Da che cosa dipende il fascino di Karl Rahner

 Da che cosa dipende il fascino di Karl Rahner

Un problema ancora non risolto

Sono ormai più di sessant’anni che la scena della teologia è dominata dal rahnerismo e non appaiono segnali significativi che mostrino un’inversione di tendenza, benché sempre più chiaramente appaia come il rahnerismo sia all’origine dell’attuale processo di decadenza della Chiesa cattolica, decadenza che naturalmente è negata dai responsabili di essa[1], ma ciò non fa sì che il rahnerismo, agli occhi degli osservatori imparziali dotati di opportuni criteri di giudizio, non resti il radicale responsabile della gravissima crisi attuale della Chiesa.

Valutando infatti la situazione della Chiesa oggi, per quanto umanamente possiamo giudicarne e lasciando ovviamente a Dio il giudizio ultimo di tale situazione, non è difficile percepire la Chiesa come un organismo soggetto a un processo di disorganizzazione, una società in via di dissoluzione, un’azienda sull’orlo del fallimento, incapace di soddisfare ai bisogni per i quali era stata costituita.

Abbiamo tutti i segni dei fenomeni di decadenza: l’accentuarsi in un organismo di una conflittualità interna, che comporta nella Chiesa, come già osservava San Paolo VI quasi cinquant’anni fa, un processo di «autodemolizione», la presenza all’interno dell’organismo di numerose sostanze velenose, che l’organismo non ha la forza di espellere, l’ingresso nell’organismo di sostanze dannose, che l’organismo è incapace di riconoscere, l’incapacità della direzione centrale di una società di ridurre i conflitti all’unità, la mancata convergenza dei membri di una società verso il programma comune e la tendenza di molti membri ad agire per conto proprio al di fuori del lavoro comune.

Il continuare a credere, come i seguaci del Card. Martini e del Card. Kasper, di Padre Timothy Radcliffe o di Andrea Grillo o di Alberto Melloni che oggi la Chiesa goda buona salute, si stia aprendo una «svolta epocale», sia giunta l’era della misericordia, della libertà e del dialogo, se si fa eccezione allo spiacevole problema dei pedofili e dei lefevriani, questa vana fiducia è segno di una formidabile incoscienza e dell’ottimismo cieco di chi non si  rende conto o non vuol rendersi conto di quello che sta realmente succedendo, gongolante dello strapotere raggiunto nella Chiesa a forza di menzogne e di ipocrisia.

Naturalmente la Chiesa non crollerà, ma non per i motivi che suppongono i suddetti signori,  e del resto si nota bene in essa la presenza di un nucleo di forze sane e promettenti, guidate da Cristo e mosse dallo Spirito Santo, in mezzo a tanta zavorra e corruzione: queste sono la speranza del futuro; queste sono le forze che hanno saputo mettere veramente in atto la riforma promossa dal Concilio Vaticano II: eminenti persone come Jean Guitton, Escrivá de Balaguer, Chiara Lubić, San Pio da Pietrelcina, Pier Carlo Landucci, Don Dossetti, Don Barsotti, Don Giussani, Cardinali come Ottaviani, Parente, Daniélou e Siri, teologi come Fabro, Maritain, Gilson, Congar, Von Balthasar, Spiazzi, Piolanti, Pontefici come San Paolo VI, San Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. La Chiesa è sempre guidata dal Papa, il quale, per quanto umanamente incapace, è tuttavia illuminato dalla luce dello Spirito nel guidarci sulla via della fede ed è sostenuto dalla forza dello Spirito nella guida della Chiesa, nella lotta contro il potere delle tenebre.

La cosa che in questa situazione drammatica sorprende è come mai, tranne taluni aspetti, la riforma promossa dal Concilio non è riuscita. Opportunissima fu l’idea di San Giovanni XXIII di convocarlo con lo scopo che si prefissò: affrontare la modernità e proporre all’uomo d’oggi nel linguaggio e con le categorie di oggi il messaggio evangelico come luce del mondo d’oggi ed apertura ai valori del mondo moderno.

Entusiasmante fu la speranza espressa da Papa Giovanni che la riforma desse luogo ad una «nuova pentecoste». Il Concilio concluse i suoi lavori in un’atmosfera di generale ottimismo e partì l’annuncio al mondo del suo messaggio. Ma poi chi fu che prese in mano le redini di questo annuncio? Furono i rahneriani. Paolo VI fu preso di contropiede e non riuscì ad avere il controllo dell’impresa formidabile di spiegare al mondo il significato del Concilio.

I rahneriani gli presero la mano presentandosi come i protagonisti, gli interpreti e promotori del Concilio e facendo apparire Paolo VI come fattore frenante della novità profetica ideata da Papa Giovanni. Nel 1968, come sappiamo, si scatenò in tutto l’Occidente la cosiddetta «contestazione», che fu un’applicazione rivoluzionaria del concetto rahneriano della libertà. Fatto sta che appena dieci anni dopo la fine del Concilio Paolo VI uscì in quella famosa frase angosciata: «ci aspettavamo una primavera ed è venuta una tempesta!».

Maritain già subito nel 1966 ne Le paysan de la Garonne si era accorto che il messaggio del Concilio era stato stravolto. Ma, cosa alquanto strana, egli, pur acuto osservatore dei grandi eventi spirituali e teologici del suo tempo, come era sempre stato, questa volta, forse per l’età avanzata e l’isolamento, non si accorse che la grande manovra era organizzata dai rahneriani.

In questo momento cruciale anche i rapporti di Paolo VI con Rahner non sono stati chiariti. Il Papa intuisce la truffa, ma non sa denunciarne l’autore ed anzi pare che almeno nei primi anni avesse stima per Rahner, tanto da nominarlo membro della Commissione Teologica Internazionale.

Una forte delusione l’ebbe nel 1968, quando Rahner contestò l’enciclica Humanae vitae. La CDF in quegli anni lavorò bene condannando numerosi errori di Rahner. Ma il suo nome non fu mai fatto. Io credo che non esista ancora uno studio pubblicato, che abbia chiarito qual è stato il rapporto di Paolo VI con Rahner in quegli anni cruciali e decisivi per tutti i decenni successivi fino ad oggi.

