PSICASTENIA - OCTAVIO NICOLA DERISI - Prima Parte (1/2)

 PSICASTENIA

Octavio  Nicola Derisi

Prima Parte (1/2)

Cf. : Lo scrupolo:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/03/dibattito-sul-problema-dello-scrupolo.html


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

OCTAVIO NICOLA DERISI

 

 

 


PSICASTENIA

 

 

GENESI E SVILUPPO, TEORIA

E TERAPEUTICA DEGLI SCRUPOLI

 

 

 

 


Seconda Edizione

Secondo l'originale della collezione

ADSUM

Grupo de Editoriales Católicas

Buenos Aires 1944

 

 

 

 


Al mio venerato Arcivescovo di La Plata, Mons. Dr. Juan P. Chimento, padre amoroso e zelante pastore del suo gregge.

 

 

 

 

 

Indice

 

 

 

 

 

Prefazione alla Seconda Edizione                                                                                 3

 

Capitolo I                                                                                                                  

 

            Introduzione                                                                                              4

 

Capitolo II                                          

 

            Descrizione dei fatti della psicastenia                                                       5

 

            1) L'idea ossessionante                                                                              5 

            2) Caratteri dell'idea ossessionante                                                           6

 

Capitolo III

 

            La teoria psicastenica                                                                                       10

 

            1) La tensione psichica                                                                            10

            2) Gerarchia dei fenomeni psicologici                                                     11

            3) Applicazione della teoria psicastenica ai fenomeni di ossessione       13

 

Capitolo IV

 

            La terapeutica degli scrupoli                                                                               16

 

            1) Condotta che il direttore deve osservare con il malato                                      16

            2) La semplificazione della situazione morale, primo rimedio degli scrupolosi    17

            3) L'elevazione della tensione psichica, secondo rimedio per gli scrupolosi         20

 

Capitolo V

 

            Conclusione                                                                                                  22

 

 

 

 

Prefazione alla Seconda Edizione

 

 

 

 

 

            Qualche anno fa, a puntate successive della "Rivista Ecclesiastica" di La Plata, ho pubblicato il presente lavoro, che è subito apparso in forma di libro. La mia intenzione era quella di mettere nelle mani dei confessori e dei direttori di coscienza uno strumento per la guarigione delle anime scrupolose e proporre loro la via del proprio rimedio. È vero che tutti i trattati di teologia morale danno norme pratiche per la direzione sicura di queste anime così dolorosamente turbate dalla loro malattia. Ma, com'è naturale, non entrano di solito nell'analisi e nella spiegazione psicologica della malattia, o, nel migliore dei casi, si accontentano di una sua breve esposizione. Ho pensato, quindi, che una maggiore comprensione della malattia, sia nei fenomeni in cui si manifesta sia nelle cause che la originano, in una parola, che uno studio psicologico prima di quello terapeutico, avesse un interesse non solo scientifico per la migliore conoscenza del male dalle sue radici alle sue successive manifestazioni, ma soprattutto ha offerto un fondamento razionale per una migliore comprensione di quelle norme e rimedi proposti dai trattati di teologia morale. Fondata in questo modo sulla conoscenza della causa, la terapeutica degli scrupoli appare determinata e richiesta dalla natura stessa del male a cui cerca di porre rimedio.

            Tale è lo scopo che ha mosso l'autore a scrivere quest'opera psicologico-morale.

            Dio benedisse questo sforzo, perché il pubblico accolse con tanta benevolenza il libro nella sua prima edizione, che poco dopo fu totalmente esaurito.

            Con qualche piccola correzione, rivede oggi la luce in questa seconda edizione. Sarebbe stato facile approfondire alcuni punti ed espanderne altri. I temi psicologici che tocca e mette in relazione offrono la prospettiva di una vasta esposizione. Ho preferito, però, mantenerlo così nella sua semplice struttura della prima edizione, con sufficiente ma minima preparazione ed erudizione scientifica, per renderlo più accessibile e comprensibile -almeno nei suoi punti fondamentali- ad altrettanti animi il più possibile la sua lettura è utile. Ho così sacrificato l'erudizione alla facilità e alla chiarezza, per assicurarne l'accessibilità a un maggior numero di lettori.

            Dio benedica il libro con il bene che può portare ai miei fratelli sacerdoti, confessori e direttori di coscienza, specialmente con la pace e la tranquillità che le sue pagine possono portare alle anime immerse nell'angoscia di questa dolorosa malattia. Tale la migliore ricompensa dell'autore.

 

Octavio Nicolás Derisi

 

 

Seminario Metropolitano Maggiore "San José" di La Plata.

