Luigino alle prese con Buonaiuti

Luigino alle prese con Buonaiuti

 Cf. 

https://www.avvenire.it/agora/pagine/ernesto-buonaiuti-la-storia-tra-modernismo-e-profezia

Luigino Bruni ìn Avvenire del 2 settembre scorso ha pubblicato un articolo dal titolo «Rileggere Ernesto Buonaiuti: incompreso, modernissimo cercatore del Vangelo». In esso egli mette in luce con sentita partecipazione la vicenda umana e spirituale di questo sacerdote, illustre studioso biblico, che fu scomunicato da Pio XI per le sue tendenze moderniste.

Bruni cita alcuni fatti toccanti del famoso biblista, fatti che ci inducono ad un sentimento di cristiana comprensione, mentre oggi restiamo quasi increduli davanti all’estrema severità della disciplina di quel tempo, che giungeva fino alla figura dello scomunicato vitandus.

Il difetto dell’autorità ecclesiastica dei tempi di Buonaiuti fu quello di esser diffidente verso il nuovo e esclusivamente preoccupata di non mutare il deposito rivelato conservandolo intatto; fu quello di dedicare troppa attenzione alla persecuzione degli errori e troppo poca alla promozione del progresso e della ricerca; fu quello di un eccessivo bisogno di sicurezza e di un eccessivo timore di avanzare proprie opinioni e di allontanarsi dal sentiero battuto per aprire nuovi sentieri; fu quello di concepire lo zelo pastorale in maniera troppo conservatrice e troppo severa verso il pensiero moderno, così da non saper apprezzare l’istanza dei modernisti di svecchiare la teologia, di ammodernarla, di farla progredire e di aprirla ai valori del pensiero moderno.

Buonaiuti è stato incompreso. E questo è stato il torto delle autorità del suo tempo. Ma anche lui non si è fatto comprendere. In questo senso è stato giustamente censurato. Luigino riconosce la prima cosa, ma trascura la seconda. Buonaiuti si è ingannato o ha voluto ingannare? A cosa mirava? A servire le anime o ad apparire un rinnovatore? Reagendo all’arretratezza è caduto nell’eccesso opposto del modernismo. Imprudenza o effettiva incapacità a compiere un’azione equilibrata, della quale ancora a tutt’oggi, nonostante le indicazioni di un Concilio, pochissimi sono capaci? Lasciamo a Dio il giudizio.

Buonaiuti profeta? Luigino non ha dubbi. Perché? Perché Luigino vede solo l’istanza profetica di Buonaiuti come ammodernamento della Chiesa e della teologia. E non si accorge che Buonaiuti ha proposto tale ammodernamento in modo sbagliato, ossia in modo modernistico. Ha confuso il moderno col modernista. Dobbiamo essere moderni e non passatisti o «indietristi», come dice Papa Francesco. Ma dobbiamo esserlo nel senso giusto, non nel senso modernistico, bensì come ci indica il Concilio nella sua vera interpretazione, quella dei Papi del postconcilio, e del Catechismo della Chiesa Cattolica e non quella dei modernisti e dei rahneriani. Buonaiuti è moderno in quanto la sua istanza vale ancora. Ma resta modernista, in quanto l’ha soddisfatta non nel senso giusto, ma in quello modernista. È dunque un profeta? Non è un falso profeta, perchè ha del buono. Ma non è neppure un perfetto profeta. È un profeta che si è sbagliato.

Il modernista ama il mondo moderno non perché è salvabile, ma perché per lui è assolutamente buono. Il passatista odia il mondo moderno non in quanto odia in esso  la presenza dell’eresia e del peccato, ma in quanto in esso non vede che eresia e peccato. Il cattolico postconciliare ama il mondo moderno perché sa apprezzarne i valori e correggerlo dagli errori alla luce del Vangelo e dello stesso Concilio.