Forse qualcosa si trova negli atti della Causa di Canonizzazione. Meraviglia che un Papa così intelligente e fine descrittore dei fenomeni dello spirito non ci abbia lasciato nulla su Rahner e non si sia misurato con lui. I sostenitori di Rahner tengono celate le notizie? È possibile. Paolo VI non si è accorto del pericolo di Rahner? Non è possibile. Sta di fatto che Paolo VI non è riuscito a fermare i rahneriani. E da qui è cominciata la tragedia che viviamo oggi.

È successo di fatto in quegli anni fatali che i rahneriani, presentandosi falsamente come protagonisti, interpreti e promotori della riforma conciliare, l'hanno poi di fatto fatta fallire. Il Concilio voleva un aumento dei cattolici? Siamo diminuiti. Voleva una maggiore partecipazione alla Messa? Le chiese si sono svuotate. Voleva un generale miglioramento dei costumi? Sono peggiorati. Voleva un rafforzamento della fede? Si diffonde l'apostasia. Voleva un aumento delle vocazioni? Sono diminuite. Voleva un maggior zelo nei pastori? Si sono intiepiditi. Voleva l’apertura di nuove case religiose? Se ne stanno chiudendo continuamente. Voleva conversioni al cattolicesimo? I cattolici lasciano la Chiesa per altre religioni. Voleva una maggior frequenza ai sacramenti? Sta calando. Una migliore produzione teologica? Sta peggiorando. Quali le cause? La falsificazione della riforma conciliare ad opera dei rahneriani[2].

Quali i rimedi? Proporre la vera riforma del Concilio, così come è proposta dai Papi del postconcilio e smascherare sistematicamente, ogni giorno, l'impostura rahneriana.

 Apparenza e realtà 

A molti Rahner appare come il teologo che ha fatto esemplarmente proprio il programma di assunzione del pensiero moderno alla luce del Vangelo. In realtà Rahner ha fatto l’inverso: ha scelto nel Vangelo quello che è gradito al pensiero moderno, scartando il resto.

Molti sono portati ad interpretare Rahner in senso ortodosso, ed ovviamente, nei suoi numerosissimi scritti, moltissime sue frasi sono perfettamente ortodosse o possono essere interpretate in tal senso. Eppure egli è abilissimo nello spargere il veleno in piccole dosi, tra un’opera e l’altra, in modo tale che il veleno appare evidente solo quando si collegano fra loro questi elementi, appositamente sparpagliati affinchè non diano nell’occhio e il veleno sia inoculato senza che il malcapitato, a meno che non abbia gli occhi aperti, quasi se ne renda conto.

Occorre allora fare un paziente lavoro, che io sto conducendo da 45 anni, di collegamento di quegli elementi e quindi di evidenziamento del veleno, al di là dell’apparenza contraria. Solo così appare il quadro, dopo aver collegato le tessere del mosaico. Solo così il lettore può essere preservato assimilando peraltro utilmente la sostanza buona del pensiero rahneriano[3].

Rahner si è presentato come un poderoso celebratore della dignità della persona umana fatta per Dio, come l’autore di un concezione dell’uomo suggestivamente profonda ed elevata, come un acuto indagatore dei fondamenti originari della coscienza e come un audace difensore della libertà, un intraprendente esploratore del mondo sconfinato dello spirito, un genio della metafisica, un pioniere della teologia, un emancipatore della morale, un maestro di preghiera, un sapiente direttore e consigliere spirituale, un dottore della grazia.

In realtà per Rahner l’uomo non è un ente categoriale, che può aprirsi come non aprirsi all’essere, ma seguendo Heidegger, è «la trascendenza all’essere in genere. Egli è quindi da sé assolutamente aperto all’essere»[4]. L’uomo, quindi, è il trascendentale, se per trascendentale s’intende ciò che si relaziona all’essere. Ma è trascendentale non in senso tomista, ma in senso kantiano, perché questo «essere» non è l’ente extramentale, ma è il cogito cartesiano, l’«io penso» di Kant.

Secondo Rahner in ogni nostro giudizio e pensiero «si attua la percezione previa dell’essere in quanto tale nella sua illimitatezza che gli è connaturata».  E questa percezione previa all’esperienza degli enti singoli, «fa parte della costituzione fondamentale dell’esistenza umana»[5].

Così l’uomo per Rahner non ha la facoltà di porsi o non porsi in relazione con l’essere a lui esterno, ma l’uomo stesso è apertura ed orientamento all’essere, come essere di coscienza, per cui l’essere inteso come autocoscienza costituisce l’attuazione essenziale e necessaria dell’uomo:

«l’uomo è la trascendenza all’essere in genere. Egli quindi da sé è assolutamente aperto all’essere»[6]. «La percezione previa si porta sull’essere assolto di Dio in quanto si afferma l’esse absolutum sempre e fondamentalmente insieme con la vastità per sé infinita della percezione previa»[7].

 Ora, Rahner interpreta l’essere come essere al quale l’uomo è aperto, come essere che coincide con la sua essenza. Cioè in fin dei conti è Dio stesso. L’essere non sta davanti all’uomo come essere pensabile, ma come essere pensato. Il pensiero non passa dalla potenza all’atto, ma è puro atto. L’uomo, come in Cartesio, è pensante per essenza.

