sarà certamente in piena conformità con la dottrina cattolica, di edificazione
per le anime ed utilità per la Chiesa. Molto di più allora si resta stupiti ed addolorati
per il grave malinteso, che oggettivamente genera sconcerto e scandalo, mentre
dà ulteriore spazio alle secolari contestazioni, irrisioni e disprezzo degli
empi e dei nemici della Chiesa per il sacerdozio cattolico, in particolare per
il celibato sacerdotale, che pare essere il tema centrale del libro.
Senza voler stabilire delle responsabilità,
questione per me troppo complessa, ed astenendomi dall’esprimere giudizi sui
dettagli del fatto, mi limito a constatare e commentare il fatto in sé stesso,
per quanto ho potuto sapere dai resoconti della stampa, in particolare del
vaticanista Andrea Tornielli. Da come ho capito, il libro presenta con grande
convinzione e calore il valore del celibato sacerdotale fondandosi su alti
valori umani e spirituali, ricavati dall’esperienza e dalla dottrina tradizionale.
Invece, da quello che ho potuto sapere, nel
libro non si fa cenno al fatto che il Papa, in casi particolari, può concedere
il sacerdozio coniugato. Il fatto che Papa Francesco abbia più volte, in accordo
col Concilio Vaticano II e gli ultimi Papi, ribadito categoricamente la sua volontà
di mantenere la legge del celibato, non vuol dire che un domani non possa concederlo,
perché, come è noto, il celibato non entra nell’essenza del sacerdozio, ma è solo
un’antica pratica assai conveniente e raccomandabile, tassativamente prescritta
dalla Chiesa solo dal sec.XII, mentre è noto che nei primissimi tempi del cristianesimo,
anche il vescovo poteva essere coniugato, come risulta da S.Paolo (I Tm 3,
1-5), il quale concede, per non dire prescrive il matrimonio del vescovo con un
argomento di buon senso a fortiori:
se un vescovo non dà prova di saper governare
bene la propria famiglia, come potrà essere all’altezza di ben governare quella
famiglia assai più vasta che è la comunità diocesana?
La
Chiesa preferisce il sacerdozio celibe,
ma
non nega la possibilità di affiancarlo a quello coniugato
La Chiesa
manterrà sempre una stima speciale per il sacerdozio celibatario, perché, libero
da tutti per servire tutti, nella rinuncia a una propria famiglia e ad una
proprietà privata rappresenta
l’espressione massima della dedizione totale di un uomo a Dio e al prossimo
sull’esempio della Beata Vergine Maria, di Cristo e degli apostoli, anche se
ciò ovviamente non esclude amicizie maschili e femminili e un moderato possesso
delle cose necessarie alla vita.
Il celibato è conveniente al sacerdote, ma,
secondo l’istituzione di Cristo, non entra nell’essenza del sacerdozio e quindi
non è di per sé necessario all’esercizio del sacerdozio. Basti solo pensare che
S. Pietro era sposato. L’essenza del sacerdozio è stata dogmatizzata dal
Concilio di Trento nella seguente formula: «potestas consecrandi et offerendi
verum corpus et sanguinem Domini et peccata remittendi» (Denz. 1771). Non si fa
parola di celibato.
E tuttavia esso è uno stato conveniente,
perché favorisce la donazione totale di sé a Dio e al prossimo propria del
sacerdote. Ma non è detto che il sacerdote non possa realizzare tale donazione,
seppur in grado inferiore, anche nello stato coniugale. Infatti, la donazione
totale di sé a Dio è un obbligo per tutti. Noi siamo totalmente dipendenti da Dio,
Gli dobbiamo tutto quello che siamo. Per questo, non possiamo darGli solo
qualcosa, ma dobbiamo darGli tutto.
La differenza tra i vari stati di vita sta
solo nella quantità delle mediazioni
che usiamo nel donarci a Dio. Meno sono queste mediazioni, più diretto e
spedito è il contatto con Dio e quindi più perfetta è la donazione totale di sé.
Solo a Dio ci si può e ci si deve donare totalmente e incondizionatamente. A
una creatura, anche la più amata, ci si deve donare tanto quanto è amabile e
quanto il suo bene personale esige, bene che come tale è limitato.
Inoltre, alla creatura non dobbiamo tutto come
lo dobbiamo a Dio. Per questo il sacerdote coniugato può mantenere la propria
donazione a Dio, anche se si vale di una mediazione – la sua famiglia -, che
rende il suo rapporto con Dio meno diretto di quello del sacerdote celibe; per
questo, la Chiesa preferisce lo stato di quest’ultimo, senza negare la
possibilità del sacerdote coniugato.