Il modernismo è la disgrazia della Chiesa. È vero che esiste anche il lefevrismo. Ma esso reca un danno molto minore perché è ben lontano dall’aver raggiunto il potere dittatoriale e di seduzione raggiunto dai modernisti. Per liberarsi dal modernismo, occorre la vera realizzazione del Concilio nella sua autentica interpretazione data dal Magistero e letto nel solco della Tradizione.

Lo sbaglio dei modernisti, infatti, influenzati dai protestanti e dagli idealisti tedeschi, fu la presunzione di studiare la Scrittura solo sulla base delle sole scienze bibliche, senza tener conto del Magistero e del dogma, ed anzi fu quello di voler correggere lo stesso Magistero e lo stesso dogma, atteggiamento tipicamente gnostico; fu quello di cadere in una concezione evoluzionistica del dogma, di confondere il progresso dogmatico col relativismo gnoseologico.

La domanda che ci viene spontanea è: ma che cosa Buonaiuti avrà mai fatto per incappare in una pena così severa? Luigino, a parte alcune cose di scarsa importanza, elenca cinque punti che gli furono contestasti dal Sant’Ufficio. Luigino tenta una difesa; eppure bisogna riconoscere onestamente, stando a quanto Bruni stesso ci riferisce, che il Sant’Ufficio aveva ragione.

Buonaiuti ebbe ragione su alcuni punti di critica biblica, di nessuna importanza dogmatica, che allora erano contesati dalla Commissione Biblica, ma che oggi sono accettati da tutti gli esegeti. Esagerata invece fu la pena canonica, del resto frequente allora; e soprattutto l’autorità avrebbe dovuto riconoscere, come usa ormai oggi, i lati buoni ed utili della ricca produzione scientifica del Bonaiuti, cosa che purtroppo non mi risulta sia stata fatta, un costume che del resto era abituale nelle autorità di allora. Vediamo uno per uno questi punti con le mie relative osservazioni.

1.Dice Buonaiuti: «Viene spontaneo domandarsi se la trascrizione concettuale e metafisica del mistero eucaristico [legata alla teologia medioevale] non venga a soffocare e a depauperare la efficienza mistica della solidale fraterna partecipazione eucaristica” (Pellegrino di Roma, p. 87)».

Osservo che la riduzione del dogma della transustanziazione, come fa B., a una trascrizione concettuale e metafisica del mistero eucaristico legata alla teologia medioevale è evidentemente un’operazione del tutto sbagliata, che finisce per negare lo stesso dogma, giacchè la Chiesa ha definito che la transustanziazione, ossia la conversione della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e del sangue del Signore è ciò che avviene alle parole della consacrazione.

In ciò la Chiesa non riduce affatto il mistero eucaristico ad un fatto metafisico, il che sarebbe gnosi, ma aiuta la nostra ragione a comprendere qualcosa del divino Mistero, che infinitamente la trascende e si sperimenta solo nella mistica personale e comunitaria. Su questo punto della mistica B. ha ragione. Sbaglia nel disprezzare l’aiuto che ci viene dalla metafisica, perché il concetto di «sostanza» in questo caso è stato dogmatizzato dalla Chiesa. Caso simile è quello del consubstantialem Patri.

2. Dice Luigino: «Buonaiuti recepì i primi risultati che si iniziavano a leggere nelle riviste bibliche tedesche e francesi sulla non-storicità dell’Eden e dei primi capitoli della Genesi».

Se l’Eden non fosse stato un fatto storico, realmente accaduto ed esistito all’inizio della storia, ma dovesse essere una semplice mitologia edificante ed eziologica, dovremmo negare: 1.il dogma della creazione del mondo, dell’uomo e degli angeli; 2. della creazione dell’uomo e della donna; 3. Del peccato originale e delle sue conseguenze; 4. Della redenzione, preannunciata da Dio nella promessa della stirpe della donna che schiaccerà la testa al serpente.

È evidente che B. confonde gli elementi effettivamente mitici, semplici e fantasiosi rivestimenti poetici arcaici del dato rivelato, del tutto accidentali ed estranei ai contenuti dogmatici, con questi stessi contenuti, per cui col respingere quelli, finisce per negare questi.