Il sé è lo stesso essere coincidente con la sua essenza, cioè l’essere assoluto. Quindi l’uomo non è definito come animale ragionevole, che può porsi in relazione a Dio, ma come spirito autotrascendente, «già da sempre al di là di se stesso», il cui orizzonte è Dio. Dio è

«l’orizzonte originario della nostra trascendentalità atematica in un concetto, in un nome»[8].  «La conoscenza originaria di quel che è l’essere è data qui in questo evento della trascendenza e non viene desunta da un ente singolo che incontriamo»[9]. «L’orizzonte dell’esperienza e della conoscenza trascendentale e quindi originaria e avvolgente è perciò posto in partenza in essa come l’autenticamente reale, come l’unità originaria del “che cosa” e del “che”»[10]. «Nell’atto della trascendenza noi affermiamo necessariamente la realtà dell’orizzonte, perché appunto in quest’atto e solo in esso sperimentiamo in linea generale che cosa è la realtà.  L’orizzonte della trascendenza è quindi il mistero santo come l’essere assoluto o l’esistente dalla pienezza e dal possesso assoluto dell’essere»[11].

Ma se Dio è l’orizzonte del nostro trascenderci e l’orizzonte è l’estremo limite del nostro vedere, che ne è della trascendenza divina? Il vero Dio non può che essere al di là e al di sopra del nostro limitato orizzonte. Se Egli coincide col nostro orizzonte, allora viene a coincidere col nostro vedere umano. E come sarà Dio al di sopra di noi?

Ma d’altra parte, è falso che «la conoscenza originaria di quel che è l’essere» non sia desunta dall’esperienza di un ente singolo che cade sotto i nostri sensi; ed è falso che «l’orizzonte dell’esperienza e della conoscenza trascendentale e quindi originaria e avvolgente è perciò posto in partenza in essa come l’autenticamente reale, come l’unità originaria del “che cosa” e del “che”».  Il sapere che Dio è l’essere per essenza non è per nulla oggetto di una conoscenza originaria apriorica riflessa e preconcettuale, ma è la conclusione della dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio a partire dalle creature.

In realtà infatti, la nostra conoscenza ha inizio dai sensi. Da questi ricaviamo la nozione metafisica dell’essere. E da questa, applicando il principio di causalità, otteniamo la nozione dell’ente la cui essenza è il suo essere, ossia Dio. 

A Rahner non basta che l’uomo sia finalizzato a Dio, il che è verissimo, ma va troppo oltre, quando sostiene che ogni uomo è tensione verso Dio, in modo tale che risulta che tutti gli uomini di fatto tendono a Dio, il che è assolutamente falso, perché c’è chi non tende affatto a Dio e di Dio non ne vuol sapere. E d’altra pare non si va in paradiso per necessità di natura, ma per libera scelta, che non tutti fanno.

Definendo l’uomo come tensione a Dio, Dio entra per Rahner nella definizione dell’uomo: l’«esistenza umana costituisce sempre anche un’affermazione dell’essere in generale e sull’essere assoluto di Dio in particolare»[12].  E quelle esistenze umane alle quali la metafisica non interessa e negano l’esistenza di Dio non sono esistenze umane?

L’uomo per Rahner non può scegliere se relazionarsi o non relazionarsi a Dio, perché per sua essenza è relazione o apertura a Dio: «l’uomo vive la sua vita in una continua tensione verso l’Assoluto, in una apertura a Dio»[13].

Inoltre per Rahner l’uomo si definisce come uditore della divina rivelazione: «L’uomo, in forza della sua natura di spirito, ascolta sempre ed essenzialmente  un rivelazione di Dio»[14]. A parte che per ascoltare la divina rivelazione non basta la natura, ma occorre la grazia, che ne è coloro ai quali la divina rivelazione non interessa? Non sono più uomini?

L’essere divino, per Rahner, è il vertice della trascendenza umana: Gesù Cristo non rappresenta altro che il vertice supremo dell’essere uomo, benché sia Dio. Ma il punto è proprio qui, che per Rahner il punto massimo dell’essere uomo è diventare Dio: nell’Incarnazione «l’umanità arriva a se stessa, arriva all’uomo-Dio, alla oggettivazione storica assoluta della sua comprensione trascendentale di Dio»[15].

Inoltre, l’uomo, in forza della sua essenza storica ed esistenziale e non semplicemente astratta, è strutturato e qualificato per Rahner dalla grazia come «esistenziale soprannaturale», la quale non si aggiunge alla natura, ma trascendenza della natura, dovuta alla natura, affinchè l’uomo nell’autotrascendenza raggiunga Dio, orizzonte sconfinato della sua trascendenza.

Se l’essere umano si risolve nella sua autocoscienza o nell’«esperienza preconcettuale e trascendentale del sé, dell’essere e di Dio», è chiaro che la coscienza soggettiva ha il primato sulla realtà oggettiva e la libertà ha il primato sulla legge morale, non esiste una natura umana definita, stabile ed universale e per conseguenza non esiste una legge naturale precisa, oggettiva, universale ed immutabile, ma ognuno è libero di decidere del bene e del male e di comportarsi di conseguenza.

Quanto alla grazia, non si acquista e non si perde, perché è l’esistenziale soprannaturale di ogni uomo. Per questo tutti sono in grazia, tutti sono orientati a Dio, tutti sono perdonati e tutti si salvano; tutti o sono cristiani in modo cosciente ed esplicito, ossia categoriale, o lo sono in modo implicito o anonimo, ossia trascendentale, inconscio e atematico, quali che siano la loro religione o le loro idee, anche gli atei.

Dio non castiga nessuno, ma di tutti ha misericordia, tutti salva e tutti perdona senza che occorra pentimento o penitenza, perché l’uomo come tale è peccatore, justus et peccator, ricettacolo della divina misericordia, in quanto, nel momento in cui l’uomo è tensione verso Dio, l’uomo è congiuntamente luogo dell’autocomunicazione divina e della kenosi divina dell’autoalienazione di Dio che nega se stesso per tornare a se stesso nell’uomo e come uomo. Tematica squisitamente hegeliana.

Con tutto ciò Rahner appare a molti come un sottile metafisico, un esperto di gnoseologia, un dottore della potenza obbedienziale, un originale apologeta, un iniziatore efficace all’esperienza di fede, alla comprensione della divina rivelazione, al contenuto essenziale del messaggio cristiano, alla comprensione del nucleo essenziale del dogma, liberato dalle incrostazioni avventizie, all’evoluzione storica del magistero della Chiesa.

