Bontadini e il divenire

 Bontadini e il divenire

Ben volentieri rispondo ad un interessante intervento, che mi dà l’occasione di riprendere l’importante tematica bontadiniana circa il grave problema della natura del divenire e del modo di considerarlo come una prova dell’esistenza di Dio.

Cf. La creazione divina secondo Gustavo Bontadini - Seconda Parte (2/5)

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/01/la-creazione-divina-secondo-gustavo_10.html

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-creazione-divina-secondo-gustavo_10.html

Egregio prof. Cavalcoli,
quantunque io non sia un filosofo, non mi pare che Bontadini abbia completamente torto. Il divenire, se assolutizzato, è contraddittorio.
Infatti, il divenire è sempre concernente qualcosa; il nulla non è.
Il divenire è passaggio di questo qualcosa dal non essere in una certa maniera all'essere in quella certa maniera: dalla privazione all'acquisizione di una certa maniera di essere.
A questo punto ci chiediamo :"Donde proviene questa nuovo modo di essere?
Possibili risposte:
1) dal nulla.
Ma questa risposta è contraddittoria, poichè il nulla non è, e, dunque, non è dante né facente nulla.
2) dallo stesso ente diveniente.
Ma anche questa risposta è contraddittoria, poiché il presupposto del divenire è che quell'ente ne sia privo.
3) da un ente differente da quello diveniente.
Solo in questo modo possiamo risolvere la contraddittorietà del divenire assolutizzato E questo ente possiamo chiamarlo causa efficiente.
Dunque, il nesso di causalità non è un principio, ma un teorema, dimostrabile sulla base della contraddittorietà del divenire, qualora lo si assolutizzi.
Ora, se noi consideriamo il tutto, esso ci appare in divenire. E la contraddittorietà di questo divenire è risolvibile solo se sia ammette un Ente che a sua volta non sia diveniente.
Grazie, e mi scusi anticipatamente se ho frainteso il suo pensiero.

P. S. Vorrei anche che dedicasse un suo articolo a confutare in maniera specifica la negazione del nesso di causalità da parte , per es. di Hume.

 

Caro G., rispondo al suo intervento.

Bontadini ha ragione quando dice che il divenire, se assolutizzato, è contraddittorio. Infatti esso, benché in se stesso non sia contradditorio, appare tale alla ragione bisognosa di identità, alla quale ripugna la contraddizione. Se io considerassi il divenire come l’assoluto, fondato su se stesso, io erigerei ad assoluto il contradditorio o quanto meno ciò che appare tale.

Invece io capisco che ciò che appare contradditorio necessita di un fondamento trascendente, tale da non renderlo veramente contradditorio, perché è contradditorio ammettere e negare ad un tempo che il divenire sia l’essere assoluto. Questo fondamento trascendente, essere assoluto, assolutamente identico a se stesso, è Dio. Questo è il procedimento di Bontadini, certamente valido.

Resta il problema di come spiegare che il divenire appare comunque contradditorio, anche nella consapevolezza che non può essere assolutizzato. Se io vedo del legno che sta bruciando, che ne è di quell’aspetto del legno che sta scomparendo? Il legno è il legno e non è il legno? Il legno va nel nulla? Come mai appare l’aspetto delle braci? Da dove viene? Dal nulla?
 

Ora, però infatti, come Lei giustamente dice, il divenire è sempre concernente qualcosa; il nulla non è. Inoltre il legno è il legno: non può essere il non-legno. Eppure prima il legno c’era e quando è bruciato, al suo posto ci sono le ceneri. Durante il corso della bruciatura, sembra che il legno sia e non sia. Ma Aristotele ha salvato il principio di non-contraddizione osservando che durante la bruciatura il legno non è più in atto, ma solo in potenza, mentre la cenere passa dalla potenza all’atto.

