Il cattolicesimo corrotto di Gianni Vattimo

 

Il cattolicesimo corrotto di Gianni Vattimo

Sul sito La settimana news del 24 novembre scorso è apparso un articolo di Flavio Lazzarin dal titolo Vattimo, il cristianesimo, la verità[1]. Mi rifaccio a questo articolo per quanto dirò, prendendo alcuni pensieri o tesi di Vattimo riportati dall’Autore.

Desidero tuttavia introdurre quanto dirò su Vattimo con un preambolo al fine di inserire il mio discorso nel giusto contesto, perché Lazzarin comincia col dire che oggi la Chiesa è divisa fra tradizionalisti e conciliaristi. Ora, il quadro completo della situazione della Chiesa oggi non è la semplice opposizione fra tradizionalisti e seguaci del Concilio Vaticano II, ma a questo conflitto bisogna aggiungere una distinzione, che è quella tra veri e falsi interpreti del Concilio, ossia tra i veri cattolici fedeli all’interpretazione che del Concilio danno i Papi del postconcilio, i veri progressisti, e gli pseudocattolici modernisti, sedicenti «progressisti», che interpretano per loro comodo il Concilio in senso modernista. 

Ed anche fra i tradizionalisti, volendo fare un quadro completo, dovremmo fare una distinzione fra tradizionalisti lefevriani e tradizionalisti postconciliari.  I primi si oppongono al Concilio credendolo infetto di modernismo e infedele alla sacra Tradizione; i secondi sono coloro che nel rispetto delle dottrine del Concilio si sentono inclini a sottolineare l’importanza della Tradizione, vedono nel Concilio un testimone della Tradizione, recuperano valori tradizionali oggi dimenticati.

I primi sono quelli che il Papa chiama «indietristi» e che in realtà non sono fedeli alla Tradizione ma la falsificano e pertanto sono degli scismatici. I sanamente tradizionalisti sono cattolici a pieno diritto e si accompagnano con i progressisti nella comune accettazione della dottrina cattolica e della comunione col Sommo Pontefice, in una fraterna collaborazione per il bene della Chiesa e in una reciproca complementarità che unisce il valore della conservazione con quello del progresso, l’unione di ciò che nella Chiesa muta con ciò che non muta, il dovere dello svecchiamento con quello del rinnovamento e della riforma secondo il programma del Concilio.

Vattimo rientra nella categoria dei modernisti. Egli con la sua ben nota teoria del «pensiero debole» concepisce il pensare sul modello di un’energia psichica soggetta a un più e un meno, così da poter essere forte o debole nell’affermare o nel tenere qualcosa o nell’aderire a qualcosa.

Egli concepisce l’adesione all’oggetto come qualificata da diversi gradi di forza, risolutezza, fermezza o decisione. L’esigenza della verità della conoscenza e della modestia in questo aderire e del rispetto dell’altro richiede che l’adesione all’oggetto sia debole e distaccata e non forte, assoluta e intransigente, perché secondo Vattimo l’aderire con forza, convinzione, decisione e risolutezza porterebbe con sé  una volontà di dominio sull’altro, nei confronti del quale si afferma la propria posizione, comporterebbe una forma di violenza che impone all’altro la propria posizione e il proprio giudizio come vero dichiarando falso l’eventuale giudizio contrario dell’altro.  Non si dà per Vattimo una verità assoluta del giudizio ma la verità è relativa al soggetto che l’afferma. Per questo non è lecito fare affermazioni assolute, lasciando come verità anche la tesi opposta dell’interlocutore.

Vattimo  in qualche modo si riallaccia con l’antica sofistica greca di Protagora e lo scetticismo di Pirrone, con la differenza che Vattimo non si fonda sul principio del dubbio né intende abbracciare il relativismo soggettivistico protagoreo, bensì propone un originale teoria dell’adesione del pensiero al reale, basata sul timore che l’assenso netto ed incondizionato all’oggetto, basato su di una certezza assoluta sia una forma di presunzione e di mancanza di rispetto per l’idea diversa dell’altro.