Nel quinto anniversario dell'Incoronazione di

S. Santità Pio XII, 12 marzo 1944

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Capitolo I


Introduzione

 

 

 

 

 

            Forse non legge più profonda nei domini della psicologia, come quella della tendenza dello spirito verso l'unità della coscienza, verso la coesione della personalità. Per questo tutti gli atti psichici -idee, sentimenti, decisioni, ecc.- tendono a raggrupparsi nell'unità profonda del io. Ogni percezione, idea o qualsiasi altro atto psichico che penetri nella nostra coscienza deve sottomettersi a detta legge, incorporandosi in quell'unità. Di fronte a un nuovo fatto psicologico, un'idea, per esempio, l'intelligenza lo analizza, cerca di ridurlo a conoscenze o idee già acquisite o illuminato dalla sua luce, per poi assimilarlo alla sintesi mentale.

            Quando nulla ostacola quella profonda inclinazione naturale dello spirito, un sentimento di soddisfazione segue la sua opera di unificazione. Ma che qualsiasi atto psichico venga a disturbare quel movimento naturale dell'anima, radicandosi nella coscienza senza che lo spirito possa incorporarlo nella sua unità, e si verificherà una sorta di dislocazione spirituale con la conseguente lotta della sintesi mentale per vedere come elimina l'intruso e recupera la sua unità. È il tormento di un dubbio che ostacola un'indagine irriducibile all'evidenza, o quello di un'indecisione che riempie di ansia e bilancia la volontà tra due atteggiamenti, impedendole di sceglierne uno.

            Nella vita normale queste disavventure sono tanto frequenti quanto temporanee, almeno nei casi ordinari; e nei disegni dell'Autore della nostra natura hanno lo scopo di provocare la nostra attività sostenuta verso la conquista del mondo della conoscenza: unità dell'intelligenza attraverso l'eliminazione del dubbio, e del mondo della perfezione morale: unità della nostra condotta diretta con decisione e senza esitazioni o alternative lungo la via dell'obbligo e del dovere.

            Ma ci sono soggetti nei quali la dislocazione e la tortura dello spirito, nata dal fatto di non poter raggiungere l'unità di coscienza, cessa di essere un accidente passeggero delle loro vicende psichiche per diventare un fenomeno costante e quasi permanente, determinato come è per una debolezza e depressione dello spirito, dovuta a una malattia: la psicastenia, detta anche ossessione, che in materia religiosa costituisce lo scrupolo.

            Nel presente studio cercheremo di esprimere oggettivamente i fatti e lo sviluppo di questa malattia dolorosa e poco frequente (1a parte), per poi raggrupparli in una teoria che dia loro una spiegazione soddisfacente: la teoria psicastenica di Janet (2a parte), per poi indicare sottolineando solo loro, il loro trattamento terapeutico, i loro rimedi (3a parte) il tutto, ovviamente, nei limiti ristretti di un lavoro di sintesi, e riferendosi preferibilmente e quasi esclusivamente al caso principale, più straziante e che più di quanto è vicino a noi che siamo interessati al bene delle anime, o degli scrupoli.

 

 

 

 

Capitolo II


Descrizione dei fatti della psicastenia

 

 

 

 

 

1) L'idea ossessionante

 

            Lo scrupolo si manifesta con una sensibilità esacerbata, con un'inquietudine facilmente eccitabile al minimo contatto con il male morale, con un timore infondato e morboso del peccato, che teme di trovare anche negli atti più innocenti. È accompagnato o seguito da altri fenomeni psicologici anormali, che indicheremo subito.

            Il suo carattere è l'inquietudine, che lo differenzia dal sano e santo timore del male morale, tipico di ogni coscienza delicata, e insieme dalla coscienza errata o sbagliata, che senza esitazione commette un atto oggettivamente cattivo senza accorgersene come tale.

            Né è scrupolo il dubbio transitorio, che in ogni situazione morale un po' complessa sorga la coscienza timorosa circa la legittimità di certi atti e decisioni da prendere. Questo dubbio, nel caso degli scrupoli, è permanente ed è dovuto non tanto a situazioni morali oggettivamente difficili da risolvere, quanto piuttosto a una debolezza soggettiva che si manifesta ad ogni passo nei casi quotidiani e ordinari della nostra vita, ovunque non uno dei nostri pazienti trova difficoltà o dubbi morali.