Al termine della bruciatura, il legno è annullato? Certo non c’è più. Non resta il legno, ma resta la sua materia, che adesso ha la forma della cenere. È scomparsa la forma del legno. Annullata? Certamente. Nessuno scandalo. L’ente materiale temporale è corruttibile, la sua esistenza ha un termine nel tempo. Non c’è qui nessuna contraddizione, giacchè non si dice che il legno sia e non sia, ma che non c’è più, mentre c’era prima. Usando le precisazioni “prima” e “più”, connessa al “poi” si evita la contraddizione.

La cenere non viene dal nulla. Di per sé la cenere che compare al termine della combustione la si può considerare creata da Dio dal nulla. Ciò è vero in quanto tutto ciò che esiste nell’universo è creato da Dio. Ma per spiegare il fenomeno dell’apparizione della cenere basta far riferimento al fenomeno della generazione, uno degli aspetti del divenire.

In natura alla corruzione di una cosa corrisponde la generazione di un’altra, La cenere non viene dal nulla, ma semplicemente dalla corruzione del legno. La forma della cenere si aggiunge da sé a quella della materia che prima era la materia del legno, aveva la forma del legno.

E la forma della cenere da dove viene? Dal nulla? Semplicemente è edotta da quella che prima era la materia del legno. È nella stessa natura del legno poter diventare cenere, edurre la forma della cenere, se è bruciato. La materia stessa del legno, come causa materiale, educe da sé la forma delle braci che apparirà nel processo di combustione.

Non c’è nessun problema di essere o non essere. La metafisica non c’entra. Si tratta di fisica. Lo sbaglio di Bontadini è stato quello di credere che il divenire metta in forse il principio fondamentale della metafisica, ossia il principio di non-contraddizione, come se si dovesse sciogliere una contraddizione, mentre invece è un problema di causalità fisica.

Nel divenire fisico si tratta del funzionamento di una normale legge di natura, come ce ne sono tante altre. Non è assolutamente il caso di scomodare l’opposizione metafisica di essere e nulla, né tanto meno di temere un’offesa al principio di non-contraddizione. Tutt’al più si può pensare a Dio che crea dal nulla e pone termine all’esistenza delle cose materiali.

L’identità non è propria solo dell’essere, ma anche del divenire, non solo dello stare, ma anche del passare, non solo del permanere, ma anche del mutare, non solo dell’immoto, ma anche del moto. Come osservò già Platone, il nostro intelletto, per cogliere l’oggetto, ha bisogno che sia fisso e fermo, così come ne avevano bisogno le macchine fotografiche di un tempo: bisognava che la persona ritratta non si muovesse, altrimenti la foto riusciva mossa e non chiara.

Per questo, davanti a un oggetto in movimento, abbiamo una sgradevole sensazione di contradditorietà, ma con un intelletto esercitato, come le macchine moderne che producono le foto istantanee, possiamo cogliere, anche se solo imperfettamente ed approssimativamente, il divenire, a patto però che non ci fermiamo a considerazioni soltanto metafisiche di essere e non essere, ma ci valiamo delle categorie che ci ha fornito Aristotele.

Occorre inoltre tener presente, a questo riguardo, che esistono tre livelli di materia salendo dal basso all’alto nei gradi dell’essere. Abbiamo alla base dell’essere la materia prima o fondamentale, che è la materia universale, propria di tutti i corpi, disponibile per tutti i corpi, suscettibile di qualunque forma sostanziale e soggetto dei mutamenti sostanziali.

 Al di sopra di questo livello abbiamo la materia adatta a quella data specie di forme e non di altre. Da qui il fatto che la materia del legno, per esempio, è diversa dalla materia del marmo o dalla materia vivente vegetale, animale od umana. La forma del legno sorge solo da una materia adatta alla formazione del legno. La forma umana, ossia l’anima umana, è infusa da Dio soltanto nello zigote umano e così via. Se dunque dal legno sorgono le braci durante il corso della combustione, vuol dire che la forma delle braci non proviene dal nulla, ma dalla materia del legno. 

Infine, una volta che la materia è stata formata, abbiamo il terzo livello della materia, la cosiddetta materia seconda, che non è altro che la sostanza materiale, composta di materia e forma, forma sostanziale e le forme accidentali, che sono le qualità sensibili e le dimensioni quantitative.  

