Risposta
alle obiezioni dei lettori al mio comunicato
Il mio Comunicato circa la Lettera dei teologi
che accusano il Papa di eresia ha
suscitato fino ad adesso dai lettori più di 270 commenti, per lo più
assai brevi, alcuni di netto rifiuto, confermando le accuse dei teologi; altri,
di aperta adesione alle mie dichiarazioni, con conferma di fedeltà a Papa
Francesco maestro della fede; molti, di approvazione del mio scritto con qualche
riserva; molti altri, di sostanziale rifiuto, anche se si accolgono talune mie
tesi.
Ho notato
alcuni temi e problemi ricorrenti, ai quali pertanto ritengo bene dar risposta.
1. Grazia magisteriale e
grazia pastorale. Alcuni, pur ammettendo che Papa Francesco disponga
dell’assistenza dello Spirito Santo per l’esercizio del suo ministero, non
distinguono l’assistenza che possiede come maestro della fede – la grazia
magisteriale – dall’assistenza per la buona conduzione del suo ufficio di
governo giuridico, disciplinare e pastorale della Chiesa – grazia pastorale -.
Da qui concludono che, siccome il Papa possiede il libero arbitrio e, come
figlio di Adamo, può peccare, come può peccare respingendo la grazia pastorale,
così può peccare respingendo quella magisteriale, ossia cadendo nell’eresia.
Ora, bisogna
tener presente che c’è una differenza tra l’azione dello Spirito Santo nei due
casi. Nel primo, la grazia, che riguarda le scelte della volontà, e quindi
l’agire morale buono o cattivo, può essere frustrata dalla disobbedienza del
Papa, per cui un Papa può avere una condotta morale riprovevole e governare male
la Chiesa o essere negligente nella promozione della verità evangelica e nel
bandire l’eresia.
Invece, nel secondo caso, ossia quello della grazia magisteriale,
lo Spirito Santo in forza del carisma petrino («confirma fratres tuos»), quando
il Papa insegna come maestro della fede, illumina sempre la mente del Papa, e muove
la sua libera volontà ad affermare la verità di fede; e non solo nelle occasioni
rarissime delle definizioni solenni di nuove dogmi – le cosiddette definizioni
«ex cathedra» -, delle quali parla il Concilio Vaticano I (Denz. 3074), definizioni
oggetto di fede divina, ma anche nei livelli inferiori del magistero autentico,
ordinario e quotidiano, da accettare con religioso ossequio dell’intelletto e
della volontà, allorchè il Papa insegna pubblicamente le verità evangeliche
tradizionali o dogmatiche già definite, giusta l’insegnamento della Nota illustrativa dottrinale della CDF alla
Lettera Apostolica Ad tuendam fidem di
S.Giovanni Paolo II, del 18 maggio 1998.
Invece, in
materie estranee all’ufficio petrino, come per esempio la conoscenza delle
persone o dei fatti quotidiani, i ricordi personali, le scienze, le arti, la
letteratura, la tecnica, l’economia, lo sport, l’ecologia, la finanza, la politica,
la storia, la filosofia e la teologia, il Papa, nei suoi giudizi, può avere
solo semplici opinioni o può sbagliare
come qualsiasi uomo, salvo che non abbia una speciale competenza, a meno che non
si tratti di certe nozioni o conoscenze, come per esempio quelle filosofiche,
che hanno un tale nesso con le verità di fede o con i dogmi, che, se vengono
negate o falsificate, ci va di mezzo la fede e si cade indirettamente
nell’eresia.
Si tratta di
quelle falsità che i teologi chiamano haeresi
proximae, così come quelle verità filosofiche sono fidei proximae. Se per esempio uno identificasse l’essere col
pensiero, cadrebbe nel panteismo; se negasse l’oggettività della conoscenza, renderebbe
impossibile la conoscenza di fede; se fosse un evoluzionista, non potrebbe accettare
l’immutabilità della verità; o se ammettesse il materialismo, renderebbe impossibile
credere nell’immortalità dell’anima, e così via.