Per chiarire questo fatto di diversi livelli
di autodonazione a Dio, possiamo portare l’esempio del sacerdote religioso e di
quello diocesano. Il livello di autodonazione del primo è superiore a quello
del secondo, perché il sacerdote religioso aggiunge al suo sacerdozio la
pratica di una regola di perfezione, che ha precisamente lo scopo di rendere
più diretto, facile ed immediato il rapporto con Dio.
Il sacerdozio coniugato invece è più assimilato
al laico e a contatto con le realtà terrene, seppure in vista di quelle
celesti. Il matrimonio, di per sé, non esclude lo stato sacerdotale, perché
esso non entra in competizione con la donazione di sé a Dio propria del sacerdozio, la quale è una donazione diretta, mentre il matrimonio è di per sé donazione di sé ad una creatura e solo mediatamente a Dio. Mentre allora il sacerdote celibe si dona a Dio direttamente, il sacerdote coniugato si dona a Dio mediante la sua famiglia.
Il suo
ministero può essere assimilato a quello di un libero professionista: medico,
avvocato, insegnante. Il suo tempo per il ministero sacerdotale è limitato dagli
impegni familiari, ma occorre tener presente che ciò che conta, più che la
quantità di tempo, è la qualità.
In tal modo, il documento preparatorio del Sinodo
sull’Amazzonia accenna all’eventualità di preti sposati in Amazzonia. Vedremo che
cosa dirà il Papa nel documento postsinodale, che ormai è in stato di avanzata
preparazione. Ma quello che mi preme dire in questo articolo è che, ancor prima
di chiarire se un prete può o non può essere sposato, occorre secondo me affrontare
gravissime questioni preliminari, che vanno ben più alla radice di questa sul
celibato, e che toccano l’essenza del
sacerdozio cattolico. È in questo campo importantissimo della dogmatica
cattolica che purtroppo esistono posizioni ereticali, come quelle di
Schillebeeckx[1] e di
Rahner[2],
alle quali da 40 anni attendiamo ancora dal Magistero una risposta risolutiva
ed efficace.
C’è un
problema più a monte rispetto a quello del celibato
Che importanza può avere chiedersi se conviene
o non conviene un sacerdozio coniugato, se prima non è chiaro per tutti qual è la vera essenza del sacerdozio?
Se, come sostengono Schillebeeckx e Rahner, i sacramenti non conferiscono la
grazia a chi non ce l’ha, ma sono segni empirici della grazia già da sempre da
tutti posseduta atematicamente («cristiani anonimi»), se l’essenziale del
ministero sacerdotale non sta nella celebrazione della Messa e nel confessare,
ma nel fare da «presidente dell’assemblea», se il sacerdote non è l’uomo del
sacro, ma un operatore sociale, se si è respinto il termine stesso «sacerdote»,
perché sa di una mentalità «sacrificale», che viene sostituita col termine «ministro»,
se la divisione del ministero in gradi gerarchici non è fondata sul Nuovo
Testamento, ma ha preso spunto dall’Impero Romano, se la Messa non è un «sacrificio»,
ma un banchetto, perché Cristo non si è sacrificato, ossia non ha espiato o soddisfatto
per noi per giustizia al Padre per nostri peccati, ma tutti sono perdonati da
Dio in Cristo senza bisogno di espiazioni o sacrifici cultuali, se qualunque
battezzato, in base al solo battesimo, uomo, donna od omosessuale può dir
Messa, se la transustanziazione è sostituita dalla transignificazione o
dall’impanazione, e se il sacerdote è autorizzato a contraddire al Magistero
della Chiesa, c’è da chiedersi che senso abbia discutere sul celibato sullo
sfondo di una simile paurosa confusione dottrinale e col rischio di basarsi su di
una concezione errata del prete.
La cosa più urgente e logica da fare sembra
dunque essere il correggere queste idee sul sacerdozio. Altrimenti la
discussione sul celibato, senza una base chiara e condivisa circa la giusta nozione
del sacerdozio, rischia di fondarsi sull’equivoco e di costruire la casa sulla
sabbia, secondo il paragone evangelico, nel mentre che molti preti sviati da
queste idee, finiscono per procurarsi l’amante, per cedere alla pedofilia, per
prendersi il marito, per andare a donne o per lasciare il ministero, dopo aver
perso di vista o non aver mai conosciuto, per una cattiva formazione
seminariale, quella che è la vera dignità del sacerdote.
