Ancora sul sacrificio di Abramo

 Ancora sul sacrificio di Abramo

Caro Padre Giovanni, innanzitutto, desidero vivamente ringraziarla per l’attenzione e la considerazione che riserva ai miei commenti, come spunti per suoi ulteriori approfondimenti e delucidazioni.

Mi consenta però di continuare a rimanere perplesso dinanzi alla nuova esegesi del sacrificio abramitico, che lei intende propugnare.
Riconosco e faccio tesoro di taluni limiti e difetti che lei ha riscontrato nei testi de La Civiltà cattolica e del teologo (all’epoca presbitero) Gianfranco Ravasi.

E tuttavia, a mio modesto parere, continuano a sussistere almeno sei considerazioni che depongono a favore della tradizione interpretazione del sacrificio del figlio Isacco, come iniziativa di Dio per mettere alla prova la fede di suo padre Abramo:

1) In molteplici brani della Sacra Scrittura, determinati pensieri umani, vengono esplicitamente descritti, per l’appunto come pensieri generatisi nel soggetto umano, o come sogni, o come fantasie, o come deliri dovuti a disperazione o follia, o anche come inganni satanici. Insomma, mi sembra lecito dedurne che, in tali numerosi casi, ciò non sia dovuto solo alle peculiarità artistico-comunicative degli autori umani, ma si possa, anche in questo aspetto, leggervi un’ispirazione divina. Ebbene ciò non è avvenuto nel brano della Genesi in oggetto, ove non è scritto “Abramo pensò / sognò / immaginò / si era convinto che… Dio gli volesse metterlo alla prova chiedendogli il sacrificio di Isacco”, ma è scritto “Dio mise alla prova Abramo e gli disse […] "Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco […] e offrilo in olocausto”. La frase è lapidaria: il soggetto è inequivocabilmente Dio, non le supposizioni di Abramo.

Caro Bruno, come al solito, rispondo per punti.

Nell’Antico Testamento certi ordini o azioni attribuiti a Dio non possono essere presi alla lettera, perché ne uscirebbe un Dio crudele e fautore del peccato, come per esempio quando la Scrittura dice che Dio indurì il cuore del Faraone, oppure comanda di distruggere Gerico in tutte le forme della vita, dagli uomini fino agli animali, oppure quando comanda a Saul, per mezzo del profeta Samuele, di praticare il cosiddetto herem, che era appunto la distruzione totale di una città nemica, con tutti i suoi abitanti.

Ora, la Bibbia presenta queste azioni come volute da Dio. Ora, noi oggi possediamo un concetto di Dio più evoluto e perfezionato, che ci è insegnato da Cristo, concetto per il quale la bontà divina appare in tutto il suo splendore e scompare completamente il sospetto che Dio possa volere il peccato.

Egli vuole bensì la sofferenza, non perché è crudele, come credono i buonisti, ma perché è giusto, in quanto punisce il peccato ed è giusto punire il peccato. Ed inoltre Egli ci rende partecipi della sofferenza di Cristo, perché in tal modo ci liberiamo dal peccato qui in terra e dalla sofferenza in cielo, cominciando qui in terra. Dio di per sé non vuole la sofferenza. Se l’ha voluta è solo perché abbiamo peccato e perché Egli, essendo giusto, punisce il peccato.

Questo non toglie che Dio continui a castigare, a mandare delle prove purificatrici e delle sofferenze, che hanno uno scopo correttivo ed educativo. Ma la teologia oggi, al seguito del moderno magistero della Chiesa, rifugge completamente da quelle espressioni veterotestamentarie dove Dio sembra volere il peccato.

Ora, il sacrificio umano è un peccato già condannato nell’Antico Testamento, ma Abramo non lo sapeva questo? Forse, no. Anzi, Abramo aveva nelle orecchie l’esistenza di sacrifici umani e può essere che nella sua concezione primitiva di Dio, potesse immaginare una cosa del genere.

Inoltre ricordo il fatto che l’intervento dell’angelo di Dio è un intervento chiarificatore per Abramo, non è un intervento che mostri un mutamento nella volontà di Dio, perché Dio, nei suoi voleri è immutabile, sennò che Dio è?

Quindi, certamente Dio vuole che Abramo compia un sacrificio, ed Abramo è esemplare nell’obbedire, ma Dio non vuole assolutamente un sacrificio umano e questo appare evidente, perché quando Abramo capisce, si rende conto che in realtà Dio non aveva voluto il sacrificio di Isacco, ma il sacrificio dell’ariete.

Perché dunque lo Spirito Santo non avrebbe ispirato l’autore (o gli autori) umani della Genesi, affinché fosse chiaro che si trattava di un autoinganno di Abramo? E perché lo Spirito Santo avrebbe lasciato che, nel corso di tanti secoli, Padri della Chiesa, santi, dottori della Chiesa ed anche i pontefici, compresi gli ultimi, continuassero ad ingannarsi su un fatto di questa portata?

A questo riguardo osservo che la Sacra Scrittura si esprime in modo da impegnare le energie della nostra ragione e della nostra capacità interpretativa in modo tale che il risultato delle nostre indagini va anche a merito della nostra capacità critica e della nostra intelligenza spirituale.

Certo Dio, se avesse voluto, poteva offrirci una rivelazione che fosse immediatamente chiara per tutti, anche per gli indotti. Invece, siccome ci ha creati capaci di ragionare e di conquistare il sapere con le nostre forze, ha voluto che la conoscenza della sua divina parola non dipendesse solo dalla chiarezza di questa parola, ma anche dall’impegno che ci mettiamo per comprenderla.

