Il governo dell’universo
Conferenza di
P. Tomas Tyn, OP
Prima Parte (1/2)
Bologna, 15 dicembre 1988 (data incerta) - Presso Istituto Tincani o altrove
Audio: http://youtu.be/VOSQl9QRUnI
Cf. n. 15: http://www.arpato.org/testi/lezioni_tincani/15_Il_governo_dell%27universo_15_dic_1988.pdf
Adesso parlerò della concezione tomista del governo degli enti. San Tommaso, dice che la creazione consiste essenzialmente nella donazione di tutto l’essere, così che essa si distingue da ogni altra azione essendo ben più profonda, in quanto le altre azioni sono o modifiche di tipo accidentale o modifiche sostanziali, però sempre tali da presupporre una qualche materia.
Pensate all’opera di un artefice, un falegname, per esempio, che deve fare qualche oggetto di legno. Presuppone la materia, cioè che ci sia il pezzo di legno, l’albero o qualche cosa per poter farne un’opera d’arte. Infatti una statua di legno, per quanto concerne la sua struttura essenziale, è sempre legno, non ha cambiato per nulla l’essenza, ha cambiato le sembianze esterne, che è qualche cosa di accidentale, ma di per sé, sostanzialmente rimane legno.
Se invece avviene una generazione o corruzione, per esempio abbiamo il legno già bruciato, ossia la cenere di legno, questa non è più legno, ma è un’altra cosa, quindi in questo campo si verifica la cosiddetta mutazione sostanziale. Però in ogni caso, sia che si tratti della mutazione accidentale o di quella sostanziale, sempre si suppone una materia previa.
Poi bisogna fare delle distinzioni, dicendo che la materia presupposta all’opera dell’artefice, quindi al mutamento accidentale, si chiama materia seconda, perchè è già formata da qualche struttura: il legno ha già una sua struttura propria, e poi una materia più profonda, che non è afferrabile sperimentalmente, nessuno l’ha mai vista, però deve pur esserci[1].
È la cosiddetta materia prima, quella che soggiace al mutamento di tipo sostanziale. Infatti, affinché il legno passi in cenere, è necessario che quel mutamento avvenga in un substrato. Ma che cos’è questo substrato? Non lo sappiamo. Prima vediamo del legno, dopo vediamo un mucchietto di cenere. Però che cosa c’è come substrato di quel mutamento, non lo sappiamo. Sappiamo però che ci deve essere. Perché se non c’è un qualcosa che muta, anche il mutamento non può aver luogo. Invece che cosa avviene nella creazione? Non si tratta nemmeno di una mutazione vera e propria, perché proprio nella creazione si tratta di porre in atto di esistere ogni possibile soggetto di ogni possibile futura mutazione.
Però prima bisogna che le cose ci siano. E quel dare alle cose il loro semplice esserci avviene nella creazione. Ora, quando Dio crea, cioè elargisce l’essere alle cose, non presuppone nulla, perché tutto ciò che è, appartiene all’essere; quindi, se Dio dà l’essere, con l’essere dà tutto ciò che è racchiuso nell’essere, ovvero tutta la cosa, perché non c’è nulla della cosa essente che non abbia l’essere.
Tutto ciò che la cosa possiede, di essenza, di accidenti, di proprietà e di perfezioni, tutto questo ha l’essere. Se non c’è, è un nulla. Ora, tutto ciò che è, facente parte della cosa esistente, è per così dire sussunto nell’essere. Quindi Dio, dando l’essere, dà alla cosa tutta se stessa, tutta la realtà. Perciò la creazione non avviene partendo da un presupposto già esistente, ma avviene, come abbiamo detto, ex nihilo, cioè avviene dal nulla, non c’è nulla prima, per così dire, della creazione.
