Il contenuto del Vangelo secondo il Papa

 Il contenuto del Vangelo secondo il Papa

Nota esplicativa circa una frase del Santo Padre 

Nell’omelia della Messa in San Pietro per la Comunità Filippina il 21 marzo scorso il Papa ha affermato che «il contenuto del Vangelo non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù». Che cosa ha inteso dire?

A tutta prima, infatti, questa affermazione sembrerebbe essere l’espressione di una gnoseologia esistenzialistica sul tipo di quella di Guglielmo di Ockham o di Heidegger, per i quali l’intelletto non coglie l’esistente mediante contenuti concettuali ossia mediante dottrine, che esprimano in modo astratto l’essenza di questo esistente, ma lo colgono direttamente, sperimentalmente o intuitivamente, eventualmente in modo affettivo, nella sua concretezza esistenziale.

Il pensiero, in questa concezione, non conterrebbe concetti, giudizi o dottrine mediante i quali esso si rappresenta il reale esterno, ma avrebbe presente a sé direttamente questo reale esterno nella sua concretezza e singolarità esistenziale. Per questo, se io penso ad una persona, io non la colgo mediante un mio concetto di quella persona, ma semplicemente facendo esperienza di quella persona.

 Se poi questa persona non mi è direttamente presente, perché è vissuta nel passato, io non ho bisogno di conoscerla mediante concetti astratti ed universali, ma è sufficiente che io, per esempio, legga un libro che parli di quella persona, perché il contenuto del mio pensiero sia immediatamente ed intenzionalmente quella stessa persona.

Infatti, secondo l’esistenzialismo, non è il concetto, ma è il linguaggio che coglie il reale. Per esempio, un libro che parla di Garibaldi si esprime in un linguaggio? Certo. Ebbene, perché io sappia chi è stato Garibaldi non è necessario che io mi faccia un concetto di Garibaldi, ma è sufficiente che io legga il libro.

Infatti, secondo l’esistenzialismo, il libro non contiene un pensiero o una dottrina su Garibaldi, ma contiene lo stesso Garibaldi, nel senso che, egli è atematicamente raggiunto o sperimentato in questa conoscenza esistenziale mediante il semplice linguaggio, anche se si tratta di una realtà del passato. È la teoria nominalistica di Ockham[1], che assegna alle parole la funzione gnoseologica dei concetti, dei quali, come si sa, Ockham nega l’universalità.

Oppure si può dire che l’esistenzialista ammette sì il pensare, ma per lui il pensare non avviene mediante dottrine; il pensare non contiene concetti che gli consentano di avere come contenuto il reale, ma il pensiero ha come contenuto direttamente il reale senza bisogno della mediazione di contenuti concettuali.

Ora dovrebbe essere chiaro che una simile gnoseologia è errata ed eccessivamente pretenziosa. Non è la mente umana che ha per contenuto direttamente il reale, ma è la mente divina, la quale, ideatrice e creatrice del reale, lo ha presente a se stessa immediatamente ed aprioricamente senza bisogno come noi di conoscere il reale mediante concetti ricavati per astrazione dall’esperienza sensibile della realtà esterna.

Quindi un libro scritto da un uomo, si tratti pure, come nel caso del Vangelo, di rivelazione divina, che fa? Non fa che trattare, mediante concetti e dottrine, della persona di Cristo, rimanda a quella persona, fa conoscere quella persona, mette a contatto con quella persona, ma non contiene la persona in se stessa, a meno che non ridurre quella persona al concetto di quella persona. Ma allora si cadrebbe nella gnoseologia idealistica, che riduce l’essere al pensiero o la cosa al concetto della cosa, come fa Hegel.

Così, venendo al Vangelo, che cosa è il Vangelo? Un libro che contiene immediatamente Gesù Cristo? No. Un libro, come si è detto, contiene dei concetti, delle proposizioni e dei giudizi, contiene dei pensieri, che potranno essere memorie, racconti, teorie, dati scientifici, precetti, insegnamenti o dottrine, ma non non contiene, non può contenere la concreta realtà stessa di una data persona concreta in carne ed ossa, così come il grembo della madre contiene il proprio figlio. E il Vangelo, che, sotto questo punto di vista, è un libro come tutti gli altri, non fa eccezione a questa regola del pensare umano e della comunicazione umana.

