Le opere dello Spirito Santo - Terza Parte (3/5)

 Le opere dello Spirito Santo

Terza Parte (3/5)

Cristo ci rivela l’esistenza e l’opera della Santissima Trinità[1] 

Gesù Cristo presenta il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo come persone divine, se per persona intendiamo un ente che pensa, vuole e parla, persone in collaborazione fra loro per la salvezza dell’uomo, espletanti operazioni in parte diverse e in parte identiche. Il Figlio e lo Spirito procedono dal Padre; lo Spirito dal Padre e dal Figlio e sono mandati nel mondo.

Che Gesù faccia riferimento a persone divine, ognuna uguale a Dio, non è sempre facile da intendere alla semplice lettura delle parole del Signore. La personalità più facile da intendere è quella del Padre, perché l’attributo della paternità è nota anche alle religioni pagane, come per esempio quella romana, per la quale Giove è padre degli uomini e degli dèi. È chiaro che un padre non può che essere una persona. E così pure il Figlio, benché circa la figura di Gesù occorra dimostrare la sua divinità, insegnata dal Concilio di Nicea del 325.

Gesù introduce un nuovo concetto di persona divina, tale per cui in Dio appaiono tre persone. Che Dio sia un Dio personale, ossia persona nel senso di ente sussistente intelligente e libero, lo si sapeva anche prima; lo sa già la semplice ragione naturale, lo sa già il semplice monoteismo, che definisce la natura divina come la definirà il Concilio Vaticano I: «una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis» (Denz.3001).

Gesù, supponendo acquisito il concetto di persona divina singola e unica, intesa come sostanza spirituale, rivela ed aggiunge, nel definire l’essenza di Dio, che Dio è persona nel senso di una relazione sussistente, come sarà compreso da Sant’Agostino prima e poi da San Tommaso ed infine definito dal Concilio di Firenze nel 1442 (Denz.1330).

Più difficile da riconoscere, comprendere e definire la divinità della persona dello Spirito Santo. La Chiesa lo ha capito gradatamente dal fatto che Gesù ne parla come si parla di una persona, che agisce intellettualmente e volontariamente ed esprimendo pensieri e compiendo azioni che solo Dio può compiere.

Infatti già nell’Antico Testamento è noto lo spirito (rùach) di Dio, ma appare ed agisce come semplice emanazione, effusione, effluvio, soffio o ispirazione transitori, che investe occasionalmente e temporaneamente i profeti e gli uomini di Dio. Per questo lo spirito non ha qui una sussistenza ed azione proprie e permanenti, una presenza stabile. Non si tratta mai di un soggetto, cioè di una persona, ma dell’azione o dell’influsso di quell’unica persona che è Dio, eventualmente considerato come Padre.

In ciò che Gesù dice sullo Spirito Santo è chiaro che lo Spirito viene dal Padre; così pure Gesù si esprime con chiarezza circa il suo procedere dal Padre («da Lui sono uscito», Gv 8,42); ma non è altrettanto chiaro che lo Spirito procede anche dal Figlio. È vero che Cristo promette di «mandarLo» (Gv 16,7). Ma ciò fa riferimento a una missione; cosa che suppone la distinzione dello Spirito dal Figlio; ma non dà la chiara idea di una processione dal Figlio.

La cosa è stata chiarita solo col Simbolo Niceno-Costantinopolitano del sec. IV, nel quale troviamo la formula dello Spirito Santo che procede dal Padre e dal Figlio. San Tommaso[2] dà la giustificazione teologica di questo articolo di fede facendo presente che se non si precisasse che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio, non ci sarebbe modo di distinguere il Figlio dallo Spirito Santo.

Egli spiega che la persona divina si distingue dall’altra non per qualcosa di assoluto, perché così verrebbero fuori tre dèi, dato che solo Dio è l’Assoluto, ma si distinguono dal punto di vista dell’origine: il Padre non è originato, ma origina il Figlio e lo Spirito Santo, che hanno nel Padre la medesima origine. Occorre allora trovare un motivo per il quale il Figlio si distingua dallo Spirito. Ora, poiché è evidente che il Figlio non ha origine dallo Spirito, non resta che ammettere che è lo Spirito ad aver origine, ossia a procedere dal Figlio.

Usare come criterio di distinzione le diverse proprietà delle persone non è sufficiente, anche se è vero che mentre il Figlio è generato, lo Spirito è spirato, ma resta sempre il fatto che la loro origine è la stessa, il Padre. Anche se si tratta di due modi diversi di far procedere, ciò non incide sulla diversità delle persone, che sono caratterizzate da una relazione d’origine. Sono cioè relazioni e non sostanze. Due sostanze sono abbastanza differenziate per le loro proprietà. Ma due relazioni d’origine come le persone divine si possono differenziare solo per una differente relazione d’origine: nel qual caso l’origine dello Spirito Santo dal Figlio. Così, mentre il Figlio origina dal Padre, lo Spirito origina anche dal Figlio, oltre che dal Padre.