            Gli scrupolosi sono persone, generalmente rette e pie. Ne è prova il fatto stesso che la malattia, l'ossessione, si situa in materia religiosa, come si capirà meglio in seguito, poiché l'idea ossessiva si introduce e lacera proprio le sintesi mentali più complesse dell'individuo, quella in cui egli pensa di più e ama di più. Inoltre, di solito hanno un'intelligenza non volgare, o almeno, come osservano Janet ed Eymieu, non è una malattia capace di penetrare idioti, imbecilli o persone di talento medio e inferiore. Al di fuori dell'ambito della loro ossessione, sono soggetti normali e possono svolgere attività di valore -di natura soprattutto disinteressata, come quelle speculative o artistiche- con poco o nulla che rifletta il loro male, a parte certi casi estremi. Invece, e per le ragioni che spiegheremo al c. III, quando si espone la spiegazione teorica degli scrupoli, si tratta solitamente di parenti di scarsa capacità e destrezza pratica, spirituale e manuale (governo, giochi, mestieri, ecc.).

            L'idea ossessionante si presenta, in genere, come un pensiero minaccioso, che attirando tutta l'attenzione del soggetto, non fa altro che attecchire sempre più nella sua coscienza e che non riesce ad eliminare.

            Non è una semplice idea, ma una conseguenza di un ragionamento, quasi sempre implicito. All'ombra di un principio morale evidente e indiscutibile, si tutela un atto particolare che, oscillante e timido prima, più ardito poi, ma mai apertamente e fermamente, ma sempre preceduto da un terribile "forse" o "chissà", pretende a se stesso le esigenze di quel principio. Ad esempio, una persona scrupolosa sa con certezza che è un dovere prendere le distanze dai pericoli immediati del peccato, in cui non c'è scrupolo; ma poi, con un "forse" o "chissà", include in quel principio -e qui comincia lo scrupolo- un caso particolare che evidentemente non vi è incluso. Una persona normale, senza rinunciare al suo principio, vedrebbe subito che detto atto non compromette in alcun modo quel precetto generale e ridurrebbe il dubbio a certezza pratica, eliminandolo dalla coscienza insieme al timore infondato di ledere il principio.

            Ed è proprio questo che il nostro malato non sa e non può fare: vedere come non compresi in una norma generale di morale certi atti che in realtà non lo sono, o vedere come non contrari ad essa alcuni atti che in verità non lo sono. Nel suo nobile desiderio di conservare intatto il principio, non osa scartare l'idea invadente ossessionante, che sotto forma di dubbio e contro la sua volontà mantiene nella sua coscienza. Ed è così che, paradossalmente, questa idea ossessiva, odiata dal malato, viene custodita con cura, protetta dall'amore professato per il precetto morale generale. Senza essere assimilata alla sintesi mentale, perché rimane sotto forma di dubbio, vi si trincera, si incista, e penetra sempre più a fondo, lacerando dolorosamente sulla sua scia l'unità di coscienza, perché, d'altra parte, il malato non osa liberarsene gettandolo via.

            L'idea ossessionante e inquietante può essere localizzata su mille temi diversi; ma lo farà sempre su ciò che il soggetto ama di più e interessa di più al soggetto, come il parassita che cerca le parti più ricche e delicate della sua vittima per inserirsi in essa. È l'amore incondizionato per una norma o un principio, come abbiamo appena visto, che rende possibile il sostegno dell'idea intrusiva nascosta surrettiziamente sotto quell'amore; ed è per questo che in ciò che è più amato, nel punto centrale della sintesi mentale, in quell'oggetto dove idee e sentimenti hanno tessuto l'ordito più complesso della psiche, si sarà indubbiamente radicata l'idea invadente. Quindi, nel caso di persone ferventemente cristiane, l'ossessione -che in un'altra ipotesi sarebbe stata localizzata altrove, ad esempio negli interessi materiali- penetra nei campi della coscienza relativi alla vita religiosa. È perciò un'ignoranza, quando non un'insidiosità, attribuire alla vita cristiana la causa di questi disturbi ossessivi, come se essa fosse la causa e non solo l'occasione della loro origine e manifestazione, e come se la vita cristiana non fosse stata vissuta, la malattia non si sarebbe stato inserita e radicata in un'altra attività della nostra vita psichica. Ci sono anche ossessionati in questioni familiari, sociali, economiche, ecc.

 

2) Caratteri dell'idea ossessionante

 

            Ci sono diverse caratteri dell'ossessione, che, ovviamente, aumentano e si rafforzano in proporzione diretta all'intensità della debolezza mentale del malato.