In realtà, per Rahner la coscienza non è distinta dall’essere, ma l’essere è la coscienza di essere. L’essere è l’essere pensato e l’essere pensante. «L’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza (“soggettività”, “conoscenza”) dell’essere di ogni ente»[16].

La coscienza è la conoscenza di sé. Ma se l’essere è essere di coscienza, l’autocoscienza è la conoscenza dell’essere. Quindi la conoscenza non si trae dall’oggetto, ossia da un ente posto al di fuori della coscienza, ma si trae dallo stesso soggetto, cioè dall’uomo. Questa è quella che Rahner chiama la «svolta al soggetto», che caratterizzerebbe la filosofia moderna, iniziata da Cartesio, perfezionata da Kant e completata da Hegel.

Il missionario non istruisce il pagano circa cose che non sa, ma lo rende solo consapevole categorialmente di ciò che sa già atematicamente. Non dona una grazia che l’altro non possiede, ma lo rende consapevole di essere già in grazia .

Per Rahner, però, l’uomo è «spirito nel mondo» perché Dio stesso ha il suo «destino» nel mondo. Dio è spirito che diviene corpo, è essere che diviene storia, è astratto che diviene concreto, è essenza che diviene esistenza.  Lo spirito è inseparabile dal corpo. Per questo non si dà anima separata dal corpo e la vita eterna non è dopo la morte, ma nella morte. L’uomo è persona che non ha una natura predefinita, ma sta alla persona plasmare liberamente la propria natura.

Rahner sembra aver riguardo e stima per la liturgia e in particolare per la Messa riformata dal Concilio, ma in realtà la sua concezione della redenzione, della remissione dei peccati, del sacrificio di Cristo, dell’eucaristia, della missione del sacerdote si scostano dal dogma cattolico ed assumono la concezione del protestantesimo liberale, cosicchè fanno perdere la fede nella funzione salvifica della Messa e ne rendono inutile la sua celebrazione e partecipazione.

Da qui le decine di migliaia di defezioni dal sacerdozio che avvennero nei decenni seguenti al Concilio, soprattutto nella Compagnia di Gesù, l’istituto a cui appartiene Rahner e il calo della partecipazione alla Messa da parte dei fedeli a cominciare già dai primi anni del postconcilio.

Rahner sembra avere molta premura per la vita della Chiesa, per la funzione del Papa, dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei laici, si mostra preoccupato che la Chiesa, secondo l’insegnamento del Concilio, progredisca nella santità, promuova la giustizia e la pace, rispetti la democrazia e la libertà, ascolti le voci nuove e profetiche, si liberi dal vecchiume, sappia dialogare col mondo, con i cristiani non-cattolici e con i fedeli delle altre religioni, ma in realtà fomenta la ribellione al Papa, la disobbedienza al Magistero, favorisce il conciliarismo, sostituisce il popolo ai vescovi nel determinare i contenuti della fede, sostituisce il suo Corso fondamentale sulla fede al Catechismo ufficiale, divide la Chiesa in partiti contrapposti, oppone irragionevolmente conservazione e progresso,  disprezza e spezza la continuità  della Tradizione, nega l’immutabilità del dogma, cambia i concetti della fede, favorisce l’esegesi protestante e un carismatismo incontrollato, confonde rivelazione pubblica e rivelazione privata, falsifica la funzione dello Spirito Santo, storpia e falsifica l’insegnamento della Nostra aetate, della Dignitatis humanae e dell’Unitatis redintegratio in senso indifferentista, riduzionista, liberale, relativista ed antidogmatico, favorisce la tendenza buonista e troppo ottimista verso il mondo della Gaudium et spes.

Rahner sembra uno spirito liberale, portato alla sintesi, di larghe vedute, conciliante, accogliente, tollerante, comprensivo, aperto al nuovo, al diverso, al pluralismo, alla libertà di pensiero; ma in realtà è uno spirito settario, fazioso, divisivo, partigiano, unilaterale, rigidamente fissato sul suo concetto di progresso che poi non è altro che modernismo, e perennemente denigratore verso la posizione tradizionalista, la teologia scolastica, la filosofia perenne, la cura della conservazione del deposito della fede, i dogmi fondati sulla Tradizione.

Non riesce a vedere la composizione serena ed armoniosa dell’istanza progressistico-innovatrice con quella conservatrice-tradizionalista, ma considera la prima, peraltro intesa in senso modernista, in contrasto col Magistero, come l’area del buon cattolico, mentre la seconda non la vede come scelta diversa, ma semplicemente come l’area del cattivo cattolico arretrato, superato e sviato.

Rahner sembra presentare il cristianesimo come sintesi di dogma e di storia, sembra voler distinguere il nucleo immutabile della verità di fede dalle sue forme storiche, ma in realtà nel suo Corso fondamentale sulla fede,[17] pretendendo di evidenziare l’essenziale, il sostanziale, l’universale e l’immutabile, in realtà compie scelte arbitrarie, scarnifica l’organismo della fede, scartando dogmi e dati di fede, pressoché ignorando il Magistero, confondendo la sintesi col sincretismo, mescolando assieme elementi fra di loro incompatibili e ponendo come essenziale e fondamentale la sua concezione idealistico-storicista del cristianesimo.

Come uscire da questo impasse

Il compito che s’impone oggi, come ha spiegato bene soprattutto Papa Benedetto XVI, è quello di dimostrare come il progresso conciliare è avvenuto nella continuità col dogma[18] e nel rispetto della Tradizione. È quindi quello di diffondere la vera interpretazione del Concilio, che non è quella dei rahneriani.

In particolare Papa Ratzinger ci ha fatto capire, come nessun Papa del postconcilio, come il cuore della riforma conciliare non è la Dei Verbum e neppure la Gaudium et spes, ma è la Sacrosanctum Concilium. Alla scuola di Romano Guardini Ratzinger aveva infatti appreso la superiorità della liturgia nei confronti della teologia. Egli, uno dei più grandi teologi del ‘900, ebbe l’umiltà di riconoscere questo primato, ben consapevole del fatto che è inutile o anche dannoso essere dotti se non è santi. E il principio della santificazione non è la teologia, ma la liturgia.