La persona divina agisce come natura divina e non come persona

La Scrittura ci parla di un molteplice e svariato agire delle Persone divine diverso l’uno da quello dell’altra e di una specie di interloquire o di integrarsi o influenzarsi a vicenda nell’operare assieme o per proprio conto.  Per esempio, ci parla del Padre che comanda, del Figlio che obbedisce, dello Spirito Santo che completa l’opera del Figlio, come se ciascuna Persona avesse una propria visione o volontà distinte da quelle dell’altra e compisse opere diverse reciprocamente complementari, ognuna con un ruolo diverso da quello dell’altra, come avviene nelle nostre vicende, scambi, affari  e  rapporti  interpersonali: un gruppo di amici che discutono sul da farsi per realizzare un piano comune, nell’attuazione del quale poi ognuno ha la sua parte.

Per questo la concezione agostiniano-tomista delle Persone divine come relazioni sussistenti, che si dividono tra l’essere (il Padre), il pensare (il Figlio) e il volere (lo Spirito) sembra loro estremamente astratta, rigida, schematica, a compartimenti stagni, priva di vita e di dinamismo, non conforme a quanto la Scrittura narra delle opere delle tre Persone nella storia e nei rapporti fra di loro.  Forse che il Padre non intende e non vuole? Forse che il Figlio non ama? Forse che lo Spirito non intende?

Ora gli obiettori confondono due cose: la proprietà con l’appropriazione e la natura con la persona. La proprietà o nome proprio è ciò che appartiene in proprio alle singole persone e le distingue fra di loro: il Principio o Essere, il Padre; il Verbo, che è il Figlio e l’Amore che è lo Spirito. E poi, dato che ognuna è Dio e Dio è, conosce ed ama, è chiaro che ognuna, in quanto è Dio e non in quanto Persona, possiede la natura divina, cioè è, conosce ed ama.

L’appropriazione invece è l’attribuzione che la Scrittura fa ad una data Persona di una qualità divina di per sé non appartenente a quella Persona, ma alla natura divina, qualità che però la Scrittura rende propria di quella Persona anziché di un’altra.

Se quindi il Figlio obbedisce al Padre, lo fa come uomo, perché come Dio Figlio la sua è la stessissima volontà di Dio Padre; se ama, non ama in quanto Persona, ma in quanto Dio. Se lo Spirito conosce, non lo fa in quanto Persona, ma in quanto Dio. Pertanto l’amare nel Verbo non è la sua proprietà, ma la sua appropriazione. Il conoscere nello Spirito non è la sua proprietà, ma la sa appropriazione.

Pertanto l’enfatizzare antropomorficamente il fatto che ogni Persona esiste, conosce ed ama, finisce per declassare l’essere relazionale proprio di ciascuna Persona all’essere sostanziale proprio della persona creata e col trasformare quindi le tre Persone in tre Dèi o tre personaggi da teatro.

Occorre invece, nel definire l’essenza e la proprietà delle Persone diviene attenersi scrupolosamente all’austera ma esatta dottrina agostiniano-tomista, veramente conforme alla Scrittura e alla sana ragione, e del resto confermata dal dogma, che sembra effettivamente una manna insipida per il nostro palato desideroso di ghiottonerie, eppure è il prezzo da pagare per comprendere e gustare veramente il Mistero.

L’opera della Santissima Trinità nella storia

La Santissima Trinità concepisce il piano di salvezza dell’uomo e lo attua nel corso della storia mediante l’incarnazione della Seconda Persona, il Figlio. Volendo essere precisi dobbiamo dire che ognuna delle tre Persone svolge un ruolo specifico in collaborazione con le altre.

Per quanto riguarda l’ideazione e progettazione del piano della salvezza e la sua attuazione si deve dire che esse sono opera della misericordia del Padre, il Quale appunto, secondo il racconto biblico, mosso a compassione per la misera sorte toccata all’uomo a seguito del peccato originale,  concepisce e progetta il piano e lo presenta al Figlio ordinandogli di attuarlo; il Figlio lo accoglie ed obbedisce con volontà umana, dato che la volontà divina del Figlio è identica a quella del Padre, essendo la comune volontà divina.

Il Figlio inizia l’attuazione del piano del Padre: esce dal seno del Padre che è nei cieli, pur restando comunque come Dio presso il Padre; scende nel mondo, s’incarna, chiama l’uomo peccatore alla conversione predicando il Vangelo ed annunciando la venuta del regno di Dio; in Gesù permane costantemente e senza cessare la presenza operante dello Spirito Santo, e quindi non solo saltuariamente come per i profeti.

