In odium fidei. Il peccato contro la fraternità (Seconda Parte - 2/4)

In odium fidei
Il peccato contro la fraternità 
 
Seconda Parte (2/4) 
 

Odio per Dio e odio per l’uomo vanno assieme 

L’odio peccaminoso può avere diversi oggetti: Dio e la creatura. Si può odiare Dio, si può odiare sé stessi, si può odiare il prossimo e le sue opere, terrene o ultraterrene, buone o malvage (anime beate, purganti e dannate). Si possono odiare gli angeli, santi o decaduti. Si può odiare la natura e l’universo. Il nichilista odia l’essere e tutto ciò che esiste.

In ogni caso, in una qualunque forma di odio peccaminoso è implicito l’odio verso Dio, perché odiare la creatura, fosse anche una formica o un insetto o un giaguaro, è odiare Dio. Uccidere una bestia feroce o usare il vaccino contro il covid è invece un odio giusto; non è odiare Dio, anche se si tratta di sue creature, perché rispecchia il principio Ubi maior, minor cessat: sopprimere un bene inferiore (virus) che ostacola un bene superiore (uomo).  A ben maggior ragione l’odio verso Dio implica l’odio peccaminoso per il prossimo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, fosse anche nostro nemico.

Secondo San Tommaso l’odio verso Dio è il più grave di tutti i peccati, perché è l’odio per il sommo Bene. Infatti è logico che quanto più grande è il bene odiato, tanto più grave è l’odio. L’Aquinate comincia col ricordare le parole di Cristo nel Vangelo di Giovanni:

 

«“Hanno visto ed hanno odiato me e il Padre mio” (Gv 15,23). E le commenta così: “il difetto del peccato consiste nell’allontanarsi da Dio. Ora questo allontanarsi da Dio non avrebbe ragione di colpa se non fosse volontario. Per cui la ragione di colpa consiste nel volontario allontanarsi da Dio. Ma questo volontario allontanarsi di per sé certamente entra in gioco nell’odio di Dio; invece negli altri peccati quasi per partecipazione e per tramite di altro. Come infatti la volontà inerisce a ciò che essa ama, così di per se stessa rifugge da ciò che essa odia; per cui quando uno odia Dio, la sua volontà di per sé si allontana da Dio. Ma negli altri peccati, come per esempio quando uno fornica, non si allontana di per sé da Dio, ma per il tramite di altro, in quanto cioè appetisce un diletto disordinato, che è annesso all’allontanamento da Dio. Sempre infatti ciò che è per sé prevale su ciò che è per altro. Per questo l’odio di Dio, tra gli altri peccati, è il più grave»[1].

Inoltre Tommaso osserva che l’odio di Dio da parte del peccatore si manifesta nell’odiare Dio che lo punisce. Il «prorompere nell’odio di Dio che lo punisce, significa avere in odio la stessa giustizia di Dio, il che è gravissimo peccato»[2]. L’odio per la sofferenza è normale. Ma il peccato di odio verso Dio si manifesta nell’odiare quella sofferenza che è data dalla pena voluta dalla giustizia divina.

Il culmine dell’odio verso Dio sarà il peccato dell’«iniquo», del quale parla San Paolo in II Ts 2,3. Se Dio ci castiga non è un Dio che ci odia. Un Dio che non castiga il malfattore non è il Dio della misericordia, ma è un fantoccio della nostra fantasia di infingardi, è un finto dio per coloro che vorrebbero farla franca, è un falso dio che odia l’uomo, perché la minaccia divina del castigo è un avvertimento per il nostro bene e lo stesso castigo divino è una correzione paterna, è atto d’amore perché suscita il timor di Dio, mentre la dannazione eterna è atto non di violenza ma di giustizia e lo stesso Hegel, che non brilla per il concetto della giustizia, riconosce qui giustamente che punire il criminale è fargli onore, perché suppone in lui la dignità della persona che agisce per libera volontà.

D’altra parte, chi odia la ragione non può avere una vera fede. È come dire: chi odia l’uomo non può avere il giusto rapporto con Dio, che si ha con la fede. Odiare la fede infatti equivale ad odiare l’uomo, vivente che si definisce per l’essere dotato di ragione. D’altra parte è impossibile giungere alla fede se non si parte dalla sana ragione. Ecco perché viceversa l’odio di Dio implica l’odio per la ragione. Invano l’ateo pretende di dimostrare con la ragione che Dio non esiste. Parlare di «ateismo scientifico» come si faceva nell’Unione Sovietica all’epoca di Stalin è una somma stoltezza. Odioso è odiare la ragione. Odiosa è la ragione sofistica.