In questo impegno umano rientra innanzitutto il lavoro esplicativo del magistero della Chiesa e secondariamente il lavoro degli esegeti, dei teologi, dei profeti, del popolo di Dio e dei santi, che contribuiscono nella loro parte insieme col Papa, a farci comprendere la Parola di Dio.

Da questo punto di vista certe espressioni dell’Antico Testamento vengono interpretate alla luce del Nuovo e si scopre che esse sono relative a un concetto di Dio, che è stato superato da quello del Nuovo Testamento.

2) Nel proseguo del racconto biblico, anche il successivo intervento dell’angelo del Signore ferma sì la mano di Abramo, ma con ciò non esplicita, non dichiara che ciò non fosse stato richiesto, a suo tempo, da Dio, non suona di rimprovero verso Abramo, per aver creduto possibile che Dio gli avesse chiesto un siffatto sacrificio: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”. Dunque, l’angelo-voce di Dio conferma che la disponibilità di Abramo a sacrificare il figlio viene giudicata conferma del suo timor di Dio, cioè della sua fede. E particolarmente significativo è quel “non mi hai rifiutato tuo figlio” ove, se la traduzione a cura della CEI è corretta, il verbo rifiutare non può che significare “non voler accettare, dare, concedere” quanto è stato richiesto da qualcun Altro rispetto al non rifiutante Abramo. Dunque, anche l’intervento dell’angelo conferma che la richiesta divina di offrire Isacco in olocausto, non è stata parto esclusivo della mente di Abramo suggestionata da usanze cananee dell’epoca, ma Dio vi ha avuto parte precisa.

L’angelo non rimprovera Abramo, ma semplicemente lo avverte che quello che sta facendo in realtà non è la volontà di Dio, ma solo quello che a lui sembrava essere la volontà di Dio.

Quanto alle parole dell’angelo: “Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito”, possiamo dire che certamente Abramo ha avuto timor di Dio ed è stato mosso da spirito di obbedienza. In questo senso l’angelo lo loda.

Per quanto riguarda le parole “non mi hai rifiutato tuo figlio”, l’angelo si mette dal punto di vista di Abramo, non dal punto di vista di Dio, perché Abramo credeva di dover sacrificare il figlio, mentre Dio in fin dei conti gli ordina di sacrificare un montone.

Resta comunque il fatto che la preziosità del sacrificio di Abramo consiste nel sacrificio della sua volontà e più precisamente consiste nel fatto che Abramo mette a disposizione della volontà di Dio il proprio figlio. In questo senso Abramo precorre, senza rendersene conto, l’atto stesso di volontà del Cristo, come dirà la Lettera agli Ebrei (c.10), in quanto è il sacrificio della propria volontà umana obbediente al Padre.

C’è da dire inoltre che se Dio non può mutare la sua volontà, però nella storia sacra, a partire da Abramo per arrivare a Cristo, Dio mostra sempre meglio la sua volontà, passando dall’ordinare sacrifici di animali al comando fatto al Figlio Incarnato di essere l’Agnello che toglie i peccati del mondo.

In questa meravigliosa storia, Abramo gioca il ruolo di un iniziatore nella comprensione della volontà salvifica del Padre con la sua totale messa a disposizione della sua volontà nei confronti della volontà del Padre, però indubbiamente non sa ancora che il Padre avrebbe effettivamente chiesto ad un uomo, Gesù Cristo, di offrirsi per la salvezza del mondo.

Ma è evidente che, se l’obbedienza di Cristo è l’obbedienza di un uomo, la potenza salvifica è la volontà divina del Figlio, la cui volontà è identica a quella del Padre.

3) La tradizionale interpretazione del sacrificio di Abramo, come descritta da Genesi, trova corrispondenza, e dunque conferma, in altri testi della Scrittura. Ho già citato il libro di Giuditta (8, 26–27): «Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco […] come ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore”. Che senso avrebbe questa invocazione, se la prova fatta passare ad Abramo e Isacco fosse nata da un erroneo convincimento di Abramo stesso, e non invece dall’intento divino di voler appunto “saggiare il loro cuore”? Ma anche nel Nuovo Testamento troviamo corrispondenza e conferma alla tradizionale interpretazione del sacrificio abramitico. Nella Lettera di Giacomo, in cui si sottolinea quanto sia importante che alla fede seguano le opere, altrimenti la fede senza le opere è morta (Gc 2,26), Giacomo indica come esempio Abramo il quale, dimostrandosi pronto a sacrificare il figlio secondo la richiesta di Dio, credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio (Gc 2,23).

Le lodi che vengono fatte ad Abramo dal Libro di Giuditta e da San Giacomo, non si riferiscono tanto al fatto che Abramo credette di dover sacrificare il figlio, ma all’angoscia tremenda che egli passò nel credere che Dio gli avesse ordinato una cosa simile.

Ebbene, è proprio il fatto che Abramo per fede accettò questa angoscia, benchè in buona fede credesse che Dio gli avesse veramente ordinato un sacrificio umano, è proprio l’accettazione di questa angoscia che ha costituito il superamento della prova che Dio gli aveva mandato. Per questo Dio, una volta constatato che Abramo accettava la prova, allora, per mezzo dell’angelo, gli ha aperto gli occhi e gli ha fatto tirare un immenso sospirone di sollievo nel capire che Dio non vuole sacrifici umani.

D’altra parte Abramo non sapeva ancora, come dirà la Lettera degli Ebrei, che in realtà Dio vorrà il sacrificio di un uomo, il quale però non sarà soltanto un uomo, ma sarà il Figlio di Dio Incarnato.