Egli si dichiara cristiano. Eppure se considerasse l’esempio di Cristo, si dovrebbe arrivare a dire in base alla sua teoria che Cristo è stato un violento perchè si dichiarava certo della verità che sosteneva. Sembra non accorgersi che, mentre Cristo propugna la forza e saldezza del pensiero nell’aderire alla verità divina e testimoniarla con una condotta fatta di mitezza e fortezza, i suoi nemici al fine di sottrarsi agli obblighi assoluti derivanti dalla volontà divina, navigavano nella doppiezza, professando un pensiero ambiguo, fluido e gelatinoso, che li portava ad essere sepolcri imbiancati, a costruire la loro casa sulla sabbia e ad essere canne sbattute dal vento.

Vattimo è vittima di un vizio oggi diffuso: quello di definire l’essere cattolico non in base a ciò che insegna la Chiesa cattolica o il Catechismo della Chiesa cattolica, ma in base a un criterio soggettivo legato a scelte arbitrarie personali o individualistiche, a seconda di ciò che nella vita si preferisce non perché è più importante, sacro o vantaggioso all’anima, ma perché meglio accontenta le proprie voglie o cattive inclinazioni, si tratti della tendenza alla superbia, o all’egocentrismo o all’autoreferenzialità o all’esibizionismo o all’aggressività o all’anarchia o al narcisismo o alla lussuria o all’avarizia o all’infingardaggine o all’opportunismo o alla mondanità o al materialismo e via discorrendo.

In Vattimo il desiderio di definirsi cattolico non è quindi motivato dall’attenzione a cosa insegna la Chiesa sull’essere cattolico, ma fa riferimento a un concetto che è espresso da tendenze settarie interne alla Chiesa cattolica, le quali però abusando della qualifica di cattolico, abuso spesso purtroppo tollerato dai Vescovi, avocando fraudolentemente a loro ciò che spetta solo alla Chiesa cattolica, fanno passare per cattolico ciò che non lo è e con la loro azione settaria e disgregatrice all’interno della Chiesa, anche se parlano di dialogo, fraternità, inclusività, accoglienza e ascolto, in realtà dividono gli animi, creano equivoci e confusione su cosa significa «cattolico», sicchè oggi è in atto da 60 anni una competizione cocciuta e spietata nella Chiesa fra partiti avversi, tutti con la pretesa di essere loro i veri cattolici, contro quanto la Chiesa stessa insegna sull’essere cattolico.

Nessun privato, nessun teologo, nessun Vescovo, nessun gruppo nella Chiesa hanno il diritto e l’autorità di attribuire alle proprie idee la qualifica di cattoliche se non sono approvate dalla Chiesa o indipendentemente da quanto la Chiesa definisce come essere cattolico.

In questo caos dove non si capisce più cos’è cattolico, in un coro di voci stonate e discordi dove regna la cacofonìa, un caos dove appare di tutto e il contrario di tutto, urge un intervento deciso collettivo dell’autorità ecclesiale, incaricata da Cristo di custodire la definizione dell’essere cattolico, intervento teso a proibire l’uso della qualifica di cattolico da parte di chi ne abusa[2] ribadendo instancabilmente i veri caratteri dell’essere cattolico. Questo sarebbe un tema di elezione da trattare in un prossimo Sinodo dei Vescovi. Se no, il parlare di Chiesa «collegiale» sono solo chiacchiere.

L’esser cattolico ha una sua precisa, definita, chiara, immutabile ed irrevocabile identità. Non c’è modo di sgusciare o sgattaiolare. L’esser cattolico non è un sì-no o un sì-ma, ma solo un sì a Dio e un no al peccato. La molteplicità e diversità delle scelte è legittima solo in questo quadro di limpidezza, lealtà ed onestà. Il cattolico è la sposa di unico Sposo, non è la puttana che si offre al miglior offerente.

Non è più tollerabile che si qualifichi cattolico chi mescola la propria fede con gli errori di Parmenide, Eraclito, Protagora, Pirrone, Sesto Empirico, Ockham, Lutero, Cartesio, Kant, Hume, Rousseau, Hegel, Marx, Darwin, Freud, Husserl, Heidegger, Severino e simili, quando non si vorrebbe sposare il cattolicesimo con il kabbalismo, la teosofia, l’antroposofia di Steiner, l’ufologia, lo gnosticismo, il buddismo o l’induismo.

La vera violenza al prossimo è lo scetticismo e il relativismo

Vattimo fa bene a respingere la violenza e a professarsi rispettoso delle opinioni altrui; ma scambia per violento che nella coscienza della fondatezza delle sue idee, nella certezza di aver ragione e di conoscere il vero, soprattutto se coinvolgente i supremi valori, lo afferma con risolutezza, decisione, coraggio, linearità, chiarezza e confuta l’errore contrario.

