Considerazioni sulla questione della sofferenza - Seconda Parte (2/3)

 Considerazioni sulla questione della sofferenza

Seconda Parte (2/3)

Il male[1]

È evidente che la sofferenza è un male. Per capire allora a fondo che cosa è la sofferenza, bisogna che comprendiamo il significato della categoria generica nella quale essa rientra, ossia che cosa è il male.

Il male in generale è la privazione del bene dovuto ad un soggetto di vita psichica o spirituale. L’agente che causa il male è la volontà della persona, uomo o angelo. L’intelletto concepisce un’intenzione maligna e la volontà la manda in esecuzione. L’intenzione maligna è causa del peccato, quando il soggetto sa qual è il vero bene e ciononostante decide arbitrariamente e irragionevolmente esser bene per lui un atto contrario al vero bene.

Il male non appartiene, come potrebbe apparire, alla categoria della sostanza, non è un qualcosa di reale, per quanto invece appaia reale l’esistenza del male. Il male invece riguarda di più l’azione e della passione.

Il male non esiste senza il bene, perché il bene, che può essere sostanza o accidente, è il soggetto del male.  Il male, infatti, non può essere soggetto, perchè appartiene al non-essere, ed evidentemente il non-essere non può essere soggetto di niente. E dunque il soggetto del male è necessariamente un ente reale. 

Il male non è un accidente della sostanza, perché è privazione di essere, ma è un qualcosa di accidentale; il male esiste accidentalmente, non di per sé. Se nella situazione presente della nostra esistenza non riusciamo a togliere i mali che commettiamo o che ci affliggono, ciò non vuol dire che il male sia necessario o ineliminabile. Lo è di fatto, ma non per essenza o di diritto. Non è giusto, non è bene che esista il male. Il male non è amabile, ma è odioso. 

Il male è certamente connesso con la corruzione dell’ente, nella sua sostanza e nei suoi accidenti. Tuttavia questo fenomeno non è ancora formalmente il male. Si tratta di un processo fisico del tutto normale, che esprime l’ordine e la bellezza dell’universo. Perché ci sia il male in quanto percepito non basta la corruzione, ma occorre che l’agente e il paziente siano soggetti animati almeno da anima sensitiva.

Se poi per male intendiamo il male di colpa, non basta neppure il semplice animale, ma occorre l’agente spirituale, angelo o uomo, la cui azione è consapevole e responsabile. Per questo, non diciamo che il leone fa male ad uccidere la gazzella, anzi fa bene, perché obbedisce alla legge della sua condotta. Invece diciamo che fa male il marito ad uccidere la moglie, perchè va contro alla legge morale naturale.

La distruzione nell’ambito della natura e dell’universo fisico è un semplice fenomeno di trasformazione e di evoluzione della materia cosmica. Solo per metafora possiamo parlare della «morte» di una stella. La morte vera e propria è la perdita dell’anima e la stella non ha nessun’anima, a meno che non vogliamo tornare all’astronomia aristotelica o babilonese, che credeva che gli astri fossero degli dèi.

Il male non è logico, come credeva Hegel. Non è necessario il male perché ci sia il bene. Tutt’altro: solo il bene è la causa del bene, anche se è vero che è possibile trarre il bene dal male. Il male è contro la sana ragione. Non ha un motivo ragionevole, come il bene, ma sorge a causa di una ragione corrotta e malvagia.

Il male non è neppure un assurdo. Non è insensato; no, ha un senso, ha un significato intellegibile, se no, non potrebbe essere capito e vinto, perché possiamo vincere solo ciò di cui comprendiamo la causa togliendo la causa. Del male possiamo sapere che cosa è, da cosa è causato e come si toglie. Lo distinguiamo dal bene e lo opponiamo al bene. Ciò vuol dire che il male ha una sua identità ed è identificabile. E se è identificabile, può essere colpito e distrutto. Non si può infatti colpire un nemico che non si riesce ad identificare.

Il male non ha diritto di esistere e merita di essere annullato. La ragione ci dice pertanto che togliere il male è possibile, anche se da soli non riusciamo a togliere tutti i mali. Occorre il soccorso divino.