Particolarmente
delicato è il caso della teologia, che è il sapere maggiormente relazionato al dogma
della fede. Per questo, l’errore teologico può condurre all’eresia. Per esempio
il fatto che Lutero ammise solo la grazia preveniente e non quella conseguente
fu di per sè un errore teologico, che però ebbe la conseguenza di far cadere
Lutero nell’eresia di credere che per salvarsi basti la grazia preveniente e
non occorrano le opere e i meriti della grazia conseguente.
In campo
teologico un Papa non è infallibile e può esprimere sue opinioni, che non
costituiscono magistero pontificio. Non si è obbligati a seguirle e possono
essere sbagliate, senza pericolo per la fede. Per esempio, il credere, come fa
il Beato Duns Scoto, che l’attributo divino fondamentale sia l’infinità e non l’ipsum Esse, come fa S.Tommaso, è un errore
teologico, che però non reca danno alla fede. Negare che la Madonna sia
corredentrice è un errore teologico, che però non compromette i dogmi mariani.
Un Papa può non essere teologo e non per questo ciò compromette l’infallibilità
pontificia. Si sa che Ratzinger è un teologo molto superiore a Bergoglio, ma
ciò non detrae in nulla all’infallibilità dottrinale di Papa Francesco.
Un Papa può
avere benissimo le sue opinioni politiche, magari di tipo progressista o ecologista
o immigrazionista, ma non deve essere in
queste cose opinabili troppo rigido o esclusivista, o mostrarsi fazioso o uomo
di parte, non deve in ciò approfittare della sua autorità pontificia, non deve essere
tanto attaccato a quelle cose discutibili, da dare l’impressione che chi non condivide le sue idee, «non è cattolico» o è
«nemico del Papa», quasi che si tratti di dogmi della fede e gli oppositori fossero
degli eretici. Si può essere anche cattolici di destra, tradizionalisti o
conservatori senza il rischio di essere scomunicati.
Nel regno di
Dio ci sono molti posti (Gv 14,3). L’essenziale è restare nell’ambito della fede
e nella comunione con la Chiesa e col Papa, comunione che non vuol dire con la
politica del Papa, come credono i suoi fans e finti amici, ma con la fede del Papa.
Papa Francesco
parla spesso del pluralismo religioso e va anche bene, benché a volte dia
l’impressione di relativismo o indifferentismo. Ma non mostra di rispettare il
pluralismo politico e questo non va bene. È segno di autoritarismo. Difatti
lascia correre laddove dovrebbe intervenire, come in casi di eresia, mentre è
troppo severo verso legittime iniziative, solo perchè sono tradizionaliste.
Invece
bisogna dire che è più normale il pluralismo in politica che in religione, perchè
la politica è per sua natura il campo dell’opinabile, del diverso, del mutevole
e dell’incerto; mentre la religione è il campo della verità assoluta, che è una
sola – una fides - , certa, oggettiva, indispensabile, universale ed obbligatoria
per tutti.
Un Papa può
invece e deve sostenere anche una linea politica o un governo, se c’è in gioco
la difesa della pace, dei diritti umani, della vita umana, della famiglia, dell’educazione, della libertà religiosa o dei
princìpi essenziali della convivenza civile o della morale, cose che allora sono
di competenza dell’infallibile magistero
pontificio.
2. Il caso di Papa Onorio.
Alcuni, per dare plausibilità all’accusa di eresia fatta a Papa Francesco,
affermano che nella storia si sono già verificati casi di Papi eretici, e
citano soprattutto il caso di Papa Onorio, che regnò dal 625 al 638. Ora, è vero che egli nel 633 sembrò cedere, sotto
pressione dell’Imperatore, al monotelismo (“unum operatorem Jesum Christum”,
Denz.488), un’eresia che confondeva in Cristo il volere umano con quello
divino; ma già Papa Giovanni IV lo scagionò con un’interpretazione benevola
(Denz.496-498).
È vero che fu
condannato nel 681 dal Concilio Costantinopolitano III (Denz.550-552). Ma la
complessa, lunga, dibattuta e dolorosa vertenza fu definitivamente chiusa da
Papa S.Leone II nel 682, il quale non accusò Onorio di essere stato eretico, ma
invece di non aver spento l’incipiente fiamma dell’eresia, per cui con la sua negligenza,
la alimentò (incipientem flammam haeresis
negligendo confovit, Denz.560).