Nessuno, nel momento un cui pensa e giudica può impedirsi di assumere posizioni assolute affermando ciò che egli ritiene essere vero e opponendosi a ciò che ritiene falso. Anche Vattimo, nel momento in cui sostiene il suo opportunismo relativista, è costretto ad assumere questo atteggiamento, per cui è chiaro che si confuta da solo.

«In nome della verità – dice Vattimo -, abbiamo seminato vittime umane nel corso della storia». Qui c’è un patente sofisma. Cosa fare, allora? Rinunciare all’affermazione della verità per praticare la mitezza e la misericordia? Vattimo però non rinuncia alla convinzione di dire il vero mentre pronuncia simili corbellerie. Da dove viene la saggezza di non fare vittime innocenti, se non dalla possibilità di conoscere e far conoscere la verità sul nostro dovere?

Leggiamo questo gioiello di saggezza che ci offre il pensiero debole di Vattimo:

«Litigare con la filosofia neotomista e neoscolastica, criticare radicalmente la teologia e i teologi magisteriali o quelli allineati allo status quo, significa confrontarsi esplicitamente con coloro che non possono rinunciare, nell’esteriorizzazione della loro fede, all’«essere» greco, di matrice parmenidea.

Troviamo questa posizione nei frequenti discorsi di Papa Benedetto XVI, che ha difeso come tradizione cattolica costitutiva e indispensabile la presenza dell’«essere» nella riflessione teologica. Una presa di posizione così radicale che il teologo-papa arriva ad affermare che non ci può essere teologia senza metafisica. Fu anche – e forse soprattutto – sulla base di questo criterio che durante i trent’anni dei pontificati di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, molti teologi, circa duecento, furono condannati o indagati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede».

Notate l’insinuazione dei “circa duecento teologi” – se poi è vero, ma non ci credo, perché sennò la stampa modernista chissà quanto avrebbe strombazzato – che sarebbero stati condannati negli anni di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e che sarebbero le vittime innocenti della persecuzione papale in nome della metafisica parmenidea dell’essere, calunnia che omologa la sapienza dottrinale della Chiesa alla filosofia eternalista-panteista di Severino.

Altra affermazione falsa, che testimonia del disprezzo vattimiano della metafisica:

«I biblisti semplicemente ignorano, nel loro approccio ermeneutico, qualsiasi riferimento critico esplicito alla metafisica o a qualsiasi altro sistema filosofico».

Si nota qui il grossolano errore di Lutero, principio di tutte le sue eresie, l’aver preteso di comprendere direttamente il senso della Parola di  Dio col pretesto della sua trascendenza rispetto al pensiero umano, senza valersi degli strumenti noetici ed ermeneutici offerti dalla metafisica, quando tutta la sostanza della sapienza biblica dal Genesi all’Apocalisse, è innervata sulle nozioni metafisiche spontanee della mente umana, certo non elaborate scientificamente, e tuttavia come anima del testo letterale, del tutto incomprensibile ed equivocabile nel suo senso divino, se non è accostato alla luce della sapienza biblica. Io stesso ho esposto in un intero libro le nozioni metafisiche sottese all’insegnamento di Cristo[3].  

È un sofisma pertanto anche ciò che dice Vattimo per escludere l’uso della metafisica: «alla scuola di Francesco e Chiara, la Parola di Dio è sufficiente ad alimentare e sostenere la fede dei discepoli». È vero che non risulta che San Francesco a Santa Chiara abbiano studiato Aristotele: ma ciò non toglie valore a quanto ho detto, perché certamente i due grandi Santi sapevano che Dio è Colui Che È e che ha creato il mondo dal nulla. E senza l’intelligenza metafisica queste cose non si capiscono, senza che sia necessario studiare Aristotele.

È vero dunque l’opposto di quanto sostiene Vattimo: la metafisica è indispensabile per comprendere il messaggio divino della Scrittura, che ci presenta la nozione di Dio inteso come lo stesso Essere sussistente (Es 3.14). La metafisica educa e potenzia la ragione al di là della sua debolezza a causa del peccato originale e le dona la forza di rendersi aperta alla divina Rivelazione da accogliere nella fede.

