La gnoseologia dello gnosticismo - Quarta Parte (4/4)

La gnoseologia dello gnosticismo

Quarta Parte (4/4)

 Alcune sentenze rilevanti di sapore gnostico

Emanuele Kant. Kant pone il principio dello gnosticismo nella sua famosissima «rivoluzione copernicana»: invece di far girare la nostra ragione attorno alle cose, Kant propone di far girare le cose attorno alla nostra ragione. Ma ciò che cosa comporta? Che le cose non dipendono più da Dio, ma dalla nostra ragione. Il che è come dire che la ragione possiede da sé, «apriori», un sapere assoluto divino e creatore, che pensa, idea, progetta, forma e crea le cose. E questa è appunto la gnosi. Sentiamo Kant:

«Sinora è ammesso che ogni nostra conoscenza dovesse regolarsi sugli oggetti; ma tutti i tentativi di stabilire intorno ad essi qualche cosa a priori, per mezzo di concetti, coi quali si sarebbe potuto allargare la nostra conoscenza, assumendo un tal presupposto, non riuscirono a nulla.  Si faccia, dunque, finalmente, la prova di vedere se saremo più fortunati nei problemi della metafisica, facendo l’ipotesi che gli oggetti debbano regolarsi sulla nostra conoscenza»[1].

Sbalordisce la falsità dell’affermazione di Kant, che pretende, con inqualificabile presunzione, di invalidare tutto il sapere metafisico accumulato dalla civiltà europea in 20 secoli di storia a partire da Aristotele. D’altra parte, a questo grossolano rifiuto del realismo gnoseologico Kant non ha niente di meglio che opporre il vecchissimo idealismo di Parmenide e il soggettivismo di Protagora come costituissero la prospettiva di chissà quale innovazione e rigorizzazione del pensare filosofico.

Questo proporsi da spacconi come araldi di un sapere assolutamente nuovo, veramente critico, finalmente faro della verità, liberatore dell’umanità dalle tenebre dell’errore, è tipico dello gnostico e dell’idealismo moderno da Cartesio a Fichte ad Hegel ad Husserl a Severino. Ecco dunque il proclama kantiano:

«Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupa non degli oggetti, ma del nostro modo di conoscenza degli oggetti in quanto questa dev’essere possibile a priori»[2].

Non dunque una scienza delle cose come regola della ragione, ma una scienza della ragione come regola delle cose. Ma siccome la ragione è fondata su se stessa, secondo quanto risulta dal cogito cartesiano, questa scienza è la scienza della ragione assoluta, ossia la gnosi.

Notevole per il nostro tema è il concetto kantiano di «appercezione pura», che corrisponde al cogito cartesiano e che Kant, come Cartesio, identifica con l’intelletto:

«Ogni molteplice dell’intuizione ha una relazione necessaria con l’Io penso. Questa rappresentazione è un atto della spontaneità. … Io la chiamo “appercezione pura” per distinguerla dalla empirica o anche appercezione originaria, poiché è quella autocoscienza che produce la rappresentazione Io penso»[3].  «E dunque l’unità sintetica dell’appercezione è il punto più alto al quale si deve legare tutto l’uso dell’intelletto, tutta la logica stessa, e dopo di questa la filosofia trascendentale, anzi questa facoltà è lo stesso intelletto»[4].

 Qual è l’oggetto di questa appercezione pura? «Il punto più alto al quale legare tutto l’uso dell’intelletto». E qual è questo punto più alto, questo assoluto? Naturalmente è l’autocoscienza assoluta, l’Io penso. Ed eccoci arrivati alla gnosi.

Giovanni Amedeo Fichte. Per Fichte il concetto supremo non è quello dell’ente assoluto, ma quello dell’io. Oggetto supremo della scienza non è l’essere supremo, ma il sé assoluto. Egli, però, avendo presente l’opposizione dell’esser e al non-essere, del vero al falso, del sì e del no, e del bene al male, sente il bisogno di porre una duplicità nell’Assoluto. Perde di vista la semplicità e l’unità dell’Assoluto.

Come mai? Sempre per l’influsso ricevuto dal cogito cartesiano, che tende a risolvere l’essere nel pensiero. L’io penso e l’io sono sono  la stessa cosa. Oggetto del pensiero tende dunque ad essere, come dirà Kant, l’lo stesso pensiero, come poi dirà Gentile.

Ma che troviamo nel pensare? L’opposizione fra soggetto e oggetto, come dirà Schelling. Ma allora, se il cogito è l’Assoluto, l’Assoluto si divide in se stesso in soggetto e oggetto, Io e non-Io. Ed ecco ritrovate tutte le altre opposizioni. È da qui che Hegel trarrà la sua dialettica. L’Assoluto, per lui, è dialettico, è un «sillogismo».

