Clericalismo e rahnerismo

 Clericalismo e rahnerismo

Il clericalismo dipende da un errata concezione del sacerdozio

Il Santo Padre nella recente intervista televisiva concessa a Fazio ha ripetuto la condanna di quello che egli considera il male maggiore della Chiesa di oggi: il clericalismo. Francesco, come è suo solito, non si sofferma nel definire che cosa intende con l’uso di certi termini. Tuttavia in questo caso si è espresso più volte con sufficiente chiarezza.

Il clericalismo è l’abuso che il clero fa del suo potere spirituale per dominare le anime anziché servirle, per ottenere prestigio e successo anziché seguire Cristo crocifisso, per annunciare le proprie idee anziché il Vangelo, per impinguare il portafoglio anziché la propria anima, per soddisfare il proprio egoismo anziché servire i poveri, e per accontentare le più basse passioni, anziché condurre una vita ascetica e morigerata.

Il clericalismo è una forma di tirannide o di prepotenza del clero a danno dei fedeli. Le pecore del gregge non sono curate dal pastore, ma sfruttate per i suoi interessi. Esistono due forme di clericalismo a seconda di come il pastore imposta il rapporto pastorale-dottrina e misericordia-giustizia. Il clericalismo preconciliare era un clericalismo dottrinario e giustiziere: quello postconciliare è pastoralista e misericordista.

Il clericalismo preconciliare mancava nella misericordia ed imponeva la verità con durezza. Il clericalismo postconciliare trascura il dovere di insegnare e di confutare, e scende a patti con l’errore in nome della pastorale e della misericordia.

Il clericalismo preconciliare riconosceva che il pastore, oltre alla misericordia, deve esercitare la giustizia, ma in pratica esercitava solo la giustizia. Invece il clericalismo postconciliare sostiene che il pastore dev’essere soltanto e sempre misericordioso, ma in pratica infrange la giustizia. Il clericalismo preconciliare esercitava la violenza in nome della verità. Quello attuale pratica la violenza in nome della misericordia.

Il Papa, nella descrizione del clericalismo, ci dà uno sguardo d’insieme sufficientemente caratterizzato, ma non entra in questi  dettagli e nelle diversificazioni di questo triste e scandaloso fenomeno, che turba i  buoni, piace ai nemici di Cristo, allontana i fedeli dalla Chiesa, impedisce conquiste missionarie e la conversione dei peccatori, suscita l’irrisione dei non-credenti onesti, genera divisioni, antagonismi e fazioni nella Chiesa, diffonde l’ingiustizia, blocca la misericordia, conduce le anime alla perdizione.

Il clericalismo è una condotta morale perversa, ma più in radice dipende da una falsa concezione del sacerdozio. Un sacerdote può conoscere i propri doveri ed esser stato ordinato validamente, in base a una retta concezione del sacerdozio da parte del Vescovo ordinante a sua volta validamente ordinato, quindi vero Vescovo.  Con tutto ciò capita che il sacerdote non mette in pratica quei doveri, che pur conosce.

Ma noi comprendiamo facilmente quanto più danno fa un sacerdote nato da una falsa vocazione o, peggio, ordinato sulla base di una falsa concezione del sacerdote, eventualmente influenzata da idee luterane o moderniste. Questo sacerdote può non rendersi conto di concepire il proprio sacerdozio in modo errato, per cui – benchè ciò sia assai improbabile – resta innocente davanti a Dio. Ma ciò non toglie che il danno lo faccia lo stesso.

Per quanto riguarda i passatisti, bisogna riconoscere che essi  hanno un concetto dogmatico esatto del sacerdozio, che essi prendono dal Concilio di Trento ed eventualmente dallo stesso S.Tommaso, ma il loro difetto è dato dal fatto che essi, non accettando le dottrine del Concilio Vaticano II da loro ritenute moderniste, respingendo quindi la Messa novus ordo e il Magistero dei Papi del postconcilio, anche se validamente ordinati in base a una retta concezione dogmatica del sacerdozio, benché possano essere animati da molto zelo e offrire rimedio a certi mali della Chiesa di oggi, la loro pastorale, basata solo sugli insegnamenti della Chiesa preconciliare, non può corrispondere alle necessità e prospettive pastorali e spirituali dei tempi di oggi, assai diversi da quelli di un S.Pio X o Pio XII, oltre al fatto che, occorrendo al sacerdote per  l’esercizio del ministero della confessione la giurisdizione da parte del vescovo e non essendo in piena comunione col Papa, non si vede come il loro esercizio di quel ministero possa essere valido.

