Annotazioni
sul concetto di creazione
Un incontro
fra S.Tommaso e Severino
La sensazione ricorrente presso molti oggi è
che sta prendendo sempre più corpo nel mondo intellettuale e morale un’autoesaltazione
dell’uomo e una parallela decadenza della religione, per le quali l’uomo avoca
sempre più a sé quelle doti di scienza,
di potenza, di indipendenza, di creatività e di libertà, che tradizionalmente
erano attribuite a Dio.
Il pelagianesimo e lo gnosticismo, mali
antichi e moderni, recentemente segnalati dal Papa, una coalizione di panteismo
ed ateismo aventi Hegel come comune matrice, un invadente modernismo, contraffazione
del rinnovamento conciliare, sembrano occupare sempre maggiormente la scena e soggiogare
gli animi, anche all’interno della Chiesa, e richiedono l’intervento di quelle
forze dell’intelligenza e della volontà, sostenute dalla grazia divina, che
maggiormente hanno a cuore non solo la civiltà, ma la stessa sopravvivenza del genere umano.
Un punto nodale di questa enorme questione è
il problema della creazione del mondo da parte di Dio. Tutto gira, in fondo,
attorno a questa questione e per questo lo spirito delle tenebre ha tutto
l’interesse a che non si faccia chiarezza su questo punto capitale del senso
dell’esistenza e del destino dell’uomo.
Infatti il concetto di creazione riguarda e
spiega il punto di contatto e di collegamento di Dio con l’uomo e col mondo, è
un elemento speculativo intermedio che consente di affermare con fondatezza ad
un tempo sia la distinzione che il rapporto di Dio con l’uomo, il che è fumo
negli occhi sia per i panteisti che per gli atei.
Da qui
l’interesse da parte loro o a ignorare l’argomento o a falsificare il concetto
di creazione o a negare l’esistenza stessa dell’attività creatrice divina, semplicemente
perché Dio non esiste e il mondo si è fatto da sé oppure esiste e basta, senza bisogno di chiedersi perchè esiste, per
cui non ha bisogno di alcun creatore. Se d’altra parte l’uomo e il mondo sono
Dio, e sono una cosa sola, l’«Intero», non c’è bisogno di porre un nesso o una
mediazione fra gli uni e l’altro.
L’impresa di
Padre Barzaghi
Oggi nel campo filosofico e teologico si
distingue ormai da un ventennio per acutezza d’indagine ed originalità e profondità
di idee su questo tema il Padre domenicano Giuseppe Barzaghi, il quale, di
buona preparazione tomista e amico di Severino, ha voluto fare un ardito e
interessante accostamento della metafisica di S.Tommaso a quella di Severino.
Infatti la questione della creazione mette più che mai in gioco la metafisica,
perché si tratta dell’origine e della natura dell’essere, che costituisce, come
è noto, l’interesse primario e l’oggetto stesso della metafisica.
Dunque Barzaghi accosta Severino a S.Tommaso
sul tema dell’essere e parte opportunamente dalla convergenza fra i due
pensatori sulla concezione parmenidea dell’essere, fatta propria da Severino, come
essere assoluto, uno, eterno e necessario. Barzaghi nota come Parmenide non si
accorse di come con la sua idea dell’essere egli precorse l’Ipsum Esse tomista, l’essere divino, nel
quale l’essenza coincide con l’essere. Ed è da notare che Tommaso non conosceva
Parmenide, se non dai brevi cenni fatti da Aristotele nella Metafisica[1].
Tommaso però distingue l’essere come essere (ens ut ens), oggetto della metafisica,
dall’essere divino (esse divinum),
oggetto della teologia. Corrispondentemente a ciò distingue un essere
contingente e diveniente, proprio del mondo, da un Essere necessario, eterno ed
immutabile, che è l’Essere divino. Inoltre, distingue un essere possibile e
realizzabile da un essere attuale e realizzato.
Ora, tutto ciò pone il problema della creazione,
perché il contingente non esiste da sé e necessariamente, per cui fa sorgere la
domanda chi lo ha creato; infatti è passato dalla possibilità alla realtà, come
a dire che appunto è stato creato, giacchè un possibile da solo non diventa
reale, se non c’è un reale che lo attui. E questo reale è appunto Dio creatore.
