Riflessioni sul composto umano - Seconda Parte (2/3)

 Riflessioni sul composto umano

Seconda Parte (2/3)

La persona come individuo della specie umana

Per Aristotele non l’individuo concreto, ma l’universale, ossia l’essenza specifica è oggetto di scienza. Occorre astrarre l’universale dal particolare. Si ragiona o sillogizza e si operano dimostrazioni lavorando su essenze, non su individui o casi concreti.  

Si può definire scientificamente la specie o l’essenza universale ma non l’individuo, non l’essenza individuale, perché in questo caso non è possibile comporre un giudizio nel quale si possa predicare la differenza rispetto al genere, dato che l’individuo per sua natura è al di sotto della specie e fruisce di una pura unità numerica. L’individuo è diverso da un altro individuo.

L’individuo può essere percepito, può essere sperimentato, ma non definito, non concettualizzato scientificamente. La specie si può suddividere in sottospecie. Ma l’individuo è in-dividuo, non si può ulteriormente dividere in individui come la specie. È lui e solo lui.

L’individuo non differisce da un altro individuo in qualcosa, che possa essere determinato e separato da ciò che ha di comune con lui. No. L’individuo differisce in tutto da un altro individuo. I due possono essere somiglianti, ma non mai identici, così come è identica in essi la loro essenza umana specifica. Io posso dire che l’uomo differisce dall’animale per il possesso della ragione. Ma non posso definire, bensì solo indicare a dito o con altri segni o descrivere narrativamente, esibendo semplici dati di fatto, notizie biografiche e caratteri concreti o una serie d fotografie, la differenza tra Biden e Putin.

L’individuo umano non differisce da un altro per una differenza formale, come avviene tra due essenze specifiche, ma solo materialmente, secondo differenze empiriche constatabili caso per caso. L’anima umana individuale, invece, differisce da un’altra per una differenza formale perché è spirituale. È questo l’apporto della Scrittura rispetto alla psicologia di Aristotele. Per lui l’individuo è solo oggetto del senso. Per la Scrittura invece l’individuo umano, la persona, è oggetto di un’intuizione intellettuale, come lo è, del resto, la propria anima mediante l’autocoscienza[1].

Per Aristotele il principio di individuazione dell’uomo è la materia segnata dalla quantità: il naso di Leopardi è diverso dal naso di Manzoni perché il naso di Leopardi è adunco, mentre quello di Manzoni è affilato. Ma occorre dire che in realtà il criterio di fondo nel distinguere Manzoni da Leopardi è la differenza della loro anima, che non è sufficientemente determinata dalla diversità del naso, ma dalla differenza formale o spirituale tra le due anime.

In altre parole dalla Scrittura ricaviamo che la differenza tra due persone umane non dipende solo dalla diversità dei corpi, ma anche e innanzitutto dalla diversità delle loro anime, create diverse da Dio in vista di animare quei dati corpi, mentre è indubbio che la diversità materiale influisce su quella spirituale.

Così l’anima maschile è differente da quella femminile, in modo tale che si può supporre l’anima razionale come genere, le cui differenze sono il maschile e il femminile. Supponendo allora il genere animale, le cui differenze sono l razionale e l’irrazionale, il razionale è a sua volta un sottogenere, le cui sottospecie sono il maschile e il femminile[2].

Nella sostanza materiale l’individuo è distinto dalla specie. Ma la specie comprende sotto di sé più individui tra loro distinti per differenze individuali: Socrate non è l’umanità, ma soltanto un individuo della specie umana. Tuttavia tra due anime umane esiste una differenza non solo individuale, ma anche formale, perché sono forme spirituali e la forma spirituale è di per sé una specie intellegibile. Ogni anima umana può essere oggetto di un’intuizione intellettuale. Ogni anima è differente dall’altra non solo perchè è forma di un dato corpo, ma lo è per se stessa, tanto è vero che essa mantiene la sua identità anche quando è separata dal corpo.

Aristotele non è arrivato a capire che la scienza non è solo scienza dell’universale al quale sottostanno degli individui materiali, ma anche dell’universale, che è esso stesso un individuo immateriale, e questo è appunto la sostanza spirituale, la persona, l’anima e l’angelo. In tal modo l’angelo è una specie a sé nella quale l’individuo coincide con la specie. Tra un angelo e un altro esiste una differenza specifica.