D’altra parte, non è per frenare o porre
termine a queste miserie, che la Chiesa può essere giustificata nel concedere in
alcuni casi speciali il sacerdozio a uomini sposati, quasicché il matrimonio possa
rimediare alla concupiscenza, saziandone e egalizzandone le brame. Su questo
punto la dottrina di S. Paolo non è certamente Parola di Dio. Infatti, un matrimonio
del genere non estingue affatto la concupiscenza, ma le dà solo un’apparenza di
legalità, che sa molto di ipocrisia.
Sarebbe assolutamente inopportuno che un uomo
sposato con questa mentalità aspirasse al sacerdozio, non darebbe alcuna
garanzia di riuscita. La ragione valida per l’eventuale ordinazione di uomini sposati
non può esser quella di sperare in tal modo di aumentare il numero dei preti, legalizzando
la concupiscenza per mezzo del matrimonio, ma solo quella di affiancare a un sacerdozio
celibatario, dopo prudentissimo vaglio, un sacerdozio coniugato, perché, come ho
scritto di recente su questo blog nel mio articolo Sacerdozio celibatario e Sacerdozio coniugato, essi sono reciprocamente
complementari, soprattutto per quanto riguarda la pastorale della famiglia e del
matrimonio.
Mettiamo
ordine nella nozione del sacerdozio
e
così saremo persuasivi nel proporre il celibato
Io pertanto
vorrei rivolgere ai due eminentissimi interpreti e custodi della sana dottrina,
il Papa emerito e il Card. Sarah, non senza pensare anche al Santo Padre,
Dottore supremo della Fede ecclesiale, la seguente supplica, che vorrebbe
essere anche un consiglio ed esortazione: invece di questionare su firme o non firme, considerando proprio l’impellente urgenza
di sostenere e difendere vigorosamente contro i persistenti attacchi il valore permanente del celibato sacerdotale,
vogliate ricordarci piuttosto, come indispensabile premessa dogmatica alla comprensione
ed all’apprezzamento della legge del celibato, quella che è la dottrina di fede sull’essenza del sacerdozio
e sulle sue funzioni essenziali, facendo pulizia di tutte le false dottrine
sul sacerdozio, che tuttora da 50 anni contaminano gli stessi istituti educativi
della Chiesa, fino alle Facoltà pontificie, generando falsi preti e canne
sbattute dal vento.
Come fa a praticare il celibato un prete che
fa confusione, non sa o erra su ciò che è il prete? È solo sulla base del
suddetto fondamento dogmatico e come sua conseguenza pratica, condivisa e comunemente
accettata da tutti i cattolici, che la suddetta nobile perorazione può aver la
probabilità di risultare persuasiva e credibile.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato, 15 gennaio 2020
[1] Opere di Schillebeeckx: Il celibato
del ministero ecclesiastico, Edizioni Paoline, Roma 1968; La presenza eucaristica, Edizioni
Paoline, Roma 1968; Il ministero nella
Chiesa, Queriniana, Brescia 1982; Per
una Chiesa dal volto umano, Queriniana, Brescia 1986, pp.135-136; 241-303;
mie pubblicazioni: Voce EDWARD SCHILLEBEECKX, nel DIZIONARIO ELEMENTARE DEL
PENSIERO PERICOLOSO, Istituto di Apologetica, Milano 2015; EDWARD
SCHILLEBEECKX. UN CONFRATELLO ACCUSA, Edizioni Chorabooks di Aurelio Porfiri,
Hong Kong.
[2] Opere di Rahner: La figura
del prete moderno, Edizioni Paoline, Roma 1979; Esercizi spirituali per il sacerdote. Iniziazione all’esistenza
sacerdotale, Queriniana, Brescia 1974; miei scritti: Karl RahnerRahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura,
Verona 2009, pp.255-266; IL CONCETTO DI SACERDOZIO IN RAHNER, ne Il sacerdozio ministeriale: “L’amore del
Cuore di Gesù”, Atti del Convegno Teologico Internazionale organizzato dai
Francescani dell’Immacolata, a cura di P.Stefano M.Manelli, FI e P.Serafino
M.Lanzetta, FI, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV), 2010, pp.183-230.
Scusi Reverendo Padre , ma quale grave malinteso? E' del tutto evidente che tra Benedetto XVI e il Card. Sarah c'è stata totale convergenza sulle modalità di pubblicazione. Il Card. Sarah di fronte a certe insinuazioni, subito balzate alla ribalta, ha mostrato le prove in mondovisione. Può darsi che altri abbiano equivocato, ma anche in questo caso il goffo tentativo di ridimensionare la portata del testo negandone la paternità è destinato a fallire (anzi è già fallito dato il successo di vendita)
RispondiEliminaCaro Angheran, il malinteso, come sanno tutti, è collegato col fatto che in un primo tempo Papa Benedetto esigeva che fosse tolta la sua firma dal libro.
Elimina