Probabilmente Abramo aveva già i suoi disegni umani su Isacco, ma ecco improvvisamente intervenire l’inaspettato e sconvolgente intervento divino, che ordina di sacrificare il figlio. A questo punto Abramo ci è di esempio nella fede perché, sebbene così sconvolto, è pronto ad obbedire, ma ecco che la tempesta si placa, perché con l’intervento dell’angelo Abramo capisce che Dio era soddisfatto del suo atto di totale obbedienza, quindi aveva superato la prova.

Abramo in tal modo compie un normale e tradizionale sacrificio cultuale e non certo un sacrificio umano, che sarà proibito in Israele.

4) Anche nel magistero dei due ultimi pontefici, l’interpretazione del sacrificio abramitico è quella tradizionale. Papa Benedetto XVI in un’omelia del 4 marzo 2012 (https://www.vatican.va/content/benedict-vi/it/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120304_torrino.html ) disse:
«Ma un giorno Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio. L’anziano patriarca si trova di fronte alla prospettiva di un sacrificio che per lui, padre, è certamente il più grande che si possa immaginare. Tuttavia non esita neppure un istante e, dopo aver preparato il necessario, parte insieme ad Isacco per il luogo stabilito […] Abramo si fida totalmente di Dio, da essere disposto anche a sacrificare il proprio figlio e, con il figlio, il futuro, perché senza figlio la promessa della terra era niente, finisce nel niente. E sacrificando il figlio sacrifica se stesso, tutto il suo futuro, tutta la promessa. È realmente un atto di fede radicalissimo. In questo momento viene fermato da un ordine dall’alto: Dio non vuole la morte, ma la vita, il vero sacrificio non dà morte, ma è la vita e l’obbedienza di Abramo è diventata fonte di una immensa benedizione fino ad oggi».

Dunque, per Benedetto XVI, è Dio che comanda ad Abramo il sacrificio di Isacco, e la fede di Abramo è tanto grande che si dispone ad obbedire a un comando così doloroso, e questa sua obbedienza sarà “fonte di una immensa benedizione fino ad oggi”.

Nel corso di un’udienza generale, il 19 dicembre sempre del 2012 (https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2012/documents/hf_ben-xvi_aud_20121219.html), Benedetto XVI ritornò sul tema con le seguenti parole:

«Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione».

Anche in questo caso, la richiesta di sacrificare il proprio figlio, non viene giudicata da Benedetto XVI come un autoinganno di Abramo, ma come parola di Dio per quanto “misteriosa […] difficile, quasi impossibile, da accogliere”.

Rispondo brevemente con due punti fondamentali.

Primo. Dio non può volere sacrifici umani. Se ha voluto il sacrificio di un uomo è perché questo Uomo è il Figlio Unigenito di Dio, che con la sua morte vince la morte, che è la conseguenza del peccato originale ed è entrata nel mondo per invidia del diavolo.

Per questo in un primo tempo Abramo aveva interpretato male.

Secondo. L’angelo dice ad Abramo: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male” (Gen 22,12). Cosa significa questo? Può Dio volere che facciamo del male? Questo dunque significa che Abramo aveva interpretato male e l’angelo lo corregge proibendogli di uccidere suo figlio e comandandogli di compiere un normale sacrificio cultuale con animali.

Osservo pertanto che non è corretto chiamare misteriosa la volontà di Dio, così come in un primo tempo Abramo l’aveva interpretata, ma dobbiamo dire con tutta schiettezza che Abramo in un primo tempo aveva inteso che Dio gli comandasse quello che oggettivamente era un peccato, anche se bisogna precisare che Abramo era in buona fede e soggettivamente pensava che quella fosse realmente la volontà di Dio.

5) Papa Francesco, nell’Angelus del 22 dicembre 2013 (https://www.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2013/documents/papa-francesco_angelus_20131222.html), disse:

«E il Vangelo dice: «Poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto» (Mt 1,19). Questa breve frase riassume un vero e proprio dramma interiore, se pensiamo all’amore che Giuseppe aveva per Maria! Ma anche in una tale circostanza, Giuseppe intende fare la volontà di Dio e decide, sicuramente con gran dolore, di congedare Maria in segreto. Bisogna meditare su queste parole, per capire quale sia stata la prova che Giuseppe ha dovuto sostenere nei giorni che hanno preceduto la nascita di Gesù. Una prova simile a quella del sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr Gen 22): rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata. Ma, come nel caso di Abramo, il Signore interviene: ha trovato la fede che cercava e apre una via diversa, una via di amore e di felicità: «Giuseppe – gli dice – non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo» (Mt 1,20) ».

Dunque, Papa Francesco dichiara che la prova che Dio ha chiesto ad Abramo era proprio per trovare la fede che cercava, sino a che punto potesse spingersi, nelle opere, la fede di Abramo.
Infine, nell’udienza generale del 3 giugno di appena due anni fa (https://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2020/documents/papa-francesco_20200603_udienza-generale.html), Papa Francesco è tornato sul tema dicendo:

«Così Abramo diventa familiare di Dio, capace anche di discutere con Lui, ma sempre fedele. Parla con Dio e discute. Fino alla prova suprema, quando Dio gli chiede di sacrificare proprio il figlio Isacco, il figlio della vecchiaia, l'unico erede. Qui Abramo vive la fede come un dramma, come un camminare a tentoni nella notte, sotto un cielo privo questa volta di stelle. E tante volte succede anche a noi, di camminare nel buio, ma con la fede. Dio stesso fermerà la mano di Abramo già pronta a colpire, perché ha visto la sua disponibilità veramente totale (cfr Gen 22,1-19)».