Dice dunque Fichte:

«Il principio assolutamente primo, poiché non deve fondare soltanto una parte del sapere umano, ma l’intero sapere, dev’essere comune a tutta la dottrina della scienza. La divisione è possibile solo mediante una contrapposizione, i cui termini debbono però essere uguali a un terzo. Posto che l’Io sia il concetto supremo e che all’Io sia contrapposto un non-Io, è chiaro che quest’ultimo non potrebbe essere contrapposto senza essere posto, e anzi, nel concetto supremo nell’Io. Quindi l’Io si dovrebbe considerare in duplice riguardo: come ciò in cui è posto il non-Io e come ciò che è opposto al non-Io. E per ciò stesso sarebbe posto nell’Io assoluto»[5].

Nello gnosticismo in Dio c’è anche il non-essere, il falso, il male. E questo perché lo gnostico confonde il logico col reale. Siccome sul piano della logica, la scienza è scienza degli opposti, egli crede che quelle opposizioni esistano anche in Dio. Da qui la famosa coincidentia oppositorum in Dio, di cusaniana memoria. Di questa doppiezza o duplicità divina si era già avuta segnalazione nella concezione manichea del divino, la quale ricompare nel ‘600 con in Giordano Bruno e Böhme, per avere la sua massima affermazione sistematica in Hegel.

Federico Schelling. Anche in Schelling è presente il dogma fondamentale dell’idealismo: l’identità del pensare con l’essere, che Schelling esprime così:

«Quell’identità immediata di soggetto ed oggetto lì solo può esistere, dove il rappresentato è in pari tempo anche il rappresentante, l’intuìto è anche l’intuente.  Ma questa identità del rappresentato e del rappresentante esiste solo nell’autocoscienza»[6].

La scienza, dunque, non è scienza di una realtà esterna alla coscienza, ma è scienza dell’autocoscienza, la quale, essendo identità di pensiero e di essere, è l’assoluto del pensiero e dell’essere e la scienza sarà scienza dell’autocoscienza assoluta: la gnosi.

Dato che tutto il reale si assomma nel mio io, il sapere non può consistere nel fatto che l’io si occupi a di una realtà esterna, distinta da lui, ma l’oggetto del sapere supremo è lo stesso Io, al di fuori del quale non esiste nulla:

«Se la proposizione: Io sono è il principio di tutta la filosofia, non potrà esservi alcun’altra realtà, se non quella che è uguale alla realtà di questa proposizione. Ma questa proposizione non dice che io sono per qualche cosa al di fuori di me, ma solamente che io sono per me stesso. Dunque tutto ciò che è, in generale, potrà essere solo per l’Io; un’altra realtà, in generale, non esiste»[7].

L’autocoscienza, per Schelling, è «l’atto assoluto, mediante il quale è posta ogni cosa per l’Io»[8]. Ma essa si sdoppia in una polarità di opposti, l’uno contro l’altro, che giustifica la opposizione fra il reale e l’ideale, l’oggettivo e il soggettivo, il limitabile e l’illimitabile. Da notare che Schelling non parla di semplice distinzione, ma di «lotta»[9], il che fa pensare che egli si riferisca anche all’opposizione fra vero e falso, bene e male.

Sorge allora il problema di come sia possibile che nell’Assoluto vi siano simili contrasti. Schelling cercherà di salvarsi parlando di «indifferenza». Ma Hegel giustamente non ne sarà convinto. Però la soluzione che egli propone, quella della «sintesi dialettica», neppur essa convince. Non si può ridurre l’aut-aut a un semplice et-et. Ad entrambi sfugge che bene e male non sono in Dio, ma sotto il controllo di Dio.

Giorgio Guglielmo Federico Hegel. Hegel contrappone quella che chiama «metafisica ingenua» del realismo scolastico medioevale al pensiero moderno di Cartesio come superamento della distinzione pensiero-essere e posizione della loro identificazione:

«Considerato il principio del sapere immediato in relazione al suo punto di partenza, vale a dire con quella che si è detta sopra metafisica ingenua», Hegel ritiene che «nei tempi moderni» tale metafisica ingenua sia stata superata da quella cartesiana della semplice «inseparabilità del pensiero dall’essere del pensante – cogito ergo sum: è del tutto il medesimo che a me nella coscienza si sia immediatamente rivelato l’essere, la realtà, l’esistenza dell’io … e che quella inseparabilità sia senz’altro la prima (non mediata e provata) e più certa conoscenza»[10].

Il sapere assoluto, la gnosi, è il ritorno dello spirito su se stesso dall’alienazione di sé nell’uomo, alienato da sé a partire dall’autocoscienza assoluta. L’autocoscienza pone sé da se stessa, oppone sé a se stessa e torna da sé a se stessa.