Un conto è essere eretico e un conto è favorire l’eresia con una pastorale
negligente. Il primo è un peccato o accecamento dell’intelligenza, che non può
colpire il Papa; il secondo è un’ingiustizia pastorale, che invece può
commettere, perché qui il Papa non è impeccabile. Papa Francesco potrebbe
semmai essere accusato di negligenza.
3. La questione dell’Amoris laetitia. Mi è stato chiesto
di dimostrare che le proposizioni di AL (nn.295, 298, 299, 301, 304) riportate
nella Lettera e la Lettera del Papa
ai Vescovi argentini del 2016 non contengono eresie con riferimento alla
negazione dell’indissolubilità del matrimonio, all’assolutezza della legge
morale ed alla sacralità dell’Eucaristia.
Al n.295 si
parla del fatto che la legge, in se stessa, sempre identica a se stessa – quindi
nessun relativismo – può essere messa in pratica secondo gradi di crescente perfezione
e diminuente imperfezione, mano a mano che il soggetto, sorretto dalla grazia,
progredisce nello sforzo metodico e perseverante di metterla in pratica.
Al 298 si
parla sì del dovere di «discernere la situazione». Ma ciò non ha nulla a che
vedere, come alcuni hanno male interpretato, con l’«etica della situazione»,
condannata da Pio XII, ma si distinguono invece opportunamente e giustamente due
situazioni oggettivamente diverse di divorziati risposati: quella, nella quale,
per seri e insuperabili motivi, non
possono ritornare indietro e quindi non
devono lasciarsi; e quella invece per la quale è possibile, e allora devono farlo.
Al 299 si
riconosce che i divorziati risposati non sono scomunicati, ma «appartengono al
Corpo di Cristo che è la Chiesa», perché possono essere in grazia di Dio. Il
Papa pare tuttavia enfatizzare eccessivamente questa loro condizione, che tutto
sommato dev’essere tollerata, ma non può
certo essere portata a modello di santità coniugale; e tuttavia parla con esagerazione,
a loro riguardo, del fatto che «lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi
per il bene di tutti». Naturalmente, però, anche qui, non c’è in gioco la dottrina,
ma si tratta solo di una questione di opportunità pastorale.
Al 301 il Papa
chiarisce che i divorziati risposati, benché si trovino in uno stato
giuridicamente irregolare, non per questo si deve pensare che essi giacciano in
uno stato permanente di peccato mortale, ma occorre pensare che possano essere
in grazia, ovviamente pentendosi dei loro peccati e facendone penitenza, col
sempre rinnovato proposito di obbedire alla legge divina secondo le loro
forze, anche se deboli. Qui sarebbe stato
bene accennare al perdono del peccato, cosa che del resto resta sottintesa.
Il 304 presenta
effettivamente una difficoltà, che è data dal fatto che sembra che, affinchè un
atto morale sia buono, non basta «considerare se l’agire di una persona
risponda o meno a una legge o a una norma generale», ma si invoca una «esistenza
concreta» o una «situazione particolare», che sembrerebbe eludere anziché
determinare il dato astratto della legge.
La citazione
di S.Tommaso non pare pertinente, perché Tommaso parla precisamente del
determinarsi dell’astratto della legge nel concreto dell’azione. Pare allora
potersi dedurre da un simile discorso che se, per esempio, il rapporto sessuale
tra divorziati risposati in astratto, ossia secondo la legge, è peccato, perchè
non sono legittimamente sposati, nel loro caso si potrebbe fare un’eccezione e
render buono nel concreto ciò che in astratto è peccato.
Ora è
evidente che questa è una scappatoia disonesta, che non potremmo attribuire
alle parole del Papa. Diciamo allora che si tratta probabilmente della cattiva
esposizione di un principio in sé giusto e che va spiegato così: i divorziati
risposati unendosi sessualmente certamente peccano; ma possono pentirsi ed
essere perdonati da Dio.
Quanto poi
alla Lettera del Papa ai Vescovi
argentini, il Papa si limita a dire che hanno interpretato bene. Ma che cosa?