Occorre inoltre tener presente che il male non è voluto come tale, perché la volontà vuole di per sé il bene. E tuttavia diciamo che un’intenzione è cattiva, in quanto volontariamente il peccatore vuole coscientemente e deliberatamente qualcosa che sa che è male, sotto le apparenze del bene, dando ad intendere che sia bene.

Cioè per il peccatore è bene ciò che in realtà è male. All’origine del peccato c’è sempre quindi o la menzogna – chiamare bene ciò che è male - o l’ipocrisia – far apparire bene ciò che è male o nascondere il male sotto apparenza di bene o far passare il male col pretesto del bene.

L’esistenza del male non è necessaria, ma contingente. Il male esiste, e se ne vedono gli effetti nella realtà, ma in se stesso non è una realtà; è una negazione e carenza di realtà. Diciamo che è un ente di ragione non nel senso che sia un ente immaginario o una nostra semplice idea o che esiste solo nella nostra ragione, ma nel senso che lo concepiamo come ente (ad instar entis), benché non sia ente. E questo per il motivo che l’intelletto non può pensare nulla se non sotto la ragione di ente, per cui siamo obbligati a pensare come ente anche ciò che sappiamo non essere ente, benché non sia un semplice nulla, ma un qualcosa di riferito al reale.

Il male non è un ente, non è la materia, non è un soggetto, una persona, una divinità. Non è semplice negazione, semplice non-essere. Il male esiste veramente e realmente, ma non è una realtà: è privazione di realtà. Nei suoi effetti dolorosi e conturbanti si fa sentire nella realtà, ma in se stesso agisce silenziosamente come causa che provoca una deficienza, un venir meno, un calo, una diminuzione, una decadenza, un annullamento, una mancanza; dunque, non causa efficiente, ma causa deficiente. 

Il male, quindi, non è assurdo, non è né impossibile né impensabile. Esso purtroppo è possibilissimo, altrimenti non esisterebbe. Esso esiste, pur essendo una privazione di realtà. Per questo viene concepito come fosse ente, ad instar entis, come ente di ragione, ens rationis. Questo non vuol dire che il male sia un semplice ente mentale. Esso purtroppo si fa sentire nel modo più evidente.  Tuttavia è una carenza di essere, che guasta la realtà.

Secondo la Bibbia la natura è ostile all’uomo a seguito del peccato originale. In se stessa e nelle sue leggi è buona e benefica. Tuttavia, essa è regolata anche da leggi e dinamismi susseguenti al peccato originale, che arrecano ostacolo alla vita umana. Per mezzo delle calamità naturali e le forze ostili della natura, Dio, come dice la Lettera agli Ebrei, «corregge colui che ama e sferza chiunque riconosce come figlio» (Eb 12,6).

Il male non ha diritto di esistere, ma è effetto di un atto di violenza, di trasgressione volontaria della legge morale.  Il male non distrugge la totalità del soggetto, perché esiste solo in un soggetto che conserva lati positivi. Nel momento in cui il male distrugge totalmente o sopprime il soggetto, il male scompare, ma solo perché il soggetto non esiste più.

Ogni soggetto umano ferito dal peccato originale nasce con inclinazioni psichiche e morali cattive, ossia con la tendenza a peccare per il fatto che il peccato appare come un bene sia per l’appetito sensitivo – gli istinti -, che per l’appetito intellettivo – la volontà. 

Ciò dipende dal fatto che alla ragione appare falso ciò che è vero, per cui essa presenta alla volontà come male ciò che è bene. Alla ragione del peccatore, che è pur fatta da Dio per la verità piace il falso perché la volontà tende a quel falso bene che la ragione le presenta come bene pur essendo male.

La ragione può sbagliarsi nel giudicare ciò che è bene e ciò che è male. Questo errore può essere volontario o involontario. L’errore volontario è il peccato, sorgente di colpa ed imputabile al soggetto; se invece è involontario, è lo sbaglio, che lascia il soggetto innocente e il suo atto non è imputabile. Il peccato per essere rimesso, ha bisogno di essere perdonato, e il perdono suppone la penitenza del peccatore.