Opportunamente il Papa ci fa presente che chi odia il fratello odia Dio. A questo proposito si deve dire che gli estremisti tradizionalisti e modernisti, che, nella Chiesa, si ritengono i veri cattolici escludendo il partito opposto, fatto anch’esso di cattolici, respingono il Papa o copertamente perché lo strumentalizzano o apertamente perché lo insultano, sono tutti odiatori del Papa, e per conseguenza sono odiatori del nome cattolico e della Chiesa, perché è solo il Papa nella Chiesa, che decide chi è cattolico e chi appartiene alla Chiesa. Ma che dico? Sono odiatori o falsi amanti di Cristo, del quale il Papa è il Vicario in terra.

L’ateismo comporta l’odio per Dio

Viceversa, chi odia Dio non può amare il fratello. Se l’ateo è coerente col suo ateismo, così come odia Dio non può non odiare ciò che da Lui proviene, non può non odiare le creature di Dio e quindi in ultima analisi anche sé stesso. Per questo diceva giustamente Don Barsotti che se l’ateo fosse coerente si dovrebbe uccidere.

Ma il fatto è che l’ateo in realtà ama l’uomo, ma come gli pare e piace, ora facendone un idolo, ora odiandolo cordialmente e mandandolo alla camera a gas. Ma soprattutto ama il proprio io al di sopra di tutto. Certo egli si sente liberissimo di uccidersi, se lo ritiene opportuno, come fece Hitler quando si accorse che il nazismo era sconfitto o come fece Cesare Pavese nel 1948, allorché rimase deluso perché il Partito Comunista aveva perso alle elezioni o come fece Carlo Michelstaedter, il quale nel 1910 a solo 23 anni, appena laureatosi brillantemente in filosofia, si suicidò per affermare la sua libertà di decidere della propria vita o come fece il noto industriale ravennate Raul Gardini, il quale, durante il periodo di «mani pulite», non sopportando di essere sottoposto a giudizio, preferì uccidersi.

Ma solitamente l’ateo è attratto moltissimo dal mondo presente coi suoi piaceri carnali e vi rimane attaccato con tutte le sue forze, appunto perché pensa di poter trovare solo qui la felicità e non da altra parte, dato che non crede all’esistenza di un futuro mondo migliore dopo la morte.

Perché l’ateo, al di là di ogni finta solidarietà con i poveri e gli sfruttati, è in realtà così egoista, prepotente e vuole prevalere sugli altri? Perché crede che tutto gli sia dovuto e di non dover niente a nessuno; crede di essere egli stesso dio al posto del vero Dio. Dunque da questa alternativa non si scappa: o si ama veramente l’uomo e allora ciò è segno che si ama Dio o che occorre, per tal fine, amare Dio. O si odia Dio a allora è impossibile amare veramente l’uomo.

Quanto all’indifferenza o la perplessità o l’agnosticismo circa l’esistenza di Dio o nei confronti di Dio, oggi così diffusi, per quanto  possa avere una parvenza di plausibilità, atteso soprattutto oggi il pauroso smarrimento della metafisica, la diffusione dello scetticismo e del relativismo, non risponde tuttavia a un reale stato interiore della coscienza, perché  in realtà ogni uomo, consciamente o inconsciamente, esplicitamente o implicitamente, sa che Dio esiste e che deve fare i conti con Lui. Tutta l’umanità un giorno dovrà fare i conti con Cristo. Lo ha detto Egli stesso. Quindi non ci sono scappatoie, non ci sono scuse.  Cari agnostici, a chi volete darla ad intendere? A voi stessi?

Avviene però che l’ateo può anche tenere molto a passare per essere un benefattore dell’umanità. Ma egli, chiudendo gli occhi all’esistenza di Dio e pretendendo con la sua superbia di mettersi al posto di Dio, invano vorrebbe presentarsi come paladino della dignità, della grandezza e della libertà dell’uomo, araldo dei diritti umani e della democrazia, avanguardia del progresso umano, maestro della giustizia sociale, patrono degli oppressi nella loro lotta di liberazione dagli oppressori, buon samaritano che soccorre, al posto dei preti, il miserabile assalito dai briganti,  illuminista che allontana le tenebre della superstizione.