6) In ultimo, penso che l’accettazione della nuova interpretazione del sacrificio di Abramo, che lei ha perorato, dovrebbe avere conseguenze anche sul piano liturgico.

La sequenza “Lauda Sion”, attribuita, se non erro a san Tommaso, che si prega in occasione della ricorrenza del Corpus Domini, recita:

«In figuris praesignatur, cum Isaac immolatur, agnus Paschae deputatur, datur manna patribus».

(“Con i simboli è annunziato, in Isacco dato a morte, nell’agnello della Pasqua, nella manna data ai padri”).

Come potrebbe ancora essere pregata, la messa a morte di Isacco, quale simbolo preannunciante il sacrificio del Figlio divino, se si era trattato di un autoinganno di Abramo?

Rispondo in due punti.

Primo. Il paragone che Papa Francesco fa di Abramo con San Giuseppe è certamente calzante, perché l’uno e l’altro aveva frainteso la volontà di Dio: Abramo, credendo che Dio volesse un sacrificio umano, dal quale è stato distolto dall’angelo; Giuseppe, credendo che Maria l’avesse tradito, mentre viene illuminato dall’angelo in sogno. Non è Dio che cambia la sua volontà, ma sono Abramo e Giuseppe che fanno un cammino per comprenderla pienamente.

Secondo. È chiaro che Isacco è una figura profetica di Gesù Cristo, ma Abramo non sapeva ancora nulla del Messia e quindi non poteva immaginare che il sacrificio di suo figlio fosse la prefigurazione del sacrificio di Cristo. Quello di cui invece lui si è accorto, avvertito dall’angelo, è che Dio non vuole sacrifici umani, anche se Dio si era accontentato del fatto che Abramo aveva superato la prova, pronto ad obbedire a Dio in ciò che credeva che Dio volesse, ma che invece si sarebbe rivelato molti secoli dopo col sacrificio del Figlio Incarnato.

Per quanto riguarda l’atto di fede di Abramo, vorrei ricordare che la fede ha sempre un contenuto, per quanto esiguo. San Giovanni della Croce parla di una specie di candelina nel buio, però la candelina c’è. L’anima non si trova nel buio totale.

Come dice San Giovanni, la fede non è un camminare nelle tenebre, perché così uno non sa dove va (1 Gv 2,9-11). Certamente il contenuto di fede è misterioso, per cui essa trascende i limiti della nostra comprensione e quindi rappresenta come delle tenebre che sono al di là della piccola luce che vediamo.

Dobbiamo aggiungere anche un altro fatto e cioè che la verità di fede in molti casi in un primo tempo, che è il tempo della nostra prova, ci sembra contraria alla nostra ragione. Ma questo non perché sia veramente contraria, ma perché è la nostra ragione che funziona male a seguito del peccato originale.

Nell’esperienza di fede, dopo il primo momento, che può essere di scandalo, di angoscia o di sconcerto, se noi resistiamo nel fidarci di Dio nonostante tutto, Dio ci illumina, come ha fatto con Abramo e come ha fatto con Giuseppe, dando loro serenità e gioia.

L’Inno di San Tommaso è così così bello che è bene lasciarlo com’è, soprattutto perché esprime l’interpretazione della Chiesa del sacrificio di Abramo come profezia del sacrificio di Cristo.

Ricordiamo che la fede, virtù teologale, deve essere accompagnata dalla carità e dalla speranza.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 luglio 2022

Abramo e Isacco, Mattia Preti

 

Certamente Dio vuole che Abramo compia un sacrificio, ed Abramo è esemplare nell’obbedire, ma Dio non vuole assolutamente un sacrificio umano e questo appare evidente, perché quando Abramo capisce, si rende conto che in realtà Dio non aveva voluto il sacrificio di Isacco, ma il sacrificio dell’ariete.