Anzi è già abusivo parlare di un prima, perché nella creazione nemmeno quel prima esiste, in quanto prima della esistenza delle cose non c’è nemmeno il tempo. Ecco, noi possiamo solo con la mente immaginare che il tempo si prolunghi prima dell’esistenza delle cose, ma è un nostro artificio mentale, non è un qualche cosa di reale.
Intervento: Possiamo dire allora che la materia è eterna, se ha tutte queste mutazioni, se no Dio perchè avrebbe creato delle cose imperfette, cioè l’uomo che si corrompe? Non sarà che dalla corruzione dell’uomo nasca altra materia che servirà per altri scopi?
A proposito di eternità in questo caso sarebbe meglio dire sempiternità, e comunque perennità della materia; questo problema è stato molto discusso, proprio anche nell’ambito del pensiero scolastico, quindi cristiano, biblico potremo dire, un tema che si chiariva grazie alla rivelazione divina.
E le scuole si sono divise. La questione è la seguente: secondo la scuola francescana, capeggiata da San Bonaventura, la creazione necessariamente avviene con un inizio del tempo, quindi prima non c’era il tempo, poi quando Dio crea le cose materiali, assieme ad esse crea anche il tempo, ma le cose materiali sono sottoposte a un tempo per forza finito, quindi in qualche modo il mondo materiale è un mondo episodico.
Il mondo materiale ha il suo significato, ma nella scala degli enti, è l’infimo. Infatti i medievali avevano una visione del mondo come gerarchicamente strutturato. C’è Dio che è eterno, poi ci sono gli angeli sempiterni, le anime umane pure sempiterne, anche se di un grado inferiore perché legate ai corpi; poi ci sono i corpi mutevoli, temporali e mortali.
Non è che Dio ha sbagliato il calcolo quando ha creato la materia, la temporalità. Ma si addice, per così dire, alla temporalità essere temporale, si addice a ciò che passa il fatto di passare, si addice a ciò che è mortale il fatto di morire. Quindi, in questa gerarchia degli enti, per quanto il mondo presente fosse visto dalla scuola bonaventuriana come un qualcosa di limitato nel tempo, tuttavia manteneva il suo significato nel progetto globale della creazione.
Poi, alla fine che cosa c’è? C’è Dio, ci sono gli angeli, ci sono le anime e i corpi dei risorti. Ma è tutto lì, il resto passa, ovviamente. Quanto ai corpi dei risorti, sappiamo che rimangono solo dalla rivelazione biblica. Invece sappiamo per pura filosofia che Dio, angeli e le anime rimangono. Tutto il resto scompare[2].
Per rivelazione, ripeto, sappiamo che anche i corpi dei risorti sono chiamati a partecipare a questa esistenza perenne. San Tommaso invece, che è rimasto aristotelico e che ha dato l’impronta a tutta la scuola teologica domenicana, che discuteva con i frati francescani, come spesso accadeva allora, ebbene San Tommaso invece si è mantenuto fedele ad Aristotile.
In che senso? Perché Aristotele, insieme con gli antichi non conosceva la creazione, e tantomeno la temporalità delle cose. Per gli antichi le cose ci sono da sempre e per sempre, l’unico problema è quello di vedere come si strutturano, se c’è un primo motore o qualcosa del genere, ma quel primo motore di Aristotele è da sempre, muove i cieli che sono eterni come è eterno il primo motore.
Quindi non c’è differenza, secondo Aristotile, tra Dio e il mondo quanto alla perennità. Mondo eterno, Dio eterno. L’unica differenza è che il mondo da tutta l’eternità sottostà all’azione di un Dio che invece non subisce azione ma agisce attivamente. Vedete, quindi che c’è una differenza strutturale, ma non temporale[3]. Allora San Tommaso dice che non è possibile dimostrare con mezzi puramente razionali, cioè con mezzi di pura filosofia, la sempiternità o la temporalità del mondo, cioè filosoficamente la domanda non avrebbe risposta.