            Innanzitutto, il primo tratto che risalta nei fenomeni di ossessione, è l'insistenza dell'idea invasiva schermata dal "forse". Il paziente si sforza di eliminare dalla sua coscienza questa idea tormentosa, si sforza di eliminare il suo dubbio senza successo, anzi, le sue meditazioni, le sue analisi per convincersi di non essere incluso nel principio morale in cui si nasconde, non fanno che rafforzarlo sempre più nella sua coscienza, in parte per le leggi associative che lo radicano più profondamente, in parte per la debolezza del malato accresciuta a tal punto con tali sforzi da non riuscire ad eliminare il suo terribile invasore. Si genera allora un pernicioso circolo vizioso che immerge sempre più il paziente nella sua malattia: la debolezza del malato lo predispone all'ossessione e il logoramento della vittima a liberarsene, che in realtà riesce solo a indebolirlo ulteriormente e predisporre lui a nuovi avanzamenti dell'idea invadente e lacrimazioni interiori. In fondo, il malato è convinto della ridicolaggine delle pretese dell'idea ossessiva -di qui la sua lotta per eliminarla con le proprie forze o con l'aiuto di consigli altrui- nonostante, per le ragioni esposte, non osa eliminarla. L'ossessione è, per questo, una "demenza lucida", come è stata giustamente chiamata, demenza che si differenzia e si colloca agli antipodi dell'isteria. Invano il buon senso oppone le sue solide ragioni alle pretese stravaganti dell'idea ossessionante avvolta nel dubbio, invano il buon senso naturale fa le sue affermazioni contro gli eccessi del dubbio inquietante; l'idea avanza e squarcia i più ricchi complessi di sintesi mentale, man mano che -per lo sviluppo della malattia, accresciuta in larga misura dagli enormi e sterili sforzi del malato per espellerla da sé- penetra più profondamente in lei, sempre nell'oscillazione lacerante del dubbio.

            Si verifica allora una sorta di dissociazione della coscienza: da un lato il senso comune che non acconsente o non si rassegna a queste folli esigenze del dubbio, e dall'altro l'idea ossessiva che la volontà del malato (per un doloroso e terribile paradosso) liberamente rispetta, conserva e anche difende a proprie spese, per paura di compromettere e gettare via con il suo rifiuto l'amato principio morale, che il suo buon senso, peraltro, vede, quasi istintivamente, estraneo al parassita idea. Il senso comune trionfa nella vita esteriore e pubblica del paziente, e per questo non rivela nulla di anomalo agli occhi degli altri; non così dentro, dove la lotta continua poi con il vano sforzo della volontà di eliminare il dubbio attraverso ragionamenti intricati, esami, confronti con altri casi simili già risolti e mille altre riflessioni, che solo oscurano sempre di più la luce crepuscolare di la sua coscienza. L'eliminazione del caso delle esigenze morali del principio non è raggiunta, e dietro del principio sue esigenze persistono e si aggrappano accovacciate sotto forma di dubbio.

            E proprio per questo, perché l'idea ossessiva penetra impietosamente nelle sintesi mentali più complesse, formate dalle idee e dai sentimenti più intimi e attorno agli oggetti più amati -così nel caso del scrupoloso il dubbio si colloca nelle loro sintesi mentali relative alla sua vita religiosa, con il peccato soprattutto- l'ossessione, specialmente in materia religiosa, è probabilmente la malattia più dolorosa dello spirito e di conseguenza la più dolorosa di tutte, accompagnata com'è dall'angoscia più acuta.

            L'ossessionato non si rassegna al suo stato; lotta contro la sua idea invasiva, cerca di liberarsi dal dubbio con cui si presenta, sebbene sempre in modo inefficace, senza essere pienamente convinto dell'inutilità dei suoi sforzi. Per giungere alla certezza, ricorre anzitutto a lunghi e tormentosi esami di coscienza, se l'azione è già stata compiuta, oppure ad un'analisi meticolosa dei principi morali nei loro rapporti con il caso concreto, se si tratta di formare la sua coscienza prima di agire. Di fronte all'inefficienza di tali procedure ricorre a mezzi straordinari e ridicoli, ricorre a formule di sorta stravaganti (ad esempio pronunciando certe frasi, a volte prive di senso o incoerenti, un certo numero di volte, ecc.), a fatti che vorremmo mostrare la colpevolezza o l'innocenza della sua coscienza (ad esempio, se si taglia appoggiando o meno la testa su un pezzo di vetro -e convinto della sua innocenza, il paziente avrà cura di non stringerlo troppo per non ferire stesso- dedurrà da questo fenomeno se ha peccato o no), a giuramenti e movimenti del capo, delle mani, ecc., come se volesse buttare via con essi l'idea tormentosa che non ha potuto eliminare dalla sua anima in altro modo.