Inoltre, il nulla da sè non produce l’essere,
per cui il passaggio dal nulla all’essere non può che essere causato da un ente
che produce l’essere e quindi di nuovo da un creatore. Se questo ente causato prima
non c’era e adesso c’è, come è passato dal non-essere all’essere se non perchè
è stato fatto essere? E da chi? Da un ente tanto potente, da far essere quello
che prima non c’era, ossia un ente che lo ha tratto dal nulla. E dunque ancora
un creatore.
Ora però Barzaghi elabora un concetto di
creazione adatto alla metafisica di Severino e non a quella di S.Tommaso. E
perché? Perché Barzaghi, invece di vagliare il pensiero di Severino alla luce
di quello di S.Tommaso, come avrebbe dovuto fare, data l’eccellenza del
pensiero dell’Aquinate, fa l’inverso: considera il pensiero di Severino come
«originario», mentre quello di Tommaso sarebbe «derivato». Che vuol dire? Che
secondo Barzaghi è Severino e non Tommaso che rivela in modo radicale, diretto,
rigoroso e immediato il significato, il valore e il fondamento primo dell’essere.
Vi giungerebbe anche Tommaso, ma meno radicalmente
e rigorosamente, per mezzo di un cammino che invece Severino ci risparmia. Severino,
insomma, ci farebbe attingere direttamente alla sorgente dell’essere, mentre Tommaso
vi ci conduce facendoci partire
dall’acqua che ne sgorga.
Operazione
non riuscita
Ma tutto ciò mostra in Barzaghi un gravissimo
fraintendimento circa quello che è il vero pensiero originario, che non è
affatto quello di Severino, ma è quello di Tommaso. È infatti Tommaso che ci conduce
alla vera originaria nozione dell’essere, che non è l’essere univoco e
monistico parmenideo accolto da Severino, ma l’essere analogo e pluriforme formulato
da Aristotele e confermato dalla Rivelazione cristiana, per la quale «dalla
grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’Autore» (Sap
13,5).
Cogliere l’analogicità dell’essere vuol dire
infatti saper distinguere l’essere necessario dal contingente, l’uno dai molti,
il diveniente dall’immutabile, il temporale dall’eterno, il possibile dal
reale, distinzioni impossibili nell’essere severiniano, bloccato nella
necessità, nell’unità, nell’immutabilità, nell’attualità e nell’eternità, e
quindi nella confusione fra l’essere come tale e l’essere divino, quindi nel
panteismo.
Ora, parlare di creazione in un quadro
panteistico è un’impresa disperata. Barzaghi la tenta, ma non c’è da
meravigliarsi se non riesce. Per quanto riguarda infatti il problema
della definizione dell’essenza della creazione, Barzaghi parte da una
considerazione giusta, ma poi, sviato dal suo idealismo, perde la strada ed
arriva ad una conclusione sbagliata. Comincia infatti col dire che «la scienza
di Dio non è previsionale, è scienza del presente sul presente. Non c’è né il prima
né il dopo, c’è solo l’adesso, tutto adesso. È una conoscenza simultanea della totalità». Dio non prevede, ma vede,
perché anche ciò che per noi è futuro è già visto in atto da Dio nell’essenza
divina.
Osservazioni
Ma ecco che
Barzaghi comincia già a identificare il mondo col Disegno di Dio sul mondo:
«Allora è questa conoscenza simultanea della totalità che chiamiamo mondo,
ma è ciò che è al posto del mondo. Il mondo in Dio è ciò che chiamiamo Disegno di Dio sul mondo: non è un’anticipazione del
mondo che verrà attuata successivamente; è il mondo dentro lo sguardo
sempiterno di Dio. Si chiama Disegno. Il Disegno, inteso in questo senso, non è
ciò che viene messo davanti, prima del mondo, ma ciò che è al posto di ciò che
chiamiamo mondo: il mondo, nello sguardo di Dio, si chiama Disegno»[2].