Filosoficamente. Teologicamente, quel Bereshit, all’inizio, in principio Dio creò cielo e terra, come dice San Tommaso, ci obbliga a credere che si tratti di un inizio temporale. Quindi, quanto alla sostanza[4], San Tommaso va d’accordo con il confratello San Bonaventura. Invece, quanto al modello teorico, esso in qualche modo regge alle due conclusioni[5], ovviamente i modelli sono diversi.
San Bonaventura dice che con la ragione umana si riesce ad intuire che tutto il creato materiale è segnato dalla temporalità, quindi è nato nel tempo, scomparirà nel tempo. San Tommaso dice invece che con la sola ragione riusciamo a sapere solo che la materia, come ogni ente finito, dipende da Dio, quindi anche se per ipotesi la materia fosse sempiterna, rimarrebbe sempre vero che da sempre la materia, secondo tutto il suo essere, dipende da Dio.
Vedete come la dottrina di San Tommaso è estremamente forte per ovviare a tutti i malintesi, anche moderni. Pensate per esempio all’obiezione dei marxisti: oggi naturalmente si sono ricreduti, ma un certo marxismo del secolo scorso poteva ancora affermare che la materia è eterna. Quindi, del buon Dio non ce n’è bisogno perché essendo la materia eterna, sempiterna, essendoci da sempre, l’unico principio che regge il mondo è appunto la legge dell’evoluzione, dell’autoevoluzione dialettica insita da sempre nella materia che a sua volta esiste da sempre. Quindi si eliminano tutti i quesiti metafisici.
Quello che ci chiediamo noi: perché c’è la materia? da quando c’è la materia? perchè c’è quella legge che regola il suo sviluppo? - come voi dite -. tutti quei perchè non hanno ragion ‘essere, secondo loro, perché la materia spiega se stessa, anche nelle sue forme più evolute.
Ora, invece San Tommaso dice che chi argomenta così, non ha capito con esattezza che cosa significa creazione, perché la creazione non significa che una cosa abbia avuto inizio nel tempo, questo è del tutto accidentale alla creazione, quindi anche se per ipotesi, come pensavano i marxisti ottocenteschi, la materia fosse da sempre, cosa che la fisica oggi smentisce nel modo più assoluto, sempre sarebbe creata.
San Tommaso lo spiega facendo l’esempio dell’impronta nella sabbia: se viene l’onda del mare quella impronta è cancellata subito; se invece un uomo mantiene il piede sopra l’impronta, essa rimane finché c’è il piede impresso nella sabbia. Così similmente, finché c’è la materia bisogna che ci sia Dio che influisce l’essere alla materia. Perciò anche se la materia non fosse nata nel tempo, ma fosse eterna o sempiterna, Dio da sempre l’avrebbe creata.
E’ possibile quindi una creazione da sempre, ma è sempre creazione, cioè sempre dipendenza strutturale, ontologica quanto all’essere. Questo è il punto. Ora, notate bene che, per quanto concerne il mondo materiale, il suo senso, bisogna realmente dire che questo va naturalmente visto in modo abbastanza attenuato, perché ogni creatura è anzitutto finalizzata a Dio. Ciò sia detto senza indulgere a eccessivo antropocentrismo, cioè senza dire che l’uomo è al centro di tutte le cose e tutto esiste solo perché esiste l’uomo, l’uomo padrone del creato come si suol dire,
Capite, quindi che non è possibile dire che l’erba, il prato, l’acqua, l’aria, tutto esiste per l’uomo. No. Tutto esiste anzitutto per Dio[6]. Cioè bisogna che siamo un pochino più modesti. Diciamo piuttosto che tutto esiste per Dio, poi il Signore si è compiaciuto, in un mondo che Egli ha creato per la sua gloria, di prenderci e di porci in mezzo a quel mondo, così che le creature possibilmente non ci facessero più male di quanto potessimo sopportare[7].
