La consostanzialità col Padre - Tomas Tyn - Terza Parte (3/3)

 La consostanzialità col Padre

Terza Parte (3/3)

P.Tomas Tyn, OP

 

Però, mentre in Dio il pensiero e l’amore sono Dio stesso, in noi il pensiero, se ci capita, fortunati noi, e l’amore, se ci capita, fortunati ancora, è qualche cosa di aggiunto alla nostra anima. Quindi in noi il pensare e l’amare è una realtà accidentale. Invece in Dio il pensiero è sussistente e l’amore è sussistente.

Ora vedete, miei cari, l’unica possibilità di concepire la Trinità delle divine Persone è questa, che in Dio il pensiero e l’amore, sempre per analogia con la spiritualità umana, sono costituiti da dei movimenti, ma sono strani movimenti che si chiamano “processioni”. Ecco, quindi è fondamentale questo concetto della teologia trinitaria che è la processione, in greco ekpòreusis.

Allora, vi ho detto che è una strana processione, perché anche questo è un grande mistero: si verifica già nella nostra anima umana: si tratta di un movimento che …  non si muove[1].  È una cosa stranissima, cioè in qualche modo si potrebbe dire che anche il nostro pensare, provate a pensarci, il nostro pensare è un agire, che ovviamente non ha degli effetti esterni, è un agire che rimane tutto in noi,

Qui c’è un grande mistero; in esso potremmo perderci, perchè non posso approfondire fino in fondo questo concetto, ma l’affido alla vostra benevola attenzione, cioè considerate questo, che in qualche modo il pensare è un atto che non attua una possibilità, ma che è in qualche modo un’identificazione di atto con atto[2]. Adesso proverò a spiegarvelo, il che non è facile, però forse con l’esempio si riuscirà ad afferrarlo meglio. Vedete, il conoscere, dice Aristotele, con una profondità veramente grandissima, consiste nell’identità reale tra il conoscente e il conosciuto[3].

Vedete, nell’atto del conoscere il pensiero s’identifica con ciò che il pensiero pensa[4]. Quindi è un atto, ma non è l’attuazione di una possibilità, ma è un atto che va incontro e si identifica con un altro atto. È l’incontro tra l’intelligente e l’inteso, cioè inteso nel senso di ciò che è conosciuto intellettivamente. Approfondite poi per conto vostro questa cosa. Comunque bisogna vedere come i movimenti spirituali si possono chiamare movimenti o processioni, ma non come un trenino che si muove. Non come un movimento fisico.

Quindi, è un movimento, ma del tutto particolare. Ora, in Dio ci sono queste processioni, fin qui ci arriva anche la nostra intelligenza. Quello però che la nostra intelligenza non sa e che Dio ci rivela è che queste processioni vitali spirituali di intelligenza e di amore, in Dio costituiscono delle persone distinte, distinte ma consustanziali.

E allora come si può spiegare questo? E qui di nuovo c’è da scomodare la filosofia. Ora siccome in Dio non possono esistere degli accidenti aggiunti all’essenza o sostanza di Dio, in Lui non ci può essere nessuna differenza, non c’è distinzione in Dio. Allora, su cosa ci possiamo appoggiare? Basta anche un solo appiglio. Notate la problematica della teologia trinitaria: trovare un solo punto su cui si possa fondare una possibile differenza in Dio.

In Lui infatti non c’è alcuna differenza, né di sostanza e accidenti, né di sostanza e essenza, né di essenza e di essere, tutto è unità. Capite che è una cosa terribile, cioè tutto lì coincide. Ciò che Dio è unitamente, nelle creature poi si diversifica secondo differenze reali, ma in Dio tutto coincide, oserei quasi parlare nei termini di Nicolò Cusano, che Dio è coincidentia oppositorum: coincidenza degli opposti, in Dio tutto si identifica.