«Quest’ultima figura dello spirito, lo spirito che al suo perfetto e vero contenuto dà in pari tempo la forma del Sé e che per questa via, tanto realizza il suo concetto, quanto resta in questa realizzazione, nel suo concetto, è il sapere assoluto; il sapere assoluto è lo spirito che si sa in figura spirituale, ovvero è il sapere concettivo. Non solo in sé la verità è perfettamente uguale alla certezza, ma ha anche la figura della certezza in se stesso, ossia è nel suo proprio esserci, vale a dire è, per lo spirito giunto al sapere, nella forma del sapere di se stesso»[11].

«La coscienza, in quanto è lo spirito manifestantesi, che per la sua propria via si libera dalla sua immediatezza ed esterna concrezione, diventa puro sapere, che si propone come oggetto quelle pure essenzialità stesse, quali esse sono in sé e per sé. Coteste essenzialità sono i pensieri puri, lo spirito che pensa la sua essenza. Il loro proprio muoversi è la loro vita spirituale ed è quello per cui la scienza si costituisce e di cui essa è l’esposizione»[12].

Edmund Husserl[13]. È la proposta gnostica di accantonare l’atteggiamento realistico della subordinazione della coscienza alla realtà per sostituirlo con la visione della propria autocoscienza come coscienza purificata dal riferimento a un reale esterno e intesa essa stessa come operazione per la quale l’essere diventa essere di coscienza, quindi non più la coscienza relativa all’essere, ma l’essere relativo o «correlato» della coscienza. È la «riduzione fenomenologica», cioè l’essere ridotto a essere-pensato, cosicchè il pensante non pensa un essere distinto da sé, ma pensa se stesso. Il che è precisamente la gnosi.

Dice Husserl:

«Osserviamo che l’essere da noi ricercato non è altro se non ciò che per motivi essenziali può venir indicato come puri Erlebnisse, pura coscienza con i suoi puri correlati e d’altra parte il suo puro io e quindi cominciamo a considerare l’io, la coscienza, l’Erlebnis quali ci sono dati nell’atteggiamento naturale e quali vanno attinti nella loro purezza»[14].

Come se l’oggetto della conoscenza avesse bisogno di essere «purificato» dall’autocoscienza e non fosse piuttosto questa che è pura, vera e sincera nella misura in cui si adegua alla realtà esterna. È chiaro che qui, come in Protagora, è la coscienza a voler essere la misura del reale e non è il reale ad essere misura della coscienza.

Precisa allora Husserl:

«Si comprende ora come effettivamente, di fronte all’atteggiamento sperimentale e teoretico naturale, il cui correlato è il mondo, debba essere possibile un nuovo atteggiamento, che, nonostante l’esclusione dell’intera sfera della natura psicofisica, ci conserva qualcosa di rimanente – l’intero campo della coscienza assoluta. Invece dunque di vivere ingenuamente nell’esperienza e di indagare teoreticamente l’esperito, la natura trascendente, compiamo la riduzione fenomenologica. In altre parole: invece di compiere in modo ingenuo gli atti costitutivi della natura con le loro tesi trascendenti, (gli atti reali o, secondo una prefigurata potenzialità, possibili da realizzare) e di passare, attraverso le motivazioni in essi immanenti, a sempre nuove tesi trascendenti, mettiamo fuori azione tutte queste tesi, quelle attuali e, prima, quelle potenziali, non assecondiamole e dirigiamo piuttosto il nostro sguardo afferrante e teoreticamente indagativo sulla coscienza pura nel suo essere assoluto»[15].

Lo gnostico vuol persuaderci che è un’ingenuità guardare a delle cose considerate fuori di noi, come se esse fossero veramente fuori di noi, mentre tutto in realtà si trova nella nostra coscienza assoluta e su di essa hanno fondamento ed esistenza. Si tratta allora di spostare l’attenzione dalla realtà esterna e volgerla al nostro io, che non è altro che l’essere assoluto e la coscienza assoluta. La vera sapienza è l’autocoscienza assoluta. E questa è la gnosi.

Husserl vede in Cartesio e Kant i suoi predecessori nella fondazione della fenomenologia:

«Kant compì il passo verso il capovolgimento trascendentale in modo del tutto originale, come sappiamo dal suo sviluppo, realizzando nel proprio pensiero quella che era stata da Descartes in poi la tendenza di sviluppo generale della filosofia. In realtà, attraverso la scoperta cartesiana dell’ego cogito era stato posto il problema caratteristico dell’epoca moderna: già questa era stata la scoperta della soggettività trascendentale»[16].

Cioè l’uomo moderno, secondo Husserl, ha scoperto che quel Dio esterno, oggettivo e trascendente, che fino ad allora era posto al di là e al di sopra delle cose come creatore delle cose, considerate come esterne all’io, in realtà non è altro che la dimensione trascendentale ed originaria, esperienziale, atematica e preconcettuale, dell’io empirico e categoriale. Pertanto la scienza di Dio, la teologia, si risolve nella scienza dell’Io, nell’Autocoscienza, la quale pone l’essere delle cose come essere pensato delle cose. E questa appunto è la gnosi. E da qui viene il modernismo.