Secondo il metodo tipico degli idealisti
(tutto è pensiero), Barzaghi riduce l’atto creativo ad un atto conoscitivo di
un mondo che non è fuori di Dio, ma «in Dio»: il «Disegno», ignorando il
fattore decisivo che è quello della libera volontà divina - «liberrimo
consilio», come dice il Concilio Vaticano I (Denz.3002). La creatura, quindi, non è effetto della semplice scienza divina, ma
della libera volontà divina, che crea questo piuttosto che quello, lo crea
adesso piuttosto che dopo, lo crea qui piuttosto che là.
Il creare, invece, per Barzaghi, non è
espressione dell’onnipotenza divina, per cui non viene ricondotto al paradigma
della causalità efficiente e produttiva, ma lo riconduce alla causalità formale
o esemplare, per cui la creazione non è un’azione, ma una «struttura» e una
«relazione».
«Quando si tocca il tema della creazione - dice Barzaghi -, si deve dire
che questa struttura fondamentale non né legata ad una azione con la quale si pensa
che Dio, prima che il mondo fosse, lo concepisce e poi dal nulla lo pone,
poiché prima che il mondo fosse anche il prima non era. Dire
“prima che il mondo fosse” è tempo. Se il tempo è la misura delle cose in
movimento, e non vi sono cose in movimento, il tempo non c’è, e dunque il “prima”
non ha alcun senso»[3].
Contrariamente a
quanto sostiene Barzaghi, si deve dire che il concetto di creazione si ottiene
conducendo al limite il concetto della causalità efficiente: si prende come
referente immediato il produrre artistico-tecnico e lo si eleva al massimo
della potenza considerando che, se l’artefice umano può dar forma ad una
materia presupposta, Dio creatore non si limita a questo, ma trae dal nulla
anche la materia della sostanza che crea. Dio quindi causa dal nulla tutto l’essere
della creatura. Per questo S.Tommaso definisce l’atto creativo come productio totius entis ex nihilo sui et
subiecti. La potenza creatrice consiste nel far passare tutto l’ente dal
non-essere all’essere, dalla possibilità alla realtà.
A somiglianza dell’artefice
umano Dio realizza ciò che ha ideato, con la differenza che mentre l’artefice
desume la sua idea dalle cose, Dio nella sua scienza assoluta, identica alla
sua essenza, possiede originariamente, da Sé e a priori ab aeterno l’idea di tutte le cose possibili e realizzabili.
A somiglianza
dell’artefice umano la creazione divina è la realizzazione di un pensiero, di
un ideale o progetto presupposto, con la differenza che mentre il produrre
umano suppone solo la conoscenza della forma dell’artefatto, l’idea divina
preconcepisce perfettamente e totalmente la creatura nella totalità del suo
essere.
Barzaghi, inoltre,
non capisce che cosa vuol dire che Dio esisteva prima che il mondo fosse (cf Gv
17, 5.24). Infatti, dato che per lui il mondo esiste ab aeterno identico a Dio, è per lui inconcepibile che Dio sia
esistito da solo ab aeterno prima di creare il
mondo «ab initio temporis» (Conc.Lat. IV, Denz.800).
Infatti Barzaghi
intende il prima e poi solo nel senso temporale
e non riesce ad elevarsi al concetto del prima
e poi trascendentale, necessario per capire che cosa ha inteso dire Cristo
in Gv 17,5.24. Infatti, se ci fermiamo al solo prima-poi temporale, si verrebbe
ad affermare un «prima», che è prima della creazione del tempo, il che è
assurdo.
Invece il Prima
trascendentale ci consente di capire come Dio sia di per sè autosufficiente,
per cui non ha creato il mondo per completare la sua essenza, ma per un atto di
liberissima volontà, per cui, se Egli
è necessario, il mondo è contingente, se Egli è Eterno, il mondo è temporale,
se Egli è immutabile, il mondo è mutevole.
Egli potrebbe
benissimo esistere da solo senza il mondo. Non ha creato per necessità o per
essenza, ma solo per bontà e per amore. Il Prima trascendentale ci consente
pertanto di comprendere in che senso Dio attui i suoi piani creativi e
provvidenziali gradatamente e progressivamente nella storia, benchè tutto sia
già stato da Lui preconcepito ed ideato dall’eternità.
Il vero concetto di creazione.