A questo punto che cosa fare? Siccome il Signore si è compiaciuto di rivelarci che in Lui c’è anche la differenza reale, che cosa fare per fondare razionalmente questa differenza reale in Dio? Tutto il nostro speculare e pensare attorno a Dio ci vieta di porre in Dio delle differenze; invece la Parola di Dio ci obbliga di porre in Dio delle differenze.

Come la mettiamo? Vedete l’angustia del teologo: da un lato[5] la differenza reale in Dio è impensabile; dall’altro lato dobbiamo pensarla perché Dio ci si è rivelato così, soprattutto nel Vangelo di San Giovanni, che è il più teologico tra tutti. Non voglio toglier nulla agli altri Evangelisti, ma insomma, San Giovanni è un privilegiato da questo lato.

Ebbene, proprio nel Vangelo di San Giovanni appare con chiarezza Gesù, il Verbo, il Quale parla di sé in termini di reale distinzione dal Padre e dallo Spirito Santo. Dice infatti Gesù: “Lo Spirito Santo che il Padre vi manderà, lo Spirito che procede dal Padre e che prenderà del mio e vi sarà dato”.

Quindi vedete come Gesù parla con chiarezza in termini trinitari, che comportano distinzione tra il Verbo e il Padre, tra il Verbo e lo Spirito. A questo punto come può fare il povero teologo per introdurre una differenza reale in Dio? Non già che il Signore ci obblighi a formulare un pensiero che all’inizio appare decisamente empio, perché porre in Dio una differenza è come derogare alla grandezza di Dio: come è possibile pensare in Dio una differenza senza abbassare Dio ad una creatura?

C’è una sola possibilità. Nell’ambito creaturale esiste un particolare accidente, l’unico che, non di per sé, ma la cui analogia o somiglianza ci mette in grado di affermare una possibile differenza reale in Dio.

Notate, è una cosa quasi commovente, perché è l’accidente più piccolino. Dice infatti San Tommaso che esso è ciò che c’è di debolissimo nell’ente. Che cosa è? È l’accidente della relazione. Si tratta di una relazione unica, diciamo così. Ogni sana teologia trinitaria vi dirà questo: in Dio non c’è differenza tranne le differenze reali, secondo le relazioni di origine.

Adesso ci spetta il compito non facile di tentare di spiegare che cosa significa “relazioni di origine”. Non voglio di nuovo affliggervi con troppe distinzioni bizantine; però, in fin dei conti qui ci vogliono. Ora la relazione può essere di ragione o reale: se io faccio una proposizione tautologica è una proposizione che afferma l’identità della cosa con se stessa.

Dico per esempio: il tavolino è il tavolino. Beh!, non divento molto intelligente con questo[6], Però, il tavolino messo in questa proposizione è solo in relazione con se stesso. Ma la differenza del tavolino dal tavolino è puramente pensata nella mia mente. Quindi la relazione tra soggetto e predicato, tra predicato e soggetto, è una reciproca relazione di pura ragione, non è una relazione reale.

Ecco, poi esistono delle relazioni che sono reali da una parte e di ragione dall’altra. Mettiamo che ci sia una colonna qui, io l’ho alla mia destra, poi mi sposto e l’ho alla mia sinistra. Che cosa c’è di cambiato? È cambiato qualche cosa nella colonna? No. In chi è cambiato qualche cosa? In me, perchè mi sono spostato e quindi la relazione rispetto alla colonna, come punto di riferimento, è reale da parte mia e di ragione dalla parte della colonna.

Vedete che ci sono delle relazioni un po’ sbilanciate, non simmetriche. Ci sono poi delle relazioni reali da entrambe le parti, per esempio il padre è realmente padre di suo figlio, il figlio è realmente figlio di suo padre, quindi si tratta di una relazione reale reciproca. Ci sono relazioni reali dette predicamentali perché l’essere del figlio non si riduce tutto a essere figlio di suo padre; non è, per così dire, la sua definizione, per cui si parla di relazione predicamentale, mediata, in questo caso, dall’azione procreativa dei genitori.