Per la verità, però, per Ratzinger le cose non sono state sempre così. In gioventù non era stato insensibile all’attrattiva dell’emergere e di farsi notare come teologo d’avanguardia, e per questo, da perito del Concilio insieme con Rahner, si era lasciato affascinare dal genio di Rahner, che allora appariva l’astro del Concilio.

Per la verità, essi dettero un contributo decisivo al concetto di Rivelazione presentato dalla Dei Verbum, ma poi, accortosi Ratzinger dopo il Concilio della tendenza hegeliana di Rahner e del modo falso col quale presentava il Concilio, sentendo il richiamo della coscienza che lo invitava a porre la verità davanti all’ambizione ed alla gloria umana, non solo prese le distanze da Rahner, ma giunse nel 1981 a sferrargli contro una durissima critica, nella quale lo accusava di panteismo[19].

Allora nel medesimo anno San Giovanni Paolo II lo premiò facendolo Cardinale e Prefetto della CDF, lavorando indefessamente e coraggiosamente alla quale Ratzinger, se non attaccò direttamente Rahner, colpì però i suoi seguaci più in vista.

Immaginiamoci l’odio per Ratzinger che sorse violentissimo nei rahneriani, che si videro disturbati nell’esecuzione del loro piano diabolico di falsificare il Concilio in senso modernista. Essi giurarono vendetta col proposito di fargliela pagare non appena se ne fosse presentata l’occasione.

Tuttavia nel 2005 il partito rahneriano del Collegio cardinalizio fu sconfitto, perché la maggioranza dei Cardinali era rimasta edificata dallo zelo di Ratzinger e sperava che fosse giunto il momento di liberarsi dal rahnerismo. Per questo essi elessero come Papa Ratzinger appena al quarto scrutinio.

Ma i Cardinali rahneriani non si rassegnarono affatto alla sconfitta ed organizzarono il famoso gruppo clandestino ed illegale di San Gallo col proposito di preparare un Papa che fosse loro docile strumento. Fu così che organizzarono una formidabile campagna denigratoria contro Benedetto XVI e gli crearono il vuoto attorno. Benedetto sembra essersi spaventato nel sentirsi solo in mezzo ai lupi, mentre i congiurati, non sappiamo con quali arti diaboliche, finirono per convincere Benedetto a dare le dimissioni nel 2013.

Ma il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. I Cardinali rahneriani speravano che Papa Francesco si mostrasse rahneriano e invece niente di tutto questo. Francesco, assistito dallo Spirito Santo, continua ad insegnare la retta dottrina in barba alle eresie di Rahner ed evita persino di nominarlo.

Non solo, ma nell’Esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 2018 condanna lo gnosticismo, dietro al quale si riconosce facilmente il rahnerismo. Egli si dichiara per il realismo contro l’idealismo. Nei documenti ufficiali si guarda bene dal citare Rahner e, come i Papi che lo hanno preceduto, continua a citare San Tommaso.

I modernisti sono rimasti a bocca asciutta, per cui, pensando che comunque risulti ad essi vantaggioso leccare i piedi del Papa presentandolo come un modernista, in realtà, benché non lo diano a vedere, pur fingendosi suoi amici, in cuor loro friggono dalla rabbia.

Ovviamente dobbiamo sperare che questi Cardinali si aprano a quella saggezza che conviene alla loro alta dignità. Intanto preghiamo per loro. Il lavoro da fare, immenso, è quello di continuare la critica al pensiero di Rahner, mostrando in particolare le disastrose conseguenze morali del pensiero rahneriano. In tal senso è buona l’opera di Stefano Fontana La Nuova Chiesa di Karl Rahner[20]. Al riguardo sono da segnalare due importanti iniziative editoriali di questi ultimi quindici anni: due raccolte di studi critici ad opera di studiosi di varie nazioni: l’opera collettiva curata da David Berger in Germania, Karl Rahner. Kritische Annäherungen[21], e la raccolta curata da Serafino Lanzetta, Karl Rahner un’analisi critica[22].

Ma non dobbiamo neanche dimenticare quanto di buono ci ha dato Rahner. Si resta invece amareggiati nel considerare un’altra opera collettiva, che raccoglie indubbiamente studiosi di alto livello, ma che per l’occasione dimostrano una sprovveduta ed imprudente benevolenza nei confronti di Rahner, l’opera curata da Mons. Ignazio Sanna L’eredità teologica di Karl Rahner, Edita nel 2004 dalla Pontificia Università Lateranense.

Tra costoro c’è l’attuale Prefetto della CDF, il Card. Luίs Ladaria. È possibile che il Papa lo abbia scelto proprio perchè esperto nel pensiero di Rahner. Dobbiamo aver fiducia che saprà affrontare la gravissima questione con saggezza. Si tratta di operazione complessa, per la quale chiediamo allo Spirito Santo che gli conceda il discernimento critico atto a separare nell’immensa produzione rahneriana e dei suoi seguaci il grano dal loglio, così che il popolo di Dio sia nutrito da un cibo salutare e stia lontano dalle sostanze velenose.  

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 30 luglio 2021

A molti Rahner appare come il teologo che ha fatto esemplarmente proprio il programma di assunzione del pensiero moderno alla luce del Vangelo. In realtà Rahner ha fatto l’inverso: ha scelto nel Vangelo quello che è gradito al pensiero moderno, scartando il resto.

 
 
Molti sono portati ad interpretare Rahner in senso ortodosso, ed ovviamente, nei suoi numerosissimi scritti, moltissime sue frasi sono perfettamente ortodosse o possono essere interpretate in tal senso.