Dio, benché sia al
di sopra del tempo, attua nel tempo ciò che ha concepito e liberamente
progettato sin dall’eternità. È vero che il suo essere coincide col suo agire.
Ciò tuttavia non c’impedisce di parlare di un susseguirsi di atti creativi
divini, come fa la Scrittura, lungo il
corso della storia – si pensi alla creazione delle singole anime umane -. Solo
che questi atti non vanno intesi come avviene
in noi, nei quali essi si aggiungono alla sostanza del nostro io come una
pluralità di accidenti successivi nel soggetto nello svolgersi del tempo.
Ma questa
pluralità di atti divini, che pur si manifesta nel tempo, va intesa come pluralità degli effetti creati dell’unico
Agire divino identico al suo Essere sovratemporale. Dio, nell’assoluta
semplicità del suo essere e del suo agire, non ha bisogno di compiere una
pluralità di atti, ma con unico Atto produce tutto.
Nel Dio di
Barzaghi, invece, manca la libertà, la liberalità, la gratuità e l’amore. Tutto
è ridotto ad unico blocco – l’«Intero» -, intellettualistico, rigido e freddo
come il ghiaccio. È un Dio incastrato nel mondo come il motore di
un’automobile. E il mondo, per converso, con la sua «eternità», diventa un
assoluto divino.
Col pretesto che
in Dio coincidono essere, sapere ed agire, egli riduce il creare al pensare e
nega l’esistenza del mondo esterno a Dio, ossia il mondo reale creato da Dio,
riducendolo al solo mondo pensato da Dio in Dio. Ora, siccome in Dio il
possibile è attuato e il contingente è necessario, ne viene che il mondo è
necessario ed è l’attuazione di tutto il possibile.
Lo sguardo divino sul mondo
E questo, secondo
Barzaghi, sarebbe lo «sguardo divino sul mondo». Infatti egli sostiene che
l’onnipotenza divina non sta nel fatto che Dio possa fare di più di ciò che
esiste, ma che ciò che esiste è già la piena attuazione della onnipotenza
divina. Se infatti il mondo è Dio, che cosa si potrebbe aggiungere al mondo
esistente, che non abbia già?
Ora, è vero che,
come dice Barzaghi, noi come credenti dobbiamo assumere lo stesso sguardo di
Dio su Dio e sul mondo; di fatto la fede ci fa conoscere Dio e il modo come
Egli stesso li vede. Barzaghi, ispirandosi a S.Paolo (I Cor 2, 14-15), chiama
giustamente «spirituale» questo sguardo, questa forma superiore di conoscenza –
la conoscenza di fede - superiore a quella semplicemente umana. Senonchè, però,
nulla ci autorizza assolutamente, anzi la vera fede ce lo proibisce, ad
assumere la concezione idealistico-panteistica, che Barzaghi vorrebbe far passare per «sguardo di Dio», e
vorrebbe quindi proporci, nella fattispecie, il suo errato concetto di
creazione.
Barzaghi prosegue
nel suo ragionamento:
«Allora, cosa si intende per creazione, se non é possibile pensare
alcuna antecedenza del pensiero di Dio rispetto alla posizione del mondo? Per parlare
di creazione si utilizza il termine ”produzione”. Se la si applica a Dio,
distruggo Dio, poiché non ha alcun presupposto e la produzione non è qualche
cosa di intermedio tra il nulla e il creato»[4].
Falso. Il concetto
di productio, portato alla massima
perfezione, per viam eminentiae, come
ho detto sopra e come c’insegna S.Tommaso[5], è il
migliore per capire che cosa è il creare divino, che, come ho detto, va
collocato nella categoria del volere, dell’agire e del causare, non del sapere
o dell’ideare o del relazionare. La creazione non è una idea, e però è
realizzazione concreta di un’idea, ossia l’Idea divina, che è Dio stesso.
Barzaghi spiega: «Anche perché questa che definiamo produzione non è l’azione
di Dio. È noto che per san Tommaso la definizione, o descrizione di Dio, è Ipsum Esse per se subsistens, lo stesso
Essere per sé sussistente, cioè l’Essere Assoluto, in termini moderni. Se non è
sussistente, è per altro; e se non è per altro, è sciolto da altro, cioè
assoluto. Allora se Dio è l’Essere Assoluto, l’agire di Dio è Dio. Non c’è un Dio-sostanza
e poi il suo agire.