            Una volta esauriti invano tutti i suoi mezzi per ottenere la certezza e l'unità della sua coscienza e la conseguente pace, si rifugia, sconfitto, in un supremo ridotto: rassegnarsi alle esigenze dell'idea ossessiva, optare per il più sicuro, abbracciando se stesso, praticamente, in un atto eroico per salvare indenne il principio morale, con l'intollerabile sistema giansenista che nella morale si chiama tuciorismo. D'ora innanzi, oltre agli obblighi certi richiesti dalla morale di tutti gli uomini e cristiani, lo scrupoloso si sottoporrà a una serie pressoché infinita di imposizioni, ogni volta più numerose e più intollerabili, che pone crudelmente sulle sue spalle l'idea ossessiva protetta dal dubbio.

            È chiaro che lì non raggiungerà nemmeno l'unità della sua vita, la pace dello spirito, anzi, con ciò potrà solo rafforzare l'idea invadente, nei cui abissi andrà a seppellirsi sempre di più, mentre lotta per sfuggire alle sue fauci, come l'infelice prigioniero delle sabbie mobili.

            Infine, incapace di liberarsi solo per se stesso dalle grinfie del suo nemico interiore, il malato si decide di andare a confidarsi nella sua penosa situazione e chiedere aiuto al medico, che in caso di ossessione religiosa altri non è che il suo stesso confessore o direttore spirituale. E proprio lì trova la pace, almeno momentaneamente. Il confessore scarica dalla sua coscienza il peso tortuoso delle idee ossessive, che si sono accumulate giorno dopo giorno, gli fa vedere l'inutilità delle sue preoccupazioni, li apre il suo cuore alla fiducia in Dio e gli dà una norma chiara e categorica, semplificando con essa la vita spirituale e cercando di renderla così semplice che la terribile dialettica del malato non la renda inutile nella sua applicazione pratica. "Non hai alcun obbligo o divieto, dice il confessore, finché non lo vedi chiaramente e senza esaminarlo". (Questa regola è valida solo per gli scrupolosi).

            Ma ben presto l'ossessione si insinua di nuovo, dapprima timidamente, a poco a poco riacquista il terreno perduto e ben presto torna a impossessarsi di nuovo della coscienza del malato. Questa volta è molto probabile che l'ossessione si situi nella norma stessa del confessore, annullandone l'efficacia e accecando così il principio di salute alla sua stessa fonte. "Mi sono spiegato bene al prete?", si dice l'uomo scrupoloso, e... "Il Padre mi ha capito bene?" E ancora: "La regola che mi hai dato sarà estesa a questo caso?" "Quale sarà il suo significato preciso?" E comincia ad analizzarla anche nel suo senso più recondito, senza riuscire ad oscurarla e a renderla del tutto inutile. Di nuovo corre alla ricerca del suo confessore, gli chiede di chiarire le sue regole direttive e, dopo ripetuti fallimenti nel tenerla chiara, lo pregherà di dargliela per iscritto per non snaturarla con i suoi dubbi. Ma neppure con questo si sbarazza del suo terribile nemico, che si introduce nella regola chiara e definitiva per oscurarla e renderla di nuovo sterile. Lo scrupoloso inizia leggendo e rileggendo le semplici parole del confessore, attorno al quale ricama un'esegesi abbondante e molto tenue, che non fa altro che ingarbugliarlo nei suoi fili finissimi e invalidare la sua regola salvifica. Solo il suo penetrante spirito di analisi sotto pressione e il desiderio di liberarsi dall'idea ossessiva sono capaci di lunghi e prolissi quanto vani esami de la sua regola morale.

            Nel frattempo, tutto questo sforzo frustrato, tutto a vantaggio della sua idea ossessiva sempre più forte ed esigente, non fa che indebolirlo ulteriormente e farlo precipitare in un'impotenza irritante e crudele. L'animo diminuisce, la speranza di potersi sbarazzare del nemico implacabile diminuisce e una diffidenza travolgente e una tristezza indicibile prendono il sopravvento e oscurano l'intera vita dello spirito. La chiarezza della coscienza si oscura di giorno in giorno, la sua coesione si allenta e la sua dissociazione si accentua; il senso comune declina, le sue proteste e rivendicazioni sono più deboli e tardive, cede il campo palmo a palmo all'implacabile avversario; come si manifestano nel paziente, dapprima quasi impercettibili e poi più chiaramente, agitazioni mentali, motorie ed emotive. Tali agitazioni sono caratterizzate dalla loro futilità e dalla loro mancanza di adattamento alla realtà.

            In primo luogo, di solito appaiono sistematizzati, cioè situati attorno a una certa idea (mania), movimento (tic) o emozione (fobia); ma a poco a poco queste agitazioni si moltiplicano, si mescolano e si agglomerano, generando ruminazioni mentali dalla sovrapposizione di manie; dall'accumulo di energia, movimenti quasi convulsi (solo che sono coscienti, anche se un po' involontari); e dalla moltitudine delle fobie, l'angoscia permanente senza un oggetto definito, che abitualmente fa a pezzi il paziente.