Ancora Husserl:

«Il significato in effetti del tutto peculiare di Kant nell’ambito dell’intera storia della filosofia va visto in nient’altro se non in ciò in cui egli stesso lo ha visto e che ha anche espresso ripetutamente e con decisione. Il suo eterno significato si trova dunque nella molto chiacchierata e poco compresa rivoluzione “copernicana”, che doveva condurre ad una interpretazione del senso del mondo fondamentalmente nuova e rigorosamente scientifica; allo stesso tempo, però si trova nella nuova fondazione della relativa “scienza del tutto nuova” in questione – la scienza trascendentale, che, come Kant stesso sottolinea, “è unica nel suo genere”, e della quale, come egli arriva a sostenere, “nessuno in precedenza aveva concepito anche solo il pensiero, di cui era ignorata anche soltanto l’idea»[17].

La mirabile scienza nuova ed immortale, mai concepita prima, scienza non delle cose esterne che conducono a Dio, ma autocoscienza del proprio io come assoluto pensante le cose pensate, è il narcisismo intellettuale proprio dello gnosticismo, coltivato in India già da 36 secoli[18].

Martin Heidegger. Per Heidegger, interpretando Kant, la conoscenza delle cose, quella che egli chiama «conoscenza ontica», basata sull’esperienza ed espressa nei concetti, presuppone e deriva da una precomprensione (Vorverständnis) originaria, globale e trascendentale, dell’essere autocosciente, esperienziale e preconcettuale, che egli chiama «ontologica». Così si esprime Heidegger:

«La conoscenza ontologica che, all’occorrenza, è sempre preontologica, condiziona la possibilità per un essere (Wesen) finito, di oggettivarsi in generale, qualche ente. Ogni essere finito ha bisogno di questa facoltà fondamentale, che consiste nell’orientarsi-verso, lasciando che avvenga l’oggettivazione»[19]. «La possibilità del concetto dell’essere deriva dalla comprensione preconcettuale dell’essere»[20]. «La manifestazione dell’ente (verità ontica) dipende dallo svelamento della costituzione dell’essere dell’ente (verità ontologica); mai la conoscenza ontica potrebbe da sé conformarsi agli oggetti, perché senza la conoscenza ontologica essa non disporrebbe neppure della possibilità di orientarsi»[21].

La conoscenza ontologica si fonda sull’autocoscienza originaria, quella che Kant chiama appercezione pura:

«L’essenza del sé risiede nella coscienza di sé. L’essere del sé dà la determinazione della forma e del modo secondo i quali il sé esiste in questa coscienza: questo sé è trasparente nei riguardi di se stesso. Questa trasparenza non è quello che è se non nella misura in cui contribuisce a determinare l’essere del sè»[22].

Come in Cartesio, l’essere del sé è determinato dal pensiero di sé. L’oggetto del pensiero è il sé assoluto. Questa è la gnosi.

Gustavo Bontadini. L’essere è l’essere pensato.

«Atto di pensiero è già quello mediante il quale si pone la separazione fra pensiero e essere: il quale essere era dunque pensato e perciò, lungi dal costituire una sfera estranea al pensiero, era effettivamente incluso nel pensiero»[23]. La separazione fra pensiero ed essere non è reale, ma pensata. In realtà il pensare è identico all’essere.

Karl Rahner.

«L’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza («soggettività», «conoscenza») dell’essere di ogni ente. … La natura dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in un’unità originaria: in altre parole è essere cosciente e trasparente»[24].

Qui Rahner confonde l’essere con l’essere divino. Solo in Dio infatti l’essere s’identifica col pensare e il pensare s’identifica con l’essere. Solo in Dio l’essere s’identifica con l’essere pensato e l’essere pensato è l’essere. In Dio il pensare è il suo essere; il soggetto pensante s’identifica con l’oggetto del pensare, cioè con Dio.

Ora Dio è pensiero assoluto e oggetto infinito del suo pensare. Ma se il pensiero è l’essere, anche il pensare umano che appartiene all’essere, sarà pensare assoluto dell’essere come essere assoluto. Dunque pensare umano e pensare divino s’identificano. Ma questa è appunto la gnosi.

Giuseppe Barzaghi. Padre Barzaghi formula la proposta di sospendere l’esercizio del pensiero concettuale per porsi dal punto di vista del pensiero assoluto o «puro pensiero» avente per oggetto l’Assoluto, che sarebbe l’autocoscienza originaria non concettuale o, come la chiama col linguaggio degli idealisti, l’«io trascendentale». Dice Barzaghi:

«Perdersi nel puro pensiero non è rinunciare assolutamente alla conoscenza. Perdersi nel puro pensiero, cioè nel puro atto di pensare vuol dire sospendere momentaneamente la conoscenza: la conoscenza in senso stretto, cioè quella concettuale, quella del concepimento obiettivo. Ma forse non si tratta della sospensione del conoscere originario e ultimo. Quel conoscere in cui siamo più conosciuti che conoscenti: “Allora conoscerò così come sono conosciuto” (I Cor 13,12)».

