La gnoseologia di Lutero - Seconda Parte (2/2)

 

La gnoseologia di Lutero

Seconda Parte (2/2)

Il potere conoscitivo della ragione

Occorre dire che la ragione non sta alla fede come l’opinare sta al sapere, e tanto meno come il falso al vero, ma come la base del sapere sta al suo vertice, come l’imperfetto al perfetto, come il sapere inferiore sta a quello superiore, come la base dell’edificio sta all’edificio stesso, sicchè, se non ci sono le fondamenta, non ci può essere neppure l’edificio.

Noi non conosciamo il Dio rivelato in Cristo in modo originario, intuitivo ed immediato, tematico o atematico che sia, ma solo sulla base di una precedente scoperta dell’esistenza di Dio per mezzo delle sue creature (Rm 1,20). Il sapere originario ed iniziale non è il Vangelo, ma il buon senso naturale, la metafisica e la teologia naturale.

Il Vangelo sta al primo posto non nel senso che il sapere cominci col Vangelo, ma nel senso che dobbiamo dare al Vangelo la massima importanza come alla forma più elevata del sapere e criterio in base al quale giudicare del valore di tutti gli altri gradi del sapere. Il Vangelo non è contro la ragione come tale, ma contro il suo uso falso, scorretto e sofistico, che era appunto l’uso che ne facevano Ockham e Lutero. Il Vangelo è luce e correttivo della ragione, perché Colui che ci ha dato il Vangelo è Quegli stesso che creato la nostra ragione.

Non è che la ragione possa avere la presunzione di correggere il Vangelo o di costituire un sapere più alto, però se non sappiamo ragionare, non capiamo neppure il Vangelo e non possiamo dire di amare la verità rivelata se non rispettiamo l’umile verità naturale che abbiamo sotto il naso.

Il gusto che provava Ockham per dar mostra di essere una mente critica ed acuta era quello di discutere cavillosamente di tutte le più gravi questioni filosofiche e teologiche, che già avevano avuto la loro soluzione nella precedete filosofia tomista o nello stesso Magistero della Chiesa, per mettere sistematicamente in dubbio la certezza della loro dimostrazione. Similmente Lutero adottò lo stesso metodo nell’interpretazione della Scrittura con l’aggiunta della convinzione di essere illuminato dalla Spirito Santo così da correggere il Papa nel discernimento del significato del dato rivelato.

Il Concilio di Trento lasciò scoperto il problema della conoscenza di fede

Il Concilio di Trento condannò gli errori di Lutero in campo morale e dogmatico, ma tralasciò di condannare la sua gnoseologia occamista, che è all’origine dei suoi errori. Certamente il Concilio ripropose la gnoseologia tomista, i cattolici si impegnarono nel confutare la gnoseologia luterana, ossia il suo modo di concepire la conoscenza razionale e di fede, ma non sostenuti dal Magistero, e costatando l’enorme successo della gnoseologia occamista di Lutero, che sembrava più adatta di quella tomista ad interpretare la Scrittura, ebbero enorme difficoltà a contrastare l’avanzata della gnoseologia luterana.

In tal modo il problema della conoscenza diventò drammatico e addirittura tragico, tanto da trovarsi alla radice teoretica delle guerre di religione tra cattolici e luterani. Chi aveva ragione? Chi attuava la vera conoscenza? C’era da fidarsi della ragione o bastava la fede? Per raggiungere la fede occorre partire dalla ragione? O è la ragione che deriva dalla fede? Si può interpretare la fede con la ragione come aveva fatto San Tommaso? La fede è contro la ragione? Si può raggiungere immediatamente la fede senza passare dalla ragione? Per Interpretare la Scrittura basta la fede oppure occorre anche la ragione? Come si raggiunge la verità? Qual è il criterio della verità? La verità esiste?