3. Dice Bruni: «Per Buonaiuti “un certo orientamento gnostico possiamo sostanzialmente ritrovarlo nello stesso autore del IV vangelo canonico… Una gnosi ancora allo stadio incandescente e potenziale” (Storia del cristianesimo, I, 1942, pp. 99-100)».

Osservo che è calunnioso attribuire a Giovanni una mentalità gnostica. Simile calunnia suppone il non sapere che cosa è lo gnosticismo e non aver capito che cosa è il Logos giovanneo, il che equivale a respingere il dogma del Figlio come Verbo del Padre. Infatti lo gnosticismo, come lo ha definito condannandolo Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate, non è altro che la pretesa dell’idea umana di inglobare in sé la realtà divina – potremmo dire la concezione idealistica del conoscere – e per conseguenza la superbia del sapere umano che vuol pareggiare la scienza divina.

E difatti il Papa, sul solco della precedente condanna di Pio XII nell’enciclica Humani Generis, ha più volte respinto l’idealismo – la gnoseologia sottesa al modernismo -, in favore del realismo, che è la gnoseologia biblica sviluppata da San Tommaso e da sempre raccomandata dalla Chiesa, compreso il Concilio Vaticano II.

4. Dice Luigino: «L’influsso gnostico ed ellenistico Buonaiuti la individua nella stessa visione del Logos del prologo di Giovanni, che fu decisiva nella prima dogmatica cristologica e trinitaria: “Il Cristo non era che la concreta individuazione storica di quella figura mistica del logos che già Filone aveva concepito come l’essere medio indispensabile di cui Dio aveva bisogno per entrare in contatto col mondo” (p. 135)».

Obietto che Cristo, secondo il dogma cattolico, non è affatto, come credeva B., la “concreta individuazione storica di quella figura mistica del logos che già Filone aveva concepito come l’essere medio indispensabile di cui Dio aveva bisogno per entrare in contatto col mondo” (p. 135), ma è quell’uomo storicamente esistito ed ora vivente gloriosamente in cielo alla destra del Padre, uomo la cui umanità è stata ipostaticamente assunta dal Logos del Padre nell’unità della Persona divina del Figlio, seconda Persona della Santissima Trinità, chiamato da Giovanni Logos non in omaggio a Filone, che non c’entra assolutamente nulla, perché il suo Logos non è affatto Dio ma una mediazione creata fra Dio e il creato, ma per esprimere il fatto che il Figlio, Dio da Dio, è il Pensiero, il Progetto, la Coscienza, l’Idea, la Sapienza e la Parola del Padre.

5. Dice Bruni: «Così Buonaiuti scriveva nel suo bellissimo saggio Le origini del misticismo cristiano: “Il vocabolo come il concetto dell’ascesi, considerata come un autoprocesso di allenamento e di purificazione interiore, con l’implicita nozione di un dualismo antropologico superabile solo attraverso una serie laboriosa di sforzi e di rinnegamenti, sono estranei all’orizzonte delle esperienze neotestamentari. La ‘metanoia’ evangelica si realizza in un istante e non è affatto il risultato di un lento e penoso tirocinio. La grazia dello Spirito la genera subito nello spirito del credente” (Le origini dell’ascetismo cristiano, 1928, p. 212).

Rispondo dicendo che per metanoia possiamo intendere due cose: o il passaggio dallo stato di peccato allo stato di grazia, ossia dalla cattiva alla buona volontà sotto l’azione della grazia. È quello che si chiama processo della giustificazione dell’empio, del quale parla anche Lutero. Questo processo avviene in un istante.

L’altro significato è il processo o cammino della conversione del peccatore giustificato, per il quale il soggetto nel corso del tempo e per tutta la vita presente, e questo è il campo dell’ascetica, si esercita in una continua purificazione dai peccati sempre risorgenti, ne fa continua penitenza, nella ricerca della perfezione della carità, nella pratica sempre migliore delle virtù e nella eliminazione dei vizi. È un cammino faticoso ma bello, dove occorrono sforzi, disciplina, autocontrollo, rinunce e sacrifici, ma si passa dal bene al meglio, fino a pregustare fin da adesso la gioia e la pace del paradiso, cosa che avviene nell’esperienza mistica.