Ma la forma di clericalismo più diffusa, più insidiosa, più pericolosa, più potente e più dannosa è quella dei rahneriani. Mentre infatti i passatisti sono al di fuori degli ambienti del potere ecclesiale, i rahneriani, grazie ad una metodica ed inarrestabile scalata al potere che dura dall’immediato postconcilio, atteggiandosi falsamene a promotori della riforma conciliare, con le loro fascinose menzogne, dotati di potenti mezzi finanziari e di un efficace apparato pubblicitario, attivissimi nelle loro imprese, approfittando della mancata vigilanza dell’episcopato, sono ormai riusciti ad essere presenti negli ambienti più influenti del potere ecclesiale:  nella curia romana, nel collegio cardinalizio, tra i vescovi,  nelle facoltà pontificie, negli ordini religiosi, nei movimenti ecclesiali fino alle parrocchie.

Il clericalismo rahneriano si basa su di un’errata concezione del sacerdozio, che qui riassumo brevemente, rimandando a una conferenza che feci nel 2009 ad un Convegno teologico internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata[1].

Rahner considera indubbiamente il sacerdote come un uomo di Dio, una guida spirituale e un mistagogo, uomo di Chiesa, presidente della comunità e dell’assemblea liturgica, maestro di umanità e ministro di Cristo. Egli tuttavia non lo vede come l’uomo del sacro in quanto distinto dal profano, perché per Rahner, in forza del suo immanentismo, il profano è già sacro. Ma allora possiamo vedere come è facile il capovolgere questo rapporto: il sacro si identifica col profano, e quindi la profanazione del sacro. Ed eccoci subito nel cuore del secolarismo e della mondanità clericale.

In secondo luogo, Rahner nega la specifica essenza del sacerdozio: l’offerta del sacrificio cultuale. Ciò dipende dal fatto che Rahner nega la soddisfazione vicaria data al Padre che Cristo Sacerdote ha operato per giustizia con la sua beatissima passione come sacrificio di espiazione per la remissione dei peccati.

Anche il fatto che Rahner sia favorevole al sacerdozio della donna è segno evidente che egli ha un concetto errato del sacramento dell’Ordine, il quale richiede che la materia del sacramento sia il sesso maschile. Sostituire il sesso femminile a quello maschile vuol dire annullare il sacramento.

La concezione rahneriana del sacramento dell’Ordine

rende invalido lo stesso sacramento 

Dunque il Vescovo o il presbitero che fosse stato ordinato tale da un Vescovo rahneriano o un Vescovo rahneriano che ordinasse un presbitero, sarebbero nelle rispettive condizioni o di ordinare o di essere ordinati invalidamente. L’ordinazione è invalida sia nel caso che sia rahneriano l’ordinante, sia che lo sia l’ordinato. Perché non sarebbe rispettata la verità e quindi l’autenticità del sacramento.

Sono casi simili a quelli dei matrimoni invalidi. Si potrebbe fare un paragone con le ordinazioni anglicane. Invece le ordinazioni ortodosse o lefevriane sono valide, perché suppongono la retta concezione del sacramento, anche se sono fatte senza la comunione col Papa.

Al male del clericalismo si rimedia con la formazione di buoni sacerdoti, secondo le indicazione del Magistero, che nella linea del decreto Presbyterorum Ordinis del Concilio Vaticano II, al quale hanno fatto seguito altri documenti, come per esempio l’Esortazione apostolica postsinodale Pastores dabo vobis di S.Giovanni Paolo II del 1992 o il Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri della Congregazione per il Clero del 1994 o la Lettera di Benedetto XVI per l’indizione di un anno sacerdotale in occasione del 150° anniversario del dies natalis del Santo curato d’Ars del 2009.

Noi abbiamo dei buoni sacerdoti se abbiamo dei buoni Vescovi. Purtroppo il decreto conciliare Christus Dominus sull’ufficio pastorale dei Vescovi è piuttosto fiacco, non dà forza al ministero episcopale. Si limita a parlare di «dialogo», di «carità», di «comprensione», di «mitezza», di «umiltà», di «prudenza», di«amicizia» (n.13). Appena un accenno al dovere di custodire, difendere e propagare la dottrina (ibid.).

Ci sarebbero state benissimo la parole di S.Paolo a Timoteo (II Tm, 4, 2-5), il quale impartisce al Vescovo istruzioni essenziali e sempre valide. Eccole:

«Annunzia la Parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, confuta (èlenxon, argue)[2], rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina. Verrà giorno infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunciatore del Vangelo, adempi al tuo ministero».