Foto da internet


[1] Pochi mesi prima della morte, il Card. Martini sul Corriere della sera scriveva che «mai la Chiesa è andata così bene come oggi. Abbiamo ottimi teologi, come per esempio Rahner. Solo la Chiesa di Papa Ratzinger è rimasta indietro di due secoli»

[2] Cf il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

[3] Una sintesi recentissima del pensiero rahneriano la si può trovare insieme con quello di Küng, nel mio opuscolo: Rahner e Küng. Il trabocchetto di Hegel, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021. Küng è un altro grande responsabile della falsificazione del Concilio, non per caso discepolo di Rahner, meno astuto, meno protetto e tutto sommato meno pericoloso di Rahner.

[4] Uditori della parola, Edizioni Borla, Roma 1977, p.152.

[5] Ibid,. p.94.

[6] Ibid., p.152.

[7] Ibid., p.95.

[8] Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma 1978, p.99.

[9] Ibid.

[10] Ibid.

[11] Ibid., p.100.

[12] Ibid., p.129

[13] Uditori, op.cit., p.97.

[14] Ibid., p.128.

[15] Corso fondamentale, op.cit., p.227.

[16]Uditori, op.cit., p.66.

[17] L’esposizione della dottrina della fede spetta al Catechismo. Ma Rahner non si misura per nulla sul Catechismo. Fa un’esposizione della dottrina cattolica per conto suo, basandosi sul suo sistema idealistico hegeliano-heideggeriano, prendendosi lui la libertà di stabilire le verità di fede del cattolicesimo. A chi invece vuol sapere quali e quante esse veramente sono, facendo capo alla dottrina della Chiesa e non alle idee di Rahner, consiglio il mio libro Le verità di fede – Tutti i dogmi e le dichiarazioni dottrina della Chiesa cattolica, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2021. La differenza di questa trattazione dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 sta nel fatto che qui si aggiungono altri passi biblici, dei Santi Padri, dei Dottori e dei Santi, mentre io mi limito strettamente a quanto annunciato dal titolo del libro. La mole del libro è quindi molto ridotta, 260 pagine rispetto alle 780 pagine del Catechismo. Il mio libro serve a chi cerca l’essenziale; il Catechismo a chi desidera l’abbondante.

[18] Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

[19] Les principes de la théologie catholique, Téqui, Paris 1982, pp.169-190.

[20] Edizioni Fede&Cultura, Verona 2019.

[21] Verlag Franz Scmitt, Sieburg 2004.

[22] Cantagalli, Siena 2009.

12 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    si collega, alle tematiche da lei qui svolte, una recente pubblicazione sulla rivista dell’Università cattolica “Vita e Pensiero” (https://rivista.vitaepensiero.it/scheda-articolo_digital/christoph-theobald/karl-rahner-la-potenza-generativa-di-un-pensiero-888888_2021_0001_0086-370712.html), di un ampio estratto dell’articolo del gesuita Christoph Theobald, docente di Teologia fondamentale e dogmatica presso il Centre Sèvres di Parigi, pubblicato sulla rivista “Recherches de Science religieuse” (https://www.cairn.info/revue-recherches-de-science-religieuse-2020-3.htm), in un numero quasi monografico su Karl Rahner con interventi di più autori.
    L’articolo, già dal titolo “Karl Rahner, la potenza generativa di un pensiero”, si presenta (ahimé) decisamente elogiativo nei riguardi del teologo tedesco scomparso nel 1984.
    Le riporto alcuni stralci che desidererei sottoporre al suo giudizio, se è d’accordo, per il quale anticipatamente la ringrazio.
    “[…] in una conferenza pubblicata [da Rahner] nel 1966 immediatamente dopo il Concilio troviamo una formula sorprendente: “Abbiamo bisogno di una mistagogia che ci inizi all’esperienza religiosa che molti pensano di non poter scoprire in sé; una mistagogia, dunque, che occorre trasmettere in modo che ognuno possa diventare il mistagogo di sè stesso”.
    Commenta Theobald:
    “A modo suo, questa formula riassume la struttura stessa della trasmissione in seno alla tradizione cristiana così come essa si presenta oggi che l’annuncio non può più contare su una riproduzione familiare e sociale della fede, ma deve indirizzarsi alla libertà dei suoi destinatari. E’ allora che esso comincia a distinguersi da un mero indottrinamento esteriore per rivolgersi a un interlocutore che desidera “generare” a una vita spirituale che questi possa sentire come realmente sua. Per tornare alla formulazione di Rahner, il vero mistagogo sa di non poter aver presa su questo accesso dell’altro alla propria personalità unica davanti a Dio, trattandosi dell’opera della Grazia e della libertà. Il suo annuncio dovrà dunque sviluppare un tipo di trasmissione che effettivamente lasci che l’altro diventi il mistagogo di sé stesso. Ciò che qui diciamo della mistagogia di Rahner può essere affermato per tutta la sua teologia? E’ possibile dimostrare che la finalità che egli attribuisce alla mistagogia vale per tutto il suo pensiero, ossia che questo ha lo scopo di generare cristiani che pensano la propria fede o il proprio accesso alla fede? Il punto, allora, non starebbe più soltanto nell’interpretare l’opera di Rahner, ma nel giungere a pensare nel suo solco o con lui, nel domandarsi insomma dove risiede la potenza generativa del suo pensiero”
    “[…] Il Nuovo Testamento […] in particolare nelle tradizioni sinottica e giovannea, mette in campo tutta una pedagogia del Regno di Dio, anzi una mistagogia che permette di vincere la durezza del cuore umano o di mostrare che, in tale situazione, essa è già stata vinta da “chiunque”.

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    1. Caro Bruno,
      l’auspicio rahneriano di impostare la formazione cristiana secondo un indirizzo mistagogico è certamente in se stesso lodevole. Il problema è che poi di fatto la sostanza del pensiero rahneriano non indirizza a un cristianesimo autenticamente cattolico e quindi ad una autentica mistagogia, ma spinge piuttosto ad una visione religiosa influenzata da Hegel e da Heidegger.