Buonaiuti ha di buono che apprezza la mistica ed ha compreso che la perfezione cristiana consiste nella mistica. Ma ha troppa fretta di raggiungerla. Occorre invece prepararsi ad essa con l’ascetica e la formazione teologica. Inoltre, mentre l’ascetica dipende dagli sforzi della nostra volontà sostenuti dalla grazia, l’esperienza mistica è un puro dono dello Spirito Santo, per accogliere il quale occorre essere preparati; è un bene eccelso che non sta a noi procurarci con i nostri sforzi, anche se sostenuti dalla grazia.

Così possiamo e dobbiamo decidere di fare un voto, di dar mano ad un’opera di carità, di affrontare una lotta per la giustizia, di compiere un sacrificio o una rinuncia, ma non è in nostro potere decidere di attuare un’esperienza mistica, se non è lo Spirito Santo che soffia potente e improvviso come a Pentecoste, ci solleva a Lui e ci spinge all’azione, un’ azione la cui efficacia sorprende noi stessi, non avendo immaginato prima di poter fare opere così grandi e di sopportare prove così pesanti. Dal che ci appare evidente che siamo stati mossi dallo Spirito Santo per aver accolto nell’esperienza mistica la sua ispirazione trascinante ed entusiasmante.

La vita cristiana non è un comodo e gratuito viaggio in macchina spinti dal vento dello Spirito Santo col Padre teneramente seduto al nostro fianco, avendo Gesù per autista, nell’illusoria certezza che comunque vadano le cose, tutto finirà bene. Gesù non così ci presenta il cammino da percorrere, ma ci comanda perentoriamente: «Entrate per la porta stretta!». E Paolo: «curate la vostra salvezza con timore e tremore!» (Fil 2,12). Anche se è vero che l’amore supera ogni ostacolo: «il mio giogo è dolce, il mio peso è soave» (Mt 11,30).

L’Apostolo Paolo ci ricorda altresì che quaggiù la carne e lo spirito sono in conflitto fra di loro ed occorre molta forza per sottomettere lo spirito alla carne. Non si tratta per nulla del dualismo platonico dell’anima che si deve liberare dal corpo, ma di un’anima che deve vincere anzitutto se stessa e la sua superbia e poi la ribellione della carne, affinchè tra spirito e carne si restauri quell’armonia originaria che Dio ha voluto all’atto della creazione dell’uomo, in vista di una nuova e più perfetta armonia nella terra dei risorti.

Il lavoro ascetico deve durare tutta la vita, perchè finché saremo quaggiù, sempre sentiremo lo stimolo della concupiscenza e la ribellione della carne, in un alternarsi di vittorie e sconfitte, per cui sempre di nuovo occorre, con un esercizio sempre sostenuto dalla grazia, raggiungere un progressivo dominio sulla nostra stessa volontà ribelle e sulle passioni, che sarà pacifico, stabile e perfetto solo alla futura resurrezione.

Il Concilio Vaticano II ha accolto le istanze valide dei modernisti ed ha dato ad esse soddisfazione precisando però che il progresso della teologia e delle scienze bibliche non si realizza giudicando il Vangelo nella soggezione al pensiero moderno, ma si deve vagliare il pensiero moderno alla luce del Vangelo. Non è la modernità che deve correggere la Vangelo, ma è il Vangelo che deve correggere la modernità.

Il fatto increscioso, come tutti sanno, che invece si affacciò già durante i lavori del Concilio, fu il sorgere di due tendenze contrapposte, chiuse l’una verso l’altra e non disposte ad avvicinarsi vicendevolmente: una tendenza proveniente dal Centro-Nord Europa e Stati Uniti, che aveva accolto entusiasticamente la volontà di San Giovanni XXIII di un ammodernamento della Chiesa e della teologia – il Papa parlava di «aggiornamento» -, ma nel contempo simpatizzavano nascostamente per il modernismo; e un’altra tendenza, ancora legata all’antimodernismo della Pascendi, che era lodevolmente preoccupata di conservare il deposito della fede, ma nel contempo era chiusa ai valori della modernità.