La nota 351, nella quale, come ho già pubblicato tante volte, non si parla di
un permesso attuale e in vigore della Comunione, ma di una ipotesi o
possibilità di permesso. Non si parla quindi di casi reali, ma di casi
ipotetici, quali appunto quelli proposti dai Vescovi.
4. Papa in carica è
Francesco, non Benedetto. Alcuni lettori hanno espresso la loro
convinzione, totalmente estranea alla lettera dei teologi, che Papa vero sia
Benedetto e non Francesco, probabilmente influenzati dalle idee di Don
Minutella. Rispondo dicendo che tale convinzione è priva di fondamento, perché
nessuno dei Cardinali che hanno partecipato al Conclave ha espresso un’idea del
genere, anche tra coloro che sono maggiormente critici nei confronti di Francesco,
e lo stesso Papa Emerito Benedetto gli ha fatto professione di obbedienza.
Il riferimento
alla cosiddetta «mafia di San Gallo» non può valere come argomento per invalidare
l’elezione di Francesco, perché, quale che sia stata la perorazione a favore di
Bergoglio fatta dai suoi sostenitori al Conclave, del quale non sappiamo nulla,
quel che è certo è che l’elezione di Bergoglio è stata valida.
5. Il rimprovero di Paolo a
Pietro. Alcuni lettori hanno citato il famoso rimprovero fatto da S.Paolo a
S.Pietro all’assemblea di Antiochia (Gal 2, 11-14). Ma qui Paolo non fa a
Pietro nessuna accusa di eresia, ma soltanto lo richiama ad a una condotta
limpida e leale, senza simulazioni ed ipocrisie. Qui non siamo sul piano
dottrinale, ma comportamentale e pastorale. E su questo piano è lecito
criticare Francesco.
6. Alcune frasi problematiche.
Non è l’Amoris laetitia il documento
che desti le maggiori preoccupazioni circa il valore del magistero di Papa Francesco.
Le vere e più gravi difficoltà sono altrove e sono state quasi tutte segnalate nel libro di José
Antonio Ureta, Il «cambio di paradigma»
di Papa Francesco[1].
A questo libro rimando come documentazione di quello che sto per dire.
Se nel
pensiero di Papa Francesco non troviamo vere e chiare eresie e non le possiamo
trovare, troviamo però, sparse nel suo ricco insegnamento, tante frasi o espressioni,
ciò che i francesi chiamano exploit o
boutade, che vorremmo chiamare
«uscite» o «battute», caratteristiche della sua personalità, da non prendere
sul serio, molte delle quali ormai famose, che appaiono urtanti o sconcertanti almeno
così come suonano, per gli spiriti leali ed amanti della verità umana ed
evangelica.
Benchè tali
uscite tocchino direttamente o indirettamente le verità di fede, non si tratta evidentemente di veri insegnamenti
magisteriali, neppure al grado minimo, da prendere sul serio, ma di esternazioni improvvisate ed imprudenti,
che, come tali, devono essere ignorate e compatite.
Il vero e
proprio insegnamento magisteriale dogmatico di Papa Francesco, di notevole
valore, espresso soprattutto nelle encicliche, non ha nulla a che vedere con queste
occasionali sparate, spiegabili non con motivi spirituali, ma solo psicologici,
come per dar spettacolo e far colpo sulla gente, la quale, però, tranne i
numerosi fans, gli indifferenti e i modernisti, resta perplessa, per non dire scandalizzata.
Quindi con quale risultato?
Ne scegliamo
comunque solo alcune, citate dai lettori e qualcuna la aggiungo io.
1). «Tre
persone che litigano a porte chiuse e al di fuori si fa sapere che tutto va
bene»: così ha definito la SS.Trinità. Si tratta certo di una battuta, ma di pessimo gusto.
2). «Lutero
ha avuto buone intenzioni, non voleva dividere la Chiesa, ha fornito la medicina».
Forse si riferiva a Lutero prima della sua defezione. Ma avrebbe dovuto precisare.