Non esistono cose intrinsecamente cattive, ma ogni ente in quanto ente è buono ed amabile e produce un bene. Se si parla di sostanze nocive lo si dice in relazione al benessere dell’uomo, che viene danneggiato da quelle sostanze. Ma l’azione di queste sostanze, in quanto regolata da leggi fisiche, contribuisce al bene della natura. Il male dell’azione è o il peccato o l’azione psichica difettosa. Il male della passione è il patimento, il male di pena è la sofferenza.

La causa del male non è una causa efficiente, ma una causa deficiente, la quale non fa essere, ma non essere; non fa crescere ma diminuire; non fa progredire ma regredire; non pone ma toglie; non costruisce ma distrugge; non ordina ma disordina; non unisce ma divide; non fa vivere ma uccide.

Causa del male è la volontà della creatura intellettuale.  Occorre una volontà e non semplicemente una causa fisica o un vivente infraumano, perché il male è qualcosa di concepito da una mente come infrazione volontaria della legge divina, cosa che evidentemente può essere conosciuta solo da un intelletto e realizzata dalla volontà. Il male voluto dalla volontà è il peccato.

L’azione della volontà maligna concepita dall’intelletto ed eseguita dalla volontà è il peccato. Nel peccato la volontà vuole un bene al di fuori dell’ordine morale e in violazione della legge morale. La legge morale è l’ordine della ragion pratica, partecipazione della Ragione divina, finalizzata al bene dell’uomo.

Chi compie un’azione cattiva in questa modalità, pecca ed è colpevole. Il suo peccato gli è imputato come colpa. Se invece pecca senza sapere che ciò che fa è peccato e credendo di far bene, resta innocente e il peccato non gli può essere imputato a colpa.

Il peccato merita il castigo nel senso che il peccatore si procura da sé il castigo, in quanto il castigo, cioè la morte, è la conseguenza necessaria della soppressione della vita fisica o della vita spirituale, benché l’anima umana che commette il peccato sia ontologicamente immortale. Nel contempo il peccatore merita il castigo per giustizia secondo la sentenza del giudice legislatore della legge che il peccatore ha violato col suo peccato. Sotto questo punto di vista il castigo può essere differito o anche annullato da un atto di clemenza motivato dalla buona condotta o dalla conversione del peccatore.

Il peccatore compie il peccato utilizzando liberamente quel bene che è il libero arbitrio, che Dio crea affinchè l’uomo scelga Lui, arrivi a Lui e si unisca a Lui come a sommo bene ed ultimo fine. Invece il malvagio utilizza il libero arbitrio per disobbedire a Dio, per opporre il proprio io a Dio, contando su se stesso e non in Dio, per rifiutarlo e per fare la propria volontà.

L’uomo è di per sé peccabile e, considerato lo stato di miseria della vita presente, pecca inevitabilmente, nonostante ogni buon volere. Tuttavia il piano cristiano della salvezza prevede che se l’uomo lo mette in atto, raggiungerà dopo la morte uno stato di perfezione tale da divenire impeccabile.

Pensare di poter raggiungere adesso questa impeccabilità, con la grazia o senza la grazia, è un’illusione che può fondarsi sulla falsa convinzione che il peccato non esiste perché Dio nella sua misericordia dona a tutti quella grazia per la quale tutte le opere sono calcolate da Dio come buone, anche se in se stesse restano cattive. È la famosa teoria luterana della giustificazione, per la quale Dio per sua misericordia computa come giusto ciò che giusto non è.

Il male, per un principio di saggezza ispirato dalla fede cristiana, può essere volto in bene. Può essere occasione per trarre da esso un maggior bene. Noi possiamo volgere a nostro vantaggio un male di pena, una sventura, uno sbaglio compiuto, un’offesa ricevuta, un’ingiustizia patita, un peccato commesso, del quale ci siamo pentiti.

Ad ogni male che ci capita o che facciamo c’è rimedio, salvo a quello al quale noi stessi non vogliamo porre rimedio. Ai mali ai quali non possiamo porre rimedio da soli, pone rimedio Dio, se abbiamo fiducia nel suo aiuto. È stolto considerare bene un male al quale non possiamo rimediare.

Non dobbiamo rassegnarci ad essere vinti dal male, sia quello di pena che quello di colpa, ma dobbiamo vincere il male di colpa facendo il bene e rispondendo col fare il bene a chi ci fa del male, e vincere il male di pena con ogni forma di lecito sollievo o con la medicina o con l’aiuto di Dio.