Michele e Raffaele sono due differenze specifiche del genere angelo. Tuttavia qui il genere non fa la parte della materia in senso fisico, ma solo in senso logico, perché gli angeli non sono composti di materia e forma, ma sono pure forme senza materia.

Nel caso dell’anima umana si dà una differenza ad un tempo formale e individuale: formale, in quanto l’anima è spirito; individuale in quanto è forma di un corpo. Chi riduce la differenza fra due anime umane a una differenza puramente individuale le abbassa al livello dell’anima dell’animale, come ha fatto Hume. Chi le vede distinte solo formalmente le confonde con l’angelo, come ha fatto Cartesio. Hume invece ignora che sono forme del corpo. Ogni anima umana è quindi oggetto di scienza perché è un’essenza individuale ed universale ad un tempo: individuale in quanto forma di quel dato corpo; universale in quanto spirito.

Tuttavia questa scienza dell’anima individuale non può essere sillogistica ed argomentabile dimostrativamente, perchè è impossibile l’uso dei generi e delle specie, ma è solo intuitiva e descrittiva. Ma è vera scienza perché è scienza dell’universale e l’universale è appunto lo spirito, come aveva capito anche Hegel. È, per dirla con Husserl, una wesenschau, una visione dell’essenza simile alla visione platonica dell’idea. Essa è supremamente la scienza del sacerdote, guida delle anime.

Natura dell’anima come forma del corpo

L’anima, in generale, è il principio della vita di un soggetto materiale adatto. La sostanza materiale di per sé non è vivente. Se manifesta le opere della vita, autoconservazione, autoriproduzione, autodifesa, autoaccrescimento, autoperfezionamento, ciò è il segno che ha un’anima: la pianta come l’animale come l’uomo. Si tratta di un corpo animato o di una sostanza vivente. L’anima, quindi, in ogni vivente materiale, si unisce ad un corpo per dargli forma, farlo vivere e compiere le opere della vita.

Non sempre l’anima è spirito; non sempre, cioè, l’anima è una forma semplice ed inestesa, superiore al corpo, capace di sussistere ed agire senza il corpo; ciò avviene solo nell’uomo. Nelle piante e negli animali l’anima è per un verso materiale e per un altro verso è immateriale: materiale, in quanto l’anima non agisce da sé, ma solo congiuntamente al corpo: immateriale, in quanto la sua azione non è transitiva, come nei corpi inanimati, azione che esce o emana dal soggetto nello spazio, ma è immanente, ossia azione che il soggetto compie per l’attuazione e il perfezionamento di se stesso.

L’anima infraumana, dunque, è immateriale nel senso suddetto, ma non spirituale, così come abbiamo definito lo spirito. L’anima umana è tutta in tutte le parti del corpo, restando semplice; l’anima dei viventi inferiori infraumani è l’ordine vitale spaziotemporale del corpo vivente ed agisce solo in collaborazione con un organo; per cui non è tutta in tutte le parti del corpo, ma si divide in diverse parti a seconda dell’organo che vivifica. In quanto dà vita al cuore è diversa da quella parte che dà vita al cervello e così via.

Succede allora che al momento della morte dell’individuo, allorchè l’anima sensitiva, indebolitasi nelle forze, non riesce più a governare il corpo, sorge un fenomeno simile a quello della morte dell’uomo e cioè le forze fisico-chimiche del corpo non smettono di agire, perché obbediscono agli impulsi e alle leggi della natura. Esse, come aveva capito Lavoisier, non conoscono la morte, ma solo l’evoluzione e la trasformazione. Ebbene, che cosa succede? Che in questo contrasto tra le forze dell’anima e quelle del corpo, a un certo punto, calando quelle e queste rimanendo le stesse, vengono a vincere le forze dell’anima.

E che succede all’anima? Un destino diverso nell’uomo e nei viventi inferiori. L’anima infraumana, che esiste solo come organizzazione degli organi del vivente, estesa per tutto il corpo in modo diversificato negli organi del vivente, venendo meno l’organizzazione dipendente dalle forze dell’anima, che non sono più in grado di sostenerla, cessa di esistere e ritorna nella potenzialità della materia del vivente, materia, la quale non è più animata, per cui essa assume quella configurazione chimico-fisica, che è propria del cadavere.