L’agire di Dio è la sostanza di Dio. Se Dio è immutabile, l’agire di Dio
è immutabile. Creare è l’azione di Dio, quindi anche il creare non implica un mutamento.
Non c’è mutamento. La parola “produrre” dal nulla evoca il mutamento, ma almeno
dalla parte di Dio questo produrre esclude il moto ed esclude il mutamento;
pertanto, l’atto creatore è immutabile ed eterno, dato che l’agire di Dio è Dio,
che è eterno. Non ha tempo»[6].
È vero che l’agire
di Dio è Dio ed è vero che Dio non è come noi sostanza, alla quale succede,
come accidente, l’agire. È vero anche che il creare non implica un mutamento.
Dio, come già aveva intuìto Aristotele, muove le cose; le muta, le perfeziona e
le conduce al loro fine; ma il muovere non è ancora il creare, benché metta il
pensiero sulla strada del creare. Aristotele non è riuscito a percorrerla fino
in fondo come fa la Bibbia, la quale spiega che Dio non si limita come noi, con
la nostra attività artistica e lavorativa,
a dar forma ad oggetti preesistenti o a far passare la materia dalla
potenza all’atto, ma ha la potenza di far passare una cosa dall’esistenza
possibile o semplicemente pensabile, ossia dal non-essere, all’esistenza reale
ed effettiva. E questo è il creare.
Tuttavia dal
concetto del muovere si può ricavare quello del creare, perché nell’uno e
nell’altro caso l’agente causa un
passaggio dal possibile al reale, con la differenza che l’uomo attua la
possibilità di una forma accidentale in una sostanza preesistente, mentre il
creare divino attua la possibilità dell’esistenza di un intero ente prima
inesistente.
Il creare è un produrre
Il concetto del
produrre non implica necessariamente un mutamento per ottenere il prodotto.
Tommaso infatti utilizza una nozione trascendentale del producere, che riguarda l’essere, e che va oltre quella
categoriale, legata al divenire. Mentre questa infatti si limita ad esprimere
la produzione della forma nella materia preesistente, il produrre creativo
esprime il causare l’essere dell’ente dal nulla, senza l’uso di una materia o
soggetto preesistente (ex nihilo sui et
subiecti).
Prosegue Barzaghi:
«A questo punto si potrebbe dire:
si elimina il mutamento dalla parte di Dio, ma lo si afferma ex parte
creaturae. Ma è impossibile il mutamento dalla parte della
creatura, perché ogni mutamento presuppone un mutabile. Se la creatura è dal nulla
prima di esserci non può mutare, e dunque l’atto creatore, che è dal nulla, ex parte creaturae esclude il
mutamento. Non c’è dunque mutamento né dalla parte del Creatore, né dalla parte
della creatura»[7].
Osservo che, come
ho detto, la creazione non comporta alcun mutamento. Il mutamento riguarda
l’ente esistente. Il mutamento riguarda un soggetto comune a due enti, nel quale ad una forma ne succede
un’altra. Invece nel creare, tra il termine di partenza (il nulla) e il termine
di arrivo (l‘essere) dell’atto produttivo non esiste alcun soggetto comune, per
cui i due termini non sono congiunti da un processo evolutivo, ma dal semplice
accostamento immediato del no col sì.
Continua Barzaghi:
«E se allora prendendo l’idea di produzione che abbiamo usato per definire
la creazione, si esclude dalla idea di produzione il mutamento, cosa rimane?
Soltanto la relazione
tra il produttore e il prodotto, e quindi la creazione consiste in una pura
relazione. Una pura relazione che si definirà così: la pura
relazione di dipendenza tutta e totale di ciò che si definirà creato (mondo)
dal creatore (Dio). La creazione è una relazione
di dipendenza tutta e totale del mondo da Dio. La creatura si risolve tutta e totalmente nell’esser posta, se si vuole
intenderla propriamente. La creatura si risolve tutta e totalmente nella
relazione di dipendenza. È una relazione fondativa».