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  2. Un altro stralcio dall’articolo di Theobald:
    “Quello che [Rahner] disse nel 1954 sulla mutazione delle società umane, la planetarizzazione del cristianesimo e la sua situazione diasporica “come necessità inerente alla storia della salvezza”, sul passaggio da un “cristianesimo di riproduzione” a un “cristianesimo di elezione”, e su una maniera nuova di fare teologia, non fa tutt’oggi una grinza; la sua diagnosi iniziale si è del resto precisata nel 1979, quando, distinguendo tre tappe nella lunga storia del cristianesimo, s’interrogava sui “poteri” e le “potenze creative” della Chiesa nella nuova fase che era appena iniziata.
    Quanto alla sua interpretazione prospettica del Concilio Vaticano II, le evoluzioni occorse sotto l’attuale pontificato di Francesco sembrano confermarla, facendo in ogni caso cadere in oblio gli sterili dibattiti del passato tra i difensori di un’ermeneutica della continuità e i sostenitori di un’ermeneutica della rottura. Aggiungiamo, infine, che l’orientamento missionario della pastoralità e dell’ecumenicità della tradizione cristiana, intimamente legate alla diagnosi rahneriana della situazione politico-spirituale delle società moderne, rimane tuttora una delle grandi tematiche oggetto di controversia”.

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    1. Caro Bruno,
      mi sembra che Theobald fallisca completamente nell’individuare il più grave problema della Chiesa di oggi, che è il contrasto tra filolefevriani e modernisti, che mette precisamente in gioco la scelta tra l’ermeneutica della continuità e quella della rottura.
      Il conflitto attuale consiste nel fatto che i due partiti opposti oppongono conservazione e progresso, senza riuscire a capire che questi due elementi sono chiamati a completarsi a vicenda nella edificazione della Chiesa, in modo da ottenere quel progresso nella continuità che è stata una meta fondamentale del pontificato di Papa Benedetto XVI.
      Riguardo a questa questione, la posizione di Rahner è chiaramente faziosa, perché sta dalla parte dei modernisti e si rivela incapace di rispettare quelli che Papa Benedetto chiamava i valori non negoziabili. La teologia di Rahner quindi non è un progresso nella continuità, ma un modernismo nella rottura.

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  3. Ancora un’altro stralcio dall’articolo di Theobald:
    “[…] noi andiamo così a toccare, a un tempo stesso, i conflitti che attraversano la Chiesa cattolica dalla fine del Concilio, nei quali Rahner era coinvolto in maniera decisa e da artigiano di pace, e soprattutto gli orientamenti “integralisti” del pontificato di Giovanni Paolo II. Forse necessario sub specie aeternitatis, un certo “colpo di freno” ai processi di aggiornamento interni ha comunque avuto per conseguenza l’accumularsi delle sfide.”

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    1. Caro Bruno,
      sono convinto che il maggior responsabile della attuale conflittualità all’interno della Chiesa è proprio Rahner, il quale ha portato avanti un rinnovamento di carattere modernistico, che ha suscitato una reazione opposta di tipo anticonciliare e ultraconservatrice.
      Ciò che oggi è necessario è frenare l’avanzata del modernismo per realizzare quel vero progresso, che è promosso dal Concilio. In questo modo si evita l’accumularsi delle sfide filolefevriane, attualmente in aumento e si promuove un processo di riconciliazione tra gli opposti estremismi, dei quali ho parlato sopra.

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  4. Un ultimo stralcio dall’articolo di Theobald:
    “Dai tempi della riflessione di Rahner sulla “trasformazione strutturale della Chiesa” (Trasformazione strutturale della Chiesa come compito e come chance, Queriniana, 1973) si sono prodotti dei cambiamenti rilevanti, ma dobbiamo chiederci se la tensione missionaria, richiamata dal Vaticano II e dalle esortazioni apostoliche Evangelii nuntiandi di Paolo VI ed Evangelii gaudium di francesco, riverbera effettivamente sulla vita e sulla strutturazione delle comunità cattoliche.
    […] Si assiste da una parte, a uno spostamento del “soggetto” ecclesiale, che passa dal sacerdote post-tridentino (che, secondo la Preghiera eucaristica I, considera i fedeli “circumstances”) verso la comunità ecclesiale. L’eguaglianza battesimale tra tutti cristiani e le cristiane sta a fondamento di questo nuovo modello di Chiesa, esplicitato e orientato da tre parametri teologici: il sensus fidei dei discepoli missionari (Evangelii gaudium, 120), che si esprime in carismi diversi e la “deliberazione sinodale” che consente di mantenere la visione pneumatologica, ossia il bene comune (1Cor 12). Un simile passaggio, tuttavia, necessita imperiosamente di un cambiamento del ministero apostolico nelle sue differenti forme, e di nuovi ministeri. […] si fatica a formulare con chiarezza la domanda: di quale ministero presbiteriale e diaconale, maschile e femminile, meglio ancora, di quali ministeri abbiamo bisogno per passare da “comunità che si riproducono con difficoltà a comunità risolutamente missionarie?”
    “[…] veniamo qui a ritrovare l’interrogativo di Rahner sui “poteri” e le “potenze creatrici” della Chiesa nella nuova fase della sua storia in cui è da poco entrata.”
    ”[…] Abbozzare oggi una maniera di pensare non come Rahner, ma con Rahner, ci ha portato a confrontarci, in definitiva, con qualcosa che non ha più a che vedere con un discorso teologico, ma con l’esperienza individuale e collettiva, e dunque con l’”istinto spirituale” degli esseri umani e delle comunità cristiane. Ciò ha anche rivelato delle divisioni specifiche che segnano la Chiesa dalla fine del Concilio Vaticano II. […] Possiamo sperare che queste ultime vengano affrontate con chiarezza grazie a procedure sinodali e, perché no, a un nuovo Concilio generale”.

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    1. Caro Bruno,
      qui trovo delle osservazioni abbastanza giuste, che mettono in luce il progresso liturgico avvenuto col Concilio Vaticano II rispetto al Concilio di Trento.
      L’unico punto, che mi sembra ambiguo, è quando parla di “ministero presbiteriale e diaconale, maschile e femminile”. Questa espressione fa pensare che Theobald condivida l’auspicio rahneriano di un sacerdozio femminile.