3). Parlando
ai bambini dell’ospedale del Bambin Gesù di Roma ha detto: «Noi non conosciamo
il perché della sofferenza», salvo poi a precisare in un’altra occasione
dicendo che «lo sappiamo in rapporto alla croce di Cristo». Si corregge in
successive occasioni.
4). Riguardo
alla tesi dei «valori non negoziabili», vigorosamente sostenuta da S.Giovanni
Paolo II e Benedetto XVI, Papa Francesco non si perita di contraddire
apertamente i suoi Predecessori su di un tema così importante, con le seguenti
parole. «Non ho mai compreso l’espressione “valori non negoziabili”. I valori sono
valori e basta; non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una più
utile di un’altra»[2].
Ma dobbiamo
dire che Francesco non apprezza il valore di quel principio appunto forse perchè
non l’ha capito. Crede che si tratti di scegliere alcuni valori e respingerne
altri. Ora è chiaro che tutti i valori essenziali devono stare assieme. Ma non
è questo il senso dell’assioma.
A Francesco
sembra infatti sfuggire che il detto principio fa riferimento al fatto che
esiste una scala di valori, per cui esistono
valori che sono negoziabili, ossia possiamo cederli, mentre altri non lo sono
affatto, ad essi non possiamo rinunciare per nessun motivo, fosse tutto l’oro del
mondo, come si suol dire. Infatti, trattandosi di valori assoluti, se lo
facessimo, saremmo perduti.
Il rapporto sessuale, per esempio, è certo un valore.
Ma se Dio mi chiama ad una vocazione superiore, alla quale il rapporto sessuale
potrebbe fare ostacolo, devo esser pronto a «negoziare» il rapporto sessuale, ossia
a rinunciarvi, pur di non «negoziare» quella vita superiore, alla quale Dio mi
chiama.
5). Altra
affermazione sorprendente in Papa Francesco è quella che sembra essere la
negazione della verità assoluta. Egli dice infatti: «io non parlerei, nemmeno
per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che ciò che è assoluto è ciò che
è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana,
è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque la verità è una relazione!
Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità e la esprime a
partire da sé, dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, etc.»[3].
Papa Francesco
fa questo ragionamento: presenta Cristo come una Relazione con noi. Ma Cristo è
la Verità. E dunque per noi cristiani la verità non è assoluta, ma è una
relazione. Ora bisogna dire che un conto è la relazione e un conto è il relativo.
La Relazione in Dio può essere un Assoluto (la Persona divina). Ma il relativo è
relativo all’assoluto, che prevale e lo domina.
Ora, quando
ci si pone il problema se esista una verità assoluta, non si tratta
immediatamente di sapere se esista una verità che sia Relazione. È fuor di
dubbio che esiste, ed è Cristo. Ma nessuno ci impedisce di porci la
questione circa la verità come tale, in
generale, dal punto di vista filosofico o razionale.
Dal punto di
vista gnoseologico, la verità è effettivamente una relazione. Come dice
S.Tommaso, è l’adaequatio intellectus et
rei. Ma ciò dà precisamente la possibilità di cogliere una verità assoluta
o di ragione o di fede.
Dal punto di
vista filosofico, quindi, non si può porre in dubbio l’esistenza della verità
assoluta speculativa e morale, perché altrimenti, se ogni verità fosse
relativa, il pensiero non giungerebbe mai ad una conclusione e la volontà non giungerebbe
mai ad una decisione. Saremmo dei voltagabbana, delle canne sbattute dal vento
o degli architetti che costruiscono sulla sabbia. Mirare ad un assoluto è
inevitabile. Il problema è sapere qual è il vero assoluto. Per il credente è
Dio.
Verità
assoluta vuol dire certa, basilare, oggettiva, non falsificabile, definitiva, libera,
sovrana, sciolta, irriducibile, indipendente, suprema, non negoziabile. Se è
assoluta, vuol dire che non è relativa, perché relativo ed assoluto si richiamano
e si escludono a vicenda. Il relativo è relativo all’assoluto e l’assoluto non
è relativo a nulla. Il relativo non può stare senza l’assoluto, mentre
l’assoluto può stare da solo, è autosufficiente. Ecco perchè l’Assoluto per
eccellenza è Dio. Il mondo è relativo a Dio. Ma Dio può esistere anche senza il
mondo.