Sono d’accordo con Lei quando dice che «il divenire è passaggio di questo qualcosa dal non essere in una certa maniera all'essere in quella certa maniera: dalla privazione all'acquisizione di una certa maniera di essere».


Da dove viene il nuovo ente? Evidentemente dall’ente precedente o, come dice Lei, «da un ente differente da quello diveniente».  E aggiunge: «Solo in questo modo possiamo risolvere la contraddittorietà del divenire assolutizzato. E questo ente possiamo chiamarlo causa efficiente». Concordo.


«Dunque, il nesso di causalità non è un principio, ma un teorema, dimostrabile sulla base della contraddittorietà del divenire, qualora lo si assolutizzi».

Osservo che il nesso di causalità è il necessario rapporto di dipendenza e di fondazione che l’ente diveniente ha del suo essere nell’essere necessario che gli corrisponde proporzionalmente e dal quale dipende. È un principio formulato in un teorema.

Per esempio, il nesso di causalità della combustione rispetto al fuoco che l’ha provocata è il fatto che la combustione è il necessario effetto nel legno del fuoco che sta bruciando il legno. La causalità è il fatto che la causa proporzionata e sufficiente di un dato effetto, una volta posta in atto, non può non produrre quell’effetto. Se io mi avvicino con un tizzone acceso a del legno disposto a prender fuoco, il legno non può non prender fuoco. Dico allora che c’è un nesso di causalità tra il mio atto e il fatto che il legno abbia preso fuoco.

Ora, tra Dio e le creature non c’è semplicemente un legane logico-formale  nel senso che Dio toglie la contraddizione nella quale cadrebbero le creature se fossero assolutizzate, ma istituisce tra Lui ed esse un nesso causale, nel senso che le crea ciascuna con la sua propria identità, divenienti o non divenienti che siano. Ossia non solo le rende non-contradditore, ma le causa efficientemente nell’essere traendole dal nulla.


«La contraddittorietà del divenire è risolvibile solo se si ammette un Ente che a sua volta non sia diveniente».

Rispondo dicendo che non si tratta di risolvere una vera contraddizione, ma una contraddizione solo apparente e di togliere una contraddizione reale, ove il divenire fosse presentato come ontologicamente bastante a se stesso, come hanno fatto Hegel e Gentile.


In Hume si trova la negazione del nesso di causalità come necessaria dipendenza dell’effetto dalla causa. Hume affronta la questione della causalità senza entrare nell’orizzonte di realtà nel quale si pone e si risolve la questione della causalità. E perciò la sua teoria è sbagliata.

Egli cioè non si eleva sul piano dell’essere, ossia sul piano metafisico, che è quello nell’orizzonte del quale si capisce che cosa è la causalità, ma si ferma al livello della sensazione fisica, dove giocano l’abitudine psicologica e la memoria sensibile e dice che la ripetitività di certi fatti empirici che siamo abituati a constatare, come per esempio il fatto che, se una palla da biliardo ne colpisce un’altra, segue sempre che quest’ultima si mette in moto, ma ciò non ci dice che la palla colpita si mette in moto perché è colpita dalla precedente. Ci dice solo il fatto che essa si mette in moto.

L’abitudine a vedere che le cose vanno così, dice Hume, ci porta a credere a un nesso causale necessario fra il moto della prima palla e quello della seconda. Ma secondo Hume, nulla ci permetterebbe di affermare tale necessità.

Come e perché si deve parlare di un nesso necessario di causalità fra il colpo della prima palla e il moto della seconda?  Necessario vuol dire che non può non essere. È quindi impossibile che ciò che non può non essere, sia o possa essere. Ora per Hume che la palla colpita si muova non è necessario, potrebbe anche non muoversi.

Bisogna osservare che effettivamente la cosa sarebbe possibile se Dio lo volesse. Tuttavia Dio ha posto nella dinamica delle palle da biliardo, come dappertutto in natura leggi fisse e precise, che regolano i moti della natura, sicchè in forza di quelle leggi i moti avvengono sempre allo stesso modo. Per questo si può e si deve ammettere un nesso necessario tra la causa e l’effetto.