Quindi non dobbiamo avere una visione così banale e superficiale, da credere che il mondo sia posto sotto i piedi dell’uomo. Però non c’è dubbio che, in qualche modo, Dio crea tutto il mondo materiale ordinandolo, o meglio subordinandolo a quella creatura materiale suprema che è l’uomo. Per questo si dice che l’uomo è l’orizzonte del creato, in quanto possiede una dimensione spirituale e perciò immortale. Perciò nell’uomo si incontra la materialità, che è sempre temporale e corruttibile, e si incontra una dimensione che invece corruttibile non è.
...La nostra personalità umana che Dio ha fatto è magnifica....
Indubbiamente cara. Buone sono tutte le opere del Signore.
...mondo materiale, quindi più bello di così...
Proprio così. Vedete come il Signore ha creato tutte le cose secondo un perfetto e limpido ordine e in questo ordine, cioè nell’unità del molteplice, in questo perfetto ordine delle creature appare la bellezza del creato, la bellezza è proprio questo. Cioè in qualche modo dare una forma, tendente all’uno, dare una forma armoniosa tendente all’uno ed a elementi molteplici. E più molteplici sono gli elementi, più forte deve essere la forma per ricondurli all’unità. Il creato è splendido in questa sua bellezza proprio ontologica, metafisica.
Ed è proprio di questo che vogliamo parlare quest’oggi, e cioè dell’ordine e della distinzione del creato come causato da Dio. Egli non solo ha causato le cose facendole emergere dal nulla, dando l’essere alle cose, ma Dio ha creato e voluto le cose come distinte e quindi il Signore ha creato anche la distinzione, la diversità, la varietà, e persino la disuguaglianza delle cose.
Questo è un tema che la gnosi di tutti tempi, anche la gnosi moderna, non ammette volentieri. Il fatto che il Signore Dio abbia voluto delle creature diverse, sembra una discriminazione, è poco democratico. Perché, per esempio, il Signore ha creato, un albero come un albero e non come un uomo? Facciamo un bel referendum agli alberi, se vogliono essere creati come uomini o come alberi. Ahimè, in metafisica la democrazia proprio non vale per nulla.
Quindi la democrazia ha un suo limitato campo di applicazione nelle vicende umane, ma non si applica per nulla al rapporto tra Dio e il mondo. Quindi bisogna rinunciare in partenza a certe visioni antropomorfiche che sono un po’ ridicole, quando si compiono delle proiezioni della psicologia umana nell’ambito dell’essere.
In fondo questa varietà delle cose è stata vista come unl male dagli antichi gnostici. Secondo gli gnostici esseri diversi è un male. Essere molteplici è un male, viene dal demonio. Dio, di per sé, dovrebbe creare tutte le cose uguali e anzi, se il Signore fosse stato proprio buono, non avrebbe creato nulla, questa è la tesi degli gnostici.
Perchè, notate bene, anche le religioni orientali in parte conoscono questo pessimismo profondo, cioè il vero peccato è uno solo: l’essere delle cose finite, il fatto le cose siano distinte dal Brahman. Vedete, Brahman è Tutto, però il guaio è che c’è qualche cosa, la maya, l’apparenza, che in qualche modo vorrebbe apparire come distinta dal Tutto. Quindi la distinzione è il peccato. Notate che è una mentalità profondamente orientale. Gli orientali, ho in mente gli indiani, non possono sbarazzarsi di questo profondo condizionamento della loro mente, a livello culturale, che è appunto quello di considerare la distinzione degli enti, la peculiarità degli enti, come un male.
In Occidente invece la distinzione, la finitezza degli enti, si esprime in modo speciale nel patrimonio greco: la finitezza degli enti è un bene insigne. Gli unici che lo negavano erano appunto gli gnostici che non a caso subivano questi influssi orientali.
