Sessolatria e sessofobia - Quarta Parte (4/4)

 Sessolatria e sessofobia

Quarta Parte (4/4)

 La sessofobia è un fraintendimento della superiorità

dello spirito sul sesso. Essa riduce l’uomo a puro spirito 

La ripugnanza nei confronti del sesso, considerato come fattore di turbamento della pace dello spirito si riscontra sin dai primi secoli nel monachesimo cristiano a causa di una lettura rigorista dei testi ascetici del Nuovo Testamento, dove troviamo la messa in guardia contra la «concupiscenza» (I Gv 2,16; Rm 7,7) e i «desideri della carne» (Rm 13,14; Gal 5,13; II Pt 2,10).

I primi cristiani intendevano con questo rigorismo interpretare la più esigente spiritualità neotestamentaria che si muoveva sotto l’impulso dello Spirito Santo, in opposizione alla spiritualità veterotestamentaria giudicata permissiva per l’esistenza del divorzio e della poligamia e troppo legata alla terra, col pretesto della «terra promessa». Così la spiritualità cristiana fece i suoi esordi sotto l’egida del monachesimo, con una forte anche se giustificata reazione ai costumi sessuali pagani del tempo e trovarono in Platone l’ispiratore migliore di questa visione ultraspiritualista.

I Padri della Chiesa nell’elaborare l’etica sessuale furono molto impressionati dall’ideale della verginità presente nel Nuovo Testamento e credettero che l’uso dell’etica platonica per interpretare quella evangelica fosse preferibile a quello di Aristotele, perché essa appariva più spirituale, mentre l’altra sembrava abbassare l’uomo al livello dell’animale.

Fu così che col diffondersi dell’ideale monastico ci si basò esclusivamente su Platone giungendo a degli eccessi dualistici e rigoristici, che ebbero il loro culmine in Origene. C’è stato bisogno di arrivare al sec. XIII perché la Chiesa, sotto la sollecitazione di San Tommaso d’Aquino, si accorgesse che era meglio utilizzare Aristotele e da allora l’etica sessuale cattolica è fondata su princìpi realistici e non platonici. Ma vediamo brevemente la concezione origeniana dell’etica sessuale. 

Secondo Origene la distinzione dei sessi che appare in Gen 1,27 non entra nella volontà originaria di Dio, ma rappresenta già nell’Eden quello che sarà il castigo del peccato originale a causa del quale l’uomo avrebbe «diviso» ciò che Dio all’inizio voleva essere «unito». Ma Origene intese questo essere unito non nel senso dell’unione di due persone, uomo e donna, ma proprio nel senso di una sola persona asessuata.

Infatti per Origene Dio non crea l’anima al momento del concepimento sì da farla essere maschile o femminile, ma avrebbe creato tutte le anime all’inizio della creazione insieme con tutti gli angeli, prima dell’avventura nel paradiso terrestre.

Dio quindi non crea anime maschili e femminili a seconda che siano forme di corpi maschili o femminili, ma al momento del concepimento fa scendere la singola anima in un dato corpo maschile o femminile e questa condizione sessuale sarebbe castigo del peccato originale, per cui dovere del cristiano per Origene non sarebbe quello di preparare il proprio sesso, maschile o femminile che sia, alla resurrezione, ma al contrario, come già pensava Platone, lavorare per liberarsi gradualmente dalla propria sessualità fino ad arrivare alla resurrezione, che per Origene non comporta nessuna corporeità materiale, e nessuna differenza sessuale, ma solo la totale resurrezione dal peccato e l’assunzione di un «corpo spirituale» sferico (orbiculare), pensando di interpretare con ciò San Paolo (I Cor 15,46), mentre in realtà l’Apostolo non intende affatto riferirsi a un puro spirito, ma al fatto che alla resurrezione gloriosa la vita spirituale assume il pieno dominio di quella sessuale e vi sarà una piena riconciliazione dello spirito con la carne.

Come è noto, Origene interpretò l’evangelico «farsi eunuchi per il regno dei cieli» (Mt 19,12) in un senso grossolanamente materiale, lui che era così propenso a trovare significati simbolici e metaforici nei fatti materiali della Scrittura. La cosa non può spiegarsi altro che col disagio che sentiva nel possedere un sesso, dimenticando che esso è stato creato da Dio come parte essenziale e perfezionamento della persona umana, con valore sacro nel matrimonio, e che se nella resurrezione esso non svolgerà più una funzione generativa, non per questo esso perderà la sua più radicale funzione di esprimere l’amore.