Si tratta del conoscere, o meglio, del sapere assoluto, incondizionato. … Per cogliere lo Spirito assoluto occorre, in qualche modo, identificarsi con esso. Maestro Eckhart dice che soltanto il povero in spirito si trova nella condizione di cogliere questa identità[25]. … Egli è tutto, l’intero, l’essere. Il povero un spirito coglie, nel fondo della propria anima, l’identità con l’Assoluto che è Dio.

… Questo fondo dell’anima lo chiamo pensare o atto del pensare allo stato puro. Entrare, per così dire, in questo stato puro del pensiero come atto o attività del pensare assomiglia davvero al perdersi nel soprappensiero. Cogliere il pensiero come atto o attività pura è il cogliere  la condizione di possibilità dei concetti che è senza concetti.. …

L’autocoscienza è un dato originario, si tratta dell’immediata trasparenza a sé del pensiero: “la coscienza che ha come contenuto l’autocoscienza è la stessa coscienza che è contenuta nell’autocoscienza”[26]. Il pensiero si sa originariamente e non s’ignora mai. Ma ciò che voglio dire con il riferimento al pensiero puro, o al pensare come atto, è che esiste un primato di assolutezza del pensiero-pensante rispetto al pensiero-pensato. L’inobiettivabilità del pensiero come atto significa soltanto questo: il pensante-pensante è l’orizzonte assoluto, la condizione assoluta dei concetti, tra i quali di dà – come concetto accanto ad altri concetti – il concetto stesso del pensante, ma che appunto è così pensante-pensato. … Il pensiero-pensante è come l’Io trascendentale degli idealisti»[27] .

La prospettiva etica

Lo gnosticismo è un ideale di vita basato sulla convinzione di poter acquistare una scienza assoluta o un pensiero assoluto, il cui oggetto sarebbe la propria autocoscienza intesa come essere assoluto. In parole semplici, lo gnostico crede che il suo pensare coincida con l’essere e che il suo essere sia pensare. Ora, però, siccome solo in Dio essere e pensare coincidono, ne viene la conseguenza che lo gnostico crede di essere Dio e di avere la missione di render coscienti gli uomini del loro essere divino.

Lo gnostico si presenta come maestro ed indicatore della verità assoluta, al di là di ogni apparenza, sembianza, opinione, probabilità, illusione. Egli miete discepoli soprattutto fra le anime portate al radicalismo del sapere e della certezza, all’amore dei primi princìpi, amanti dell’argomentazione, dotate di forte potere astrattivo, capaci di vincere le attrattive dei sensi, desiderose di elevarsi ai vertici dello spirito e della conoscenza, assetate di verità, di certezza, di sapere, di assoluto, di eternità, di spiritualità, portate alla coscienza di sé e alla riflessione, estimatrici del pensiero, della ragione, dell’intelligenza, del sapere.

Lo gnostico miete seguaci fra quelle persone che vogliono emergere e farsi notare per la loro intelligenza, che si vantano di comprendere i discorsi astrusi dello gnostico, che vogliono darsi l’aria di acume critico, di rifuggire ogni dogmatismo e false certezze, e di superare l’ingenuità e la grossolanità del pensare comune, che amano le affermazioni assurde, che vogliono dominare gli altri con le loro idee, che sanno sfuggire a qualunque critica, che vogliono dar mostra di confutare avversari agguerriti, e sanno vincere sempre in tutti i dibattiti che affrontano.

L’etica gnostica è tutta centrata sul pensare e sulla parola, che esprime e propaganda l’autocoscienza dello gnostico, il quale, convinto di essere l’apparizione in terra dell’Assoluto o, come dice Severino, della Verità dell’Essere, è certo di annunciare la verità assoluta e salvifica, per cui non ammette critiche od obiezioni di sorta al suo pensiero.

Lo sbocco etico dello gnosticismo è il buonismo[28]. Se ogni uomo è inconsciamente Dio e Dio è bontà infinita, non ha senso distinguere buoni e cattivi, beati e dannati, ma tutti in fondo, in senso «trascendentale», sono buoni. Dio, dal canto suo, non castiga nessuno, ma salva tutti, ha misericordia per tutti. Non esistono predestinati o eletti distinti da non predestinati e non eletti, ma tutti sono predestinati ed eletti. Se noi giudichiamo eretico o malvagio un nostro prossimo, ciò significa semplicemente che egli ha idee ed orientamento di vita diversi dai nostri.  Lasciamolo in pace.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 27 luglio 2021

 

Husserl vede in Cartesio e Kant i suoi predecessori nella fondazione della fenomenologia.