Il Concilio non seppe prevedere

l’esplosione di modernismo che avrebbe fatto seguito

all’emanazione dell’infelice decreto sul ministero episcopale 

Invece la maggioranza dei Padri, attratta dalle sirene criptomoderniste, si lasciò prendere da una speranza che il messaggio conciliare avrebbe incontrato il consenso del mondo e che per la diffusione della verità non occorreva più confutare o condannare, ma era sufficiente incontrarsi nelle verità comunemente condivise.

Essi non dettero ascolto ad una minoranza di Padri saggi, i quali viceversa avvertivano che occorreva, accanto alla condivisione, mantenere l’essenziale compito della confutazione, che smaschera l’insidia nascosta e avverte del pericolo latente. Ma l’atmosfera che si era creata di dialogismo e buonismo, subdolamente diffusa tra i Padri dai rahneriani, aveva generato un falso ottimismo.

Così questi Padri, che meritavano di essere ascoltati, furono invece sprezzantemente bollati dalla corrente progressista come «conservatori» dalle ristrette vedute, acidi polemisti, che non capivano la nuova era di fraternità universale che si stava inaugurando, e che facevano resistenza al rinnovamento conciliare. E invece avevano ragione. Infatti quel «giorno» sciagurato che Paolo prevedeva, sarebbe stato proprio di lì a poco l’esplosione della contestazione del 1968 e l’uscire allo scoperto dei rahneriani, i quali, se pure al Concilio avevano dato un buon contributo, tuttavia resisi conto che, essendo l’atmosfera a loro favore, avrebbero potuto impunemente uscire allo scoperto, lo fecero senza timore, sicuri del successo, prendendo la mano all’episcopato ed agli stessi Pontefici del postconcilio. E così di fatti è accaduto.

Non si meravigli il lettore di queste mie critiche al Concilio, del tutto lecite, fondate ed autorizzate a suo tempo dallo stesso Papa Benedetto XVI, egli stesso a suo tempo appartenuto alla corrente progressista dei Padri conciliari e addirittura collaboratore di Rahner durante i lavori del Concilio. Tuttavia, sin dall’immediato postconcilio Ratzinger, accortosi dell’exploit modernista di Rahner, si separò immediatamente da lui e in seguito lo criticò severamente accusandolo di panteismo[3].

Ebbene, Benedetto XVI in un incontro con i lefevriani, ebbe a dir loro che se volevano essere in piena comunione con la Chiesa dovevano accettare le nuove dottrine del Concilio, mentre sulla parte pastorale si poteva discutere. Ora quale parte più pastorale era quella che il Concilio dedicava al ministero  dei Vescovi?

Perché i lefeveriani, così giustamente attenti al valore del sacramento e dei gradi dell’Ordine, nonchè al dovere della Gerarchia di vigilare sulla dottrina e di combattere gli errori, non hanno approfittato per entrare in questa porta che il Papa stesso «progressista» apriva  loro? Non si erano accorti di quanto questo Papa magnanimo andava incontro alle loro giuste istanze? Perché si sono intestarditi invece nelle stolte accuse dottrinali al Concilio, con la conseguenza di restare nello scisma e nella ribellione al Romano Pontefice?

Per questo è una cosa veramente strana che i passatisti continuino a polemizzare anacronisticamente contro documenti dogmatici o dottrinali del Concilio, come la Lumen Gentium, la Dei Verbum, la Nostra Aetate, la Dignitatis humanae o l’Unitatis redintegratio, e non pensino a criticare la Christus Dominus, che invece sarebbe proprio il documento pastorale più discutibile del Concilio a causa del suo buonismo ed utopismo, un documento che è atto a produrre Vescovi opportunisti, salvando naturalmente i casi di buoni, ottimi e santi Vescovi, difetti che sono sotto gli occhi di tutti e piacciono solo a coloro che fanno del cristianesimo – è il meno che si possa dire – un modo per sbarcare il lunario.

A questo punto possiamo, approfittando del permesso di Benedetto XVI - concedere qualcosa a Mons. Williamson e a Mons. Viganò quando dicono che il Concilio andrebbe rifatto da capo. Loro esagerano perché vorrebbero che fossero rifatti i documenti dottrinali, cosa impossibile, perché quando la Chiesa insegna una nuova dottrina, non torna mai indietro, ma, per quanto riguarda l’insegnamento del Concilio sui doveri del Vescovo, hanno ragione.