Immagine da Internet

12 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    innanzitutto, desidero rimarcare il diverso valore di due affermazioni solo apparentemente conseguenziali ma che, a mio avviso, non possiedono pari valore veritativo:
    1) Dio non può volere sacrifici umani;
    2) Dio non può mettere alla prova la fede di un uomo, chiedendogli il sacrificio di suo figlio.
    La prima affermazione è assolutamente vera, oggettiva, condivisibile, come lei ha ben illustrato.
    A partire da questa prima affermazione, si potrebbe convenire che anche la seconda, conseguentemente, sia altrettanto indiscutibile.
    Ma in realtà, il sottoporre a prova la fede umana, chiedendo di fidarsi di Dio persino se Questi chiedesse di sacrificare il proprio figlio, non è nella sostanza, in contraddizione con la verità della prima asserzione.
    E ciò perché il “mettere alla prova”, da parte di Dio, non implica affatto il lasciar portare a termine all’uomo, quanto da Lui inizialmente richiesto, anzi lo esclude, e ciò proprio perché “la prova” viene conclusa da Dio, senza spargimento di sangue umano, nel momento in cui l’uomo Abramo ha dimostrato la grandezza della sua fede.
    L’intervento dell’angelo segna la fine della prova. Il test, dunque, per tutta la sua durata, non è mai entrato in contraddizione con la prima asserzione, proprio perché in tutta la durata della prova, non è stata mai permessa da Dio, l’uccisione di Isacco da parte del padre.
    Ne consegue anche che il metter fine alla prova, non costituisce un cambiamento del volere di Dio, perché il non voler che l’uomo commetta sacrificio umano, non è mai venuto meno in Dio, né prima, né durante, né dopo la prova.
    Potremmo forse dire che Dio, approfittando degli influssi delle usanze cananee e di altri popoli dell’epoca su Abramo, le abbia assecondate, utilizzate proprio allo scopo di metterlo alla prova. Così, il non escludere in assoluto il sacrificio umano, per l’Abramo precedente l’intervento angelico, in qualche modo è il terreno fertile di cui si è servito Dio, ma solo come mezzo, per verificare i limiti della fedeltà di Abramo.
    Poi a partire dalla conclusione dell’episodio, con l’olocausto dell’ariete che Dio ha fatto scorgere ad Abramo, quest’ultimo, e tutti i giudei/cristiani dopo di lui, sapranno ancor più chiaramente che Dio non vuole sacrifici umani.
    In altre parole (sicuramente le mie inadeguate) dovremmo leggere la richiesta ad Abramo di sacrificare il figlio, come se Dio gli avesse sostanzialmente detto:
    «Quanto è grande la tua fede per me, Abramo? Dimostramelo!”, e poi tra Sé “tu ancora credi che io possa accettare sacrifici umani. Ti mostrerò, successivamente, che mai stato così è stato, né mai dovrà esserlo, ma ora ti domando: “continueresti ad essermi fedele, se ti chiedessi in olocausto tuo figlio Isacco?”».
    Dio vuole testare quale è il limite della fede di Abramo e lo fa tramite la richiesta più estrema, più, oserei dire, disumana possibile, in rapporto a quella che è la mentalità dell’Abramo di allora.
    Poi, immediatamente dopo aver conosciuto quanto grande sia la fede di Abramo (che diverrà paradigmatica della fede granitica che smuove le montagne), Dio svela che quella richiesta, espressa in termini così paradossalmente estremi, perché in linea con quanto Abramo (e altri suoi contemporanei) erroneamente ritenevano plausibile, non dovrà mai più, nemmeno dubitativamente, essere ipotizzata come ben accetta da Dio.
    Appare chiara anche in questo episodio, la progressività della Rivelazione, da lei sottolineata Padre Giovanni, che tiene conto della pregressa mentalità e cultura religiosa dell’uomo, rispettandone i tempi e l’attitudine a crescere nella fede.

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  2. Lei ha scritto:
    «Nell’Antico Testamento certi ordini o azioni attribuiti a Dio non possono essere presi alla lettera, perché ne uscirebbe un Dio crudele e fautore del peccato, come per esempio quando la Scrittura dice che Dio indurì il cuore del Faraone, oppure comanda di distruggere Gerico in tutte le forme della vita, dagli uomini fino agli animali, oppure quando comanda a Saul, per mezzo del profeta Samuele, di praticare il cosiddetto herem, che era appunto la distruzione totale di una città nemica, con tutti i suoi abitanti».
    Un conto è affermare che Dio non possa essere fautore del peccato, affermazione condivisibilissima, direi anche logica conseguenza della perfezione divina, e quindi acquisibile già con la sola ragione filosofica.
    Un altro conto è affermare che Dio non può volere, per esempio, la distruzione di un’intera città, perché altrimenti “ne uscirebbe un Dio crudele”. Evidentemente, se un intero villaggio viene distrutto da un terremoto, fatto salvo che tutti siamo macchiati dal peccato originale, non vi periscono solo grandi peccatori ma anche persone buone, caritatevoli e timorose di Dio, il che non rende certo crudele Dio, come lei ha sottolineato in molti interventi su questo blog.
    Non è impossibile, lei mi insegna, che Dio possa trarre da qualcosa di male, qualcosa di bene.
    Accidentalmente, segnalo che sul tema di Dio che “indurì il cuore del Faraone”, in un recentissimo articolo su La Civiltà Cattolica, rivista che non può essere tacciata di tradizionalismo (https://www.laciviltacattolica.it/wp-content/uploads/2022/07/Q.-4130-4-MEYNET-PP.-119-132.pdf), l’autore Padre Roland Meynet, docente emerito della Gregoriana, commentando Esodo 14, non solleva obiezioni sull’intento divino di quanto esplicitato dalla lettera del testo biblico:
    «[…] il Signore è sempre presente e attivo. E questo fin dalle pri¬me battute: «Fu riferito al re d’Egitto». «Fu riferito», da chi? Questo passivo è un passivo divino, che sarà seguìto da un altro passivo su¬bito dopo: «E si rivolse [alla lettera: fu mutato] il cuore del faraone», che corrisponde a ciò che aveva annunciato il Signore: «Io renderò ostinato il cuore del faraone» (v. 4) […]
    Terza scena (vv. 8-10): il piano del Signore si realizza. «Il Signore rese ostinato il cuore del faraone, re d’Egitto, il quale inseguì gli Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata […] È vero che i soggetti di tutte le altre frasi, fino all’inizio del versetto 10, saranno il faraone e gli egiziani […] Ma il soggetto della frase iniziale è un altro: «Il Signore rese ostinato il cuore del faraone».
    Assecondare l’ostinazione del faraone, è il mezzo scelto da Dio, tramite il quale, per usare le parole di Meynet «dimostrerà la sua gloria contro il faraone, e l’Egitto dovrà riconoscere che egli è il Signore».
    In fondo, chi siamo noi per sindacare se Dio poteva o non poteva lasciare ostinato, indurito il cuore del faraone, per perseguire il Suo divino progetto?
    E chi siamo noi per sindacare se Dio poteva o non poteva servirsi dell’antica usanza, pur da Lui ripudiata, del sacrifico umano, al solo scopo di saggiare la fede di Abramo (e non certo per farlo realmente eseguire)?