In realtà, come vediamo dalla storia, le culture, i partiti e i regimi politici che si dichiarano fondati sull’ateismo non hanno affatto prodotto quella giustizia sociale che promettevano e nei casi migliori non sono riusciti ad elevare la qualità della condotta morale della gente, e non c’è da stupirsi, se i loro stessi princìpi etici escludono l’esistenza di valori e doveri morali assoluti.

Occorre però tener presente che l’ateo può tutt’al più andare incontro ai bisogni materiali del prossimo, ma non certo a quelli morali, religiosi e spirituali, che egli relativizza o disprezza. Per lui i «poveri» sono i poveri materialmente e basta. E se effettivamente si adopera per la causa dei poveri e degli oppressi, non lo fa affatto per amore di Dio, perché non è il pensiero di Dio che lo motiva e lo spinge, per cui non li considera creati ad immagine e somiglianza di Dio. Non lo fa per adempiere a un comando divino e per guadagnarsi il paradiso.

Nulla di tutto questo. Ma lo fa perché così gli piace, perché così ha deciso lui, perché spontaneamente la sua indole lo porta a questo, perché gli conviene per interessi politici, per farsi un nome di amante della giustizia, per ottenere appoggi o raccomandazioni, per non fare brutta figura, perché desidera di essere lodato.

Ma occorre anche tener presente che l’ateo, non ammettendo che la natura umana nella sua universalità sia creata da Dio, ma credendo che ognuno di noi determini il proprio essere come gli pare e piace, anche se parla di diritti universali dell’uomo, di libertà, uguaglianza e fraternità, di rispetto per la costituzione della Repubblica, in realtà non crede affatto nell’esistenza di valori umani universali, assoluti, immutabili ed inviolabili, per cui egli, se giudica ciò conveniente ai suoi interessi del momento, in qualsiasi momento e nel contempo  si sente libero di cambiare linea o venir meno agli impegni assunti o alle promesse fatte dove e quando vuole, senza alcuna preoccupazione di dimostrarsi incoerente o di tradire amici e congiunti o compagni di partito, ricorrendo alla doppiezza e alla menzogna e se occorre, perché no? anche alla violenza.  Non è lui che stabilisce cosa è bene cosa è male?

Ma occorre dire anche con tutta chiarezza che possono esistere e di fatto esistono persone che credono di essere atee senza esserlo veramente, perché non sanno che cosa è veramente l’ateismo, persone in buona fede che, senza loro colpa, non conoscono Cristo tematicamente o esplicitamente, ma che di fatto lo incontrano senza rendersene conto nel loro disinteressato e generoso servizio ai poveri e ai sofferenti. Bene, di costoro Cristo stesso ci dice, nel c.24 di Matteo, qual è la sorte finale: quella di essere ringraziati da Cristo stesso, con loro somma sorpresa e gioia per essere accolti nel regno di Dio.

La fenomenologia e le cause dell’odio 

L’odiatore ama ciò che dovrebbe odiare, cioè il peccato ed odia ciò che dovrebbe amare, cioè la giustizia. Gioisce per ciò che dovrebbe rattristarlo e si rattrista per ciò che dovrebbe farlo gioire.  Teme ciò che non dovrebbe temere, cioè il giudizio degli uomini, e non teme ciò che dovrebbe temere, cioè il giudizio divino.

Ama il peccato ed odia la virtù. E questo avviene perché il suo criterio di giudizio e la scala di valori non sono conformi alla volontà e alla legge divine. L’odio spinge l’odiatore ad odiare la vita e ad amare la morte. L’odio spinge l’odiatore all’omicidio, omicidio che però è già nell’uso maligno della parola: l’insulto, l’ingiuria, la diffamazione, la beffa, la derisione, la menzogna, il sarcasmo, la calunnia, la maldicenza, la denigrazione, come dice il proverbio: ne uccide più la lingua che la spada. Ma l’odiatore, se potesse, ucciderebbe anche Dio e comunque fa quello che è in suo potere: cancellare l’idea di Dio, come ebbe a dire un giorno San Giovanni Paolo II, dall’orizzonte del suo pensiero. Nihil perenne cogitat, come dice un inno dell’Ufficio divino: quella che Nietzsche chiamò la morte di Dio.