Queste due tendenze sono a tutt’oggi ancora vive e nessun Papa finora è riuscito a metterle d’accordo. Prevale e domina quella modernista, che si vanta di avere l’appoggio del Papa, fatto ovviamente falso, ma smentito con poca chiarezza dal Pontefice.

Lo stile prevalente dell’autorità ecclesiale di oggi è all’estremo opposto di quello dei tempi di Bonaiuti. Se prima c’era troppa severità, oggi c’è troppa indulgenza. Se prima si tendeva ad interpretare in male, oggi vige la dabbenaggine. Se prima si badava quasi esclusivamente a combattere gli errori, oggi si bada solo al positivo e si trascura di correggere gli errori. Se prima la tendenza era il conservatorismo, oggi la simpatia è per il modernismo. Se prima le censure fioccavano per cose di poco conto, oggi scoppiano i più gravi scandali e nessuno dice niente.

È dunque più che mai urgente un lavoro paziente, saggio, prudente di mediazione, di conciliazione, di collegamento fra questi due estremismi, dei quali ognuno possiede i propri valori, di per sé fatti per completarsi e correggersi fraternamente a vicenda; se invece di cedere alla faziosità o all’orgoglio; se invece di dar spazio alla pertinacia, alla rivalsa, alla diffidenza, al protagonismo; se invece di lasciarci vincere dall’attaccamento alle nostre idee, dalla pigrizia mentale, dall’invidia e dal rispetto umano, tutti ci dedicassimo a comprenderci e sopportarci a vicenda, a moderare i toni,  ad evitare i litigi e le ripicche, ad ascoltare l’altro con fiducia e umiltà, a metterci alla scuola dei grandi maestri e dei Santi raccomandati dalla Chiesa; se operassimo con spirito di servizio e non per esibizionismo e per  ottenere applausi; se coltivassimo l’arte della discussione, della disputa, del ragionare, della persuasione, della confutazione e della dimostrazione; se rinunciassimo alla saccenteria, alla facile e sistematica condanna, a saperne più del Papa o di Cristo, a mostrare quanto siamo intelligenti e geniali o a stravincere e ad umiliare l’avversario; se intendessimo il dialogo non come un pugilato o un menare il can per l’aia o un girare a vuoto o un sciorinare di pacifisti luoghi comuni, ma come edificazione e formazione reciproca, pronti a rinunciare alla propria opinioni e a rispettare quelle degli altri, se ci impegnassimo di più in tutto questo, con carità, perseveranza, modestia, pazienza, dolcezza, misericordia, giustizia, spirito di preghiera, vita di grazia, dando il buon esempio, con retta coscienza, nell’ascolto della parola dello Spirito Santo, sono convinto che la Chiesa diventerebbe quella comunità fervente, trascinante ed attraente che si lanciò nel mondo il giorno di Pentecoste.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 settembre 2022


 

 

 

Ernesto Buonaiuti

Immagine da Internet

4 commenti:

  1. Caro Padre
    Ho anche io l’impressione che la storia della Chiesa proceda a cicli passando a volte da un estremo all’altro come sta succedendo ora. Mi sembra che via sia anche una “super onda” se si pensa che all’inizio della Chiesa l’eresia era non credere che Gesù fosse anche un uomo, mentre ora non si crede o si fa fatica a credere che Gesù sia Dio e se ne parla come di un profeta con una non meglio precisata “relazione preferenziale” con Dio e con una “graduale autocoscienza di sé” (Rahner). Così si leggono e sentono espressioni come “Gesù sviluppò l’idea dopo aver visto questo e quello”, “la funzione educatrice di Maria verso Gesù”, Gesù “inizialmente discepolo di Giovanni il Battista”, “il “Dio di Gesù Cristo”, “Gesù il già risorto” (nel pensiero), “Gesù esce rafforzato dalla prova del Getsemani” (Card. Martini), il Getsemani visto come apice di consapevolezza di sé e della sua missione e così via. All’inizio pensavo che mi sbagliassi io nel sentire uomini di Chiesa molto più istruiti di me parlare così, ma poi mi sono dovuto ricredere. Non sanno che Gesù è Dio! Ho esclamato dentro di me…