Dio è causa della sofferenza?

Dio non è causa del male di colpa, ma di quello di pena sì, in quanto, secondo la fede cristiana, è il giudice supremo e definitivo dei giusti e dei malvagi, che premia il giusto e castiga il peccatore. Dio di per sé non vuole la morte di nessuno. «La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,23) e Dio certamente non ha mosso il diavolo a peccare, ma egli ha agito di propria iniziativa, per cui la colpa è tutta sua.

Se Dio punisce con la morte, è perché il peccatore se l’è meritata. E se vuole la morte del Figlio è solo perché è una morte sacrificale per puro amor nostro. Se in Es 4,21 è detto che Dio «indurì il cuore del faraone» non vuol dire che lo spinse a peccare, ma significa semplicemente che il faraone si ostinò nel male che aveva intenzione di fare.

Certamente Dio lo ha lasciato fare, pur avendo la possibilità di fermarlo, come ha lasciato farei i nazisti che hanno sterminato sei milioni di ebrei. Dio ha permesso una mostruosa cosa del genere non perché abbia dato ai nazisti il permesso di peccare, chè anzi Dio proibisce il peccato sotto la minaccia della pena eterna. Dio permette il male in senso ontologico, non in senso morale. Egli, cioè, per il fatto stesso d’aver creato la creatura spirituale capace di peccare, consente ontologicamente anche che possa esistere il peccato.

Dio causa l’atto del libero arbitrio della creatura sia buono che cattivo in quanto ente contingente, in senso psicologico, che in tal senso è sempre una cosa trascendentalmente buona; e causa altresì la qualifica di bontà morale dell’atto liberamente voluto dalla creatura. Ma non causa la colpevolezza dell’atto, perché questa è causata esclusivamente dalla creatura. Egli causa certamente le conseguenze penali o penose dell’atto, perché ciò avviene in forza dell’essenza stessa del peccato (castigo intrinseco) e voluto da Dio giusto giudice come effetto della sua giustizia (castigo successivo). Mentre il castigo intrinseco al peccato è inevitabile, Dio può annullare il castigo successivo di carattere giuridico.

Sbaglia pertanto Meister Eckhart a dire che «lo stesso nulla, la radice dei mali, delle privazioni e della molteplicità si nasconde nello stesso essere vero e pieno»[2]. Ora bisogna obiettare che nell’Essere perfettissimo divino non c’è alcun nulla, oltre a ciò inteso come «radice dei mali». Abbiamo già qui quella che sarà la concezione hegeliana di Dio, come essere che negando se stesso, nega la negazione di sé e torna ad affermare se stesso.

Il pensiero di Eckhart ritorna in Schelling[3], per il quale Dio non è essere ma volontà libera, per cui Dio esiste come effetto di se stesso ossia come trionfante sul non-essere identificato col nulla e col male. È un discorso insensato, perché nulla può essere volente che non sia esistente, per cui è assurdo pensare un volere senza volente che volendo essere, vince il suo non-essere e giunge all’esistenza.

Si tratta di una pura e semplici assurdità, giacchè il nulla è l’esatto e radicale opposto dell’essere e quindi non può trovarsi in Dio che è puro Essere infinito ed inoltre e il volere suppone l’essere. Inoltre Dio non è causato da niente, ma è Lui la causa prima di tutto. Inoltre Egli esiste necessariamente non è effetto di una scelta tra l’essere e il non-essere.

La possibilità del male e quindi della sofferenza non si trova assolutamente in Dio, il cui essere infinito esclude assolutamente il non-essere, che è la condizione di possibilità del male e invece il male è possibile nella creatura, che, nella sua finitezza, confina col non-essere.

È vero che il nulla è radice del male in quanto ne è la condizione di possibilità, ma perché ciò sia il male non basta il nulla, ma occorre una volontà annullatrice di ciò che esiste ed ha diritto di esistere. Tutto quello che può rappresentare il Dio hegeliano è semmai l’immagine del demonio, il dio o principe di questo mondo, bugiardo e assassino, ossia negatore dell’essere e della verità.