Poi ci sono relazioni non mediate da un qualcosa di accidentale, ma relazioni secondo tutta l’essenza. Vedete, per esempio, la scienza dipende tutta dallo scibile, da ciò che è da conoscere, e similmente il conoscere dalla scienza che lo conosce, cioè il conoscibile dalla scienza che lo conosce.  Quindi queste sono le relazioni secondo tutta l’essenza. Ora in Dio ovviamente non ci possono essere delle relazioni di tipo predicamentale, relazioni accidentali, però ci sono delle relazioni reali reciproche di origine, contrapposte l’una all’altra, e quindi relazioni che fondano una reale distinzione.

Il Padre è Padre del Verbo, secondo tutto il suo essere; e il Verbo è un procedente dal Padre secondo tutto il suo essere; e lo Spirito Santo è un procedente dal Padre e dal Verbo come da un’unica origine secondo tutto il suo essere Amore di Dio, un’unica origine della processione.

Quindi in Dio bisogna contemplare la distinzione reale delle persone in chiave di opposizione relativa dei termini. Infatti nella processione dell’intelletto c’è il pensante, che è il Padre, e il pensato, che è il Verbo. Nella processione dell’Amore, c’è Colui che è origine della processione, che è identicamente il Padre e il Figlio, questo è molto importante perché, è qui che la teologia orientale ci rimprovera il Filioque. Voi sapete che noi Latini diciamo nel Credo ‘qui ex Patre Filioque procedit’, ‘Colui che procede dal Padre e dal Figlio’; invece i Greci dicono: voi allora rendete indipendente il Figlio dal Padre.

No, - rispondiamo noi - nella processione dello Spirito il Figlio con il Padre non sono due origini[7], ma un’unica origine di processione. Quindi le relazioni nella processione dell’intelligenza sono due: colui che pensa e colui che è pensato[8]. Le relazioni nella processione dell’amore sono ancora due: l’origine di questa relazione, dell’amare[9], ossia Colui che attivamente ama, e sono il Padre e il Figlio nella loro identità e poi Colui che è l’amore passivo[10], per così dire, ma questo amare è quasi indicibile.

Il nome della Persona dello Spirito Santo è molto misterioso, è molto più appropriato il nome del Verbo; comunque la Scrittura ce lo rivela come Amore, ma nel senso di Amore procedente, ecco lo Spirito Santo, la Relazione di Colui che passivamente procede come Amore, come benevolenza. In forza di queste relazioni e della distinzione dei termini relativi, si distinguono le Persone divine.

È degno peraltro di nota che la relazione, in quanto accidente, è l’ente più debole; la realtà più piccola rivela il Dio più grande. È molto bella questa testimonianza di una realtà così umile nei confronti di quella che è la pienezza dell’essere, cioè di Dio Trino. Il fatto è questo, che praticamente nella relazione voi potete distinguere un duplice riferimento: la relazione per eccellenza, ossia quell’entità accidentale che ha un duplice essere: uno è il suo essere nel soggetto, l’altro è il suo proprio essere, come dice Aristotele, pros ti, cioè il suo essere indirizzato verso qualcosa d’altro. Ciò che definisce la relazione è il suo essere relazionata a qualche cosa d’altro.

Faccio un esempio, nel figlio umano, perché il Figlio divino è una cosa molto diversa. Come figlio umano io sono generato da mio padre. Ora la relazione di figliolanza, di essere figlio, è un qualcosa di reale in me e lo è con questo duplice riferimento, uno è l’essere della figliolanza in me, l’altro è il termine a cui la mia figliolanza si riferisce come alla sua origine, cioè a mio padre. Quindi la mia figliolanza si riferisce a due termini, per così dire, a me ma anche a mio padre, cioè il suo compito è mettere me in relazione ad altro, cioè a mio padre.