Violento dunque non è chi conosce la verità su Dio o sulla morale o sull’uomo e la professa e la difende, confutando gli avversari, soprattutto se si tratta di verità dogmatica definita dalla Chiesa per il bene dei fratelli e obbedisce al mandato di Cristo a costo di sacrifici e della vita.

Parlare, come fa Vattimo, di violenza della metafisica è una grossa sciocchezza. Se esiste un sapere libero e liberante, promotore di libertà, questo è proprio la metafisica, con la sua intransigenza, la sua perentorietà, la sua robustezza, solidità e stabilità, la sua sicurezza, le sue affermazioni assolute e incondizionate, senza riguardi per nessuno.

Che cosa infatti è la libertà se non il per poter scegliere sulla base e nell’orizzonte della verità assodata? Con quale giudizio decido del mio destino eterno sulla base di un pensiero così debole che oggi c’è e domani sparisce? Forse che io sono una foglia al vento o una persona dotata di un’anima immortale? Quindi è proprio la certezza della verità assoluta quello stato psicologico che consente al soggetto di esercitare il volere verso l’altro così da favorire in lui la libertà con l’offrirgli il dono della verità.

Violento viceversa è Vattimo, il cui spirito è chiaramente soggetto al fluttuare dell’immaginazione e non è saldo nel pensiero, il quale proprio perché privo di tale saldezza, non bonifica la volontà e fa violenza alle coscienze con l’inganno e la menzogna dando ad esse ad intendere che la certezza di essere nel vero è violenza nei confronti del prossimo, mentre al contrario è la condizione necessaria per rendergli un autentico servizio di carità e di misericordia.

La più grave violenza non è quella del padrone che sbraita contro l’operaio o quella dello stupratore che aggredisce una donna o di chi insulta il vicino di casa, ma è quella che l’astuto spirito della menzogna esercita sulle coscienze infirmando le loro certezze, mettendo in dubbio ciò che è evidente, rimettendo in discussione ciò che è stato definito o dimostrato, facendo loro credere che ciò che era vero ieri non è più vero oggi o che ciò che è vero per me non è vero per te o che i dogmi della Chiesa hanno mutato di significato.

La Bibbia chiede un pensiero forte e non un pensiero debole, che si arresta alle parvenze di essere e non sa andare oltre, si ferma alle ombre e ai fantasmi e non sa elevarsi alle dimensioni ontologiche e spirituali delle persone in carne ed ossa.

Vattimo nel suo pensare si considera talmente forte da riuscire addirittura a «superare» (überwinden), come dice Heidegger, con la ragione la metafisica, per arrivare dove? Al sapere soprannaturale cristiano? Neanche per idea; ma per raggiungere il Dasein heideggeriano, che non è altro che l’essere temporale e locale dell’uomo come esser-qui dell’uomo che s’interroga sull’essere.

 Falsità di Vattimo sul cristianesimo

Riferisce Lazzarin:

Vattimo «radicalizza il tema della “morte di Dio” di Nietzsche e della “metafisica del superamento” di Heidegger. E incorpora nel suo pensiero l’unico aspetto per lui inalienabile del cristianesimo: la kenosis, il divino, estremo, svuotamento dell’umanità di Gesù, che ci presenta un Dio debole, impotente, inerme, senza onnipotenza e senza autorità.

Kenosis che si identifica con l’agape, caritas, rivelata in pienezza dalla crocifissione: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno»”(Lc 26,34). Agape, che sconfigge, definitivamente e senza violenza, la violenza insita nel “sacro naturale” (René Girard) delle religioni. Agape che, per lui, si caratterizza come dialogo con tutte le scelte ideologiche e morali, con l’esclusione categorica delle ideologie violente».

La kenosis della quale parla San Paolo non ha nulla a che vedere con un assurdo svuotamento della propria essenza da parte di Dio, ma significa semplicemente, come spiega San Tommaso[4], l’umiltà di Cristo nell’assumere la natura umana.

Certamente nella crocifissione, ossia nel dare la propria vita per la nostra salvezza, Cristo mostra il sommo del suo amore per noi. Ma Cristo con questo suo sacrificio non sconfigge nessun «sacro naturale», che non comporta nessuna violenza, ma omaggio a Dio, anzi compie un sacrum soprannaturale, che espia le nostre colpe e ci riconcilia col Padre. Certamente l’agàpe per Cristo «si caratterizza come dialogo con tutte le scelte ideologiche e morali, con l’esclusione categorica delle ideologie violente».