Cristo, pertanto, con la potenza dello Spirito, dona l’esempio della retta condotta umana, gradita al Padre; compie grandi atti di carità ed opera miracoli affinchè gli uomini credano che è mandato dal Padre per la salvezza del mondo e che ha poteri divini salvifici, anzi che Egli è il Figlio di Dio, Messia Salvatore annunciato dai profeti; combatte vittoriosamente contro il demonio liberando l’uomo dalla sua schiavitù e restituendolo al Padre suo legittimo proprietario e Signore; fonda la Chiesa come comunità di salvezza dei figli di Dio, animata dallo Spirito Santo, istituendo la gerarchia apostolica e i sacramenti; prima di tornare al Padre, promette l’invio dello Spirito Santo col compito di portare a compimento l’opera della salvezza; offre sulla croce la sua vita al Padre nella potenza dello Spirito Santo per dare al nostro posto soddisfazione al Padre per l’offesa del peccato, ottenendo per tutti misericordia e perdono.

Gesù, al termine della sua missione terrena, annuncia il suo ritorno sulla terra per porre fine al dominio del principe di questo mondo, far sorgere i morti, giudicare i vivi e i morti e inaugurare la pienezza finale del regno di Dio, edificato dalla Chiesa, regno celeste e terrestre, che ospiterà tutti gli eletti da Adamo ed Eva fino all’ultima generazione ancora viva alla Parusia.

Lo Spirito Santo inaugura la missione della Chiesa a Pentecoste. Per tutto il corso della storia la guida, grazie al magistero apostolico presieduto dal Romano Pontefice ad una sempre migliore conoscenza e pratica del deposito rivelato consegnato da Cristo agli apostoli.

Per tutto il corso della storia lo Spirito Santo, con la ricchezza inesauribile dei suoi doni e donandoSi Egli stesso, fa progredire la Chiesa nella santità e, servendosi della predicazione degli apostoli, spinge progressivamente i popoli a convertirsi a Cristo. Tuttavia Cristo prevede nell’imminenza della sua Parusia, un calo della fede e della carità, mentre San Paolo annuncia una generale apostasia e la venuta dell’Anticristo.

Ma anche in quella suprema prova non mancherà l’assistenza illuminante, consolatrice e fortificante dello Spirito Santo, che consentirà agli eletti di vincere definitivamente Satana sotto la guida di Cristo e di instaurare la Gerusalemme celeste prevista dall’Apocalisse.

L’attività salvifica della Trinità nella storia si svolge secondo un moto che ha due modalità: una modalità discensiva, che si applica direttamente all’uomo, ma affinchè egli salga a Dio nella vita di grazia. Quindi è una modalità teodirezionale: guida l’uomo verso Dio.

Per essa l’eletto sale al culmine della sua perfezione come salendo tre gradini: abbiamo un inizio, un medio ed una fine. L’anima inizia il suo cammino chiamata dal Padre nel battesimo, matura la sua virtù nell’imitazione di Cristo, completa la sua santificazione mossa dallo Spirito Santo. Sono quelle che il Padre Garrigou-Lagrange chiamava le «tre età della vita interiore»[3], riprendendo la dottrina di Dionigi l’Areopagita attraverso San Tommaso[4].

L’altro moto è circolare, anch’esso teodirezionale, ma anziché terminare nell’uomo finalizzato a Dio, inizia e termina col Padre: il Padre fa uscire da sé il Figlio che scende nel mondo e salva l’uomo peccatore riconciliandolo col Padre per mezzo di Cristo. Salvato l’uomo nello Spirito Santo, l’uomo nello Spirito e in Cristo sale al Padre. In altre parole: il Padre manda il Figlio nel mondo a redimere l’uomo dal peccato, liberarlo dalla seduzione e dalla tirannia di Satana e a renderlo figlio di Dio, tempio della Santissima Trinità. Così, abitato da Essa nella fede, che vede la Trinità «come in un enigma» (I Cor 13,12), l’uomo si prepara a vederla «faccia a faccia» in cielo.

Questione non facile è quella di chiarire i rapporti della Santissima Trinità con Satana e con l’inferno. Nel ‘600 si cimentò su questo arduo problema il mistico luterano Jakob Böhme. La questione fu ripresa da Schelling e più di recente da Von Balthasar. In tutti troviamo la preoccupazione in sé giusta, di inserire in qualche modo queste forze avverse a Dio all’interno del mistero trinitario, così da dare una qualche intellegibilità o giustificazione al male. Senonché il tentativo di assegnare al diavolo una parte nell’opera della salvezza finisce per dare l’impressione che si voglia intendere il peccato come fattore di salvezza, il che ricorda il famoso principio luterano justus et peccator. L’inferno diventa un ingrediente della vita trinitaria e la bontà divina sembra andar d’accordo col peccato.

Trinità immanente e Trinità economica

È utile a questo punto fermarsi brevemente, per la loro notorietà, ad un esame critico di due punti della triadologia rahneriana. Nel primo Rahner asserisce che «la Trinità immanente è la Trinità economica e viceversa». Il secondo riguarda la definizione rahneriana della persona divina.