Avete visto questo duplice punto di riferimento. Ora notate bene: in Dio questo essere ad altro viene mantenuto ed è ciò che consente la distinzione reale delle persone. Cioè l’essere ad altro, il Verbo non è il Padre, perché il Verbo è il Concetto del Padre; il Padre è Colui che Lo concepisce. Vedete quindi come nel suo essere ad altro, una relazione in divinis veramente si distingue dall’altra relazione, mentre nel suo essere nel soggetto[11], non c’è distinzione, è questa la meraviglia[12].

È qui il mistero della consustanzialità, oggetto della nostra meditazione di oggi, questo “essere della stessa sostanza”. Infatti, nelle cose create la relazione è un accidens in subiecto, cioè il mio essere figlio di mio padre non è la mia sostanza, è un qualcosa che caratterizza la mia sostanza ma non è tutta la mia sostanza. Quindi c’è una distinzione di me da mio padre, ma c’è una distinzione anche tra me, ciò che sono io come sostanza e il mio essere figlio di mio padre.

Ora in Dio solo la prima distinzione è mantenuta, cioè la distinzione di opposizione relativa, dell’essere verso l’altro. L’altra[13] è annientata, non c’è, perché, come abbiamo visto, in Dio non si distingue l’accidente e la sostanza, quindi le relazioni in Dio, non essendo accidentali, sono sussistenti, sono la stessa sostanza di Dio.

Quindi in Dio c’è la differenza delle persone secondo relazioni di origine, ma non secondo la sussistenza[14]. Le relazioni in Dio sono tutte sostanza, è questo che il nostro intelletto stenta a capire, perché in tutte le vicende create la relazione non è sostanza, è sempre accidente. 

In Dio la relazione c’è, ma non come accidente, bensì come sostanza[15]. Ora nella relazione c’è questo duplice essere, l’essere nel soggetto e l’essere verso l’altro. Quanto all’essere verso l’altro la relazione consente la differenza delle persone; quanto all’essere nel soggetto la relazione non si distingue dal soggetto di Dio che allora è uno solo. Vedete come Dio è uno e Trino nel contempo.

Guardate che è cosa difficilissima, notate che non pretendo affatto di spiegare; l’importante è che si noti questo, cioè se io avessi la pretesa di spiegarvelo, guai a me, me la vedrei poi con il Padre eterno, il quale mi direbbe: tu sei stato un presuntuoso! Perché qui vale quello che diceva Sant’Agostino, il quale ha scritto sulla Trinità Santissima un bellissimo trattato.

Ebbene, in questo trattato Sant’Agostino narra che, camminando sulla spiaggia del mare vide un bimbo, che costruiva una buca. In essa con una conchiglia, metteva dell’acqua dal mare. Sant’Agostino si ferma e dice: “figliolo, che cosa stai facendo?”. Il grande dottore a questo punto gli dice: “ma sei proprio irrazionale, poverino! Bambinetto come sei, ti concedo di fare questi scherzi; ma spiegami bene che cosa stai facendo”.

 Il bambinetto, probabilmente mandato da qualche regione sovraterrena, gli risponde molto saggiamente: “vedi, io sto facendo esattamente quello che stai facendo tu”. Sant’Agostino si spaventa, e pensa: “come! Io come un bambino!? Com’è possibile?” E il piccolo gli dice: “vedi, tu cerchi appunto di fare esattamente la stessa cosa che faccio io: io da questo oceano cerco di portare l’acqua in questa piccola buca, così come tu da quell’oceano di essere che è Dio cerchi di trasportare qualche cosa nella ristrettezza della tua intelligenza umana”.

Vedete, quindi, che il mistero di Dio è assolutamente inaccessibile; però nel contempo c’è questa differenza, miei cari, pensateci bene, che il mistero ci deve lasciare sempre rispettosi, c’è sempre in qualche modo un chiaro-oscuro, c’è questa oscurità residuale, oserei chiamarla così, c’è sempre e guai se non ci fosse.