Il Concilio non aveva risposto a nessuna di queste domande, le quali, pertanto restarono oggetto di controversia per secoli tra cattolici e luterani, fino a che finalmente nel 1870 il Concilio Vaticano I insegnò dogmaticamente la differenza tra il sapere razionale, sorgente della teologia e dell’etica naturali e il sapere di fede, basato sulla rivelazione, sorgente della teologia soprannaturale, rivelata o cristiana.

Un tentativo d’incontro con i luterani: Francesco Suarez

Autorevole esponente della teologia cattolica dopo il Concilio di Trento fu Francesco Suarez, il quale però, più stimolato da un bisogno di conciliazione che di verità, volle tentare un connubio fra il tomismo da una parte, tradizionale fra i cattolici e dall’altra, lo scotismo e l’occamismo, che avrebbero potuto incontrare il favore dei luterani, ma evidentemente l’operazione non riuscì e non poteva riuscire.

Egli così in metafisica pur volendo conservare l’ens ut ens tomistico, fa coincidere come in Ockham l’essenza dell’ente col singolo esistente[1] ed intendendo l’atto d’essere non tomisticamente come massima perfezione dell’ente reale, ma come semplice attuazione e attualità di un possibile; in gnoseologia giustapponendo  senza coerenza il concettualismo tomista (id quod mens concipit de re intellecta), fondato sull’essenza universale reale al concettualismo occamista («conceptus obiectivus» di Suarez), fondato sull’universale mentale.

Il concetto oggettivo, che sarebbe l’oggetto del concetto, distinto dal concetto della cosa («conceptus formalis»), precorre l’idea innata cartesiana come oggetto del sapere e la cosa si comprende se ricordiamo che Cartesio uscì da una scuola di Gesuiti dove dominava Suarez. Inoltre Suarez volle tenersi in mezzo fra il primato occamista-scotista della volontà e il primato tomista dell’intelletto[2], favorendo il volontarismo.

Ora, come si poteva immaginare, i luterani adocchiarono subito ciò che da Suarez potevano raccogliere, ossia il concettualismo, l’esistenzialismo e volontarismo occamisti, lasciando cadere il resto. Anzi, essi accolsero ancora più favorevolmente Cartesio, appena si accorsero che il razionalismo cartesiano era in realtà una gnoseologia decisionista e volontari sta, per la quale la verità non è la mia adeguazione a ciò che è davanti a me, prima di me e fuori di me, ma ciò che voglio io dentro di me nella mia mente (il cogito).

Si accorsero allora che Cartesio così inteso, sembrava combinarsi col concetto luterano dell’io e della coscienza come fonte della verità. Il realismo luterano, eco certamente del realismo biblico, nasconde, infatti un sottile egocentrismo, del tutto estraneo e contrario allo spiritualismo della Bibbia, anzi blasfemo, per il quale l’io umano potrebbe voler assurgere a sostituirsi all’Io Sono divino. Lutero però non pensò mai a una prospettiva del genere, perché ebbe sempre vivo il senso della sua creaturalità. Ci pensarono invece gli idealisti come Fichte, Schelling, Hegel fino agli epigoni novecenteschi Gentile, Husserl, Heidegger e Severino.

Così nello spazio di tre secoli in Germania nacque e si sviluppò un immenso fervore di studi e discussioni sul problema della conoscenza, finché con Kant nel ‘700 si ebbe una svolta della massima importanza: i luterani sdoganarono l’ostracismo alla ragione, abbandonarono il pessimismo di Lutero nei suoi confronti e cominciarono ad assumere la ragione in un senso del tutto positivo, anzi addirittura come giudice del dogma cristiano abbassato al livello della superstizione o tutt’al più di una metafora mitologica dell’idea razionale. Come potette avvenire una simile rivoluzione?

Come Lutero intendeva la fede

Bisogna tener presente il concetto che Lutero si era fatto della fede. Egli non la intendeva come sapere mediato da una testimonianza umana, ma alla maniera di Ockham, come un’intuizione immediata della verità divina giacente nella Bibbia, non[H1]  quindi preceduta da un’indagine razionale e interpretabile solo facendo uso di concetti presenti nella Bibbia.