Vediamo il primo punto: «la Trinità immanente è la Trinità economica e viceversa». Osserviamo che Rahner usa l’espressione «immanente» in un senso improprio, giacchè immanente vuol dire propriamente «rimanere in», cosa che implica un soggetto nel quale l’immanente rimane. Invece con quell’espressione Rahner intende riferirsi alla Trinità in se stessa, indipendentemente dal mondo. Quanto ad «economica» si riferirebbe all’azione salvifica della Trinità nei confronti dell’uomo.

A questo punto occorrerebbe distinguere nella proposizione il dato di fatto dalla questione di diritto e precisare che l’attività salvifica della Trinità è certamente un fatto, ma non è assolutamente un diritto, ossia il salvare il mondo non è per nulla un atto necessario costitutivo dell’essenza della Trinità. Essa potrebbe benissimo esistere senza il mondo ed esisteva ab aeterno prima di decidere di creare il mondo.

Secondo punto. La definizione della persona divina. Essa è per Rahner «un modo di sussistenza della natura divina». Ora questa tesi è errata. La persona divina, proprio in quanto persona, non è un modo di sussistenza, ma è una sussistenza ovvero un sussistente. Si può dire pertanto che le tre persone sono tre sussistenze. Il modo di sussistenza è una proprietà della persona, non costituisce la sua essenza.

Ciò che sussiste non è la natura divina, ma la persona. Se si dice che la natura sussiste e la persona ne è una modalità di sussistenza, si viene a confondere la persona con la natura, che sono nozionalmente distinte, anche se nella realtà l’una e l’altra sono un unico Dio. La natura divina certo sussiste, ma la sua sussistenza ha modi di sussistere che non sono le persone, ma gli attributi della natura: la semplicità, la bontà, l’infinità, la sapienza, l’onnipotenza, l’eternità, ecc., che sono comuni alle tre persone.

Se la persona divina fosse un semplice modo di sussistenza della natura, la natura sarebbe l’unico sussistente e quindi l’unica persona e le persone perderebbero la loro sussistenza, ossia la loro personalità, per ridursi a tre modi di sussistere dell’unica persona, cioè la natura divina, e questo non sarebbe altro che quel modalismo, già condannato dalla Chiesa sin dai primi secoli del cristianesimo.

Lo Spirito Santo sussiste secondo diversi modi di sussistenza, per esempio l’amore, la vita, la verità, la sapienza. Ma non bisogna confondere lo Spirito Santo con i modi del suo sussistere. Certo si può dire che sia amore, vita, verità e sapienza sussistenti. Ma allora sotto questo punto di vista questi attributi non sono più modalità si sussistenza della natura divina, ma s’identificano con la stessa sussistenza dello Spirito Santo.  

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 ottobre 2021

Gesù introduce un nuovo concetto di persona divina, tale per cui in Dio appaiono tre persone. 
 
Che Dio sia un Dio personale, ossia persona nel senso di ente sussistente intelligente e libero, lo si sapeva anche prima; lo sa già la semplice ragione naturale, lo sa già il semplice monoteismo, che definisce la natura divina come la definirà il Concilio Vaticano I: «una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis» (Denz.3001).

Gesù, supponendo acquisito il concetto di persona divina singola e unica, intesa come sostanza spirituale, rivela ed aggiunge, nel definire l’essenza di Dio, che Dio è persona nel senso di una relazione sussistente, 

come sarà compreso da Sant’Agostino prima e poi da San Tommaso ed infine definito dal Concilio di Firenze nel 1442 (Denz.1330).

 

 

 


Questione non facile è quella di chiarire i rapporti della Santissima Trinità con Satana e con l’inferno. Nel ‘600 si cimentò su questo arduo problema il mistico luterano Jakob Böhme.

Immagini da internet


[1] Cf Piero Coda, Dio Uno e Trino. Rivelazione, esperienza e teologia del Dio dei cristiani, Edizioni San Paolo, Torino 1993.

[2] Sum. Theol., I, q.36, a.2.

[3] Tale moto assomiglia a quello della teologia di Proclo. Esso comporta un’uscita (exodos) del mondo da Dio, un fermarsi del mondo un se stesso (monè), un’opposizione del mondo a Dio e l’azione divina per la quale il mondo torna a Dio (epistrofè). Questo processo si esprime in Origene con tre fasi: 1. unità originaria divina; 2. la divisione dell’unità nella dualità Dio-mondo e l’opposizione bene-male; 3. annullamento del male nella riconciliazione delle due parti; 4. ricostituzione dell’unità divina originaria. In Hegel, come è noto, abbiamo la triade dialettica, corrispondente alle tre persone della Trinità: 1. Tesi (Dio Padre); 2. Opposizione del Logos; 3. Riconciliazione nello Spirito. Ma tutte queste ciclicità non possono rappresentare adeguatamente la reale ciclicità biblica per il motivo fondamentale comune a tutte e tre che in esse manca un’adeguata distinzione fra Dio e il mondo, per cui o Dio necessita del mondo per realizzare se stesso (Proclo ed Hegel) o il mondo si dissolve in Dio (Origene).