Però non bisogna dire che è un mistero nel senso della “Settimana enigmistica”: questi sono altri misteri. Il mistero cristiano, il mistero di fede non è un enigma, non è qualche cosa di inconoscibile insomma, è un qualche cosa che, paradossalmente, invita ad essere conosciuto, però nel contempo sempre con questo residuo di oscurità. Perciò dinanzi al mistero della Trinità la ragione ci può e ci deve aiutare: ecco come la filosofia non solo può essere scomodata ma deve esserlo.

Il Signore ha poco piacere dei cristiani che dicono: “Ma io vivo così, alla Trinità ci credo ma non ci penso molto, perché più ci penso, più sono irrispettoso”. Ma direbbe il Signore: “Ma figliolo mio, io ti ho dato il pensiero perché tu approfondisca sempre di più, per cui più approfondisci, più ti rendi conto di quanto poco è quello che sai”. Vedete approfondire il mistero è un entrare nella luce, benchè il mistero mantenga un aspetto di oscurità[16].

 

Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP

Trascrizione da registrazione di Sr. M. Colombo, OP, e Sr. M. Nicoletti, OP – Bologna, 2007
Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 2008 e Fontanellato novembre 2021
 
 
 
Notate la problematica della teologia trinitaria: trovare un solo punto su cui si possa fondare una possibile differenza in Dio. 
 
In Lui infatti non c’è alcuna differenza, né di sostanza e accidenti, né di sostanza e essenza, né di essenza e di essere, tutto è unità. Gesù parla con chiarezza in termini trinitari, che comportano distinzione tra il Verbo e il Padre, tra il Verbo e lo Spirito. 
 
Come è possibile pensare in Dio una differenza senza abbassare Dio ad una creatura?
 

C’è una sola possibilità. Nell’ambito creaturale esiste un particolare accidente, l’unico che, non di per sé, ma la cui analogia o somiglianza ci mette in grado di affermare una possibile differenza reale in Dio. È una cosa quasi commovente, perché è l’accidente più piccolino. Dice infatti San Tommaso che esso è ciò che c’è di debolissimo nell’ente. Che cosa è? È l’accidente della relazione. 

 In Dio ci sono delle relazioni reali reciproche di origine, contrapposte l’una all’altra, e quindi relazioni che fondano una reale distinzione. Il Padre è Padre del Verbo, secondo tutto il suo essere; e il Verbo è un procedente dal Padre secondo tutto il suo essere; e lo Spirito Santo è un procedente dal Padre e dal Verbo come da un’unica origine secondo tutto il suo essere Amore di Dio, un’unica origine della processione.

Sant’Agostino, il quale ha scritto sulla Trinità Santissima un bellissimo trattato, narra che, camminando sulla spiaggia del mare vide un bimbo, che costruiva una buca. In essa con una conchiglia, metteva dell’acqua dal mare. Sant’Agostino si ferma e dice: “figliolo, che cosa stai facendo?”.

Il bambinetto gli risponde molto saggiamente: “tu cerchi di fare esattamente la stessa cosa che faccio io: io da questo oceano cerco di portare l’acqua in questa piccola buca, così come tu da quell’oceano di essere che è Dio cerchi di trasportare qualche cosa nella ristrettezza della tua intelligenza umana”.

Immagini da internet:
- Episodio evangelico del tributo, del Masaccio
- Trinità, del Masaccio
- Sant'Agostino col bambino, del Botticelli


[1] Il movimento dello spirito umano, benché i suoi atti siano istantanei e quindi sovratemporali, essendo forma del corpo, si svolge nel tempo e nello spazio e comporta uno sviluppo e un progresso, un passaggio dalla potenza all’atto, dall’implicito all’esplicito, dall’inconscio al conscio, dal diretto al riflesso.