È chiaro allora che una fede di tal genere è solo un sostituto della ragione, perché è la ragione e non la fede ad essere sapere originario ed immediato della verità. Dunque la rivelazione divina non è quella che propone la Chiesa, ma è la luce interiore della ragione, di per sé divina, che io scopro nella mia coscienza come effetto della lettura della Bibbia.

Con Kant non occorrerà più questa preliminare lettura della Bibbia, perché la ragione contiene in sé già da sé quello che è contenuto nella Bibbia e anche di più, tanto che io alla luce di questa ragione assoluta posso trovar errori anche nella Bibbia. L’apoteosi di questa ragione la troviamo in Hegel o in Schelling. Sicchè la Bibbia viene citata non come verità divina da credere, ma come conferma mitologica della verità razionale. Ecco allora l’esegesi storico-critica dei biblisti luterani. Ecco allora la loro scienza biblica. La scolastica tomista è una cosa ridicola e superata, ma le scuole di Tubinga, di Berlino e di Francoforte sono i fari dell’umanità.

Lutero riconduce tutta la conoscenza all’autocoscienza e questa la vede come luogo della rivelazione divina, in modo tale che per lui la fede non è un prender per vero ciò che la Chiesa propone a credere, in quanto la Chiesa come società visibile è raggiungibile partendo dall’esperienza della realtà esterna. Lutero ammette certamente il contatto sensibile-razionale con le cose, ma solo in relazione alle cose del mondo e non in riferimento alle cose di Dio.

D’altra parte, l’orientamento della gnoseologia luterana è chiaramente non tanto verso le cose, quanto piuttosto verso l’io, nel quale pure Lutero trova la presenza di Dio; ma nel contempo egli sente fortissima l’attrattiva delle passioni e della concupiscenza, il che significa che accanto all’elemento interioristico che ricorda S.Agostino, c’è un elemento di sensualità è che risale ad Ockham. Lutero vorrebbe mettere d’accordo concupiscenza e spiritualità, e non si accorge che non è possibile. Voleva la botte piena e la moglie ubriaca. Si tratta praticamente di un servizio a due padroni.  Si dimenticava dell’avvertimento di Paolo che «la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne» (Gal  5,17).

Non che non sia possibile metterli d’accordo, giacchè Dio ci ha fatti composti di carne e spirito, ma qui Paolo si riferisce all’attuale stato di natura decaduta, per il quale per ottenere che lo spirito domini sulla carne e vi sia tra loro armonia, bisogna pagare un certo prezzo, che è quello della rinuncia, dell’ascetica e del sacrificio. Bisogna saper lottare e vincere, senza scoraggiarsi per le sconfitte e disperare, come invece purtroppo fece Lutero con una malsana rassegnazione che era il lasciar la vittoria al nemico illudendosi di averne il permesso da un Dio falsamente misericordioso ma in realtà connivente e complice del peccato.

Egli avrebbe dovuto assumere la psicologia e l’etica tomiste, che gli avrebbero insegnato che la sintesi fra piacere sensibile e piacere spirituale si ottiene dando alla ragion pratica, sostenuta dalla grazia, la forza di dominare ragionevolmente le passioni. Tommaso gli avrebbe insegnato che solo la rinuncia e il sacrificio saggiamente calcolati assicurano quella libertà di spirito e quella tranquillità di coscienza che Lutero cercava vanamente nel soddisfacimento irrazionale delle passioni, convinto di essere oggetto della misericordia di Dio e che il Padre volgeva lo sguardo dai suoi peccati guardando alla Passione di Cristo.

Al centro c’è Cristo o il proprio io?

La concentrazione sul suo io non impedisce mai a Lutero di impostare la sua vita sul rapporto con Cristo, anche se non intende la fede in Cristo nel senso giusto e neppure concepisce rettamente la divinità di Cristo. In Lutero la fede in Cristo si identifica con la carità, per cui non comporta tanto l’accoglienza dei suoi insegnamenti, ma piuttosto si risolve in un attaccamento affettivo esistenziale a Cristo o, come dice lo stesso Lutero, «afferrare Cristo».