Per praticare l’astinenza sessuale consacrata non c’è affatto bisogno di ricorrere a metodi così brutali come l’autoevirazione, offensivi di Dio creatore del sesso, ma è sufficiente la conosciutissima disciplina ascetica, sorretta dalla grazia, nota da sempre a tutti gli asceti non solo cristiani, ma anche di altre religioni. 

La trasfigurazione del piacere sessuale in Sant’Agostino 

La cosa che stupisce nell’Agostino giovane è come abbia potuto mettere assieme l’esperienza del concubinaggio con l’adesione al manicheismo, comportante, come sappiamo, l’odio per il corpo considerato soggetto malvagio e quindi per il sesso, emanazione del corpo. Il manicheismo peraltro è un dualismo ancora peggiore di quello platonico, perché se questo si limita a considerare il corpo come un carcere, quindi qualcosa di inerte, il manicheismo arriva a considerarlo come un vero e proprio agente malvagio, manifestazione di un dio malvagio, che i manichei identificavano col diavolo.

L’enigma può essere risolto se riflettiamo al fatto che nel manicheismo il piacere sessuale certo è nemico dello spirito, ma è un nemico piacevole, per cui il manicheo, pensando che la concupiscenza sia irresistibile, cede volentieri all’attrattiva del piacere, che egli pensa di poter accordare in tal modo ai bisogni dello spirito. Ma è chiaro che il manicheo, mettendo assieme concupiscenza e sapienza, soffre di un irresolubile conflitto interiore, al quale egli pensa di doversi rassegnare, credendo che non ci sia niente da fare.

Ma Agostino, tocco dalla grazia, non si rassegnò e, volendo assolutamente trovare e gustare la divina sapienza, nonché la pace e l’armonia interiore, decise di mettersi in ascolto di Cristo Verità e seppe superare la sua miseranda situazione col capire e con lo sperimentare che, con la grazia di Dio, è possibile che lo spirito domini la passione sessuale, fino a realizzare una totale astinenza per amore del Regno dei cieli.

Per interpretare il valore della castità cristiana anch’egli si servì di Platone non conoscendo Aristotele, ma seppe ricavare da Platone il meglio della sua sapienza morale, che collegava il bene onesto al bene dilettevole, il piacere sensibile a quello spirituale. Come Platone che collega l’etica con l’estetica[1] e quindi con sensibilità e l’emozione, altrettanto fece Agostino scoprendo proprio nel dualista Platone un sentire e un gustare che integrano il senso all’intelletto, l’appetito sensitivo all’appetito intellettuale, l’emozione alla volontà, il piacere fisico a quello spirituale.

Così Agostino, approfondendo nella maturità la stima cristiana per il corpo e per il sesso, arrivò a distinguere la sensazione come atto del senso dal sentimento, come atto congiunto del senso e dell’intelletto, fino a giungere al famoso detto «est sensus et animae», quella dottrina dei sensi spirituali, che avrà largo sviluppo nella mistica di San Bonaventura.

In tal modo nella spiritualità agostiniana la carne, ossia il sesso, assunse un nuovo volto, un volto sereno, che portò l’Ipponense a quell’altra fondamentale domanda-risposta: «caro te excaecaverat? Caro te sanat». Il sesso ti ha ingannato? Il sesso ti sana. Quale sesso? Sesso di chi? Evidentemente il sesso di Cristo, Verbo incarnato. È la carne di Cristo, del Verbo fatto carne, del Verbo fatto sesso. Un sesso così non può destare preoccupazioni, non può essere pericoloso. Di questo sesso si può godere senza sensi di colpa, nella certezza di fare la volontà di Dio.

È interessante qui ricordare che per Aristotele il piacere fisico è «medicinale», idea assente in Platone, che, nonostante il suo disprezzo per il corpo e la sua diffidenza per la doxa dei sensi, apprezza il valore e la bontà del piacere sensibile, partecipazione di quello spirituale, suscitato dall’esperienza del bello, che è anche il bene, mentre questo è anche il vero.

Da qui San Tommaso, che pure giunge all’intuizione ardita per i suoi tempi, che la femminilità sarà presente alla resurrezione, cade poi inavvertitamente nella trappola di Aristotele, arrivando a dire che nel corpo risorto sarà assente il piacere fisico, perché, avendo tale piacere una funzione medicinale e non essendovi in paradiso sofferenze fisiche da lenire e malattie da guarire, non c’è bisogno di medicine[2].

Ora dobbiamo osservare che la tesi del piacere come medicina è in contraddizione con gli stessi princìpi della psicologia di Aristotele, che Tommaso fa suoi e che entrano nello stesso dogma cattolico della natura umana. Su questo punto Aristotele è evidentemente influenzato da Platone. Ed è sorprendente come Tommaso, che pur tanta stima ha per la sessualità, non si sia accorto del suddetto errore di Aristotele cedendo egli pure allo spiritualismo antimateriale di Platone, che però riguardo al tema del piacere sensibile è più realista di Aristotele.