[2] Infatti, come insegna Aristotele, l’atto dell’intelletto pensante si identifica col pensato in quanto pensato. Per cui l’atto del conoscere è un passaggio dall’atto all’atto, dove il primo s’identifica col secondo.

[3] In quanto conosciuto.

[4] In quanto pensato: infatti gli Scolastici parlano di identificazione “intenzionale”, ma non reale, nel senso che, nell’atto del conoscere il conoscente resta realmente distinto dal conosciuto.

[5] Cioè: da un punto di vista razionale

[6] Non imparo niente di nuovo, non aumento la mia intelligenza.

[7] Il Padre e il Figlio sono un’unica origine dello Spirito Santo.

[8] Colui che pensa è il Padre e Colui che è pensato è il Figlio.

[9] Cioè la spirazione dell’Amore.

[10] Ossia l’Amore spirato dal Padre e dal Figlio.

[11] È la sostanza o natura.

[12] Una Relazione divina, nel suo “essere ad altro” si distingue da un’altra Relazione, perché altro è l’essere ad altro del Padre ed altro è l’essere ad altro del Figlio; mentre, in quanto la relazione dice “essere-in”, le Relazioni divine non si distinguono fra loro, perché in esse l’essere-in, mancando di un soggetto, diventa un essere-in-sé.

[13] Cioè l’accidentalità come essere-in, perché in Dio non c’è nessun essere-in, ma sola e purissima sussistenza, anche di ciò che invece nel creato non sussiste da sé, come è appunto l’accidente.

[14] S’intende la sussistenza della sostanza, non delle relazioni.

[15] Ossia la relazione in Dio sussiste quasi fosse sostanza.

[16] A questo punto l’esposizione s’interrompe a causa della fine del nastro. Le parole in corsivo aggiunte sono quindi ipotetiche.

6 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    nella seconda parte di questa conferenza di Padre Tomas, il domenicano Servo di Dio dice:
    “Vedete, la fede è sempre una teologia, cioè un discorso razionale su un qualche cosa che riguarda il mistero di Dio. Non abbiamo altro modo di avvicinarci a Dio”.

    In prima battuta, questa identificazione della fede in teologia appare quantomeno forzata.
    Se la teologia è la riflessione filosofica sulla Parola di Dio e sulla Tradizione della Chiesa, illuminata dalla fede, quest’ultima non può non possedere una sua autonomia rispetto alla teologia.
    La fede è il nostro aderire a Dio che si rivela, con verità che superano ciò che la sola nostra ragione umana è in grado di conoscere, sicché è necessario l’intervento divino sul credente affinché col cuore e la mente aderisca a queste verità di ordine soprannaturale.
    Dunque la fede è essenzialmente dono di Dio (che siamo chiamati ad accogliere), per questo Gesù ha detto: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo trae” (Gv 6,44).

    Dal Catechismo di san Pio X:
    “864. Che cosa è la Fede?
    La Fede e una virtù soprannaturale, infusa da Dio nell’anima nostra, per la quale noi, appoggiati all’autorità di Dio stesso, crediamo esser vero tutto quello che Egli ha rivelato, e che per mezzo della Chiesa ci propone a credere”.
    Anche in questa sintetica definizione magisteriale della fede non sembra emergere una connessione imprescindibile con la teologia.

    Del resto la Chiesa ha sempre riconosciuto valore e rispetto per la fede anche del più ignorante degli uomini, del quale magari faticheremmo ad apprezzarne… i contributi teologici.

    Ma tutto questo Padre Tomas lo sapeva ben meglio di me, e dunque la sua frase non può essere recepita letteralmente, ma necessita di essere interpretata.
    Forse Padre Tomas, in quella frase con “la fede” intendeva dire “il professare la fede”, ovverossia che ogniqualvolta professiamo la nostra fede cattolica, come quando preghiamo il Credo, stiamo facendo anche (consapevoli o meno) teologia, “cioè un discorso razionale su un qualche cosa che riguarda il mistero di Dio”?