Quanto alla divinità di Cristo, Lutero vede Dio solo in Cristo, per cui non ammette una teologia naturale. Ora però Cristo è Dio uomo. Da qui il rischio di concepire Dio solo come Dio incarnato, il che comporta il rischio del panteismo. Chi concepirà Dio essenzialmente in relazione al mondo, sarà Hegel. Con questa visuale il rischio è quello di credere che il Dio dell’Antico Testamento, non ancora incarnato, non sia il vero Dio o il Dio scoperto dalla semplice ragione non sia il vero Dio.

D’altra parte, come è possibile determinare se Cristo è Dio se non si presuppone e non si parte da un concetto naturale di Dio precedente all’incontro con Dio? Non è che scopro Dio nell’incontro con Cristo: sapevo già che Dio esiste. Cristo mi mostra bellezze sconfinate su Dio che neanche mi immaginavo. Cristo certo ci rivela tesori di verità intorno a Dio, che con la semplice ragione non potevamo scoprire; ma l’umanità non ha avuto bisogno che venisse Cristo per sapere che Dio esiste.

Il discorso di Lutero sembrerebbe esaltare l’importanza di Cristo, ma in realtà la diminuisce, perché Cristo non si limita a farci sapere chi è il vero Dio, ma ci svela il mistero trinitario, che ci parla di tre persone in Dio, cosa che va ben al di là del semplice concetto della natura di Dio colta dalla ragione. Ed anche chi non conosce non per colpa sua il mistero trinitario, non per questo, se ragiona correttamente, non può conoscere il vero Dio.

Lutero non è interessato all’Io Sono e neppure all’Egli È (Es 3,14). Ha sempre la percezione della sua creaturalità e, per quanto sia consapevole del fatto che la grazia cristifica l’uomo, e per quanto veda Dio come Dio-in-me, non gli passa mai minimamente per la testa l’idea di concepire il proprio io come determinazione empirica dell’Io assoluto, come faranno gli idealisti. Lutero ha sempre davanti a sé, come Sant’Agostino, il Tu di Cristo e se sente Cristo in lui, avverte sempre l’infinita distanza fra il creatore e la creatura.

Lutero conserva i dogmi fondamentali della grazia, delle virtù teologali, della Santissima Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione, oltre alla Cena, al Battesimo, il ministero e la Chiesa. Su questi punti egli fu fermissimo per tutta la vita, benché alieno da interessi speculativi. Anche la comunità cristiana, per Lutero è certamente un dato sensibile esterno, al quale egli dedica tutte le sue cure, salvo però restando il fatto che la Chiesa come comunità dei santi per lui è invisibile, come dato di coscienza.

Quanto alla natura esterna, a parte l’interesse estetico che ne aveva, essa resta al di fuori dei suoi interessi e, a causa del suo occamismo, non ritiene che la ragione possa dimostrare l’esistenza di Dio, la quale invece si rivela nella fede intesa come sentimento o Gemüt, facoltà intuitivo-emotiva propria della spiritualità tedesca.

Dunque da Lutero non si può ricavare l’Io assoluto degli idealisti, per quanto esso sembri potersi prestare a simile operazione. Tale sviluppo è stato possibile da parte degli idealisti mediante l’esplicitazione della virtualità panteistica ed atea contenuta nell’io cartesiano. E ciò sembra veramente paradossale: che la adulterazione panteistica del luteranesimo sia potuta avvenire non per un principio proprio del luteranesimo, ma per un principio venuto da un cattolico come Cartesio, in ciò falso cristiano molto più di quanto Lutero abbia falsificato il cristianesimo.