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  3. Lei ha scritto:
    «l’intervento dell’angelo di Dio è un intervento chiarificatore per Abramo, non è un intervento che mostri un mutamento nella volontà di Dio, perché Dio, nei suoi voleri è immutabile, sennò che Dio è?»
    Si potrebbe obiettare che l’immutabilità della volontà divina consiste nel proposito di mettere alla prova Abramo, e nel contempo nel non volere veramente la consumazione del sacrificio umano, come ho provato a dimostrare nel mio primo commento. Queste congiunte volontà divine non subiscono alcun cambiamento, e non sono in contraddizione l’una con l’altra.
    Del resto, in molti altri esempi della Scrittura, si potrebbe esser indotti, erroneamente, a tacciarli di “mutamento nella volontà di Dio”.
    Per esempio, se nell’Antico Testamento, Dio prescrive a Mosè:
    «Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all’altro: frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente, gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all’altro» (Lev 24, 19 - 20),
    Nel Nuovo Testamento, si leggerà:
    «In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra […]».
    Sarebbe lecito interpretare queste parole di nostro Signore come “mutamento nella volontà di Dio”? Certamente no.
    Come lei ha ricordato in questo stesso articolo, Dio è un Padre paziente e misericordioso che non pretende tutto subito. Il Suo popolo, all’epoca cui si riferisce il Levitico, non avrebbe capito. Allora ha cominciato a domandare qualcosa che gli israeliti avrebbero potuto capire. In un mondo dove il più forte molto spesso prevaricava il più debole, e dove le vendette erano assai spropositate rispetto all’offesa subita, Dio incomincia a mettere dei paletti, preparando poco per volta il popolo eletto ad accogliere la Sua volontà, che verrà compitamente espressa e incarnata da Gesù.

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  4. Lei ha scritto:
    «certamente Dio vuole che Abramo compia un sacrificio, ed Abramo è esemplare nell’obbedire, ma Dio non vuole assolutamente un sacrificio umano»
    Ma se Dio avesse chiesto semplicemente il sacrificio di un animale ad Abramo, che senso avrebbe l’espressione del testo genesiaco “Dio mise alla prova Abramo”?
    Sacrificare un animale a Dio, pratica antichissima, se non scontata nel mondo cananeo (e non solo) dell’epoca, in che modo avrebbe costituito una prova per Abramo?
    Per far funzionare la nuova esegesi, saremmo allora costretti a reinterpretare anche questa frase fondamentale del sacrificio abramitico, ribaltandola in “Abramo credette/immaginò/si convinse che Dio volesse metterlo alla prova” e gli chiedesse di sacrificare il figlio, quando invece sarebbe bastato l’olocausto di un semplice ariete?
    Non è sostenibile. Del resto, lei stesso più avanti ha scritto:
    «Ebbene, è proprio il fatto che Abramo per fede accettò questa angoscia, benché in buona fede credesse che Dio gli avesse veramente ordinato un sacrificio umano, è proprio l’accettazione di questa angoscia che ha costituito il superamento della prova che Dio gli aveva mandato […] Per questo Dio, una volta constatato che Abramo accettava la prova […]».
    Ora dicendo “è proprio l’accettazione di questa angoscia che ha costituito il superamento della prova che Dio gli aveva mandato […] Dio, una volta constatato che Abramo accettava la prova”, lei Padre Giovanni, riconosce che Dio aveva mandato ad Abramo una prova da superare.
    Bene, e quale era stata tale prova? Di sacrificare un animale?
    Se Dio “ha messo alla prova” Abramo, significa che Egli ha chiesto ad Abramo qualcosa di ben più grave, ben più impegnativo, ben più doloroso che scannare un capretto…
    Se noi escludiamo che Dio possa aver chiesto ad Abramo la disponibilità a sacrificare il proprio figlio, che cos’altro può avergli chiesto da costituire una prova?
    In altre parole, se togliamo la richiesta divina del sacrificio di Isacco, viene meno la prova da superare che Dio avrebbe richiesto ad Abramo…
    E questo non mi sembra un problema da poco per questa nuova esegesi di Genesi 22.

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  5. Lei ha scritto:
    «Le lodi che vengono fatte ad Abramo dal Libro di Giuditta e da San Giacomo, non si riferiscono tanto al fatto che Abramo credette di dover sacrificare il figlio, ma all’angoscia tremenda che egli passò nel credere che Dio gli avesse ordinato una cosa simile».
    Mi perdoni ma il testo di Giuditta dice, nella lettera, qualcosa di diverso:
    «Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco […] come ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore».
    Chi è il soggetto di cui bisogna ricordare “quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco”? E chi è il soggetto che “ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore”?
    Il soggetto è inequivocabilmente Dio.
    Dunque, Dio ha fatto… con Abramo, Dio ha fatto passare a Isacco… Il libro di Giuditta conferma che l’iniziativa della prova di Abramo, dell’angoscia che dovuto provare, è stata sempre di Dio.
    Ma se Dio è all’origine di tale angoscia, significa che Egli ha acconsentito che Abramo credesse, sia pur provvisoriamente, che gli avesse chiesto il sacrifico del figlio
    Se così non fosse, dovremmo concludere che il libro di Giuditta sbaglia… ma come può sbagliare la Sacra Scrittura?
    Immagino che lei mi risponderà che non è il libro di Giuditta a sbagliare, quanto la mia interpretazione letterale, che non tiene conto del progresso teologico-esegetico.