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    1. Caro Bruno,
      bisogna vedere che cosa intendiamo per teologia. Il termine può avere un senso lato o un senso stretto. In questo testo P. Tomas parla della conoscenza di fede come conoscenza teologica, come spiega egli stesso nelle parole che anche lei ha riportate: “un discorso razionale su un qualche cosa che riguarda il mistero di Dio”. Quindi parla di teologia in questo senso ampio, come conoscenza di Dio.
      A tal riguardo è bene ricordare la distinzione tra teologia naturale e teologia cristiana. La prima è opera della semplice ragione e la troviamo per esempio anche in Platone e in Aristotele. La seconda, invece, è scienza propria di noi cristiani, perché è basata sulla fede in Cristo.
      Certamente, se noi partiamo dal significato stretto del termine, ossia dalla definizione scolastica di quello che è la teologia, allora certamente la teologia è distinta dalla fede e certamente P. Tomas sarà il primo a riconoscerlo.
      Per questo, io non parlerei di un accostamento forzato, ma semplicemente della preoccupazione di mettere in luce che il credere impegna la ragione, in quanto tratta di quella che è la natura di Dio e dei suoi attributi.
      Se invece intendiamo la teologia in un senso stretto, è chiaro che essa è una scienza che viene ottenuta basandosi sulle verità di fede e traendo da esse, mediante l’uso della ragione, delle esplicitazioni e delle conclusioni che posseggano un buon grado di certezza.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    in un precedente articolo del blog
    (https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sulla-santissima-trinita_13.html), a fronte della seguente affermazione del teologo Padre Etienne Vetö:

    “6. «Nello stesso modo in cui Dio modella Adamo e poi vi alita il proprio respiro, il Padre genera il figlio, lo “modella”, e co-eternamente immette in lui il suo Respiro»”,

    lei, Padre Giovanni, aveva così replicato:

    “[…] l’alitazione divina sul corpo di Adamo non significa affatto il dono dello Spirito, ma semplicemente l’animazione del corpo da parte dell’anima spirituale. Perché l’umanità ricevesse il dono dello Spirito, è stata necessaria l’opera della Redenzione.”

    Ma in un successivo articolo relativo alla “Distinzione delle Persone divine - Tomas Tyn - Prima Parte”
    (https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/distinzione-delle-persone-divine-tomas.html), Padre Tomas dice:

    “Quando il Libro della Genesi dice che Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, è questa rùach Elohìm, lo Spirito del Signore che egli ci ha comunicato. Pensate a quella bella immagine della creazione, quando Dio ha plasmato Adamo dalla terra, vedete una materia così umile che in qualche modo dà la corporeità all’uomo, però in questo corpo così umile Dio ha alitato il suo spirito che dà vita e che dà intelligenza.”

    E’ possibile, Padre Giovanni, che anche Padre Tomas sia incorso nello stesso errore di Padre Etienne Vetö, ovvero di confondere l’infusione dell’anima spirituale in Adamo con la comunicazione dello Spirito Santo?

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    1. Caro Bruno,
      per quanto riguarda Padre Etienne Vetö, non si può assolutamente dire che il Padre “modella” il figlio, perché ciò che viene modellato è una materia, che riceve una forma in base ad un modello. Ora, il Figlio evidentemente non è composto di materia e forma, ma è una pura forma spirituale, in quanto è il Logos.
      Per quanto riguarda P. Tomas, io interpreto il suo pensiero non nel senso che Dio infonda in Adamo lo Spirito Santo, ma nel senso che fa un accostamento molto bello tra l’infusione dell’anima in Adamo e quella che poi sarà, nel Nuovo Testamento, la missione dello Spirito Santo nella nostra anima, da parte di Cristo.
      Non è escluso che Dio, nell’infondere in Adamo la sua anima, operi questa infusione nello Spirito Santo. Probabilmente è questo ciò che vuol dire P. Tomas.