L’odio certamente nasce dalla superbia, la quale a sua volta nasce dall’odio per la verità e in particolare della verità circa il nostro giusto rapporto con Dio. Come sappiamo della divina Rivelazione a quest’odio ci ha spinti il maestro dell’odio e della menzogna, ossia il demonio. Egli ha istillato nel nostro cuore l’odio per Dio e per il fratello, facendoci credere che non Dio ma noi stessi siamo il sommo bene sommamente amabile, mentre Dio ci odia e gli uomini da Lui creati sono simili a Lui nel volere il nostro male, in sostanza nell’odiarci. 

L’odio può nascere da un irrazionale desiderio di vendetta per un torto subìto o anche per un rimprovero subìto o anche per un’eccessiva permalosità o per troppo considerazione del proprio io e del proprio buon nome o per l’orgoglio di non voler riconoscere e correggere il proprio difetto segnalato o redarguito.

Occorre però anche tener presente che, sebbene nel linguaggio corrente il termine «vendetta» abbia un senso spregiativo, nella Scrittura ha anche un senso positivo del far giustizia e in particolare di pratica della giusta punizione, come per esempio Dio dice: «A me la vendetta» (Eb 10, 30). San Tommaso, dal canto suo, spiega la possibilità e il dovere, nelle dovute circostanze, anche di una vindicatio privata, come difesa della propria vita o della propria dignità, al fine di scoraggiare l’offensore dal ripetere il gesto compiuto cessando dalla sua ostilità[3].

Il demonio, i cattivi consiglieri o il nostro stesso orgoglio ci suggeriscono viceversa di curare o difendere o far valere o rivendicare i nostri interessi ripagando l’odio con l’odio, con la differenza che mentre l’odio di Dio e degli uomini verso di noi vuole il nostro male, il nostro odio verso di loro ci appare giusto perché sembra difende i nostri interessi, che sono per noi il bene supremo.

L’odio peccaminoso è atto di una volontà malvagia che utilizza la passione dell’ira, accendendola appositamente per offendere, aggredire e danneggiare la persona odiata e farla apparire spregevole agli altri. L’odiatore colpisce e ferisce con la parola, l’insulto, l’ingiuria, la crudeltà, la vendetta, la derisione, la beffa, il sarcasmo, l’insinuazione, la menzogna, la calunnia, la denigrazione, la diffamazione, ma, come è noto, nei casi più gravi, ricorre ad ogni sorta di offesa fisica fino all’omicidio.

L’odio è connesso all’invidia. L’odiatore è un invidioso che, invece di gioire e rallegrarsi per il bene e il successo degli altri, se ne rattrista, e lo sente come un’offesa personale, che dà ombra al suo narcisismo, alla sua smania di primeggiare e alla sua brama insaziabile che tutti parlino di lui.

L’odio è omicida; invece l’amore è vivificante e fa vivere l’uomo. L’odio è principio di morte, così come l’amore è principio della vita. Ciò è tanto vero che neppure il più feroce ed implacabile odiatore, neppure il diavolo può vivere di odio. Perché odio dice di per sé negazione del bene. Ora invece la volontà, per sua essenza e per sua natura vuole un bene, anche se può essere un bene solo apparente o falso, fuori dell’ordine morale, come può essere il peccato, ossia l’odio peccaminoso, al quale qui ci riferiamo.

L’odiatore si chiude al rapporto col fratello, gli si oppone per principio, non cerca punti in comune, non cerca la reciprocità, non cerca la concordia, ma vuole il conflitto, prova gusto nel contraddirlo. Se il fratello esagera da una parte, l’odiatore gli si oppone esagerando dalla parte opposta.

L’odiatore rifiuta ogni interpretazione benevola di ciò che il fratello dice e stravolge il senso anche delle sue espressioni chiare. Litiga per un nulla, trova da ridire su tutto quello che fa e dice e interpreta sempre in male ogni sua avance, proposta, iniziativa, approccio o gesto fraterno. 

L’odiatore non perdona il fratello che chiede perdono e non gli chiede perdono, non ascolta ragioni, ma condanna inesorabilmente, senza appello. Egli conserva un rancore ostinato; non accetta le sue scuse e lo offende senza chiedergli perdono. Non lo sopporta e lo colpevolizza per i suoi errori involontari, è con lui spietato e senza misericordia, non ripara al male che gli ha fatto.