[4] Abbiamo qui tutte quelle spiritualità che concepiscono il cammino di perfezione come il salire per gradini, per esempio i 33 gradini di San Giovanni Climaco, i «quattro scaloni» di Santa Caterina da Siena, il passaggio dalle purificazioni attive a quelle passive di San Giovanni della Croce, le «sette dimore» di Santa Teresa di Gesù. I moduli biblici fondamentali sono molto semplici: è quello paolino del passaggio dall’uomo carnale all’uomo spirituale o quello di Cristo stesso: da adulti diventare bambini, ideale ripreso da Santa Teresa di Gesù Bambino, cosa che evidentemente non va intesa come apologia dell’infantilismo, ma come esaltazione di quella semplicità spirituale, che evita quella doppiezza purtroppo così frequente negli adulti e nei sapienti di questo mondo Per comprendere bene il detto di Cristo, occorre pertanto fargli corrispondere quello di San Paolo, apparentemente contradditorio, ma in realtà complementare: «non comportatevi da bambini nei giudizi; siate come bambini quanto a malizia, ma uomini maturi quanto al giudizio» (I Cor 14,20).

 

12 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    nel ringraziarla per questo pregevole excursus sulla Terza persona della S.S. Trinità, desidero porre alla sua attenzione qualche spunto per ulteriori approfondimenti.
    Molto opportunamente lei ha messo in luce i limiti della celebre espressione di Rahner sull’identità della Trinità in Sé stessa e Trinità nell’economia della Rivelazione. E ciò sia per l’uso scorretto dell’aggettivo “immanente” per riferirsi alla vita intima (se così si può dire) della Trinità in sé stessa, ma soprattutto sul fatto che la creazione e la salvezza dell’uomo, non possono ricondursi ad atti necessari intrinsechi alla natura stessa di Dio, ma si configurano come liberi e gratuiti gesti d’amore divino.
    Si deve comunque riconoscere che la suddetta formula rahneriana ha incontrato non poca fortuna nell’ambito della teologia contemporanea, se per esempio Piero Coda, è arrivato ad affermare che era già, in nuce, presente nei Padri, e sarà, intorno agli anni 80 del secolo scorso, acquisita dalla Commissione Teologica Internazionale:
    “la storia della salvezza è il punto di partenza imprescindibile della teologia come conoscenza del mistero di Dio qual è in sé stesso […] è questo un principio teologico che era ben conosciuto dai Padri della Chiesa ed era formulato in questi termini: la “teologia”, come contemplazione del mistero di Dio in sé, deve partire dalla “oikonomia”, cioè dal disegno di salvezza attuato da Dio nella storia, attraverso l’incarnazione del Figlio e il dono dello Spirito Santo. Questo stesso assioma è espresso dalla teologia contemporanea in questi termini, riprendendo una formulazione di K. Rahner: “La Trinità economica è la Trinità immanente”. Questa formula è stata fatta propria, come assioma fondamentale della teologia cattolica, dalla Commissione Teologica Internazionale […]” (P. Coda, Dio Uno e Trino, ed. san Paolo, 1993, pag. 154).
    Come possiamo spiegarci tale successo? E’ sempre riconducibile a quella abilità mimetica del teologo tedesco, che durante il Concilio seppe celare le sue vere intenzioni, guadagnandosi stima ed attenzione, come più volte lei ha denunciato, anche su questo blog?

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    1. Caro Bruno,
      come ho già detto nel mio articolo, l’espressione “la Trinità economica è la Trinità immanente” e viceversa, a parte l’uso improprio del termine “immanente”, può avere un significato accettabilissimo, in quanto è riferita a un dato di fatto cioè l’esistenza dell’opera di Cristo, opera che però non discende necessariamente dalla Santissima Trinità e quindi non la caratterizza nella sua essenza, perché Essa avrebbe potuto esistere benissimo anche senza l’esistenza del mondo.
      Io quindi capisco molto bene che la Commissione Teologica Internazionale abbia fatta propria quell’espressione in quanto riferita al dato storico o di fatto, ma, benché sia stata inventata da Rahner, la Commissione non la accetta in quanto Rahner lega essenzialmente Dio al mondo sulla scia di Hegel.
      Per quanto riguarda la triadologia dei Padri è più che comprensibile e logico che essi giungano alla conoscenza della Trinità in Sé – quella che Rahner chiama “immanente” – partendo dalla conoscenza degli insegnamenti di Cristo. Ma ciò non implica assolutamente nei Padri l’idea di un Dio che non possa esistere senza il mondo, cosa che possiamo chiamare francamente eretica.