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  6. Lei ha scritto:
    «Abramo ci è di esempio nella fede perché, sebbene così sconvolto, è pronto ad obbedire, ma ecco che la tempesta si placa, perché con l’intervento dell’angelo Abramo capisce che Dio era soddisfatto del suo atto di totale obbedienza, quindi aveva superato la prova».
    Come poteva Dio essere “soddisfatto del suo atto di totale obbedienza” se, secondo questa nuova esegesi, Dio non gli aveva chiesto il sacrificio del figlio?
    Dio sarebbe stato soddisfatto dell’obbedienza a una richiesta… che Lui non gli aveva fatto? Non le sembra che così cadiamo in una contraddizione?
    E, ancora una volta, se Abramo “aveva superato la prova”, significa che tale prova, con tutta l’angoscia che aveva comportato, gli era stata richiesta da Dio. Altrimenti, se non richiesta da Dio, non resterebbe che l’interpretazione per cui “Abramo aveva superato la prova che lui stesso si era imposto”, ma questo non ha molto senso…
    Noto poi che l’intervento dell’angelo, non avviene immediatamente dopo che Abramo ha preso la decisione di procedere al sacrificio del figlio, ma soltanto ben tre giorni dopo. Perché, se non era intenzione divina sottoporlo alla prova dell’olocausto del figlio, Dio non è intervenuto subito a far capire ad Abramo che non era questo che Lui voleva? Perché ha lasciato che Abramo trascorresse quei tre interi giorni, possiamo immaginare, con quale angoscia nel cuore?
    L’unica risposta plausibile è che era volontà di Dio che Abramo patisse quella sofferenza, per mettere alla prova la sua fede. Ma affinché Abramo potesse patire quella sofferenza, era necessario che Dio assecondasse in lui, sia pur provvisoriamente, che Dio stesso gli avesse richiesto l’olocausto di Isacco.

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  7. Osservo che sulla mia citazione delle parole di Benedetto XVI, la sua risposta non affronta esplicitamente le conseguenze delle parole dell’allora pontefice, il quale affermò chiaramente (udienza del 4 marzo 2012) che “Abramo riceve da Dio il comando di offrirlo in sacrificio”, e non “Abramo credette/pensò/immaginò/ si convinse che Dio volesse …”
    E anche nell’udienza del 19 dicembre 2012, Benedetto XVI affermò:
    “Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato.”
    Se fosse vera questa nuova interpretazione di Genesi 22, dovremmo di conseguenza dedurne che in ambedue questi interventi, l’esegesi di Papa Benedetto del passo biblico in oggetto, sia da considerare superata?
    Anche sulla mia citazione delle parole di Papa Francesco, non posso non osservare che lei non si pronuncia esplicitamente sulle conseguenze del fatto che il pontefice (Angelus del 2 dicembre 2013) aveva affermato:
    “Una prova simile a quella del sacrificio di Abramo, quando Dio gli chiese il figlio Isacco (cfr Gen 22): rinunciare alla cosa più preziosa, alla persona più amata”.
    Anche in questo caso il pontefice dice chiaramente “quando Dio gli chiese il figlio Isacco”, e non “quando Abramo si convinse che…”.
    Ed anche nell’udienza del 3 giugno 2020, Papa Francesco ribadisce:
    “Fino alla prova suprema, quando Dio gli chiede di sacrificare proprio il figlio Isacco”.
    Quindi anche l’attuale Papa conferma l’interpretazione tradizionale del sacrificio abramitico, quale “prova suprema” nella quale “Dio gli chiede di sacrificare proprio il figlio Isacco”.
    Nelle parole di Papa Francesco, come in quelle di Papa Benedetto, non vi è traccia dell’autoinganno in cui sarebbe caduto Abramo, come vorrebbe la nuova esegesi.
    Dovremmo dunque concludere, che anche Papa Francesco, sino ad adesso, avrebbe, almeno parzialmente sbagliato l’interpretazione di Genesi 22, e che prima o poi dovrà correggerla?
    O non sarebbe invece più giusto restare all’esegesi dei Papi Francesco, Benedetto (e tanti altri), e sospendere il plauso alla nuova interpretazione, quanto meno sino a che non dovesse verificarsi un pronunciamento magisteriale a suo favore?
    Penso che: tertium non datur.

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  8. Lei ha scritto:
    «È chiaro che Isacco è una figura profetica di Gesù Cristo […] il sacrificio di suo figlio […] prefigurazione del sacrificio di Cristo»
    Ma se questo è vero, e non ci sono dubbi che sia così, quali conseguenze ha questa verità teologico-biblica rispetto alla nuova esegesi di cui stiamo dibattendo? Quale immagine di Dio ne viene fuori?
    Provo a spiegarmi con parole sicuramente inadeguate, ma cercando di semplificare e sintetizzare questa nuova esegesi:
    1) Dio aveva chiesto ad Abramo un sacrificio (che poteva essere esaudito con l’olocausto di un animale);
    2) Abramo si convinse, ingannandosi, che Dio gli avesse chiesto di sacrificare il proprio figlio;
    3) Dio intervenne a fermare la mano di Abramo, facendogli capire che non era questo ciò che gli aveva chiesto, ma di offrirgLi in olocausto un animale;
    4) Da quel momento, è volontà di Dio, che la sofferenza che Abramo ha provato a causa del suo autoinganno, divenga prefigurazione del sacrificio del Verbo incarnato, Figlio di Dio.
    Ma a questo punto mi chiedo: come può una sofferenza, originata da un errore di valutazione umano, quale quella di Abramo che fraintenderebbe la richiesta divina, diventare prefigurazione del sacrifico di Cristo, dietro cui non c’è nessun tipo di errata valutazione, ma anzi si compie per volontà del Padre e del Figlio nello Spirito Santo?
    Per quanto una prefigurazione sia solo un’anticipazione simbolico-allegorica di un evento fondamentale successivo, un accostamento tra tali fattispecie appare irrispettoso della regalità di Cristo e della grandiosità sublime del suo sacrificio.
    Inoltre, se nella sua onniscienza e preveggenza, da sempre Dio voleva che il sacrifico abramitico divenisse prefigurazione del sacrificio di Cristo, ciò significa che Dio voleva, da sempre, che Abramo provasse la sofferenza derivante dal dover sacrificare il proprio figlio amato, e dunque, ne segue che tale convincimento di Abramo deve esser stato anch’esso voluto, e quindi indotto, da Dio, e non un fraintendimento di Abramo, affinché Isacco divenisse profezia credibile di Cristo.
    E dunque, anche sul tema della prefigurazione del sacrifico di Cristo, questa nuova esegesi di Esodo 14, risulta alquanto problematica.