Nell’uomo, invece, come vedremo meglio più sotto, l’anima, capace di agire senza organo fisico, come agisce da sè, così sussiste da sé. Non essendo estesa e diversificata nei singoli organi del vivente, anche se le forze chimico-fisiche  vincono l’indebolimento della forza vivificante dell’anima, tutto quello che possono ottenere o causare è semplicemente che l’anima ritiri il suo influsso vivificante e informante nei confronti della materia del corpo, ma l’anima, sussistendo da sé indipendentemente dalla materia, ed anzi essendo lei a far sussistere il composto umano, continua ad esistere eternamente, come forma semplice incapace di dissolversi o di disintegrarsi o di decomporsi. Il composto si decompone, ma non può decomporsi ciò che non è composto. Ossia il semplice resta semplice. In tal senso si dice che l’anima umana è immortale.

L’uomo è dunque una sostanza composta dei due generi massimi del mondo della creazione: la sostanza corporea o materiale, generabile e corruttibile, che cade sotto i nostri sensi ed agisce fisicamente nello spaziotempo; e la sostanza spirituale, ossia, nel caso dell’uomo, l’anima spirituale, percepibile al solo intelletto, immortale, che agisce immaterialmente indipendentemente dallo spaziotempo.

Il Concilio di Viennes, poi, del 1312, definirà che l’«anima razionale o intellettiva è di per sé ed essenzialmente forma del corpo» (Denz.902). Il Concilio presuppone il concetto, già elaborato da Aristotele, di sostanza materiale composta di materia prima e forma sostanziale.  L’uomo è quindi una sostanza materiale o un corpo informato o animato da una forma sostanziale spirituale, che è l’anima.

Il dettato di questo Concilio viene a precisare la dottrina del precedente, ossia il Lateranense IV, per la quale non è chiaro come l’uomo possa essere un’unica sostanza, la persona, se è composto di due sostanze, spirito e corpo. Il Concilio di Viennes precisa che l’anima umana non è una sostanza spirituale completa, quindi una natura completa, come l’angelo, ma è incompleta, perché è solo forma del corpo; pertanto la sostanza completa, ossia la natura umana completa, l’uomo completo, è la sostanza composta di anima e corpo, cioè la persona.

Resta la questione della sussistenza della forma umana, ossia dell’anima spirituale. Certo lo spirito di per sé è immortale. Tuttavia l’uomo è corruttibile e mortale. Al momento della morte la materia corporea perde la sua forma sostanziale. Che la sostanza spirituale completa, l’angelo, sia immortale, non c’è dubbio. Ma è immortale anche quella sostanza incompleta che è l’anima umana? Ossia: l’anima umana è capace di sussistere da sé anche senza il corpo? Il Concilio Lateranense del 1513 sentirà quindi il bisogno di definire dogmaticamente che l’anima umana è immortale (Denz.1440). E con questa sentenza la Chiesa ha chiarito la dottrina rivelata circa la natura umana. Da allora non ha fatto che ribadire questi dogmi, condannando gli errori contrari.

Questo non vuol dire che non ci sia stato lavoro da fare per i fisici, i biologi, gli antropologi e gli psicologi. La questione che appare ancora aperta e che non è stata chiarita dogmaticamente è come avviene l’unione dell’anima col corpo e corrispettivamente che cosa avviene con la morte, per la quale l’anima continua a sussistere dopo la corruzione del corpo. Che significa, in sostanza, il morire per l’uomo?

Occorre tener presente che il corpo umano è l’uomo, è la persona umana. È un corpo animato da un’anima spirituale. Essa dà forma sostanziale alla materia prima del corpo. Al momento della morte la materia prima è abbandonata dalla forma sostanziale e viene ad essere informata dalla forma delle sostanze chimiche che componevano il corpo durante la vita.