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    1. Caro Alessandro,
      sono d’accordo con lei nel constatare l’esistenza oggi di molte teorie su Gesù Cristo, tra le quali purtroppo si trovano delle eresie o quanto meno idee peregrine, filosoficamente insostenibili, o prossime all’eresia.
      Il discernimento è doveroso, ma molto difficile. Esistono comunque dei criteri facili, in base ai quali è possibile dare una valutazione delle diverse cristologie oggi in circolazione.
      Glie ne suggerisco due. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), piuttosto voluminoso, ma ricco di dati.
      https://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm
      E la mia raccolta delle verità di fede, una raccolta completa, però più agile e maneggevole, perché si tratta di una pubblicazione meno voluminosa.
      https://www.fedecultura.com/giovanni-cavalcoli-e-le-verita-di-fede

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  2. Caro Padre
    sono ignorantissimo in campo esegetico, e tuttavia ardisco a dire che uno dei trucchi modernisti si smaschera facilmente: se si assume che Gesù abbia preso "coscienza di sè" progressivamente, è del tutto logico considerare TUTTA la sua predicazione precedente al compimento di tale affermato processo (Getsemani?) come incompiuta, e quindi essere autorizzati a interpretarla " a piacere" , fino a ridurne il carattere di Rivelazione; per esempio a proposito dei Sacramenti. Sbaglio di molto? Comunque, sulla questione severità/tolleranza, io penso (purtroppo ,nella modestia delle mie competenze, diversamente dal Suo ottimismo, padre) che la storia post-conciliare abbia dimostrato ampiamente il fallimento della nuova pastorale, al punto che il modernismo ha conquistato i centri dell' autorità e dell' insegnamento.

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    1. Caro Gian Luigi,
      nella conoscenza che Gesù ha avuto della realtà bisogna distinguere tre piani.
      Uno. Come Dio, Gesù conosceva assolutamente tutto per conto proprio.
      Due. Gesù, in quanto uomo, era unito ipostaticamente alla Persona del Verbo. Questa unione, come insegna Pio XII nell’enciclica Hauretis aquas del 1956, consentiva a Gesù di avere la conoscenza di tutte le cose. Questa conoscenza è chiamata scienza infusa, perché le idee della mente di Gesù gli sono state infuse dal Verbo.
      Tre. Infine Gesù, come uomo, ha imparato le cose un po’ per volta, come tutti noi. Per quanto riguarda la coscienza di sé, Gesù, come tutti noi, l’ha approfondita gradualmente nel corso degli anni, arricchendola della conoscenza acquistata in precedenza per esperienza, per deduzione e per apprendimento.
      Per quanto riguarda la conoscenza del messaggio divino che Gesù doveva rivelare al mondo, egli, in quanto Verbo, lo conosceva dall’eternità; in quanto uomo, Gesù, per scienza infusa. Secondo San Tommaso, ebbe la conoscenza della rivelazione fin dal momento in cui fu concepito.
      Per quanto riguarda la predicazione di Gesù, egli, nel corso della sua vita pubblica, ha manifestato gradualmente e progressivamente quella parola di Dio, che egli conosceva già come Dio e, da quando era stato concepito, come uomo.
      Quanto alla interpretazione della predicazione di Gesù, è chiaro che l’esegeta è tenuto ad attenersi strettamente a ciò che Gesù ha gradualmente rivelato, senza anticipare ipotesi arbitrarie su quello che Gesù conosceva prima di manifestarlo nella predicazione.

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