Quindi notate bene che la questione poi fu sollevata anche in tempi abbastanza recenti, pensate al famoso filosofo tedesco dell’epoca illuministica, siamo ai primi dei ‘700, Leibniz, il quale appunto parlava anche di un malum metaphysicum, cioè di un male metafisico. E in che cosa consiste questo male metafisico? Nella finitezza delle creature. Ora, quello che sorprende, non è tanto il fatto che dica che le creature, in quanto finite, sono giocoforza imperfette. Questo è chiaro, il finito è imperfetto come tale; però urta un pochino l’affermazione che la finitezza delle creature è un male. Invece San Tommaso si premura di definire il male, come già aveva fatto Sant’Agostino, in questo modo: malum est privatio boni debiti, ovvero, il male è sì la privazione del bene o la privazione dell’ente, dell’essere, però la privazione dell’essere dovuto.
Ora all’essere finito non è dovuto l’essere infinito. Quindi per una creatura il fatto di essere finita non è un male, anzi è un suo bene. Notate come San Tommaso è molto esplicito su questo suo chiamiamolo ottimismo creaturale, anche se le parole ottimismo e pessimismo sono un tantino superficiali per descrivere queste cose.
Comunque, San Tommaso è ottimista rispetto alla proprietà delle creature perché dice che ogni creatura desidera certamente Dio al disopra di tutto, ma con appetito, appetitus, cioè un desiderio naturale radicatissimo in ogni creatura, desidera anzitutto essere se stessa.
E con ciò stesso la creatura asseconda la volontà di Dio creatore, perchè Dio non vuole che l’uomo sia Dio, vuole che l’uomo sia uomo, e poi che adori e ami Dio certo, ma non che l’uomo, cosa d’altronde impossibile, sia Dio, o angelo o altro. Quindi in qualche modo Dio stesso vuole che ogni creatura ami il suo bene particolare, cioè ami di essere se stessa, in poche parole, che non subisca quello che io chiamo la nevrosi metafisica: la non accettazione di se stessi, della propria finitezza.
San Tommaso parlando del demonio, del peccato degli angeli, dice che in fondo il demonio non poteva desiderare di essere come Dio, nel senso di essere Dio, perché il demonio, per desiderare questo, dovrebbe proprio aver perso il bene dell’intelletto. Il demonio sapeva perfettamente e lucidamente con la sua intelligenza angelica che Dio è Dio e che lui è una creatura e che non solo è impossibile essere come Dio, ma che non sarebbe nemmeno desiderabile.
Quello che il demonio ha fatto è aver rifiutato la grazia di Dio come grazia. Capite che è un’altra cosa. Non è che il demonio abbia rifiutato la sua natura, egli ha rifiutato di ricevere la grazia di Dio, la beatitudine eterna che è al di là della sua natura, ed è un qualcosa di gratuito; ha rifiutato di ricevere quella grazia come un dono di Dio, voleva avere quel dono come un qualcosa di dovuto.
Questo è il punto. Ma il demonio stesso non poteva volere annientarsi ed essere Dio[8], perchè nessuna creatura vuole cambiare in qualche modo il suo status con un’altra cosa, anche infinitamente più perfetta. Questa è la mentalità occidentale che ama la particolarità delle cose, la concretezza, non nel senso del materialismo, ma la concretezza essenziale, il fatto che ogni cosa abbia il suo ordine, la sua struttura ben circoscritta, insomma la sua forma. Che cosa diceva Aristotele? Téleion de udén, cioè diceva appunto: nulla c’è di perfetto se non ha dei confini. É interessante: la parola greca telos significa nel contempo il confine limitante e nel contempo la perfezione. Quindi, una cosa è perfetta non quando è priva di confini, ma proprio quando giunge al suo limite che le è assegnato.