Il male di pena può essere un bene quando è giusto castigo. È un bene per il castigato perché, seppur coercitivamente e controvoglia, lo reinserisce nell’ordine morale e sociale che egli ha violato. La pena è correttiva o purgativa quando ha per scopo la espiazione del delitto e la correzione del delinquente, col suo reinserimento nell’ordine sociale violato. È meramente afflittiva quando sancisce una decisione irrevocabile contro la legge divina. E questa è la pena dell’inferno.

Nella mozione divina che ci spinge al bene e alla salvezza occorre distinguere, quella mozione divina che Maritain chiama mozione frangibile (motion brisable)[4] da una mozione infrangibile. La mozione da noi frangibile è il comando divino fatto alla nostra volontà, è la volontà divina di salvare tutti, è quella che il Bañez chiama «grazia sufficiente» e San Tommaso «volontà antecedente»[5]; e quella che si può chiamare mozione infrangibile, che infallibilmente esercita sul nostro libero arbitrio l’effetto di fargli accogliere la grazia, di fargli scegliere Dio e quindi di salvarsi, questa mozione corrisponde alla «grazia efficace» del Bañez e alla «volontà conseguente» di Tommaso.

Dio è la causa della sofferenza dei dannati. Egli predestina la loro pena[6] perché è giusto, ma non predestina né vuole la colpa di nessuno, perché è buono. Predestina invece alcuni alla salvezza perché è misericordioso. Dio non pecca e non vuol il peccato, ma, pur potendo impedirlo, vuole non impedirlo per un motivo nascosto nella sua bontà che a noi non è dato conoscere.

Il Concilio di Quierzy dell’853[7] insegna che Dio misericordioso, impietositosi della miserabile condizione dell’umanità conseguente al peccato, volle a tutti proporre una via di salvezza in Gesù Cristo, scegliendo fra di loro coloro che lo avrebbero scelto. Questi scelti, che Cristo chiama «eletti» (Mt 24,22), sono coloro che per San Paolo sono i «predestinati» (Rm 8,29), ossia prescelti da Dio dall’eternità per conseguire la salvezza.

Di questi predestinati parla poi anche il Concilio di Trento usando l’espressione «arcanum divinae praedestinationis mysterium» (Denz.1540). Dio sceglie coloro che lo scelgono e muove le loro volontà a sceglierlo. Chi non si salva sono coloro che rifiutano la proposta divina. Quindi non è vero che tutti si salvano, come credono i buonisti. Al contrario il Concilio dice chiaro e tondo: «non tutti vengono salvati»[8].

Che non a tutti interessi la prospettiva cristiana della salvezza appare evidente se consideriamo quali sono i contenuti di questa salvezza: la remissione dei peccati, la visione beatifica, la vita eterna dopo la morte, la Gerusalemme celeste, la resurrezione gloriosa del corpo maschile e femminile alla fine del mondo, la compagnia degli angeli e dei santi, nuovi cieli e nuova terra nei quali abita la giustizia.

Chiediamoci sinceramente: a chi oggi interessano sul serio tutte queste cose? Chi ci crede veramente, anche tra molti sedicenti cattolici? Quanti desiderano approfondire e chiarire queste cose? Diciamocelo schiettamente: moltissimi concepiscono la salvezza come godere di buona salute e star bene qui su questa terra. 

Che cosa ci sia poi dopo la morte, quei pochissimi che credono nell’immortalità dell’anima o s’immaginano una risurrezione immediata, che non corrisponde affatto al dato rivelato o s’immaginano vagamente e confusamente, al di fuori di ogni contenuto concettuale, un «mistero assoluto» alla maniera di Rahner o una vaga felicità assolutamente indeterminata, considerando miti e fantasie tutto quello che la dogmatica cattolica insegna su questo argomento.

E allora sembra così poco credibile che molti si rifiutino di entrare in un «regno di Dio» così concepito o in un paradiso che assomiglia a quello di Alice nel paese delle meraviglie o al paese dei bengodi di Pinocchio oppure ad un’arida astrazione e noiosa metafisica dell’Essere perfettissimo?