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  2. Lei ha scritto: “[…] in Gesù permane costantemente e senza cessare la presenza operante dello Spirito Santo, e quindi non solo saltuariamente come per i profeti.”
    Nel momento più drammatico della passione, la natura umana di Gesù crocifisso sperimenta la sofferenza indicibile dell’abbandono da parte del Padre:
    “Alle tre, Gesù gridò a gran voce: " Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" (Mc 15, 34)
    Possiamo affermare con sicurezza, che anche in quel momento lo Spirito Santo fosse presente in Gesù, almeno a livello ontologico, pur in un sorta di nascondimento alla coscienza del Crocifisso? Oppure si può azzardare l’ipotesi teologica di un momento di vero e totale abbandono, da parte dello Spirito, affinché nostro Signore bevesse fino in fondo l’amaro calice?
    Piero Coda, e non solo lui, sembra adombrare questa possibilità:
    “se la presenza dello Spirito Santo è così evidente nella risurrezione di Gesù […] misteriosa rimane la presenza e l’azione dello Spirito Santo nell’evento della passione, dell’abbandono e della morte. Se il Padre tace e non interviene a favore del Figlio, se il Figlio non avverte la vicinanza e il sostegno del Padre, significa che lo Spirito è come “assente” nel momento supremo dell’abbandono. Questo mistero […] sembra attestato anche da quella richiesta del crocifisso morente riportata nel quarto vangelo: “ho sete!” (Gv 19, 28) […] la richiesta di Gesù, che si era autoproclamato il dispensatore dell’”acqua viva” (Gv 4, 10 – 13; 7, 37) per chiunque avesse sete, diventa simbolo di una sete più profonda, spirituale, che Gesù prova al culmine dell’esperienza della croce: la sete di quell’acqua viva, appunto – lo Spirito - , che zampillava in lui dal Padre e alimentava la sua esistenza filiale.
    Dunque, se Marco e Matteo ci fanno intravedere – attraverso il grido dell’abbandono – che l’evento della croce tocca […] il rapporto spirituale ed esistenziale – di comunione – tra Gesù e il Padre, il vangelo di Giovanni sembra sottolineare che nell’esperienza della morte di croce Gesù prova la misteriosa assenza di quello Spirito che, venendogli dal Padre, ha riempito tutta la sua vita e illuminato il suo ministero. Ed ecco perciò il paradosso di amore che lega l’evento della croce (l’abbandono) al dono dello Spirito: è sperimentando, nell’abisso dell’abbandono, l’assenza della vicinanza del Padre, che è come il prosciugarsi, nell’intimo del suo essere filiale, della sorgente zampillante del suo Spirito, che Gesù può donare, dal Padre, l’acqua viva agli uomini. Ancora una volta vale la legge evangelica del “perdere per trovare”: Gesù “perde” lo Spirito in sé – in quanto si identifica con l’umanità lontana dal Padre – e così lo riceve di nuovo in pienezza dal Padre e lo dona agli uomini” (Ivi, pag. 117 - 118).

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    1. Caro Bruno,
      l’ipotesi che Gesù in croce sia stato abbandonato sia dal Padre che dallo Spirito Santo è un’ipotesi che non ha nessun fondamento nel dogma trinitario. Infatti, una proprietà del dogma trinitario è la cosiddetta pericoresi, che è la presenza di una Persona all’altra all’interno della Trinità in forza dell’essenza stessa della Trinità, quindi non può non esserci.
      Inoltre c’è da considerare che una caratteristica propria di Cristo è quella di essere inabitato permanentemente dallo Spirito Santo, a differenza dei profeti dell’Antico Testamento, nei quali lo Spirito agiva in modo intermittente, solo in alcuni momenti.
      Dunque uno si può chiedere che senso dare alle parole di Gesù, quando chiede al Padre perché lo ha abbandonato. Dobbiamo al riguardo tener presente, secondo l’insegnamento di Pio XII – cf. https://www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_15051956_haurietis-aquas.html -, che Gesù aveva la visione beatifica anche sulla croce.
      Dunque dobbiamo dedurre che le parole di Gesù, per quanto egli come uomo fosse angosciato, non sono tanto per lui, ma per noi, in quanto noi effettivamente in certi frangenti estremi possiamo avere l’impressione che Dio ci abbia abbandonato. Il che però, come insiste nel dire Papa Francesco, non avviene mai.
      Simile discorso va fatto per il rapporto di Gesù con lo Spirito Santo. Al riguardo dobbiamo dire che se potrebbe aversi qualche riferimento all’abbandono del Padre nei confronti di Gesù, per quanto riguarda il suo rapporto con lo Spirito Santo sulla croce, non abbiamo nessunissima parola del Signore che possa farci pensare che Egli si sentisse abbandonato dallo Spirito Santo.
      Dobbiamo inoltre aggiungere che lo Spirito Santo procede dal Figlio, oltre che dal Padre. Quindi, da questo punto di vista l’ipotizzare un Figlio abbandonato dallo Spirito Santo è una affermazione totalmente contraria alla verità dogmatica.
      Con tutto ciò possiamo ammettere che Gesù, come uomo, abbia sentito sulla croce una terribile aridità, che può dare l’impressione di essere abbandonati dallo Spirito Santo.