Fine Prima Parte (1/2)
P. Tomas Tyn, OP - a cura di P. Giovanni Cavalcoli, OP
Audio: http://youtu.be/VOSQl9QRUnI
Cf. n. 15: http://www.arpato.org/testi/lezioni_tincani/15_Il_governo_dell%27universo_15_dic_1988.pdf
Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna nel 2008 e Fontanellato nel 2023Poi bisogna fare delle distinzioni, dicendo che la materia presupposta all’opera dell’artefice, quindi al mutamento accidentale, si chiama materia seconda, perchè è già formata da qualche struttura: il legno ha già una sua struttura propria, e poi una materia più profonda, che non è afferrabile sperimentalmente, nessuno l’ha mai vista, però deve pur esserci.
È la cosiddetta materia prima, quella che soggiace al mutamento di tipo sostanziale. Infatti, affinché il legno passi in cenere, è necessario che quel mutamento avvenga in un substrato. Ma che cos’è questo substrato? Non lo sappiamo. Prima vediamo del legno, dopo vediamo un mucchietto di cenere. Però che cosa c’è come substrato di quel mutamento, non lo sappiamo. Sappiamo però che ci deve essere. Perché se non c’è un qualcosa che muta, anche il mutamento non può aver luogo.
Invece che cosa avviene nella creazione? Non si tratta nemmeno di una mutazione vera e propria, perché proprio nella creazione si tratta di porre in atto di esistere ogni possibile soggetto di ogni possibile futura mutazione.
Quindi la creazione è ciò che precede, è la condizione di ogni altro mutamento, di ogni altro cambiamento delle cose poste nell’esistenza. Prima le cose devono esistere, poi possono cambiare, possono evolversi, possono mutare, possono esser soggette ad azioni e passioni, cioè possono agire e patire.
Però prima bisogna che le cose ci siano. E quel dare alle cose il loro semplice esserci avviene nella creazione. Ora, quando Dio crea, cioè elargisce l’essere alle cose, non presuppone nulla, perché tutto ciò che è, appartiene all’essere; quindi, se Dio dà l’essere, con l’essere dà tutto ciò che è racchiuso nell’essere, ovvero tutta la cosa, perché non c’è nulla della cosa essente che non abbia l’essere.
Tutto ciò che la cosa possiede, di essenza, di accidenti, di proprietà e di perfezioni, tutto questo ha l’essere. Se non c’è, è un nulla.
Ora all’essere finito non è dovuto l’essere infinito.
Immagini da Internet:
- legno, fuoco, cenere
- Dio Creatore, Michelangelo
[1] La materia prima è il soggetto o sostrato o supporto primo ontologicamente ed ultimo analiticamente rispetto alla forma sostanziale della sostanza materiale: primo nel senso che è il grado più basso dell’essere, come poter essere qualcosa; ultimo nel senso che arriviamo a trovarla nella nostra analisi della sostanza che parte dalla percezione delle qualità sensibili. Dato che essa precede come fondamento tutte le determinazioni della sostanza, non ci è dato di vederla, ma sappiamo che esiste.
[2] Questa scomparsa però non è definitiva, come ci dice invece il Concilio Vaticano II: «tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto li ritroveremo poi di nuovo ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati» (Gaudium et spes 39).
[3] Ossia il mondo, per Aristotele, differisce da Dio in quanto, mentre il mondo è passivo Dio è attivo; ma in quanto a durata si equivalgono.
[4] S’intende sostanza di fede.
[5] Filosofiche, ossia la possibilità che il mondo esista o ab aeterno o da un tempo finito.
[6] Questo è il principio della vera ecologia, che spesso viene trascurato. E invece è molto importante, perché ricorda all’uomo che egli non è il padrone assoluto della natura, ma Dio l’ha affidata all’uomo per il suo benessere e perché, nel contempo, ne abbia rispetto come di un bene che innanzitutto è finalizzato a Dio.
[7] Il che vuol dire, probabilmente: in modo che non prevalessero su di noi, come a dire: che potessimo dominarle.
[8] Il desiderio di essere Dio può esprimersi anche con l’accrescimento o aumento del proprio io, quella che nell’idealismo è la cosiddetta autotrascendenza o autosuperamento. È il fatto, come dice Cristo, di autoesaltarsi.
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