Lo spiritualismo cataro nasconde la lussuria 

Il catarismo medioevale fu un fenomeno molto significativo per il nostro argomento. Si presentò come una forma di austera spiritualità, sotto il segno della «purezza» spirituale (katharòs=puro). Ancor oggi la temperanza sessuale viene chiamata «purezza».  In realtà la purezza importante per l’etica evangelica ancor più che la purezza sessuale, è quella spirituale, è la «purezza del cuore» (Mt 5,8). Ma appunto in tal modo i catari volevano presentarsi, dando esempio di un’astinenza sessuale anche esagerata, ma nel contempo praticando uno sfrenato libertinismo che lasciava sconcertati, in nome di un’assoluta libertà al di fuori di ogni legge, una falsa libertà che in realtà copriva la lussuria.

Diamo qui una veduta sintetica dell’etica sessuale catara e ci accorgeremo dei possibili agganci col libertinismo moderno.

 

1. L’etica catara come quella di Platone si fonda sulla di libertà spirituale, ispirata da Dio e sempre orientata a Dio, in lotta contro il principio malvagio, che è il corpo e quindi il sesso.

2. Sia in Platone che nei catari il sesso non è regolato da leggi e fini propri, ma  è forza malvagia non soggetta alla ragione e non  regolabile dalla ragione; il sesso è ridotto a stimolo della concupiscenza e quindi nemico dello spirito.

3. Platone predica la libertà dal sesso; i catari la libertà nel sesso. Per il cataro l’uomo perfetto è comunque libero. L’uso del sesso non gli nuoce, per cui può usarne come non usarne come crede. Per questo la sua condotta va dall’astinenza più disumana alla lussuria più sfrenata. Ciò che il cataro rifiuta assolutamente è la generazione.

4.  L’uomo libero per Platone si astiene dl sesso. Per il cataro l’uso o il non uso del sesso gli è indifferente: può fare come vuole, perché comunque è libero e agisce bene. L’importante è non generare. L’astinenza è fatta per coloro che non sono liberi, per poter essere liberi. Ma ai perfetti, che sono liberi, l’uso del sesso non nuoce, ma anzi è espressione di libertà.

5. Mentre Platone ammette la riproduzione della specie mediante il matrimonio, i catari, come abbiamo visto, non sono contrari all’atto sessuale come tale, ma in quanto è generativo, perché considerano la generazione di un uomo, in quanto ente corporeo, un incremento al potere di Satana, che secondo loro era il creatore della materia.

Si comprende facilmente l’estremo allarme nel quale il fenomeno cataro, diffusosi in Francia nel sec. XIII, gettò l’Europa, in quanto setta che minacciava di estinguere la cristianità europea. L’odierna diffusione di pratiche sessuali che contrastano con la procreazione o legalizzano l’aborto, devono mettere similmente in allarme i governi civili, per il fatto che queste pratiche causano la diminuzione della popolazione, contrastando l’interesse fondamentale dello Stato, che è quello invece di favorirne l’aumento.

Suggerimenti ai pastori

1. Comandare ai cattolici di essere esemplari davanti a tutti nel fedele adempimento delle norme dell’etica sessuale e familiare, tollerando la condotta di coloro che non per cattiva volontà ma per ignoranza o fragilità non sono capaci di adempiere in pienezza a quei doveri; occorre apprezzare i lati buoni del peccatore e valorizzarli, ma respingere nettamente  il peccato e motivarne il perchè. Occorre ricordare le parole di S.Paolo «mi sono fatto tutto a tutti per salvarne almeno qualcuno» (I Cor 9,22), non però nel senso di compiacermi a peccare insieme con gli altri, ma appunto per fare il possibile per allontanarli dal peccato; essere come il buon medico, che si accosta all’ammalato non per prendere il contagio, ma per liberarlo dalla malattia.

2. Bisogna formare con cura i giovani, fornire loro argomenti ragionati e persuasivi circa le ragioni dell’etica sessuale, la dignità del sesso e dell’esser uomo e donna; educarli al controllo dei sensi e dell’immaginazione, al dominio dell’istinto e della passione, alla fuga dalle occasioni di peccato e ad approfittare delle occasioni favorevoli alla virtù; vedere nella persona dell’altro sesso più una diversità arricchente che un pericolo; esercitarsi a esaltare il valore della castità e mostrare la bruttezza della lussuria; saper rinunciare quando occorre; ricorso alla preghiera e ai sacramenti; saper misurare le proprie forze e non esporsi al pericolo; non tirarsi indietro quando c’è occasione di fare del bene; evitare la temerarietà ma anche la timidezza; conciliare il piacere dello spirito con quello sessuale.