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    2. La ringrazio del chiaro ineccepibile richiamo alla verità dogmatica.
      Ho la sensazione che, purtroppo, a volte alcuni teologi, presi dall’ambizione di voler penetrare sempre meglio nei misteri della fede, di voler dire qualcosa di più e di originale, rispetto a quanto già detto e acquisito, si spingano, non so quanto consapevolmente, in contrasto con il dogma, scambiando una loro visione o ipotesi, magari anche superficialmente suggestiva, per una rinnovata e approfondita intelligenza di un dato della Rivelazione.
      Antonio Livi, che lei ha conosciuto, pubblicò, per la casa editrice Leonardo da Vinci, il testo “Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa".
      Io non l’ho letto. Secondo lei può essere un buon vade mecum per accorgersi se una teologia è fedele al magistero, oppure no (oltre naturalmente al suo blog)?

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    3. Caro Bruno,
      le sue osservazioni circa alcuni teologi che vogliono fare troppo gli originali, magari anche a scapito del dogma, sono perfettamente condivisibili.
      Quanto al libro di mons. Livi, lo conosco molto bene ed è certamente consigliabile per chi vuole conoscere il metodo di fare teologia distinguendolo da altre forme di letteratura religiosa.

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  3. Lei ha scritto: “già nell’Antico Testamento è noto lo spirito (rùach) di Dio, ma appare ed agisce come semplice emanazione, effusione, effluvio, soffio o ispirazione transitori, che investe occasionalmente e temporaneamente i profeti e gli uomini di Dio. Per questo lo spirito non ha qui una sussistenza ed azione proprie e permanenti, una presenza stabile. Non si tratta mai di un soggetto, cioè di una persona, ma dell’azione o dell’influsso di quell’unica persona che è Dio, eventualmente considerato come Padre”.
    Per quelle che sono le mie conoscenze, questa posizione risulta largamente condivisa tra gli studiosi, con qualche attenuazione che ho trovato e che le riporto.
    H. Urs von Balthasar pensa che, in generale, nell’Antico Testamento, lo Spirito “si manifesti come una forza di Dio quasi impersonale; egli è una dynamis, una potenza “di cui il Padre dota il Figlio in vista della sua azione terrena” (H.U. von Balthasar, Theologica: III. Lo Spirito della verità, Jaca Book, 1987, pag. 91). Tuttavia, accenna anche a una “quasi personificazione dello Spirito nell’Antico Testamento tardo e in seno al giudaismo” (ivi, pag. 202).
    Walter Kasper sostiene che la letteratura sapienziale “concepisce delle ipostasi, che sono relativamente indipendenti da Dio. E’ il caso soprattutto della sapienza e del pneuma che in gran parte le è identico (Sap 1,6s; 7,7.22.25)” (W. Kasper, Le Dieu des chretiens, Cerf, 1985, pag. 307).
    Anche Piero Coda concorda sul fatto che nella letteratura sapienziale si riscontrerebbe, per lo Spirito, il passaggio progressivo dall’impersonale al personale:
    “A partire dai Libri sapienziali […] si assiste a una certa personificazione dello Spirito di Jhwh (che del resto, nel salmo 51, comincia ad essere chiamato “Spirito santo”), messo in stretto rapporto con la <> (assimilabile alla parola legge). Si tratta, per lo più, di un artificio letterario: ma indicativo di una progressiva comprensione del ruolo essenziale dello Spirito,insieme alla parola, nell’opera salvifica di Jhwh. Il libro della Sapienza scrive infatti :
    “Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
    se tu non gli avessi dato la sapienza
    e dall'alto non gli avessi inviato il tuo Santo Spirito?” (Sap 9, 17).

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    1. Caro Bruno,
      la ringrazio di questi apporti provenienti da illustri teologi. L’idea che essi esprimono, che nell’Antico Testamento ci sia una graduale evoluzione teoretica, che prepara la rivelazione neotestamentaria, mi sembra piuttosto plausibile, benchè l’esegesi veterotestamentaria non sia di mia competenza.
      L’unico punto sul quale non concordo è la tesi del card. Kasper, secondo la quale la rivelazione della Santissima Trinità sarebbe preparata dall’affermazione dell’esistenza di non meglio definite “ipostasi”. Non è chiaro che cosa intende dire con questa parola, perché propriamente l’ipostasi vuol dire sostanza, per cui, se si può parlare per l’Antico Testamento di ipostasi spirituali, queste sono gli angeli, i quali evidentemente differiscono infinitamente dalle Persone trinitarie.