L’anima informa e vitalizza direttamente il corpo, ma non agisce, non muove, non governa, non agisce direttamente. È forma sussistente, ma non è azione sussistente, perchè l’azione nelle forme create è accidente della forma come sostanza. Infatti la forma fa capo all’essenza: l’azione all’essere. In tal senso nella creatura agere sequitur esse, come dicono gli Scolastici. Solo Dio, essenza coincidente col suo essere, è Azione sussistente o, come dice San Giovanni, Dio è Amore. Così, mentre l’anima è permanente, le azioni delle singole facoltà ora sono in potenza ora sono in atto. Se l’anima coincidesse col suo agire, cessando l’agire, dovrebbe cessare di esistere l’anima.

L’anima emana da sé tre ordini di potenze vitali: 1) le facoltà spirituali dell’intelletto e della volontà, che portano con sé l’attività della coscienza e della memoria intellettuale; esse costituiscono l’azione  suprema della vita personale, intellettuale, culturale, sociale e religiosa; 2) le facoltà psichiche, governabili dalla volontà, sono la conoscenza sensibile dei sensi esterni ed interni, l’appetitività o affettività sensibile orientata al possesso del bene sensibile e piacevole; e l’aggressività o irascibilità, orientata al respingimento del male e del doloroso; 3) il sistema neurovegetativo, funzionante indipendentemente dalla volontà. Abbiamo qui la biologia e la fisiologia della nutrizione e della riproduzione della specie.

Degna di nota nella vita della persona è la vita sessuale di relazione uomo-donna, che impegna l’anima in una guida del corpo sia nella direzione dell’autoperfezionamento morale della persona che nell’esercizio dell’affettività e dell’amore sui tre piani vitali della persona spirituale, psichico e vegetativo nella modalità di una reciproca complementarità su tutti e tre piani. L’influsso dello spirito sulla sessualità si combina con l’influsso della sessualità sullo spirito.

Il sesso fa da fattore di congiunzione fra l’anima e il corpo, perché la dimensione spirituale del sesso, ossia l’unione spirituale uomo-donna dà forma ed espressione al sesso corporeo, mentre per converso questo determina dal basso la sessualità dello spirito.

La nutrizione è di per sé attività dell’anima sensitiva sulla base della fisiologia della nutrizione presieduta dall’anima vegetativa, ma nell’uomo è governata dalla volontà. La nutrizione incrementa e mantiene in vita fisicamente l’animale. Secondo la fede cristiana l’uomo può nutrirsi di un cibo e di una bevanda fisici, che tuttavia nutrono l’anima ed anzi la elevano a una vita soprannaturale.

 Questo cibo è la carne di Cristo e la bevanda è il suo sangue. Il sacramento dell’Eucaristia mostra un aspetto del rapporto dell’anima col corpo, per il quale il corporeo è strumento di divinizzazione dello spirito. Poiché questo cibo è Dio stesso sotto le specie eucaristiche, l’Eucaristia è un cibo che non assume la forma della persona, ma è la vita spirituale della persona che viene innalzata alla divinità divina di questo cibo.

Nell’Eucaristia non è la materiale che soggiace allo spirituale umano, ma è lo spirito umano che soggiace alle specie eucaristiche contenenti la presenza reale di Cristo. Lo spirito umano è nutrito da un’umile materia che non è più la materia del pane e del vino, ma è la materia del corpo e del sangue di Cristo. Il corpo mangia la carne e il sangue di Cristo e l’anima viene cristificata.

La questione delle facoltà umane

La Chiesa non ha definito dogmaticamente l’esistenza e la qualità delle facoltà o potenze dell’anima umana. Tuttavia nel 1663 ha messo all’Indice le opere di Cartesio e nel 1827 quelle di Kant. Questa materia, tuttavia, è tuttora affidata alla psicologia razionale ed a quella sperimentale, ma è talmente importante in rapporto alla salvezza eterna e sono talmente gravi gli errori oggi in circolazione, che non è escluso che un futuro Concilio o un futuro Papa ci forniscano una dottrina dogmatica circa le facoltà dell’anima. Il germe di questa dogmatica l’abbiamo nella dottrina del Concilio Vaticano I, laddove la Chiesa definisce l’esistenza e il valore della conoscenza intellettuale e razionale capace di dimostrare l’esistenza di Dio, condannando la concezione materialistica.