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  5. Caro Padre Giovanni,
    nel ringraziarla ancora per i suoi commenti, vorrei chiederle sino a che punto talune affermazioni di Rahner sulle Persone della S.S. Trinità possano essere considerate in piena ortodossia cattolica, o se anche su questo importantissimo tema, egli si sia avvicinato all’eresia.
    Come sappiamo S. Tommaso definisce la persona divina come “relazione sussistente” e inoltre:
    “In Dio, l’essenza non è realmente distinta dalla Persona e, tuttavia, le persone si distinguono realmente fra loro. Infatti, […] la Persona significa la relazione, in quanto è sussistente nella natura divina. Ora, la relazione messa a confronto con l’essenza, non si distingue secondo l’essere, ma solo secondo la ragione. Invece, messa a confronto con la relazione opposta, ha una reale distinzione in virtù dell’opposizione” (Summa Theologiae, I, q.39, a.1 resp.).
    Rahner manifesta una certa riserva, se non scetticismo, sul termine persona:
    “[Il concetto di persona] tenta ancora una volta di generalizzare ciò che è assolutamente unico. Quando si dice: “In Dio ci sono tre persone”, “Dio sussiste in tre persone”, allora si generalizza e si addiziona ciò che propriamente non si può addizionare, perché ciò che solo è veramente comune al Padre, Figlio e Spirito è l’unica e singola divinità e non esiste un punto di vista veramente superiore sotto al quale i tre “in quanto” Padre, Figlio e Spirito possono venire addizionati” (K. Rahner, La Trinità, 22, n. 4).
    Rahner preferisce, al posto di persona, utilizzare “modo di sussistenza”:
    “l’unico Dio sussiste in tre distinti modi di sussistenza” (Ivi, 105).
    Inoltre a proposito dell’auto-coscienza divina, Rahner scrive:
    “Non ci sono tre coscienze, bensì l’unica coscienza sussiste in triplice modo; in Dio c’è una sola coscienza reale, posseduta da Padre, dal Figlio e dallo Spirito, in maniera propria a ciascuno” (Ivi, 103).  

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    1. Caro Bruno,
      nel testo rahneriano in mio possesso, il primo brano che tu citi (K. Rahner, La Trinità, 22, n. 4) non c’è. Ad ogni modo, volendo commentare il brano che tu citi, direi così: l’essere persona, nella Santissima Trinità, non è una categoria generale, che stia al di sopra della natura divina, quasi un modo d’essere della natura, ma, come dice San Tommaso, la natura divina e la persona sono realmente identiche e fra di loro c’è una distinzione soltanto di ragione.
      Semmai è Rahner che confonde la natura divina con la persona, ponendo la natura al di sopra della persona, come modo di sussistenza della natura, e quindi sembra porre una genericità al di sopra di una specificità, mentre concepisce la persona come una modalità di sussistenza dell’unica natura o persona divina, cadendo così nel modalismo.
      Infatti le tre persone divine non sono distinti modi di sussistenza dell’unica natura divina, ma sono tre distinte sussistenze. In questo modo esse sono persone, perché, come dice San Tommaso, la persona è un distinto nella natura spirituale. Questo distinto spirituale in noi è una sostanza, invece in Dio è una relazione sussistente.
      Per quanto riguarda la seconda citazione, tu troverai la conferma di quanto asserisco circa il modalismo di Rahner.
      Per quanto riguarda la questione della coscienza divina, è vero che in Dio c’è un’unica coscienza, perché la coscienza appartiene all’unica natura. Invece le tre persone divine non comportano tre modalità dell’unica coscienza, perché la coscienza riguarda solo la natura divina. Questo non ci impedisce di dire per esempio che il Padre ha una coscienza. Ma che cosa vuol dire questo? Che ha una coscienza, in quanto Dio e non in quanto Padre, perché in quanto Padre è soltanto relazione sussistente al Figlio. Quindi purtroppo anche qui siamo daccapo col modalismo.

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  6. Caro Padre Giovanni,
    mi scuso, ho confuso il numero nella citazione con quello di un altro brano del testo di Rahner, non è il 22 ma il 101.
    Colgo l’occasione per un auspicio.
    Il tema del grandioso, sublime mistero della Santissima Trinità è talmente importante per la fede cristiana, ma al tempo stesso presenta una sua complessità, legata anche ai nostri limiti umani, che rende spesso difficile, per chi non ha compiuto studi sistematici di teologia, accostarsi ai testi dei maggiori autori che l’hanno approfondito.
    C’è il rischio, sempre presente, di una ricezione troppo antropomorfa di termini come persona, padre-figlio, generazione-processione, ecc…
    Inoltre, mentre, in generale, non si hanno problemi a rappresentarsi/rapportarsi alle persone divine del Padre e del Figlio, riscontro sovente, in molte persone, qualche difficoltà in più rispetto allo Spirito Santo. E questo è davvero un peccato per la nostra maturazione nella fede.
    Se in seguito, quando lo riterrà opportuno, Padre Giovanni, volesse avere la bontà di trattare questo argomento in forma, per quanto possibile, divulgativa… io e credo anche altri lettori del suo blog gliene saremo davvero grati.

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    1. Caro Bruno,
      concordo perfettamente con lei nel sottolineare la sublimità infinita del Mistero Trinitario, che è il cardine della nostra fede.
      Riguardo alla devozione allo Spirito Santo, io noto un grande miglioramento rispetto ai decenni scorsi. Basti pensare l’insistenza con la quale Papa Francesco viene a trattare dello Spirito Santo. Quanto all’opportunità che lei rileva di entrare comunque in questo argomento, con un tono accessibile al comune fedele, io sono d’accordo con lei e accolgo senz’altro il suo invito a scrivere un articolo sul mio blog, mentre la ringrazio per le sue parole nei miei confronti.

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