Pertanto per un fruttuoso dialogo con i luterani, è del tutto sbagliato rifarsi a un cattolicesimo che ha le sue radici in Cartesio, pensando così di evidenziare un punto in comune con loro. I veri luterani hanno sempre guardato con orrore gli sviluppi idealistici dell’io cartesiano nell’idealismo tedesco. Lutero respingerebbe con sdegno l’interpretazione idealistica e panteistica di come egli intendeva la dignità e la libertà della coscienza personale davanti a Dio, concezione che è nella linea dell’interiorismo agostiniano e niente affatto dell’idealismo cartesiano. Inoltre Lutero ha in odio l’io spirito di Cartesio ereditato dal dualismo platonico. L’io luterano è un io concretissimo fatto di spirito, carne, sentimento, forza, volontà e passioni.

Lutero non ignora affatto la lotta dello spirito contro la carne, ma si rifiuta assolutamente di concepire l’uomo come l’abbinamento di due sostanze separate. Lutero aderisce alla concezione biblica della sostanza umana composta di anima e corpo e si avvicina quindi ad Aristotele.

Semmai tende ad una specie di spiritualismo epicureo. Se io trovo Dio nella mia coscienza, ciò non vuol affatto dire che l’idea di Dio sia un’idea innata, ma Lutero sa benissimo che io mi scopro creatura peccatrice, per cui Dio lo trovo sì nella coscienza, ma perché è davanti a me, sopra di me, prima di me e mio creatore e salvatore esistente indipendentemente da me e per me. Qui Lutero è nel realismo biblico e tomista.

Per un fruttuoso dialogo con i luterani bisogna quindi escludere qualunque idealismo e tenersi sul piano del realismo biblico, eccellentemente interpretato dall’Aristotele purificato ed innalzato da Tommaso. Occorre far capire ai fratelli luterani che la gnoseologia di Ockham non conduce affatto all’uomo spirituale, all’uomo di fede del quale parla San Paolo, mosso dallo Spirito, ma a quell’uomo carnale, che pur Lutero non voleva, ma nei confronti del quale però non è stato abbastanza nemico, pensando che Dio Padre ci dispensasse dal lottare contro la concupiscenza sotto pretesto che la salvezza è effetto gratuito della grazia e della misericordia, e non il premio delle opere della legge.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 giugno 2023

 

 

Il Concilio di Trento condannò gli errori di Lutero in campo morale e dogmatico, ma tralasciò di condannare la sua gnoseologia occamista, che è all’origine dei suoi errori. Certamente il Concilio ripropose la gnoseologia tomista, i cattolici si impegnarono nel confutare la gnoseologia luterana, ossia il suo modo di concepire la conoscenza razionale e di fede, ma non sostenuti dal Magistero, e costatando l’enorme successo della gnoseologia occamista di Lutero, che sembrava più adatta di quella tomista ad interpretare la Scrittura, ebbero enorme difficoltà a contrastare l’avanzata della gnoseologia luterana.

In tal modo il problema della conoscenza diventò drammatico e addirittura tragico, tanto da trovarsi alla radice teoretica delle guerre di religione tra cattolici e luterani. Chi aveva ragione? Chi attuava la vera conoscenza? Per Interpretare la Scrittura basta la fede oppure occorre anche la ragione? Come si raggiunge la verità? Qual è il criterio della verità? La verità esiste?

Il Concilio non aveva risposto a nessuna di queste domande, le quali, pertanto restarono oggetto di controversia per secoli tra cattolici e luterani, fino a che finalmente nel 1870 il Concilio Vaticano I insegnò dogmaticamente la differenza tra il sapere razionale, sorgente della teologia e dell’etica naturali e il sapere di fede, basato sulla rivelazione, sorgente della teologia soprannaturale, rivelata o cristiana.

Immagine da Internet: Concilio Vaticano I


[1] Vedi in Gilson, L’être et l’essence, Vrin, Paris 1981, c.V.

[2] Vedi la posizione di Suarez nelle sue stesse parole citate dal Fabro in Breve introduzione al tomismo, Desclée&C., Roma1960, p.84.


 [H1]

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.