            Queste agitazioni dei tre ordini (mentale, motoria ed emotiva) sono come spiegazioni, o meglio, derivazioni dell'attività psichica, che seguono lo sforzo frustrato di padroneggiare l'idea ossessiva. Il disagio del malato non si manifesta, come si vede, solo nell'idea che lo tormenta; in realtà, come diremo più avanti esponendo la teoria di Janet, la causa della malattia è più profonda e l'idea ossessiva non è altro che una delle manifestazioni di uno stato generale di depressione o psicastenia.

            Una sensazione di "incompiutezza", di "incompiutamento" accompagna tutti i suoi atti e stati psichici, ci confessa il paziente. Secondo lui, la sua attenzione manca di fissità, la sua intelligenza manca di chiarezza e la sua volontà di decisione. Le loro gioie e, in generale, tutti i loro sentimenti non sviluppano l'orbita della loro normale evoluzione, si fermano a metà strada, rimangono incompleti. Di qui la come una necessità che ha di rifare costantemente i suoi atti e quello come rifiuto che professa alle sue azioni più preziose, spesso molto apprezzate da coloro che lo circondano. Per lo scrupoloso non c'è niente di utile nella sua vita, non fa niente alla perfezione, tutto è pieno di difetti e lacune. Quindi lo scrupoloso non è mai soddisfatto delle sue preghiere, delle sue opere buone, specialmente delle sue confessioni, che sente sempre il bisogno di rifare, e quel sentimento e consapevolezza dell'imperfezione e della "incompletezza" impressa in tutta la sua vita, che lo mette a disagio e lo porta allo sconforto e a volte anche alla disperazione. Questa convinzione dell'ideale della sua vita mai raggiunto, in più, delle miserie e persino dell'inutilità dei suoi sforzi, del fallimento delle sue imprese, lo porta alla tristezza e, a volte, anche all'angoscia. Se l'ossessione non fosse nel tema religioso, perché il malato non è pio, allora avremo l'artista, lo scrittore sempre insoddisfatto del suo lavoro, che tutti ammirano, o l'imprenditore, l'impiegato, o il padre di una famiglia esemplare, che sembra non aver mai fatto fino in fondo quello che doveva. È una noia che tutto invade e tutto oscura, è "la filosofia dell'impotenza e la rassegnazione della disperazione". Da tutto ciò nasce un sentimentalismo esacerbato, un desiderio di essere amati e trattati con compassione e affetto. E proprio questi malati lo meritano e ne hanno bisogno, non solo per lo stato di dolore che li strazia, ma anche per la gratitudine e la nobiltà con cui corrispondono a tali sentimenti e per la gentilezza e la tenerezza con cui sanno trattare gli altri.

            In realtà, il malato esagera molto i propri mali e aggiunge un po' di toni a questo triste quadro della sua vita e, senza volerlo, ci inganna. Perché, nonostante quello che sembra e sente, la sua intelligenza non è così oscura come ce la descrive, mantenendo una grande forza di penetrazione in tutto ciò che è astratto e anche nel concreto al di fuori del raggio delle sue occupazioni ossessive. Incapace di chiarire i propri problemi morali, sa chiarire accuratamente l'analoga situazione degli altri; e, per un doloroso paradosso, la persona scrupolosa che non sa dirigersi a se stessa può essere un ottimo direttore di coscienza, a parte certi casi estremi di questa malattia. Infermi come sono, sono capaci di produrre notevoli sforzi di intelligenza nella teologia, nella filosofia, nelle scienze e nelle arti. La sua intelligenza e le altre facoltà non presentano alcuna lesione o anormalità nella sua costituzione. La malattia risiede esclusivamente, come si comprenderà meglio nel capitolo successivo, nel funzionamento di queste facoltà normali, e si caratterizza, sintetizzando tutti i caratteri dati in precedenza, in un'insufficienza del soggetto a dominare e ad assimilare la realtà per coordinare propriamente con lei, in una parola, da un indebolimento di quella che Janet chiama "la funzione del reale" da parte della sua intelligenza, delle sue emozioni, dei suoi sentimenti e, soprattutto, da parte della sua volontà, un'insufficienza generale che manifesta stessa in certe funzioni, come vedremo più avanti quando cercheremo di organizzare i fenomeni della psicastenia in una teoria esplicativa.