Del resto, il principio di causalità è un principio primo della ragione, per il quale essa chiede o cerca il perchè delle cose. Abolire il principio di causalità vuol dire abolire la ragione. Hume stesso si impiglia in una stridente contraddizione, per la quale si confuta da solo: la pretesa di dimostrare con la ragione perché il principio del perchè non vale.

Ma esiste una forma di causalità ancora più rigorosa ed è la causalità metafisica. Qui la legge non può essere sospesa dal miracolo, perché la trasgressione della legge è assolutamente impossibile. Infatti la detta sospensione implicherebbe contraddizione. Per esempio, è assolutamente impossibile che l’ente contingente non sia causato, perché in tal caso dovrebbe essere necessario per non essere causato ed essere contingente per mantenere la propria identità. 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 24 gennaio 2023


4 commenti:

  1. Carissimo padre Giovanni sono convinto che l'ente contingente non è eternamente, non appare e scompare, ma semmai si trasforma, muta, si cambia in altri enti così come dimostra la realtà dei fatti e giustamente non è il caso di scomodare la metafisica.
    Il divenire è quindi il passaggio dall’ente in potenza all’ente in atto. Cosa vuol dire? Ad esempio se prendiamo l’ente generato B, diviene qualcosa proveniente da A ma non è più A è qualcosa completamente diverso. Lei fa giustamente l'esempio della cenere che chiamiamo ente B. La cenere è il risultato della combustione del legno che chiamiamo ente A. Ora la cenere, ente B rispetto al legno, ente A è in potenza nel processo diveniente, perché finché non brucio la legna, essa ancora non è in atto.
    Il divenire (il moto) è propriamente il bruciarsi della legna, la quale legna diventa cenere; il moto non è quindi né legna in atto né la cenere in potenza.
    Nel divenire si assiste sempre al passaggio da un ente a un altro ente (ente legna che bruciando diventa ente cenere) o da un modo di essere ad un altro modo di essere (es.: l’acqua fredda che a contatto con il fuoco diventa calda), in questi passaggi mai si constata il nulla, ma avviene una trasformazione, un cambiamento, ma ogni cambiamento presuppone sempre qualcosa che cambi e mai si constata il nulla.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      la sua esposizione mi sembra ben fatta, animata da un solido buon senso, con un linguaggio semplice, che possono capire tutti.
      L’unica cosa, che vorrei farle notare e che forse è una svista, è quando lei dice che durante il processo di combustione la cenere non è in potenza. In realtà è in potenza e diventerà in atto, cioè apparirà con la sua forma di cenere, al termine della combustione, quando il legno sarà bruciato completamente. Rimane quella materia, che in precedenza aveva la forma del legno, e che poi, avendo persa questa forma, acquista la forma della cenere.

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  2. Si ha ragione è stata una svista, Il divenire degli enti ci dice che nel mondo, nella realtà abbiamo due modalità di essere degli enti contingenti: in potenza e in atto, riprendendo il nostro esempio: il legno, in atto con la sua essenza, in potenza cenere, a contatto con il fuoco, diventa cenere in atto con la sua essenza.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      desideravo ricordarle che la potenza e l’atto non riguardano solo gli enti materiali, ma anche quelli spirituali. Infatti San Tommaso utilizza la nozione di potenza per significare l’essenza, e la nozione di atto per significare l’essere.
      In tal modo egli distingue la creatura dal Creatore, in quanto la creatura è composta di essenza e di essere e quindi di potenza ed atto, mentre il Creatore non è l’attuazione di una potenza, ma è puro atto d’essere, e per questo in Dio l’essenza coincide col suo essere. Dio è essere per essenza, e per questo Tommaso lo chiama Ipsum Esse per Se Subsistens. Il che vuol dire che Dio è l’unico ente assolutamente necessario.
      Invece negli enti contingenti, cioè nelle creature, l’essere si aggiunge all’essenza, per cui l’essere, non appartenendo all’essenza come in Dio, è ricevuto da Dio, il che vuol dire che sono creati da Dio.

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