Successivamente San Pio X nella Pascendi avrebbe ricordato il valore della metafisica; Pio XII nell’enciclica Humani Generis avrebbe condannato la gnoseologia idealista. Il Concilio Vaticano II ha ricordato la dogmatica concernente la dignità della persona umana ed ha condannato l’ateismo. San Paolo VI ha ricordato il valore dei concetti dogmatici. San Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor ha insegnato l’assolutezza della legge morale naturale e nella Fides et ratio ha ribadito il valore della ragione naturale e della filosofia. Interessante è l’insegnamento di San Giovanni Paolo II sulla reciprocità fra uomo e donna. Benedetto XVI ha condannato lo scientismo positivista. Papa Francesco ha condannato lo gnosticismo e il pelagianesimo ed ha ribadito la condanna dell’idealismo.

Credo tuttavia che sarebbe cosa buona, urgente, utile e opportuna se la Chiesa definisse l’esistenza, la natura, il potere, l’oggetto, il fine e i limiti almeno delle due facoltà principali, l’intelletto e la volontà, possibilmente in rapporto alle potenze sensitive e vegetative, in modo da avere un quadro completo delle potenze vitali dell’uomo, sempre, s’intende, con l’occhio rivolto alle esigenze della salvezza.

Il Magistero della Chiesa, soprattutto a partire dalla fine del sec. XIX, ha fatto un grande sforzo nella elaborazione della sua dottrina sociale e nel secolo scorso, con San Giovanni Paolo II, ha fortemente consolidato la sua dottrina morale. Anche Papa Francesco insiste molto sui doveri sociali, e fa bene. Tuttavia, ciò di cui oggi si sente il bisogno è quello di dare fondamento razionale alla morale personale, sociale, politica e religiosa.

Per essere veramente persuasiva e convincente, per fornire certezza e speranza, per suscitare decisione, coraggio, fermezza, perseveranza, fervore ed entusiasmo, disponibilità ad affrontare le fatiche, i sacrifici e le rinunce necessarie, la Chiesa deve spiegare il perché ultimo dell’impegno morale, che Dio chiede all’uomo, in modo che gli uomini non dicano: «chi me lo fà fare? Preferisco godermi la vita presente piuttosto che vagare tra le nuvole e le astrazioni metafisiche ed escatologiche».

I cattolici devono sì dare l’esempio, ma devono anche saper suscitare l’interesse per le cose spirituali e il loro primato su quelle materiali, l’interesse per le cose dell’anima, più importante del corpo, per la vera dignità dell’uomo creato ad immagine di Dio, destinato a diventare figlio di Dio, spiegare al mondo con fondate ragioni filosofiche, confortate dalla loro dogmatizzazione, perché e in vista di che cosa agiscono come agiscono.

E tutto ciò non si ottiene se non per mezzo di una sapiente predicazione, argomentazione ed evangelizzazione, che dia significato e spiegazione intellegibile ai concreti gesti compiuti ed alle singole azioni morali.  Certo, senza l’esempio pratico la dottrina morale non è credibile, ed è vero che esistono gesti che parlano da soli, ma soprattutto l’agire cristiano, soprannaturalmente motivato in base ai dogmi della fede, risulta inintellegibile e insignificante, se non viene pazientemente, saggiamente e caritatevolmente spiegato con la parola e la dottrina. L’agire umano non è per imitazione come quello degli animali, ma dev’essere fondato sul ragionamento e per il cristiano sulla fede.

La morte dissolve il corpo, ma l’anima continua a sussistere da sola

L’insieme delle sostanze chimiche, che compongono il corpo, all’atto della morte, perde gradatamente col passar del tempo, secondo le leggi della chimica e della fisica, sotto l’influsso degli agenti fisico-chimici ambientali, la sua organizzazione, configurazione e composizione, che aveva grazie all’anima. Il corpo perde la forma umana e quindi perde quella configurazione fisica unitaria ed armoniosa, che era garantita dalla presenza animatrice dell’anima.