3. Occorre pertanto evitare di dare l’impressione, per un malinteso rispetto del peccatore, che il suo peccato non sia un male, ma semplicemente un’opzione «diversa» e che quindi in fondo non sia un peccato, giacchè il diverso non è un male, ma un bene. In tal modo si finisce per giudicare bene un male e lasciare il peccatore nel suo male, che egli forse crede essere un bene.

4. Il materialismo è largamente diffuso ed è diffuso il disamore per non dire il fastidio o l’incredulità per le cose spirituali e celesti, per il trascendente, per la metafisica e la teologia e quindi per i valori assoluti morali, religiosi e soprannaturali. Tutta la possibile felicità sembra essere solo in questo mondo e su questa terra.

5. Occorre quindi predicare il primato della vita spirituale su quella fisica e il primato dello spirito sul sesso, ma nel contempo mostrare come devono essere congiunti nell’unica realtà sostanziale della persona umana come singola e come membro della società;

6. Bisogna dire che la separazione ascetica o penitenziale fra uomo e donna, che può comportare anche l’astinenza sessuale periodica (matrimonio) o permanente (non sposati o vedovi) o perpetua (vita religiosa) è una misura provvisoria, temporanea e d’emergenza relativa alla presente condizione di natura decaduta conseguente il peccato originale, per cui occorre opporsi agli ostacoli alla vita spirituale provenienti dalla concupiscenza. Ma il fine di tale moderata separazione è proprio quello di ottenere l’unione escatologica, che in certa misura è possibile pregustare fin da adesso appunto nella pratica della castità.

7. Bisogna ricordare il primato dello stato religioso su quello coniugale, definito già dal sec. IV dalla Chiesa contro Gioviniano.  Stato coniugale e stato religioso non sono alla pari e non basta dire semplicemente che sono diversi. Occorre però precisare che sono semplici mezzi di perfezione, dei quali quello religioso facilita la vita spirituale in coloro che sentono un superiore bisogno di spiritualità.

Non conviene, quindi, come si faceva in passato, designare lo stato religioso come «stato di perfezione», quasicchè lo stato secolare sia uno stato di imperfezione. Tutti infatti dobbiamo tendere alla perfezione e, benché un secolare disponga di mezzi di perfezione meno efficaci, nulla può escludere che egli, utilizzandoli al massimo delle loro possibilità, diventi più santo di un religioso tiepido nella sua pratica religiosa.

8. Bisogna proporre ai giovani e alle coppie già sposate come ideale escatologico dell’amore fra uomo e donna, al di là del matrimonio, proprio della resurrezione. L’ideale matrimoniale è certo un ideale di santità, ma è riservato solo alla vita presente, e cessa con essa perché alla resurrezione sarà cessata la riproduzione della specie e sarà chiuso il numero degli eletti.

Suggerimenti ai politici

Uno Stato democratico e pluralista deve avere una legislazione che ad un tempo salvaguardi l’unità nazionale e la pluralità dei corpi intermedi fra lo Stato e i cittadini. Da secoli in Europa tra questi corpi intermedi ufficialmente riconosciuti sono annoverate in base al diritto alla libertà di religione e di non-religione, le comunità dei credenti e dei non-credenti e, fra le comunità di credenti si sogliono distinguere soprattutto la comunità o Chiesa cattolica, le comunità luterane e quelle ebraiche. Stanno aumentando anche le comunità islamiche. Le comunità non credenti si distinguono in associazioni atee, come i partiti comunisti, e in quelle massoniche, che sono teiste in senso etico (Kant), ma non praticano un culto divino.

Ora è chiaro che ognuna di queste formazioni umane pratica una morale che discende dai princìpi teorici propri di ciascuna e che sono differenti per non dire in contrasto gli uni con gli altri. Ora il campo dell’etica sessuale è uno di questi campi nei quali esistono tra le varie formazioni contrasti irriducibili.

Per cui uno Stato che vuol praticare la giustizia e rispettare la libertà di pensiero e di azione e l’uguaglianza dei cittadini, senza costringere una formazione ad accettare la morale di un’altra o senza permettere che una formazione imponga le sue leggi ad un’altra, deve concedere in questo campo che ogni formazione abbia le proprie leggi conformi alla sua propria visione morale e alla propria concezione del sesso.