Il Dio impotente è una presa in giro. Attributo divino è l’onnipotenza, per la quale Dio può tutto ciò che è possibile, crea il mondo e compie i miracoli. Debole è stato Cristo come uomo per salvarci per mezzo della sua debolezza, sicchè con S.Paolo in Lui possiamo dire  «quando sono debole, è allora che sono forte» (II Cor, 12,10). «Cristo fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio» (II Cor 13,4).

Non inventiamoci un Dio debole per legittimare le nostre debolezze. Siamo chiamati a vincere le nostre debolezze con la forza di Dio. Non prendiamo a pretesto la debolezza della carne per giustificare la debolezza dello spirito. Vattimo non ha conosciuto lo Spirito di fortezza e la forza del pensiero per una forma di atteggiamento rinunciatario, una falsa umiltà davanti a Dio e una biasimevole accondiscendenza alle sue debolezze. Nella vita non bisogna mai darsi per vinti e l’adagiarci nelle nostre debolezze non è segno di animo nobile ma meschino, per quanto lo vogliamo coprire con sottili giustificazioni prese dalla filosofia.

Così inoltre Lazzarin riferisce il pensiero di Vattimo:

«Gesù Cristo è venuto nel mondo per rivelare che la religiosità non consiste nei sacrifici, ma nell’amare Dio e il prossimo. Ogni aspetto che nella Chiesa non si riduce a quest’unica verità non sarà forse ancora una volta religione naturale e vittimaria?».

Osservo che l’offerta della vittima del sacrificio è atto essenziale della virtù di religione e tale atto è a fondamento della religione cristiana: l’offerta sacerdotale che Cristo fa di se stesso al Padre in soddisfazione a Lui per i nostri peccati fatta in modo cruento sulla croce e ripresentata incruentemente nel sacrificio della Messa.  Ancora riferisce Lazzarin:

«come rivelatore degli aspetti costitutivi vittimizzanti e sacrificali delle religioni arcaiche, il cristianesimo non è una religione, ma è intimamente il de-costruttore della religione. Per Vattimo, Gesù è la Verità come persona, evento e Vangelo, ma non si identifica con la verità che abbiamo ereditato dalla tradizione filosofica. Gesù ci ha liberati da questa verità».

Ripeto che l’offerta del sacrificio è l’atto proprio della virtù di religione, arcaica o moderna che sia. Dire dunque che il cristianesimo non è una religione è negare il sacrificio di Cristo, il che è distruggere il cristianesimo dalle fondamenta. Che cosa è infatti il cristianesimo senza la croce?

Gesù è certamente la Verità come persona, evento e Vangelo. Ma non possiamo cogliere la verità divina senza passare e partire dalla verità razionale o filosofica. Solo Dio conosce direttamente Dio. Noi lo conosciamo partendo dalle creature. Dove sta dunque il cattolicesimo di Vattimo?

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 novembre 2023


Nessun privato, nessun teologo, nessun Vescovo, nessun gruppo nella Chiesa hanno il diritto e l’autorità di attribuire alle proprie idee la qualifica di cattoliche se non sono approvate dalla Chiesa o indipendentemente da quanto la Chiesa definisce come essere cattolico.

È un sofisma anche ciò che dice Vattimo per escludere l’uso della metafisica: «alla scuola di Francesco e Chiara, la Parola di Dio è sufficiente ad alimentare e sostenere la fede dei discepoli». È vero che non risulta che San Francesco a Santa Chiara abbiano studiato Aristotele: ma ciò non toglie valore a quanto ho detto, perché certamente i due grandi Santi sapevano che Dio è Colui Che È e che ha creato il mondo dal nulla. E senza l’intelligenza metafisica queste cose non si capiscono, senza che sia necessario studiare Aristotele.

Immagine da Internet: Gianni Vattimo


[2] Questo tipo di abuso è ancora peggiore della pedoflia, perché questa è l’effetto del primo abuso.

[3] Gesù Cristo fondamento del mondo. Inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019.

[4] Super Epistulas Sancti Pauli Lectura, in Fil 2, 7, lect.II, n.56, Edizioni Marietti, Torino-Roma 1953, p.101.

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