La relazione di dipendenza consegue e non coincide con l’esser creato
Osservo che non
può esistere una relazione di dipendenza se non in un soggetto che possiede
quella relazione, perché la relazione è un accidente della sostanza. E se la
detta relazione consiste nell’esser creata della creatura, allora l’esser
creata non potrà assorbire in se stessa tutto l’essere sostanziale della
creatura, ma dovrà esserne un accidente.
Quindi non è vero
che «la creatura si risolve tutta e totalmente nell’esser posta». Al contrario,
l’esser creata o esser posta si aggiunge alla creatura come proprietà
contingente della creatura e non si identifica con l’essere sostanziale o
essenza della creatura, appunto perchè la creatura è un ente contingente. Ora,
l’esser creata, è l’essere della creatura. Ma se questo essere si identifica
con l’essenza della creatura, questa non è più creatura, non è più contingente,
ma diventa Dio, nel quale la sua essenza si identifica col suo essere.
Continua Barzaghi:
«la creatura non è qualcosa che, essendo in relazione, dipende, ma è relazione
di dipendenza. Risolvere una cosa in una pura relazione di dipendenza è arduo da
comprendere, ma d’altra parte è l’unico modo
con cui è possibile esprimere, filosoficamente, il teorema di creazione per significare
ciò che la Rivelazione afferma: il mondo è creato da Dio. Questa idea di
creazione è indispensabile per riuscire ad intendere quel Disegno di cui abbiamo visto il delinearsi in San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi e nel l’Apocalisse di San Giovanni. Una
relazione di pura dipendenza tutta e totale, questo vuol dire “dal nulla”»[8].
Occorre ribadire
che la relazione di dipendenza della creatura dal creatore non è la creatura,
ma è la conseguenza del fatto che la creatura è stata creata. L’essere creato è
lo status ontologico dell’ente in quanto creato, appartenente alla creatura. Ma,
come si è detto, le appartiene in modo contingente. Altrimenti, la creatura
diventerebbe necessaria come Dio.
Nel contempo, non
c’è dubbio che l’esser creato comporta la totale dipendenza della creatura dal
creatore, essendo stata prodotta totalmente dal creatore. Su ciò Barzaghi ha
ragione. Ma sbaglia quando vuol risolvere l’essere della creatura nell’esser
creata, perché, come si è detto, così facendo, sostanzializza un accidente,
ossia la relazione ontologica di creatura al creatore, che non può diventare
essenziale alla creatura senza farla diventare Dio.
Sembra un
paradosso che dalla preoccupazione di sottolineare la dipendenza della creatura
da Dio venga fuori proprio la divinizzazione della creatura. Ma ciò si
comprende se teniamo presente il rifiuto barzaghiano del creare come productio per sostituirlo con una
relazione di dipendenza strutturale o formale (il Disegno) così come ciò che è
in Dio, ossia il mondo, non diciamo – nella visuale barzaghiana - che è
prodotto o causato da Dio, ma che dipende da Dio nel senso che si risolve ad
essere la stessa essenza divina, come struttura o «Disegno» della stessa
intellegibilità divina, congiuntamente ed inscindibilmente all’intellegibilità
della creatura in Dio nell’unità dell’«Intero».
Conseguenze sul piano della morale
Barzaghi sottrae a
Dio il potere della productio. Essa
resta dunque nelle mani dell’uomo, il quale ovviamente, in questo quadro di
pensiero, non avverte più se stesso come effetto di una productio divina. Dio è un ente astratto che contempla il suo
«Disegno» e lascia campo libero all’uomo di esercitare la productio come meglio crede. Un astuto stratagemma, infarcito di
sottili ragioni metafisiche, per sottrarre il potere dell’uomo all’autorità
divina ed aprire le porte all’ateismo. Ho scritto più volte che l’idealismo
panteista è l’anticamera dell’ateismo. Ecco i risultati di un concetto di
creazione svuotato del suo senso biblico e realista e riformulato al seguito di
Gentile e Severino dietro le sembianze sbiadite di S.Tommaso che fa da specchietto
per le allodole.
P.Giovanni Cavalcoli, OP
Fontanellato, 11 settembre 2019
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