È vero che la legge dell’etica sessuale è oggettivamente una legge naturale e razionale, che dovrebbe essere accettata da tutti, in quanto basata sulla semplice ragion pratica posseduta dall’uomo come tale. E per accettare l’imperativo categorico della ragion pratica, come ha dimostrato Kant, non occorre neppure un’esplicita dimostrazione speculativa dell’esistenza di Dio, ma è sufficiente ascoltare l’imprescindibile e insopprimibile  voce del dovere che parla nella coscienza morale.

Tuttavia, sta di fatto che a seguito del peccato originale la ragion pratica è offuscata, anche se Lutero esagera nel dire che è cieca. Ma è vero che non tutti, soprattutto coloro che non hanno ricevuto una buona educazione,  capiscono il dettato, le esigenze, l’oggettività e l’universale obbligatorietà della legge naturale e quindi dell’etica sessuale. Per questo, lo Stato non può pretendere nel campo dell’etica sessuale e matrimoniale una legge uguale per tutte le diverse formazioni umane residenti nel territorio nazionale.

D’altra parte, lo Stato non può disinteressarsi di un’ordinata crescita numerica della popolazione, crescita che avviene normalmente grazie alla famiglia. Tuttavia nelle diverse formazioni esistono diverse concezioni della famiglia.

 Bisogna allora che lo Stato richieda per legge da tutti i cittadini quel minimo di adempienze morali che sono necessarie alla riproduzione della specie e quindi mediante un’opportuna educazione pubblica, promuova e favorisca quel minimo di coscienza morale che induce tutti ad adeguarsi al dettato della Legge Costituzionale relativo alla riproduzione dignitosa della specie.

Per questo secondo me, per quanto riguarda il dibattito politico ormai in atto da cinquant’anni in Italia circa leggi come quelle sul divorzio o sull’aborto o sugli anticoncezionali o sulle unioni civili o sui divorziati risposati, invece di cercare degli accordi impossibili, che creano problemi di coscienza ai membri delle diverse formazioni, è meglio che lo Stato si adoperi per un accordo generale attorno a quei punti che esprimono le esigenze dello Stato di cui sopra, e che lo Stato permetta altresì alle varie formazioni, per i punti di disaccordo, una loro propria legislazione con corrispondente ordinamento giudiziario, così che il contravventore non debba rispondere davanti allo Stato, ma al tribunale della formazione di appartenenza.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 maggio 2021

 

Per Origene Dio non crea l’anima al momento del concepimento sì da farla essere maschile o femminile, ma avrebbe creato tutte le anime all’inizio della creazione insieme con tutti gli angeli, prima dell’avventura nel paradiso terrestre.


La cosa che stupisce nell’Agostino giovane è come abbia potuto mettere assieme l’esperienza del concubinaggio con l’adesione al manicheismo. Il manicheismo peraltro è un dualismo ancora peggiore di quello platonico.

Ma poi nella spiritualità agostiniana la carne, ossia il sesso, assunse un nuovo volto, un volto sereno, che portò l’Ipponense a quell’altra fondamentale domanda-risposta: «caro te excaecaverat? Caro te sanat». Il sesso ti ha ingannato? Il sesso ti sana. Quale sesso? Sesso di chi? Evidentemente il sesso di Cristo, Verbo incarnato.

È interessante qui ricordare che per Aristotele il piacere fisico è «medicinale», idea assente in Platone.

Da qui San Tommaso, che pure giunge all’intuizione ardita per i suoi tempi, che la femminilità sarà presente alla resurrezione, cade poi inavvertitamente nella trappola di Aristotele, arrivando a dire che nel corpo risorto sarà assente il piacere fisico, perché, avendo tale piacere una funzione medicinale e non essendovi in paradiso sofferenze fisiche da lenire e malattie da guarire, non c’è bisogno di medicine.

 

Si comprende facilmente l’estremo allarme nel quale il fenomeno cataro, diffusosi in Francia nel sec. XIII, gettò l’Europa, in quanto setta che minacciava di estinguere la cristianità europea. 

L’odierna diffusione di pratiche sessuali che contrastano con la procreazione o legalizzano l’aborto, devono mettere similmente in allarme i governi civili, per il fatto che queste pratiche causano la diminuzione della popolazione, contrastando l’interesse fondamentale dello Stato, che è quello invece di favorirne l’aumento.

 

Immagini da Internet:

- Origene
- Sant'Agostino e Santa Monica
- Il giudizio Universale di Michelangelo B.
- I catari


[1] Tina Manferdini, L’estetica religiosa in Sant’Agostino, Zanichelli Editore, Bologna 1969.

[2] Cf Summa Theologiae, Suppl,. q.84, a.4, 3m, 4m.

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