 Assume la forma del cadavere, corpo senza vita. Conserva per un certo tempo, sebbene già imperfettamente, le fattezze che erano del corpo vivo, ma, mano a mano che nel corso del tempo avanza il processo di corruzione o dissoluzione e si svolgono i processi chimici in atto nel cadavere, la configurazione o strutturazione del cadavere sempre più si allontana da quella che aveva il corpo sotto il dominio dell’anima.

Le forze chimiche del corpo, al momento della morte, non sono più governate dall’anima, ma cominciano ad evolversi in modo autonomo, soltanto secondo le leggi proprie della chimica. I processi chimici non sono più processi vitali, ma puramente e semplicemente processi chimici, come quelli di qualunque altro corpo inanimato dell’universo fisico.

I liquidi evaporano ed assumono il loro caratteristico stato gassoso. La salma si irrigidisce, tende a rinsecchirsi, a perdere pezzi, a disintegrarsi in parti separate fra di loro, i colori del cadavere non dipendono più dall’animazione assicurata dall’anima, ma dall’attività dei processi chimico-fisici attivi nel cadavere.

Avanza un processo di distruzione e decomposizione causata dall’attività degli elementi chimici ormai autonomi e dall’influsso dell’ambiente esterno, favorevole o non favorevole alla conservazione del cadavere. Si può dire che il cadavere sia brutto? Normalmente lo si nasconde nel sepolcro per motivi igienici ed estetici. Il cadavere è brutto rispetto all’armonia del corpo vivente. La sua bruttezza è una conseguenza del peccato originale, dal quale Dio è del tutto estraneo.

Eppure si può dire che esso presenta una sua bellezza, che dipende dal fatto che il suo aspetto è rigorosamente determinato da leggi naturali; e dove c’è legge, quale che sia, lì c’è bellezza, il pulchrum espressione del verum e dell’ens. Ecco perché all’artista, che non è necessariamente condizionato da considerazioni relative al comune buon gusto, anche quella che si può considerare la bruttezza del cadavere, il cadavere, in quanto ente regolato da leggi di natura, delle quali l’autore è Dio, principio della bellezza, non può non apparire dotato di una paradossale bellezza.

Discorso simile si può fare sullo scheletro, che appare una volta che si è dissolta la carne, destinato a conservarsi spesso per moltissimo tempo. Se il corpo vivo ha una sua bellezza e una sua armonia, anche lo scheletro le possiede secondo precise leggi fisico-chimiche.

L’avvento della morte non genera alcun disordine nel cadavere, ma cambia solo l’ordine fisico, perché alla legislazione imposta dall’anima subentra la regolazione imposta dalle forze-chimico-fisiche. In natura il caos, il caso e il disordine non esistono, checché ne pensino certi pseudoscienziati, che attribuiscono alla natura quel caos, quel caso e quella confusione che sono solo nel loro pensiero, mentre indubbiamente anche il loro cervello, benché da loro male usato, funzioni fisiologicamente non a caso, ma secondo ordinati processi fisici deterministici e misurabili.

Dove va l’anima dopo la morte? La filosofia ha qui bisogno della rivelazione cristiana, perchè si trova in grave difficoltà: da una parte essa sa che lo spirito è indipendente dallo spaziotempo e lo sovrasta nella sua eternità. Questo lo aveva capito già Platone. Ma dall’altra non sa accettare che lo spirito finito, se proprio non occupa uno spazio come fa un corpo, per lo meno non si trovi in qualche luogo. Ma come concepirlo questo luogo? Dovrebbe essere in relazione con i luoghi della terra? Dovrebbe raggiungere un luogo a una certa distanza dalla terra o quanto meno da dove si trova il cadavere? E in quale direzione? Di sopra? Di sotto?

Quale relazione al luogo ha lo spirito? L’anima, finché dà forma a quel dato corpo, certamente si trovava nel luogo occupato da quel corpo. Per noi è normale mettere in relazione una sostanza materiale col suo luogo. Ma dello spirito, aperto all’infinità dell’essere e dello spirito, orientato all’assoluto, immutabile, immateriale, dalle prospettive sconfinate, libero da ogni luogo nel suo intendere e volere, presente intenzionalmente in tutti i luoghi come si fa ad immaginarlo in un dato luogo?