 Fine Prima Parte (1/2)

4 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    l'aver svolto l'incarico di tradurre in italiano il libretto di monsignor Derisi mi ha fatto rivedere e meditare sulle sue pagine, che avevo letto per la prima volta più di quarant'anni fa.
    Se non fraintendo le cose, credo che il testo di Derisi si situi sul piano psicologico-morale. O più specificamente, la maggior parte del suo contenuto si situa sul piano della psicologia sperimentale, per spiegare, sulla base della realtà, le derivazioni morali degli scrupoli, e quindi aiutare i confessori oi direttori spirituali delle anime.
    In altre parole, il libretto tratta di un disturbo psichico, di una patologia mentale, il dubbio scrupoloso, che va curato, affinché il paziente (o il penitente) possa vivere il più serenamente possibile il suo dovere di adempiere la Legge di Cristo.
    Ora, alla luce di questo lavoretto di Derisi, mi preoccupa che un simile saggio (anche con profilo psicologico-morale) possa essere approfondito ed elaborato su un altro disturbo psichico, forse meno grave dello scrupolo, sebbene non meno grave moralmente o religiosamente dannoso, così come il sentimento di antipatia, che a volte può sembrare incurabile.
    Penso che sarebbe estremamente interessante (e molto attuale!) elaborare qualcosa per aiutare i fedeli cattolici che soffrono di questo disturbo psichico: l'antipatia. Cos'è l'antipatia? Da dove viene quell'impulso o sentimento disordinato verso il prossimo? Perché l'antipatia ostacola il nostro dovere di carità verso il prossimo? I sentimenti di antipatia sono curabili? Questi sono alcuni delle cuestioni che potrebbero essere affrontati.
    Cito un esempio molto chiaro, e che è arrivato a produrre, nell'ultimo decennio, una profonda ferita nel tessuto ecclesiale.
    Probabilmente in Italia non è così, o non si produce così tanto. Ma in Argentina, dove padre Jorge Mario Bergoglio ha agito, ha esercitato il suo ministero, come sacerdote gesuita, poi come provinciale dei gesuiti, e poi come vescovo ausiliare prima e poi arcivescovo e cardinale di Buenos Aires, ci sono fedeli che hanno conosciuto e trattato molto. Sembrano conoscerne in prima persona, personalmente, i suoi chiaroscuri, i suoi pregi e i suoi difetti, i suoi errori, forse i suoi peccati.
    Ebbene, si tratta di fedeli che, molto prima del 2013, provavano già per questo sacerdote e vescovo un sentimento di antipatia, per loro molto difficile da sopportare e superare. Questo sentimento di antipatia sembra essere peggiorato dal 2013, dall'ascesa al soglio pontificio di papa Francesco.
    Potrei fare i nomi dei pubblicisti cattolici argentini, la cui antipatia per l'attuale Papa è palpabile.
    Questo è un problema molto attuale!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Professore,
      l’argomento che lei solleva è molto interessante. Le dirò che raramente ho meditato su questo tema, benchè fin da bambino mia madre usasse spesso queste due categorie antitetiche del simpatico e dell’antipatico. Tuttavia essa disapprovava coloro che danno valutazioni morali in base alla simpatia o all’antipatia.
      Se dovessi dire subito qualche cosa su questo importante argomento, direi che la simpatia è uno stato emotivo piacevole, per il quale ci sentiamo inclini a relazionarci con una data persona, che appunto ci appare simpatica.
      Viceversa l’antipatia è uno stato emotivo di ripugnanza, che proviamo istintivamente al contatto con certe persone, che appunto ci appaiono antipatiche.
      Possiamo chiederci: qual è la parte dell’intelletto e della volontà nei sentimenti di simpatia e antipatia? Io ritengo che in questi casi l’intelletto e la volontà abbiano una parte determinante nel senso che la virtù della giustizia e della carità richiedono che noi regoliamo la nostra condotta in base a giudizi morali oggettivi, che sappiano quindi superare o mettere da parte simpatie o antipatie, ascoltando le quali rischiamo di mancare o alla giustizia o alla carità, per il fatto che la simpatia e l’antipatia sono relative a sentimenti soggettivi e contingenti, mentre la nostra condotta morale dev’essere regolata da valutazioni che sappiano valutare se una persona fa bene o fa male.
      Ad ogni modo ritengo che la simpatia e l’antipatia possano giocare un ruolo di una certa importanza nei rapporti umani, nel senso che mi sembra che la persona simpatica ci mette meglio nelle condizioni di volerle bene, mentre la persona antipatica ci rende più difficile l’esercizio della carità.
      Oppure non è escluso che, mentre l’antipatia che sentiamo per una data persona è il segnale emotivo del fatto che giudichiamo negativamente il comportamento di questa persona, viceversa la simpatia può essere il corrispettivo emotivo del giudizio morale favorevole nei confronti di una data persona.
      Infine mi sembra che simpatia e antipatia siano legate all’aspetto estetico della persona, per cui facilmente una persona avvenente ci è simpatica, mentre una brutta appare antipatica. È evidente che in questo caso, per comportarci con giustizia nei confronti di queste persone, dobbiamo accantonare questi sentimenti che ci porterebbero a mancare di oggettività nei nostri giudizi morali.
      Possiamo distinguere una simpatia e una antipatia attive da quelle passive. Quelle attive consistono nel fatto che io sono simpatico o antipatico ad un altro, mentre quelle passive consistono nel fatto che l’altro è simpatico o antipatico a me.
      A questo punto si pone la questione se io ho il dovere di rendermi simpatico all’altro. A parte il fatto che non sempre possiamo riuscire in questo intento, per chiarire questa questione bisogna fare una distinzione: se compiendo il bene mi rendo simpatico, in questo senso devo cercare di rendermi simpatico. Se invece il rendermi simpatico corrisponde a un mio comportamento per il quale o pecco io o induco l’altro a peccare, allora chiaramente devo rinunciare a questo voler rendermi simpatico.
      Conto di riflettere ancora su questo argomento e se mi viene qualche altra idea potrei scrivere un articolo.
      Per quanto riguarda Papa Francesco, quella antipatia della quale lei mi parla potrebbe essere il segnale di un suo certo modo di comportarsi o di parlare, che ad alcuni sembra contrastare con la retta dottrina o col buon comportamento.
      Oppure può essere che questa antipatia nasca in persone alle quali ripugna l’insegnamento o l’esempio di virtù offerto dal Papa.