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  3. Caro Padre Giovanni,
    circa 7 mesi fa, Padre Ferenc Patsch, professore straordinario alla Pontificia Università Gregoriana, ha introdotto il suo corso “Karl Rahner - Corso fondamentale sulla fede” (https://www.youtube.com/watch?v=cmEHLn9MfEY),
    con parole non meno che entusiastiche nei riguardi di quest’opera del teologo tedesco, come per esempio:
    “Questo testo non può mancare tra i grandi libri della teologia cristiana. E’ un libro a cui possiamo dare un enorme credito per una via intellettuale alla fede cattolica. Destinato a diventare un classico che cristiani e non cristiani leggeranno nella nostra epoca: una giustificazione intellettuale della fede.
    […] E’ una pietra miliare della teologia contemporanea”.

    Se poi andiamo a scorrere i testi di preparazione ai vari esami della stessa Gregoriana, è facile verificare che, nella maggioranza degli attuali corsi e seminari, il testo di Rahner è sempre presente.
    Purtroppo, come sappiamo, il caso della Gregoriana rappresenta solo un esempio di quanto il virus del rahnerismo si sia diffuso a tanti livelli nella Chiesa.

    Ora, in un precedente suo articolo su Padre Tomas, riguardo alla Causa di Beatificazione iniziata nel 2007, lei ha scritto:
    “La Causa fu fermata nel 2013, ma ora appaiono segnali che fanno ben sperare una sua ripresa, così da beneficare la Chiesa con l’apporto del suo eccellente insegnamento e delle sue virtù eroiche.”

    Le chiedo: quali ipotesi si possono formulare sulle cause di questa “pausa” che dura ormai da quindici anni?
    E’ il necessario miracolo che si è avuta difficoltà ad individuare?

    O forse, mi si perdoni la malignità… potrebbe esser stata proprio l’influenza del rahnerismo, in tanti uomini di Chiesa, ad aver costituito un intoppo alla Causa?
    In altre parole, come potrà la Chiesa riconoscere come beato e magari come santo, colui che sin dalla tesi pubblicata a soli 22 anni, tacciava di modernismo quel Rahner, che la stessa Chiesa (o gran parte di essa) propone oggi come tra i più autorevoli teologi contemporanei?

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    1. Caro Bruno,
      sto giustamente preparando uno studio impegnativo, che presto pubblicherò, sul concetto di Dio in Rahner, dove attingo abbondantemente al Corso Fondamentale sulla fede. L’ispirazione di fondo di questa opera non è altro che il panteismo hegeliano, con modiche ottenute da Kant e da Heidegger.
      Questa diffusione del pensiero rahneriano non mi meraviglia; la conoscevo già. È il segno della potenza attuale del modernismo, quello che i tradizionalisti chiamano il “pensiero unico”, per esprimere il fatto che oggi la teologia deve fare i conti con la dittatura dei rahneriani. E come lei sa, nelle dittature tutti la devono pensare come la pensa il capo. A tal riguardo è interessante come il Santo Padre, proprio ieri, ha sferrato un attacco contro il “pensiero unico”.
      Per quanto riguarda il giudizio della Chiesa, certamente essa non ha mai fatto il nome di Rahner, ma non lo ha anche mai lodato. D’altra parte anche Rahner ha i suoi meriti, che egli si fece quando fu perito del Concilio.
      Per quanto riguarda l’insegnamento della Chiesa in questi ultimi cinquant’anni, volendo, si potrebbero trovare molti riferimenti agli errori di Rahner o tesi a lui contrarie, senza che Rahner vanga mai nominato.
      Per quanto riguarda la Causa di P. Tyn, penso anch’io che sia stata fermata dai rahneriani. Ma questo non significa nulla, perché lo Spirito Santo sta preparando anche per i rahneriani l’ora della verità.

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