La rivelazione cristiana ha insegnato alla filosofia che il luogo per gli spiriti esiste, ma non va concepito in modo univoco col luogo così come cade sotto la nostra esperienza sensibile. Ciò è già intravisto dalla filosofia platonica ed orfica, dal paganesimo greco-romano, dall’induismo e dalle religioni tradizionali dell’umanità.

Occorre allagare il concetto di luogo e trasformarlo da categoriale, ossia accidente della sostanza materiale, a trascendentale, ossia proprietà di quell’ente che è aperto ad ogni ente, ossia lo spirito, principio del vero, del buono e del bello.  Il luogo dello spirito è il luogo trascendentale, quindi non solo il luogo dell’ente materiale, ma il luogo dell’ente come ente in quanto spirito finito, giacchè è del tutto impensabile assegnare un luogo a Dio, spirito infinito, benché Cristo parli del Padre che è nei cieli; ma è chiaro che non si tratta del cielo fisico. Sotto questo punto di vista Dio non è solo in cielo, ma anche in terra e in ogni luogo. È l’attributo dell’ubiquità.

La rivelazione cristiana insegna l’esistenza di luoghi trascendentali nei quali si trovano le anime dei defunti: il paradiso, l’inferno e il purgatorio. Come è noto, il paradiso è chiamato anche «cielo» nel senso che ho detto come luogo trascendentale che ospita le anime che fruiscono della visione beatifica.

Il termine «cielo», infatti, nella Scrittura, come in altre religioni, simboleggia l’orizzonte dello spirito, del sacro, del divino. Si distingue dalla terra, che invece rappresenta il mondo nel quale viviamo, la natura fisica e la parte materiale dell’uomo. Il termine, però, in San Paolo, richiama anche alla mente le cose di questo mondo in quanto, a seguito del peccato, tendono ad allontanarci da Dio, dal cielo (Fil 3,19-29; Col 3,1-2).

L’anima è l’aspetto celeste della persona umana. Essa vive quaggiù sulla terra, ossia in un corpo e in mezzo a cose materiali, comprese le altre persone, che sono pure esse dei corpi, benché animati dal loro spirito. E tuttavia l’anima, che è spirito, se da una parte, come forma animatrice del corpo, è portata a conservarlo, governarlo o per se stessa o mediante le potenze inferiori, difenderlo, nutrirlo, farlo crescere, curarlo, renderlo sessualmente felice, dall’altra, in quanto spirito, anela alle cose celesti, alle virtù e ad unirsi con Dio, senza per questo affatto desiderare di lasciare il corpo, come se in esso dovesse trovarsi a disagio. Tutt’altro, l’anima è felice nello stato di unione al corpo, quando ha un corpo sano e docile ai suoi comandi e che favorisce la sua attività spirituale, un corpo che le serve per esprimere i suoi pensieri, le sue volontà, i suoi sentimenti, le sue emozioni.

Per questo, lo stato di anima separata è uno stato innaturale e disagiato. Esso ha di buono solo il fatto che in questo stato l’anima può esercitare una perfetta autocoscienza senza la mediazione della sensibilità, quasi fosse un angelo. Tuttavia la sensibilità è la condizione normale per l’esercizio umano dell’autocoscienza[3]. Nell’autocoscienza dell’anima separata l’anima può indubbiamente contemplare la sua bellezza, ma sente tutto il disagio di non poter servirsi dei sensi per attuarla. Ciò che consente all’anima beata di superare tale disagio è il fatto della visione beatifica, nella quale è virtualmente contenuto il piacere dell’esperienza sensibile.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2022

L’individuo umano non differisce da un altro per una differenza formale, come avviene tra due essenze specifiche, ma solo materialmente, secondo differenze empiriche constatabili caso per caso. L’anima umana individuale, invece, differisce da un’altra per una differenza formale perché è spirituale. È questo l’apporto della Scrittura rispetto alla psicologia di Aristotele. Per lui l’individuo è solo oggetto del senso. Per la Scrittura invece l’individuo umano, la persona, è oggetto di un’intuizione intellettuale, come lo è, del resto, la propria anima mediante l’autocoscienza.