Sia nella
teoresi che nella morale esiste la verità assoluta. I princìpi della ragione, e
della morale, le verità di fede e i dogmi sono verità assolute, certissime,
indiscutibili, inconfutabili, irrinunciabili e immutabili. Importante è non
assolutizzare il relativo e non relativizzare l’assoluto.
Nel primo
caso si ha l’idolatria in religione, il totalitarismo in politica, l’egoismo in
morale. Nel secondo caso si ha il relativismo in morale, il soggettivismo nella
conoscenza, l’indifferentismo in religione, il liberalismo in politica.
7. Tre imprudenze in campo pastorale.
I lettori hanno ricordato anche l’episodio dei Dubia dei quattro Cardinali e il memoriale di Mons. Viganò[4].
Ed io aggiungo l’ultimo colloquio con Scalfari. Il Santo Padre, che parla moltissimo,
in questi gravi frangenti, che interpellavano l’onestà, la saggezza e la
prudenza del Padre e Maestro comune, custode della sana dottrina e dei buoni
costumi cattolici, Francesco ha taciuto. Come mai? Con quale utilità per la Chiesa
e per la Sede Apostolica?
1). Dopo il suo
ultimo disgraziato colloquio col Papa, il furbo Eugenio Scalfari riferì pubblicamente
che il Papa gli aveva detto che l’inferno non esiste, in quanto le anime dei reprobi
vengono annullate. Alla richiesta pressante di chiarimenti, indirizzata al Papa
da molte parti del mondo, la S.Sede, con un laconico comunicato, si limitò a
dire che Scalfari «non aveva interpretato correttamente le parole del Papa».
Ma il Papa non
avrebbe potuto e dovuto chiarire e dirci personalmente
che cosa esattamente aveva detto a
Scalfari e smentirlo a riguardo di una cosa così importante per la fede?
Non avrebbe dovuto ribadire l’insegnamento della fede su questo argomento,
senza permettere che ne approfittassero gli eretici, che negano l’esistenza
dell’inferno e dell’immortalità dell’anima?
2). Dopo la
pubblicazione del documentato memoriale l’ex-Nunzio Mons.Viganò, che denunciava
con giuramento davanti a Dio una serie di gravissimi scandali sessuali di
ecclesiastici, dei quali egli era a conoscenza, potendo esibire le prove, coinvolgenti
da anni alti Prelati della Chiesa e collaboratori del Papa, tutti gli onesti,
tranne le persone compromesse, estremamente irritate, come si poteva ben
comprendere, si attendevano che il Papa commentasse e lodasse il gesto
coraggioso di Mons.Viganò, promettendo di adoperarsi per un’opera di purificazione
della Chiesa.
Niente di tutto
questo. Tutti ricordiamo le famose parole «non dirò una parola». E così è
stato, benché per mesi e fino ad oggi giungano al Papa suppliche di parlare. Che cosa ha ottenuto tacendo? È vero che ha
concentrato l’attenzione sulla pedofilia nel clero. E questa certamente è un’idea
buona.
Ma per
strappare il male alla radice, occorre una riforma
della formazione sacerdotale, che educhi veramente alla castità, condannando
i moralisti eretici, tuttora a piede libero, come ha auspicato Papa Benedetto nei
suoi recenti Appunti. 3). Quanto
ai famosi Dubia, anche in questa
occasione il Papa ha dimostrato di non essere all’altezza della situazione, ma
è stato latitante. Che cosa ci voleva a rassicurare i richiedenti che l’Amoris laetitia non crea pericoli per
l’indissolubilità del matrimonio, non ammette eccezioni all’adulterio, non dubita
dell’assolutezza della legge morale e non manca di rispetto all’Eucaristia? Ma
solo vuol essere uno sforzo della Chiesa per salvare il salvabile e fare in modo
che anche i divorziati risposati possano salvarsi, senza chieder loro ciò che è
al sopra delle loro forze?
Tacendo e
mancando di chiarire, il Papa che cosa ha ottenuto? Che cosa ha risolto, anche
con le lettera ai Vescovi argentini? Che ancor oggi, a tre anni dalla
pubblicazione del documento, moltissimi non sanno o sbagliano circa la questione
se si può sì o no concedere la Comunione ai divorziati risposati.
P. Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
5 maggio 2019
[1] Stampato nel 2018 dal Digital
Team di Fano (PU) per conto dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, San Paolo, Brasile. Oltre a questo libro è
possibile trovare osservazioni ai discorsi ed alle uscite di Francesco nelle
mie pubblicazioni in Isoladipatmos e
in altri blog, nonché nei libri di Aldo
Maria Valli, 266. Jorge Mario Bergoglio
Franciscus P.P., Liberilibri, Macerata 2016 e Come la Chiesa finì, Liberilibri, Macerata 2017; si può consultare
inoltre il libro di Mauro Mazza, giornalista e scrittore, ex-direttore della
RAI, Bergoglio e pregiudizio. Il racconto
di un pontificato discusso, Edizioni Pagine,
Roma 2017.
[2] Cit.da Ureta, op.ct., p.21.
[3] Op.cit., p.106-107.
[4] Vedi il libro di Aldo Maria
Valli, Il caso Viganò. Il dossier che ha
svelato il più grande scandalo all’interno della Chiesa,Edizioni
Fede&Cultura, Verona 2018.
Le risposte di Padre Cavalcoli non sono del tutto convicenti.
RispondiEliminaSe il Papa è sempre assistito dallo Spirito Santo in materia dottrinale, come può di fatto uscirsene con delle "battute" che si pongono in aperto contrasto con il depositum fidei?
E poi come possiamo distinguere tra battute e affermazioni serie? Sembra quasi che ogni affermazione eretica del Papa non debba essere tenuta in conto essendo solo una "battuta".
Sono molto perplesso.
Caro Anonimo,
Eliminaquesto Papa è un tipo strano e scherzoso, poco prudente nel parlare e troppo loquace. Spesso non misura le parole, si contraddice o si corregge. C'è qualcosa di psicologico. Occorre pazienza e prudenza, modestia nel giudicare, senza mancargli di rispetto.
E' bene lasciar cadere certe frasi imprudenti. Occorre fare un attento vaglio in quello che dice, badando a come lo dice, alle circostanze, alle occasioni, alle materie che tratta, al livello di autorità degli interventi.
In caso di dubbio, sospenda il giudizio e stia con gli interventi sicuramente ortodossi. Non si lasci turbare da coloro che lo accusano di eresia, perchè sono fuori strada. E così sono fuori strada anche i fanatici che non fanno questo discernimento. Credono di onorare il Papa e invece fanno solo danno a lui e a se stessi.
Papa Francesco dev'essere preso sul serio come Vicario di Cristo, quando fa sul serio, ossia quando, verificato tutto ciò che c'è da verificare, risulta con chiarezza e certezza che egli intende insegnare formalmente come maestro e dottore della fede, anche se si tratta solo di insegnamento ordinario o quotidiano.
P.Giovanni
Caro Anonimo,
RispondiEliminaquesto Papa è un tipo strano e scherzoso, poco prudente nel parlare e troppo loquace. Spesso non misura le parole, si contraddice o si corregge. C'è qualcosa di psicologico. Occorre pazienza e prudenza, modestia nel giudicare, senza mancargli di rispetto.
E' bene lasciar cadere certe frasi imprudenti. Occorre fare un attento vaglio in quello che dice, badando a come lo dice, alle circostanze, alle occasioni, alle materie che tratta, al livello di autorità degli interventi.
In caso di dubbio, sospenda il giudizio e stia con gli interventi sicuramente ortodossi. Non si lasci turbare da coloro che lo accusano di eresia, perchè sono fuori strada. E così sono fuori strada anche i fanatici che non fanno questo discernimento. Credono di onorare il Papa e invece fanno solo danno a lui e a se stessi.
Papa Francesco dev'essere preso sul serio come Vicario di Cristo, quando fa sul serio, ossia quando, verificato tutto ciò che c'è da verificare, risulta con chiarezza e certezza che egli intende insegnare formalmente come maestro e dottore della fede, anche se si tratta solo di insegnamento ordinario o quotidiano.
P.Giovanni