Altra cosa da dire riguardo al rapporto di Dio col male è che la causa del peccato non è Dio, ma la creatura spirituale, angelo e uomo perché il loro libero arbitrio, essendo la potenza di un ente che confina col non-essere, ed essendo il male privazione di essere, ha la possibilità di scegliere un atto privato di essere, cioè cattivo.

Dio è il creatore del libero arbitrio, il quale, come tale, è un bene preziosissimo, che consente all’uomo e all’angelo in grazia di ottenere l’eterna beatitudine nella visione immediata dell’essenza divina. Senonchè però Dio non poteva creare una creatura che non fosse finita, da Lui distinta, Egli che è infinito. Ora, la finitezza della creatura non è ancora un male, come credeva Leibniz[9], ma è la condizione della possibilità di fare il male, cioè di peccare. 

L’uomo è peccabile in forza dell’unione della volontà con la passione; l’angelo è peccabile in forza della pura volontà. L’uomo col peccato ha avuto la possibilità di tornare in grazia perchè il suo libero arbitrio è reversibile; l’angelo, peccando ha perso la grazia per sempre perché il suo libero arbitrio è irreversibile[10].

Una sofferenza speciale che Dio riserva ai santi sono le sofferenze carismatiche, che conducono il soggetto a partecipare in modo particolarmente doloroso, ma nel contempo beatificante, alle angosce e sofferenze della passione di Cristo eventualmente nei loro dettagli, così come sono descritti nei Vangeli, come per esempio le ferite dei chiodi o la coronazione di spine.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 aprile 2023

Il male non esiste senza il bene, perché il bene, che può essere sostanza o accidente, è il soggetto del male. Il male, infatti, non può essere soggetto, perchè appartiene al non-essere.

Il male non è un accidente della sostanza, perché è privazione di essere, ma è un qualcosa di accidentale; il male esiste accidentalmente, non di per sé.   

Il male è certamente connesso con la corruzione dell’ente, nella sua sostanza e nei suoi accidenti. Tuttavia questo fenomeno non è ancora formalmente il male. Si tratta di un processo fisico del tutto normale, che esprime l’ordine e la bellezza dell’universo. Perché ci sia il male in quanto percepito non basta la corruzione, ma occorre che l’agente e il paziente siano soggetti animati almeno da anima sensitiva. 

Se poi per male intendiamo il male di colpa, non basta neppure il semplice animale, ma occorre l’agente spirituale, angelo o uomo, la cui azione è consapevole e responsabile. Per questo, non diciamo che il leone fa male ad uccidere la gazzella. Invece diciamo che fa male il marito ad uccidere la moglie, perchè va contro alla legge morale naturale.

La distruzione nell’ambito della natura e dell’universo fisico è un semplice fenomeno di trasformazione e di evoluzione della materia cosmica. Solo per metafora possiamo parlare della «morte» di una stella. La morte vera e propria è la perdita dell’anima e la stella non ha nessun’anima, a meno che non vogliamo tornare all’astronomia aristotelica o babilonese, che credeva che gli astri fossero degli dèi.

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[1] Cf San Tommaso, Questioni disputate. Il male, vol.VI, Edizioni ESD, Bologna 2002; J. Maritain, Saint Thomas d’Aquin et le problème du Mal, in De Bergson à Thomas d’Aquin, Paul Hartmann Editeur, Paris 1947, pp.267-301.

[2] Cf. Da Faggin, op. cit., p.196.

[3] Luigi Pareyson ne riprende il pensiero nel suo libro Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Einaudi, Torino 1995, pp.266-272.

[4] Dieu et la permission du mal, Desclée de Brouwer, Bruges 1963, p.42; Court traité de l’existence et de l’existant, Paul Hartmann Editeur, Paris 1947, pp.151-167.

[5] Sum. Theol., I, q.22, a.6, ad 1m.

[6] Concilio di Valenza dell’855 (Denz.629).

[7] Denz.621-624.

[8] Questa dottrina è stata ripresa dal documento della Commissione Teologica Internazionale La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza Battesimo del 2007.

[9] Cf Charles Journet, Il male, op.cit., pp.136-139.

[10] Cf  Charles Journet-Jacques Maritain-Philippe de la Trinité, Le péché de l’ange. Peccabilité, nature et surnature, Beauchesne&Fils, Paris 1961.

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