L’odiatore ignora l’odiato come se non esistesse, ignora o disprezza le sue buone qualità, fraintende volutamente quello che dice, lo accusa di cattive intenzioni che non ha, non ascolta le sue esortazioni e correzioni, si rifiuta di aiutarlo e di soccorrerlo nei suoi bisogni, si adopera per impedire che il suo benefico influsso sugli altri si diffonda, lo ostacola e lo intralcia nella sua azione, gli proibisce di compere il bene e distrugge le sue opere buone.

Viceversa si adopera per procurargli guai e nemici. Lo strumentalizza in suo favore, si finge amico per sfruttarlo, lo tradisce e lo colpisce alle spalle, gli usa una severità eccessiva, vede in lui solo difetti e nessuna buona qualità, si rifiuta di credergli e di dargli fiducia, lo maltratta, evita di correggerlo e indurlo al bene o a migliorarsi, vuole dominarlo e assoggettarlo a sé ed apparirgli superiore davanti agli altri.

Il buon senso suggerisce al discepolo di un maestro sapiente ed autorevole, che tante prove gli ha dato di bontà, saggezza e di affidabilità, di interpretare in bene anche certe parole o certi gesti insoliti o inaspettati del maestro. che a tutta prima lo scandalizzano e lo offendono.

Così viceversa ci sono certi credenti egocentrici, orgogliosi e sostanzialmente increduli, più attaccati al proprio io che a Dio, i quali, se il maestro compie uno di questi atti, subito senza chiedergli spiegazioni, senza chiedersi affatto se per caso hanno capito male, ma erigendosi a giudici inesorabili, infallibili ed inappellabili, dimenticano tutte le prove di credibilità da lui fornite e,  ingrati per tutto il bene ricevuto, si sentono terribilmente offesi e delusi, si stracciano le vesti e si scagliano con odio contro il maestro  gridando allo scandalo.

Decidono allora, sospinti dall’odio, di troncare per sempre con lui ogni rapporto, concepiscono contro di lui un odio implacabile, e per quante spiegazioni il maestro possa dare, nel caso che egli abbia errato, per quanto tali scuse siano sincere, tale essi gli chiudono nel modo più assoluto il loro cuore. Tali fedeli possono restare in pace con Dio? Nel caso che essi continuino la loro pratica religiosa, non diventerà forse essa un’ipocrisia?

La stessa cosa, benché ovviamente ad un livello morale ben superiore, ha subìto Nostro Signore da parte degli ebrei: con tutte le prove di credibilità, con tutti miracoli compiuti e tutto il bene che aveva fatto, con tutta la divina saggezza racchiusa nei suoi insegnamenti, bastò che Gesù proclamasse la sua divina Figliolanza, perché lo prendessero per un empio e un esaltato. A tale stolto e arrogante atteggiamento si sono accodati i musulmani 14 secoli fa e non c’è verso di persuadere né gli uni né gli altri. Quanto dovrà andare avanti questa tragica commedia?

Il falso profeta, l’eretico, lo scismatico, la falsa guida spirituale finge di amare Dio, ma in realtà lo odia sia rendendogli un falso culto fuori della comunione con la Chiesa e sia guidando le anime per un falso cammino, che conduce alla perdizione, facendo loro brillare un falso ideale di perfezione e di santità. Il suo amore per le anime, per conseguenza, è falso e in realtà è odio, così come pure egli odia sé stesso, «cieco guida di ciechi» (Mt 15,14).

L’odio e l’ira

Occorre distinguere l’odio dall’ira. Entrambi sono certamente peccati contro la giustizia e la carità. Ma sono caratterizzati dalle seguenti differenze.

1. L’ira è un moto improvviso, soprattutto emotivo, impulsivo, saltuario, non premeditato, ma occasionato da un improvviso insulto ricevuto;

2. È un moto di breve durata, che è più stimolato dalla passione incontrollata che voluto dalla volontà deliberata;

3. L’ira, come si accende così facilmente si spegne e si placa, allorché l’adirato è soddisfatto dell’atto commesso.

4. E per questo il moto d’ira, una volta cessato, eventualmente con una richiesta di scuse, è sufficiente per la normale ripresa dei rapporti di amicizia, applicando il monito paolino «non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). Nessuna difficoltà per la ripresa del saluto reciproco;

5. nasce da una reazione frettolosa o precipitosa, non ben controllata, dettata eventualmente da un atteggiamento di sospetto eccessivo o da falsa interpretazione. Può avere un motivo sostanziante giusto, come per esempio la volontà di correggere o rimproverare o lo sdegno per uno scandalo o per un’eresia o per una grave ingiustizia. È il modo di esprimere questo sdegno che è inappropriato e può essere offensivo o troppo severo.