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  4. Bruno Forte si sofferma, invece, sulla separazione dallo Spirito che Gesù ha patito, non durante l’abbandono, ma dal momento della morte sino all’ora della Risurrezione:
    “Dice il quarto vangelo che Gesù “chinato il capo, consegnò lo Spirito” (Gv 19, 30). Che cosa significhi questa consegna dello Spirito nel silenzio del Venerdì Santo può essere compreso alla luce dello sfondo vetero-testamentario del Nuovo Testamento. Nei testi dell’attesa c’è un’equazione chiara: quando Israele va in esilio, Dio ritira il Suo Spirito dal popolo eletto; l’esilio equivale all’assenza dello Spirito. Quando Israele tornerà nella terra della promessa di Dio, che è la sua patria, Dio effonderà il Suo Spirito su ogni carne e tutti profeteranno. E’ l’annuncio delle profezie dello Spirito, che vengono a realizzarsi nel giorno della Pentecoste. Se l’esilio è la dolorosa assenza dello Spirito, la Patria è la nuova effusione di Lui, è la gioia della vita del Consolatore che entra nel cuore del nostro cuore e, togliendoci il cuore di pietra, ci dona il cuore di carne. Quando Gesù consegna lo Spirito, Lui, il Figlio di Dio, entra nell’esilio dei “senza Dio”, dei “maledetti da Dio”. Dice Paolo : ”Dio lo trattò da peccato in nostro favore” (2Cor 5, 21); “Cristo è diventato maledizione per noi” (Gal 3, 13).
    […] lo Spirito consegnato da Gesù nell’ora della Croce e a Lui restituito nell’ora di Pasqua” (B. Forte, Trinità per atei, Raffaello Cortina editore, 1996, pag. 58 – 60).
    Anche in questo caso è corretto ribadire che la separazione dallo Spirito, non riguarda il Verbo divino, ma il Gesù uomo?

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    1. Caro Bruno,
      le considerazioni di Bruno Forte circa il rapporto di Cristo con lo Spirito Santo sulla croce, mi sembrano prive di qualunque base scritturistica.
      La traduzione italiana della CEI in Mt 27,50 traduce semplicemente con la parola “spirò”. È vero che il testo greco dice che “emise lo spirito”; tuttavia se i traduttori italiani hanno tradotto con quel verbo, non sembra il caso di interpretare quell’“emise lo spirito” come fa Forte, anche perché Forte non precisa a chi Cristo avrebbe consegnato lo Spirito. Inoltre anche le altre considerazioni di Forte, secondo il quale Gesù avrebbe condiviso la situazione spirituale degli atei, mi sembra un discorso completamente campato per aria.
      Lo so che alcuni Padri hanno voluto vedere in quelle parole una specie di missione dello Spirito, ma anche in questo caso, non precisando a chi viene mandato, siamo davanti ad una espressione che non regge. Questo sia detto con tutto il rispetto dovuto ai Padri, i quali però non sempre ci offrono delle interpretazioni affidabili.

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  5. Un altro “errore” teologico, converrà con me, è quello di confondere, di mescolare in qualche modo, la sfera del trascendente con la dimensione fenomenica oggetto della scienza.
    E’ questo il caso del teologo protestante (ma molto citato anche in ambito cattolico) Wolfhart Pannenberg?
    Riporto, in proposito, proprio sul tema dello Spirito nella Trinità, un brano tratto dal recente saggio di Etienne Veto (teologo della Gregoriana) “Il Soffio di Dio. Un saggio sullo Spirito Santo nella Trinità” (Libreria Editrice Vaticana, 2020, pag. 41 – 42):
    “[…] Pannenberg espone in modo dettagliato il confronto tra lo Spirito e l’idea dei campi di forza come intesi dalla fisica moderna: <<[Lo Spirito] è il campo di tensione della presenza possente di Dio>> (W. Pannenberg, Teologia sistematica, I, 430) Alcuni Padri della Chiesa, come Ignazio di Antiochia, Teofilo di Antiochia o Ireneo, furono influenzati nella loro pneumatologia dalla nozione stoica di un pneuma che operava nel cosmo, ma l’idea fu infine rifiutata a causa della sua materialità presso lo stoicismo. La fisica moderna ha ripreso l’idea, con un riferimento alle fonti stoiche, ma con una concezione del campo totalmente immateriale: il cambiamento non deve essere attribuito ai corpi, bensì alla forza o all’energia. Pannenberg ritiene che queste comuni radici filosofiche e teologiche ci invitino a comprendere lo Spirito sulla linea di un campo di forza. Egli considera la Trinità come un campo e la Terza persona come una singolarità di tale campo, cioè la vita e l’essenza divina. In questo senso, l’opera dello Spirito è più dinamica di quella delle altre due persone: <> (W. Pannenberg, Teologia sistematica, I, 102)”.

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    1. Caro Bruno,
      queste considerazioni su Pannenberg mi sembrano molto interessanti.
      Paragonare la potenza diffusiva dello Spirito Santo ad un campo di forze del mondo fisico, mi sembra un paragone significativo e per quanto ne so originale. L’importante è mantenere il concetto di Spirito Santo come Persona, evitando di trasformarlo in una pura energia, che semmai è il concetto dell’Antico Testamento.
      Apprezzo anche l’idea di considerare lo Spirito Santo come la più dinamica delle Tre Persone. Questa idea combacia molto bene con quella dello Spirito come amore.

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