 

Per Aristotele il principio di individuazione dell’uomo è la materia segnata dalla quantità: il naso di Leopardi è diverso dal naso di Manzoni perché il naso di Leopardi è adunco, mentre quello di Manzoni è affilato. Ma occorre dire che in realtà il criterio di fondo nel distinguere Manzoni da Leopardi è la differenza della loro anima, che non è sufficientemente determinata dalla diversità del naso, ma dalla differenza formale o spirituale tra le due anime.

In altre parole dalla Scrittura ricaviamo che la differenza tra due persone umane non dipende solo dalla diversità dei corpi, ma anche e innanzitutto dalla diversità delle loro anime, create diverse da Dio in vista di animare quei dati corpi, mentre è indubbio che la diversità materiale influisce su quella spirituale.

Così l’anima maschile è differente da quella femminile, in modo tale che si può supporre l’anima razionale come genere, le cui differenze sono il maschile e il femminile. Supponendo allora il genere animale, le cui differenze sono il razionale e l’irrazionale, il razionale è a sua volta un sottogenere, le cui sottospecie sono il maschile e il femminile.

Immagini da Internet:
- Jan Vermeer, La ragazza con il turbante, 1665
- Max Slevogt, Ritratto di Francisco D'Andrade, 1903
- Gari Melchers, Inverno o Pattinatori sul ghiaccio, 1880-90


[1] Quaestio disputata De Veritate., q.10, a. 8.

[2] SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, pp.227-234.

[3] Gardeil enfatizza troppo la dignità dell’autocoscienza dell’anima separata, dimenticando la sua differenza dalla condizione dell’angelo. Cf il suo libro La structure de l’âme et l’expérience mystique, I, pp.94-121, Gabalda, Paris 1927.

2 commenti:

  1. Caro Padre
    Leggendo questa pagina, non ho potuto fare a meno di pensare a quel campo della scienza moderna che studia l’origine e la natura della coscienza in termini deterministici. Tempo, energia e risorse sono spesi in ambiente universitario da uomini che pensano che la coscienza sia il risultato di fenomeni fisici e chimici a livello molecolare localizzati nel cervello. Il tutto naturalmente, nel seno della teoria dell’evoluzione e dei mutamenti casuali che avvengono in natura. In un documentario trasmesso in TV, ho sentito raccontare da uno di loro che la sua vita scorre, spesso anche di notte mentre dorme, elaborando nuovi esperimenti scientifici che dovrebbero spiegare una volta per tutte cosa sia la coscienza: roba da premio Nobel, onori e gloria anche finanziaria, se vi arrivasse, si capisce. Tutto questo avviene perché oggi, con lo sviluppo dei computer ,si pensa a come sviluppare sempre di più l’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence, AI), che Hollywood ha già preso come spunto per film di cassetta. Anzi si vuole a proprio creare un auto-coscienza artificiale. Io ci vedo solo il vecchio peccato originale: l’uomo, ebbro di superbia, che si crede Dio.

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    1. Caro Alessandro,
      la tua analisi, piena di preoccupazione, trova la mia piena comprensione. Questo progetto di nuova umanità guidata con sistemi telematici e la valorizzazione della IA ha certamente le sue basi filosofiche sul concetto di uomo-macchina ovvero sul concetto materialista darwiniano dell’uomo.
      Nel mio articolo ho dimostrato come questa concezione meccanicistica e deterministica dell’uomo trovi un suo fondamento nell’antropologia cartesiana, nella quale da una parte abbiamo un’autocoscienza assoluta, che pretende in modo idealistico di far dipendere la realtà dal pensiero, e dall’altra parte abbiamo l’idea di un corpo umano senz’anima, semovente in modo deterministico ed automatico, nella convinzione di poter ridurre la vita umana ai determinismi della chimica e della fisica.
      Che cosa fare, in questa situazione? Occorre una grande opera di educazione. Occorre una grande opera di recupero dei fondamenti metafisici e teologici dell’antropologia, occorre un recupero della gnoseologia realista e il rifiuto della gnoseologia idealistico-gnostica, fortemente condannata da Papa Francesco, il quale ci ha più volte richiamati all’importanza del realismo, che è l’impostazione della Sacra Scrittura e che trova la sua migliore interpretazione nell’antropologia di San Tommaso d’Aquino.

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