      Elimina
    2. Forse il fatto che l'antipatia (o l'avversione verso gli altri) sia oggi così evidente come regola di azione per gli uomini del nostro tempo, può essere una delle conseguenze della più grande discesa dell'uomo verso l'animalità.
      Come non è più così facile riscontrare nell'uomo medio che abita le nostre città, il primato dello spirito sul corpo, il declino educativo delle nuove generazioni, ha prodotto questa classe di persone che governano le loro azioni semplicemente per simpatia o antipatia .
      L'esempio che vi ho fatto nel commento precedente è più grave, perché si nota proprio in quei cosiddetti cattolici, che non riescono ad elevare il proprio punto di vista grazie ai criteri di un'intelligenza illuminata dalla fede, che può dare loro certezza, che al di là delle simpatie o antipatie generate dal modo di agire e di esprimersi di quest'uomo, Jorge Mario Bergoglio, la fede ci fa vedere in lui il Vicario di Cristo, il Maestro della fede e il Pastore della Chiesa verso il Regno dei Cieli.
      Basta visitare di tanto in tanto i forum di discussione "cattolici" su Internet per notare questo declino dell'intelligenza verso l'animalità.

      Elimina
    3. Caro Professore,
      la sua analisi della mentalità contemporanea in questa sua tendenza sensista o sensualista, che produce edonismo e lassismo, e giustifica il permissivismo e un ipocrita misericordismo, che è una falsa misericordia, la trovo molto giusta.
      Sono d’accordo con lei nel trovare le cause di questa decadenza morale in una disistima dell’aspetto intellettuale e volontaristico della vita spirituale, il quale provoca un rilassamento della disciplina e della vita ascetica.
      Si tratta sostanzialmente di una mentalità materialistica che dà il primato alla materia nei confronti dello spirito. Si tratta di quell’uomo carnale del quale parla San Paolo, che non capisce le cose spirituali, e anche quando affetta di conoscerle e di viverle, come certi cattolici di orientamento idealista, in realtà riducono lo spirituale al sensibile e quindi sotto una copertura di spiritualità nascondono una vita che, come dice lei, assomiglia a quella degli animali.
      Infatti l’antropologia moderna spesso non sa distinguere l’uomo dall’animale e quando, con Rahner, concepisce l’uomo come “spirito” in realtà Rahner con il termine “spirito” si rifà alla terminologia hegeliana, per la quale il soggetto pone se stesso sia spiritualmente che materialmente, in modo tale che ciò che è spirituale viene ridotto al materiale partendo dal presupposto che la materia è pensiero.
      Per quanto riguarda la polemica contro il Santo Padre, io credo che questi critici astiosi e prevenuti, col pretesto di criticare i difetti umani, in realtà colpiscono il suo ufficio petrino e quindi non sono sinceri nel dichiararsi “cattolici” e fedeli alla tradizione.
      I modernisti non sono molto diversi, perché anche loro, interpretando il pensiero del Papa in senso modernista, dimostrano di voler strumentalizzare il Papa per i loro comodi e, nel contempo, di disprezzare anche loro il suo carisma petrino, negandone l’infallibilità.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.