6. L’ira sorge per motivi di scarso rilievo: opposte opinioni, equivoci, malintesi, pareri contrari, interessi secondari. Per questo non intacca l’amicizia e la reciproca stima di fondo, la comune scelta per Cristo.

L’odio è invece di norma un peccato più colpevole, perché

 

1.è uno stato durevole o permanente della cattiva volontà dell’odiatore contro la persona odiata, uno stato che può durare anche tutta la vita,

2. uno stato d‘animo ostile volontariamente deliberato, coltivato e mantenuto in essere, e a volte anche aumentato.

3. anche se la persona odiata ha porto le sue scuse o ha chiesto perdono e si mostra benevola o pentita, l’odiatore toglie il saluto, evita di incontrare l’odiato, si dedica a diffamarlo, a spargere menzogne sul suo conto e, se ha occasione di parlargli, lo fa sempre in modo ostile.

4. Siamo davanti a una forma di crudeltà, di spietatezza e mancanza di misericordia, che attira sull’odiatore i fulmini dell’ira divina;

5. l’odiatore è cieco nei confronti delle buone qualità del giusto. Vede solo i difetti o presunti difetti magari ingrandendoli. Se poi questo giusto è lo stesso Gesù Cristo, propaganda come verità le calunnie su di Lui, dà come realtà quelle apparenze che poterono generare scandalo, si sforza di rimpicciolire la figura di Cristo, riducendola a dimensioni puramente umane o magari patologiche;

6. fomenta e sparge l’odio, organizza campagne di odio contro il giusto, cerca di raccogliere attorno a sé seguaci, che collaborino con lui nell’opera di denigrazione e diffamazione. Così nascono le sètte, gli scismi e le eresie.

7. Il peccatore odia il giusto perché, con la sua buona fama e le sue buone opere, dà ombra al suo successo mondano e ai suoi brillanti maneggi, perchè la scelta di vita del giusto è radicalmente opposta alla sua di figlio del diavolo. Egli è sordo a tutti i richiami che gli vengono fatti perché apra gli occhi ed alle ragioni che gli vengono addotte per difendere il povero perseguitato.

 

Esempio storico di grande odiatore è stato Lutero, che, una volta ribellatosi a Papa Leone X, si scagliò con furore contro di lui per tutta la vita, lanciandogli ogni sorta di ingiurie e di false accuse e raccogliendo attorno a sé una massa di seguaci odiatori del Papa come lui.

 

Oggi sta avvenendo qualcosa del genere in certi sedicenti cattolici, i quali, ritenendosi i depositari infallibili della Sacra Tradizione, con irragionevole disprezzo delle dottrine del Concilio Vaticano II, non vedono in Papa Francesco altro che empietà, peccati, scandali ed eresie.

Fine Seconda Parte

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 marzo 2021

 


L’odio peccaminoso può avere diversi oggetti: Dio e la creatura. 

Si può odiare Dio, si può odiare sé stessi, si può odiare il prossimo e le sue opere, terrene o ultraterrene, buone o malvage (anime beate, purganti e dannate). 

Si possono odiare gli angeli, santi o decaduti. Si può odiare la natura e l’universo.

Il nichilista odia l’essere e tutto ciò che esiste.


In ogni caso, in una qualunque forma di odio peccaminoso è implicito l’odio verso Dio, perché odiare la creatura, fosse anche una formica o un insetto o un giaguaro, è odiare Dio.

Uccidere una bestia feroce o usare il vaccino contro il covid è invece un odio giusto; 
non è odiare Dio, anche se si tratta di sue creature, perché rispecchia il principio Ubi maior, minor cessat: sopprimere un bene inferiore (virus) che ostacola un bene superiore (uomo).   
 
A ben maggior ragione l’odio verso Dio implica l’odio peccaminoso per il prossimo, creato ad immagine e somiglianza di Dio, fosse anche nostro nemico. 

Immagini da internet





[1] Sum. Theol., II-II, q.34, a.2.

[2] Ibid., ad 3m.

[3] Cf Sum. Theol., II-II, q.108.

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