Cioè l’uomo moderno, secondo Husserl, ha scoperto che quel Dio esterno, oggettivo e trascendente, che fino ad allora era posto al di là e al di sopra delle cose come creatore delle cose, considerate come esterne all’io, in realtà non è altro che la dimensione trascendentale ed originaria, esperienziale, atematica e preconcettuale, dell’io empirico e categoriale. Pertanto la scienza di Dio, la teologia, si risolve nella scienza dell’Io, nell’Autocoscienza, la quale pone l’essere delle cose come essere pensato delle cose. E questa appunto è la gnosi. E da qui viene il modernismo.


Karl Rahner.

«L’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza («soggettività», «conoscenza») dell’essere di ogni ente. … La natura dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in un’unità originaria: in altre parole è essere cosciente e trasparente».

Qui Rahner confonde l’essere con l’essere divino. Solo in Dio infatti l’essere s’identifica col pensare e il pensare s’identifica con l’essere. Solo in Dio l’essere s’identifica con l’essere pensato e l’essere pensato è l’essere. In Dio il pensare è il suo essere; il soggetto pensante s’identifica con l’oggetto del pensare, cioè con Dio.

 

Lo gnosticismo è un ideale di vita basato sulla convinzione di poter acquistare una scienza assoluta o un pensiero assoluto, il cui oggetto sarebbe la propria autocoscienza intesa come essere assoluto. 

In parole semplici, lo gnostico crede che il suo pensare coincida con l’essere e che il suo essere sia pensare. 

Ora, però, siccome solo in Dio essere e pensare coincidono, ne viene la conseguenza che lo gnostico crede di essere Dio e di avere la missione di render coscienti gli uomini del loro essere divino.



Immagini da internet:
-Edmund Husserl
- Karl Rahner
- L'Antico dei Giorni, incisione di William Blake


[1]Critica della ragion pura, Laterza, Bari  1965, p.20.

[2]Ibid., p.58.

[3]Ibid., p. 137.

[4] Ibid., p.138.

[5] La dottrina della scienza, Editori Laterza, Bari 1971, p.51.

[6] Sistema dell’idealismo trascendentale, Editori Laterza, Bari 1990, p.35.

[7] Ibid., p.49.

[8] Ibid., p.67.

[9] Ibid., p.70.

[10] Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Editori Laterza,Bari 1963, p.83.

[11] Fenomenologia dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 1988, vol.II, pp.295-296.

[12] Scienza della logica, Editori Laterza, Bari 1984, p.7.

[13] Vedi la notevole critica di Maritain ad Husserl contenuta in Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959, pp.195-208.

[14] Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Giulio Einaudi Editore, Torino 1976, p.69.

[15] Ibid., pp.109-110.

[16] Kant e l’idea della filosofia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1990, p.14.

[17] Ibid., p.130.

[18] Cf Radhakrishnan, La filosofia indiana, 2 voll., Edizioni Asram Vidya, Roma 1993.

[19] Kant et le problème de la métaphysique, Gallimad, Paris, 1953, p.129.

[20] Ibid., p.282.

[21] Ibid., p.73.

[22] Ibid., p.213.

[23] Introduzione a Cartesio, Discorso sul metodo, Editrice La Scuola, Brescia 1957, p.XVII.

[24] Uditori della parola, Edizioni Borla, Roma 1977, p.66.

[25] Cf Beati pauperes spiritu, quia ipsorum est regnum coelorum, nei Sermoni tedeschi, Rusconi, Milano 1997,pp.130-138.

[26] E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1995, p.238.

[27] Philosophia. Il piacere di pensare, Il Poligrafo, Padova 1999, pp.10-12.

[28] Cf il mio opuscolo L’eresia del buonismo. Il buonismo e i suoi rimedi, Chorabooks, Hong Kong 2017.