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    1. Mi scuso e correggo l'ultima frase di questo commento: mi riferisco non a Esodo 14, ma a Genesi 22.

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    2. Caro Bruno, pubblicherò a breve la risposta ai tuoi interventi.

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  9. Per l’intelligenza del sacrificio abramitico, non si può tralasciare l’importanza della Lettera agli Ebrei.
    Lascio parlare Padre James Swetnam, nella conferenza tenuta al Pontificio Istituto Biblico nel 2003, a conclusione della sua attività di insegnamento accademico (https://www.biblico.it/doc-vari/swetnam_gn22_ita.html):
    «L’epistola agli Ebrei mette in rilievo la fede di Abramo nella sua esegesi di Genesi 22:
    “Per fede Abramo, messo alla prova, offrì Isacco e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unico figlio, del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome. Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” (Ebrei 11,17-19).
    […] Il verbo “offrire [in sacrificio]” ricorre due volte nel versetto 17 […] cioè la disposizione d’Abramo a sacrificare suo figlio è il punto chiave di Genesi 22 che l’autore vuole scegliere come base per la sua interpretazione di tutto il testo […] I termini della prova sono espressi con chiarezza: Abramo stava offrendo il suo “unico figlio” (monogenê), proprio “che aveva ricevuto le promesse” (ho tas epaggelias anadexamenos). E si specifica quale fosse la promessa: “. . . del quale era stato detto: In Isacco avrai una discendenza che porterà il tuo nome” (pros hon elalêthê hoti en Isaac klêthêsetai soi sperma). Queste osservazioni indicano che l’autore dell’epistola ha letto il testo di Genesi 22 con cura, e che ha capito i parametri della prova con precisione. Ciò che segue è una straordinaria interpretazione del ragionamento che sta dietro la fede di Abramo in Dio: “. . . Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti” (logisamenos hoti kai ek nekrôn egeirein dunatos ho theos).
    […] il ragionamento di Abramo sembra essere ben fondato e verosimile, data la sua precedente fede nella nascita di Isacco dal suo corpo “morto” e dall’utero “morto” di Sara. Data la fede eroica manifestata in Genesi 22 non c’è niente di arbitrario o forzato in questa esegesi. Se la promessa di Dio di una discendenza per mezzo di Isacco (v. 18) doveva essere accettata con fede senza riserva, e se il comando di sacrificare Isacco era, per Abramo, richiesto da Dio, la fede nella risurrezione dei morti sembra essere una conclusione legittima, anzi, forse l’unica conclusione possibile.
    […] questa attribuzione ad Abramo della fede nella risurrezione si adatta al contesto della fede eroica del patriarca come descritta in Genesi 22. La seconda parte di Ebrei 11,19 conferma l’opinione che l’autore dell’epistola metteva in relazione la reintegrazione di Isacco con la risurrezione di Gesù, perché dice che tale reintegrazione fu un “simbolo” della risurrezione di Gesù […] questa attribuzione ad Abramo della fede nella risurrezione si adatta al contesto della fede eroica del patriarca come descritta in Genesi 22. La seconda parte di Ebrei 11,19 conferma l’opinione che l’autore dell’epistola metteva in relazione la reintegrazione di Isacco con la risurrezione di Gesù, perché dice che tale reintegrazione fu un “simbolo” della risurrezione di Gesù.
    […] l’ubbidienza di Abramo viene premiata da Dio con il dono di Isacco come simbolo della risurrezione di Gesù. Così la fede di Abramo rientra nella Provvidenza Divina nel portare a compimento il ruolo di Cristo come sommo sacerdote per tutta l’umanità. Secondo Ebrei 11,17-19 Abramo ricevette Isacco come “simbolo” (parabolên) […] della realtà escatologica che è Gesù risorto. La ragione di Abramo viene espressa in Ebrei 11,19a: “Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti”. Poi, il testo continua, “per questo (hothen) lo riebbe e fu come un simbolo”. In altre parole, la fiducia di Abramo viene premiata con il dono non soltanto di Isacco ma di Gesù che viene prefigurato da Isacco […] il dono supremo della risurrezione di Gesù e tutto ciò che ne consegue è in un certo senso un “premio” per la fedeltà di Abramo che ha superato la prova imposta da Dio».

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    1. Caro Bruno, a breve pubblicherò la risposta a questo tuo intervento, unitamente ai commenti precedenti sullo stesso argomento.

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