Per rialzare le sorti della vigna del Signore, oggi percorsa ed assalita da bestie di ogni genere, occorre che i pastori recuperino l’esempio dei Santi Vescovi del preconcilio, quelli che in comunione col Vicario di Cristo, hanno veramente saputo tenere alta la dignità episcopale, non per far sfoggio di clericalismo, ma per servire, fino a dare la vita, il popolo santo di Dio guidandolo ai pascoli della vita eterna.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 febbraio 2022

 

La confutazione è l’arte e il merito dei grandi filosofi greci .

E vediamo come un San Paolo spesso la pratica. 

Tutti i grandi e santi Vescovi del passato ne hanno fatto uso.

 



Immagine da internet: Predica di San Paolo - 1560 - Museo Civico degli Eremitani -  Padova

 

 



[1] Il sacerdozio ministeriale. «L’amore del Cuore di Gesù» a cura di Stefano Manelli e Serafino Lanzetta, Casa Mariana Editrice, Frigento 2010.

[2] Un riflesso del clima buonistico ultrapastoralistico postconciliare si ha addirittura nella traduzione di questa fondamentale parola elènchein, arguere, che viene tradotta dalla CEI con «ammonire», che non si riferisce alla dottrina, ma alla pastorale. Invece l’opera della confutazione è essenziale al buon Vescovo. Essa consiste nel dimostrare argomentativamente che l’errante ha torto. La confutazione è l’arte e il merito dei grandi filosofi greci E vediamo come un San Paolo spesso la pratica. Tutti i grandi e santi Vescovi del passato ne hanno fatto uso. Oggi invece dov’è il Vescovo che sa denunciare, confutare e correggere gli errori e le eresie? E non è che oggi manchi materia di giudizio. Perché lasciare questo ufficio ai Vescovi lefevriani?

[3] Cf Les principes de la théologie catholique, Téqui, Paris 1981, pp.179-190. A seguito di questa coraggiosa presa di posizione Ratzinger fu fatto da San Giovanni Paolo II Prefetto della CDF.

2 commenti:

  1. Caro padre,
    una sua frase non sarebbe stata eccessivamente dura verso la fine dell'articolo?
    "...e l’uscire allo scoperto dei rahneriani, ...avrebbero potuto impunemente uscire allo scoperto, lo fecero senza timore, sicuri del successo, prendendo la mano all’episcopato ed agli stessi Pontefici del postconcilio. E così di fatti è accaduto".
    Non è forse attribuire troppe responsabilità ai Papi postconciliari nella diffusione del rahnerismo e del modernismo?

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    1. Caro Silvano,
      capisco le sue parole, tuttavia non posso che ribadire quello che ho detto, che è largamente documentato da studi molto seri. Parlare di responsabilità dei Pontefici santi, come Giovanni XXIII e Paolo VI, non mi sembra il caso. Il fatto è che, al termine del Concilio, i Padri del Concilio condividevano le grandi speranze di Papa Giovanni in una nuova Pentecoste, la quale viceversa non c’è stata assolutamente.
      Le faccio un esempio. I vescovi si erano convinti che sarebbero arrivate moltissime vocazioni sacerdotali, per cui spesero somme favolose per costruire seminari grandiosi, ma purtroppo in maniera inaspettata nel giro di pochi anni ci furono decina di migliaia di defezioni.
      Di chi fu la colpa? Non certo dei Papi, ma in seguito a studi recenti si è potuto appurare che già durante i lavori del Concilio ci fu un abilissimo complotto segreto ad opera di teologi nordeuropei filoprotestanti, capeggiati da Rahner, i quali, dopo aver messo sul candelabro il loro beniamino, che effettivamente ha fatto del bene, hanno avuto la possibilità che i seguaci di Rahner uscissero allo scoperto con grandi mezzi pubblicitari ingannando vaste porzioni di pubblico col far credere che i rahneriani fossero gli interpreti del Concilio, quando invece ne erano i falsificatori.
      Quindi la responsabilità del disastro postconciliare, che è arrivato come una specie di tsunami o di una alluvione, non va attribuita ai Papi che di ciò nulla si aspettavano, ma va attribuita a questi complottisti, che hanno agito nell’ombra e una volta usciti allo scoperto hanno acquistato un tale prestigio che i Papi sono stati presi in contropiede, per cui a quel punto era impossibile fermarli ed è stato meglio far buon viso a cattivo gioco, apprezzando peraltro i lati buoni della loro teologia.

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