6 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    a proposito di Heidegger, lei ne ha evidenziato la caduta nello gnosticismo, a causa della peculiare concezione della conoscenza “ontologica” fondata sulla autocoscienza originaria, per cui oggetto del pensiero è il sé assoluto.
    Il filosofo ebreo tedesco Hans Jonas, che dedicò molti anni di studio allo gnosticismo, fu allievo di Heidegger, e ritenne di cogliere ulteriori aspetti gnostici nel pensiero del suo maestro, sui quali desidero chiedere il suo parere (tramite questo e il successivo commento).
    Per Jonas lo gnosticismo, particolarmente quello in ambito ellenistico greco-romano, è animato da un forte anti-cosmismo, cioè da una sorta di ribellione verso la natura così come è ordinata (qui c’è forse un ulteriore aspetto satanico dello gnosticismo…), che lo porta sino al tentativo di evadere dalla realtà…
    Nel periodo ellenistico il Kosmos, come dice la stessa parola, era concepito come ordine, regolarità, bellezza, come complesso di norme tale da assicurare il governo provvidenziale di Dio su tutto l’universo. L’ineluttabilità di tali leggi si imponeva all’uomo come un fato cui egli non poteva sottrarsi; ma si trattava non di un destino cieco e irrazionale, bensì provvidenziale, benefico, ordinato al bene di tutti gli esseri del mondo. E ciò era fondamentalmente vero, pur con i dovuti distingui, tanto per lo stoico che per il giudeo e anche per il cristiano.
    A tale concezione, secondo Jonas, lo gnostico ne contrappose una perfettamente antitetica: anch’egli vedeva il mondo come complesso di leggi regolare e ineluttabile; ma ben lungi dal considerarlo come espressione di una benefica provvidenza divina lo sentiva come costrizione, destino malefico, regolato da divinità ostili alle creature del mondo, e soprattutto all’uomo.
    L’unica possibilità di salvezza lo gnostico ravvisava nella convinzione che tale tirannia si esercitasse soltanto sulla parte materiale della sua persona, sì che la scintilla divina presente in lui avrebbe potuto un giorno, grazie alla gnosi, spezzare quella prigionia e raggiungere l’autentico mondo divino situato al di là, quel mondo da cui il suo spirito era originario.
    Riporto alcuni stralci dal testo “The Gnostic Religion” di Jonas, nella traduzione italiana “Lo gnosticismo”, SEI, 1973:
    “Tra le caratteristiche che qui dobbiamo sottolineare c’è l’atteggiamento fondamentalmente dualistico che è alla base dello gnosticismo e ne unifica le espressioni assai diverse, più o meno sistematiche. E’ su questa base primariamente umana di un’esperienza profondamente sentita di sé e del mondo che poggia la dottrina dualistica formulata. Il dualismo è tra l’uomo e il mondo, e nello stesso tempo tra il mondo e Dio. E’ una dualità di termini contrari, non complementari; ed è unica, perché quella tra l’uomo e il mondo rispecchia sul piano dell’esperienza quella tra il mondo e Dio e deriva da questa come dal suo fondamento logico […] Poiché non può essere Dio il creatore di ciò che è così estraneo all’individuo, la natura manifesta semplicemente il suo demiurgo inferiore; come potere molto al di sotto del Dio Supremo a cui anche l’uomo può guardare dall’alto del suo spirito simile a dio.”

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    1. Caro Bruno,
      bisogna tenere presente innanzitutto quella che è l’essenza propria dello gnosticismo, espressa dal suo stesso nome e cioè della pretesa dell’uomo di possedere lo stesso sapere assoluto, che possiede Dio. In base a questa definizione vediamo adesso se Heidegger si può considerare uno gnostico. Per un verso direi di sì, e per un altro direi di no.
      La nozione fondamentale della gnoseologia heideggeriana è la cosiddetta Vorverständis, che sarebbe un’autocoscienza assoluta preconcettuale ed ineffabile. Sotto questo punto di vista si può dire che Heidegger sia uno gnostico.
      Se invece consideriamo l’aspetto intellettuale dello gnosticismo, inteso come sapere onnicomprensivo ed esaustivo della realtà sotto forma di concetto, allora Heidegger certamente non è uno gnostico, perché per lui il reale non ha una essenza intellegibile, ma è un puro esistente concreto emotivamente sperimentabile come effetto della libertà.
      Ora, questa visione della realtà è estranea allo gnosticismo, il quale invece calca la mano sull’opposizione spirito-materia, estranea alla gnoseologia heideggeriana.

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  2. Jonas coglie anche nell’esistenzialismo un dualismo tra uomo e realtà esterna:“
    […] l’essenza dell’esistenzialismo è un certo dualismo, una separazione tra uomo e mondo, con la perdita dell’idea di un “cosmos” affine – in breve, un acosmismo antropologico […] Nietzsche [di cui Heidegger è debitore] segnalò la radice della situazione nichilistica con la frase «Dio è morto», indicando innanzi tutto il Dio cristiano. Gli Gnostici, se richiesti di riassumere in modo simile la base metafisica del loro nichilismo, avrebbero detto semplicemente «il Dio del cosmo è morto», ossia è morto come dio, ha cessato di essere divino per noi e perciò di fornirci la stella polare per le nostre vite. […] Per citare ancora una volta l’interpretazione di Heidegger del pensiero nietzschiano: «La frase ‘Dio è morto’ significa che il mondo soprasensibile è senza forza effettiva». In una maniera modificata, alquanto paradossale, questa affermazione si applica anche alla posizione gnostica. […]
    Il Dio gnostico, in quanto distinto dal demiurgo, è il totalmente diverso, l’altro, lo sconosciuto. In modo analogo al suo corrispondente interno all’uomo, il sé acosmico o “pneuma”, la cui natura nascosta si rivela solamente nell’esperienza negativa di estraneità, di non-identificazione e di indefinibile libertà, questo Dio ha più del “nihil” che dell'”ens” nel suo concetto. Una trascendenza senza una relazione normativa col mondo equivale ad una trascendenza che ha perso la sua forza effettiva. In altre parole, per tutto quel che riguarda la relazione dell’uomo con la realtà che lo circonda, questo Dio nascosto è una concezione nichilistica: nessun “nomos” emana da lui, nessuna legge per la natura e quindi nessuna norma per l’azione umana come parte dell’ordine naturale”. […]
    Una famosa formula della scuola valentiniana riassume così il contenuto della “gnosis”: «Ciò che ci rende liberi è la conoscenza di chi eravamo, che cosa siamo divenuti; donde eravamo, dove siamo stati gettati; dove ci affrettiamo, da dove siamo redenti; che cosa è nascita e che cosa è rinascita» […]
    Notiamo innanzi tutto il raggruppamento dualistico dei termini in coppie antitetiche […] Tra questi termini di movimento quello di essere stati «gettati» in qualche cosa colpisce la nostra attenzione […] Ci ritorna alla mente la fase […] della “Geworfenheit” di Heidegger «essendo stati gettati», che per lui è un carattere fondamentale del “Dasein” [esserci], dell’autoesperienza dell’esistenza. […]
    Nella letteratura mandea è una frase che ricorre di continuo: la vita è stata gettata nel mondo, la luce nella tenebra, l’anima nel corpo. Essa esprime la violenza originaria che mi è stata fatta nel farmi essere dove sono e quello che sono, la passività di emergere senza possibilità di scelta in un mondo esistente che non è stato fatto da me e la cui legge non è la mia. […]
    Questa svalutazione esistenzialista del concetto di natura mostra in modo evidente la sua spogliazione spirituale per opera della scienza, ed ha qualche cosa in comune col disprezzo gnostico della natura.”

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    1. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/2021/12/annotazioni-allo-gnosticismo.html

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  3. Il contributo di Jonas porterebbe dunque a pensare che tanto lo gnosticismo quanto l’esistenzialismo, siano originati da un’incapacità di accettazione della natura, della realtà al di là del pensiero… incapacità di scorgervi il bello, il buono il sapiente… ma soltanto i loro contrari… (l’esistenzialista Sartre intitolerà un suo romanzo “La nausea”), un’incapacità che, rifiutando la creazione, non può che rifiutarne anche il Creatore, condannandosi alla sofferenza di una vita, caratterizzata dal contrapporsi di dualismi insuperabili, e che in ultimo, per usare un’espressione di Heidegger, è niente più che un “essere per la morte”.
    Alla fine, l’unica, illusoria consolazione diviene la fuga nel pensiero soggettivo, o per costruirsi artificiosamente una supposta conoscenza superiore iniziatico-esoterica (gnosticismo), o per dibattersi nell’idolatria di un pensiero auto-referenziale che, sganciatosi dall’autentica realtà ontologica, serve solo ad alimentare il peccato di superbia (esistenzialismo).

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    1. Caro Bruno,
      l’accostamento dello gnosticismo con l’esistenzialismo mi sembra un po’ azzardato, perché lo gnosticismo è un pensiero sostanzialmente ottimista, spavaldo, tracotante e prometeico che, come dice il nome stesso, pretende alla scienza “assoluta”, che identifica l’essere col pensiero. Inoltre c’è un elemento dualistico, forse di origine iraniana, per il quale lo spirito si afferma liberandosi dalla materia, ma nello stesso tempo la materia è necessaria allo spirito per affermare se stesso. Da qui nasce la dualità vita-morte, propria della massoneria esoterica.
      Inoltre questo dualismo spirito contro materia si risolve facilmente nella riduzione dello spirito a materia, appunto per l’opposizione dialettica spirito-materia, che sono come amici-nemici, per cui lo gnosticismo sfocia nel materialismo in forza dello stesso dualismo, inquantoché se lo spirito spiritualizza la materia succede che la materia materializza lo spirito.
      Invece l’esistenzialismo è una filosofia personalistica e pessimistica, dai toni a volte disperati, che risolve il soggetto nell’esistente singolo, respingendo la categoria dell’essenza. Inoltre l’esistenzialismo sottolinea l’aspetto di caducità della vita umana con due possibili sbocchi: c’è quello ateo, di Sartre, e quello teista-fideista di origine luterana, di Kierkegaard.
      Per quanto riguarda il rapporto con la natura, l’esistenzialista si limita a considerarla come forza corruttrice della vita umana. Qui si inserisce certamente il tema heideggeriano dell’essere per la morte.
      Stando così le cose, lei vede che si tratta di due visioni molto differenti tra di loro. L’unico punto di contatto può essere dato dal fatto, da lei rilevato, che la soggettività si erge ad assoluto, per cui si dà come conseguenza che l’idea di Dio o diventa puramente soggettiva, oppure viene esclusa perché alla fine è lo stesso soggetto umano a sostituirsi a Dio. Questo avviene nello gnosticismo, mediante il sapere assoluto; invece nell’esistenzialismo tutto si risolve nell’autocoscienza dell’io, alla maniera di Cartesio.

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