Quindi il Vangelo non è una formula magica o spiritistica che ci fa apparire l’anima del defunto appena la pronunciamo, ma è un modestissimo ed umile libretto,  che contiene una collezione di concetti  umani, i quali, però, elevati di significato dal Verbo divino, e interpretati dalla Chiesa, se noi li mettiamo in pratica, ci mettono in contatto esistenziale e salvifico con il nostro Salvatore.

Il Vangelo, dunque, contiene il messaggio di Cristo, il racconto della vita di Cristo, gli insegnamenti e la dottrina di Cristo e su Cristo e il ricordo di Cristo. Ma non contiene Cristo come un recipiente concreto e sussistente contiene al suo interno un’altra realtà concreta.

 Sotto questo punto di vista si può e si deve dire che è il sacramento dell’Eucaristia a contenere realmente Cristo, corpo, sangue, anima e divinità. Per cui chi fa la Comunione, non si fa un concetto di Cristo, non ascolta semplicemente Parola di Dio, ma si nutre dello stesso Cristo e della Parola di Dio fatta carne. Quindi nell’Eucaristia, effetto della Santa Messa, non abbiamo solo una rappresentazione concettuale di Cristo come nel Vangelo, ma abbiamo Cristo realmente presente sull’altare e fra di noi.

Un conto infatti è il contenere intenzionale o concettuale, proprio di un testo letterario, o il contenuto di pensiero espresso in un libro, fosse pure il Vangelo. E un conto è il contenere realmente Cristo, da parte di una realtà sacramentale concreta come l’Eucaristia, così come una realtà ne contiene un’altra.

Interpretare dunque le parole del Papa come se il Papa fosse un esistenzialista sarebbe totalmente fuorviante e profondamente offensivo della sua intelligenza e della sua fede, come se il Papa fosse uno stolto che non conosce neanche il funzionamento normale dell’intelligenza umana e il suo rapporto con la prassi.

Dunque la corretta interpretazione delle parole del Papa è la seguente: egli ha inteso dire che la dottrina evangelica è finalizzata all’incontro esistenziale con Cristo, che non ci si deve chiudere come gli gnostici dentro ai concetti, fossero pure verità di fede, senza un contatto pratico con la realtà di Cristo, che essi rappresentano e che perciò a nulla servirebbe, anzi sarebbe condannabile, conoscere anche tutto il sistema teologico di S.Tommaso d’Aquino, se poi non si mettesse in pratica il Vangelo in un’affettuosa unione con Cristo e in una dedizione sincera ai bisogni del prossimo.

Dunque le parole del Santo Padre non vanno prese alla lettera, ma occorre capire che cosa egli ha inteso dire. Egli ha voluto dirci che il Vangelo, per quanto la sua conoscenza sia necessaria e preliminare alla salvezza, non è una semplice dottrina su Cristo o di Cristo. Per quanto perciò sacrosanta sia la dottrina di Cristo, essa è solo finalizzata al contatto concreto e alla comunione vitale e sacramentale con Cristo stesso vivo e presente.

Scopo del Vangelo è di condurci all’Eucaristia.  Questo ha inteso dire il Papa. Egli è giustamente preoccupato che si eviti un concetto idealistico o gnostico del Vangelo o del cristianesimo, per il quale il pensiero o l’idea, invece di proiettarsi  sul reale, gira narcisisticamente su se stesso, un pensiero o un’idea per i quali la trascendente ed infinita realtà di Cristo si rimpicciolisce e si risolve in un’idea, in un sistema concettuale o negli schemi astratti delle ideologie o degli indottrinamenti e nelle imposizioni dei fondamentalismi e dei proselitismi della superbia umana.

Non c’è da spendere molte parole per ricordare che il Papa, ogni Papa, è il supremo maestro, custode ed interprete in terra della sacra dottrina di Cristo, che è la dottrina del Vangelo, e quindi è censore delle false dottrine, affinché il popolo di Dio affidatogli da Cristo, sia abbondantemente nutrito dalla Parola di Dio e possa raggiungere i pascoli della vita eterna.

P. Giovanni Cavalcoli 

Accademico Pontificio

Fontanellato, 15 marzo 2021



[1] Ockham spiega come l’intelletto coglie il reale sostituendo  la funzione rappresentativa del concetto con il concetto inteso come termine o parola o nome col quale si designa la cosa stessa, che adesso non è raggiunta mediante una rappresentazione mentale astratta ed universale, ma è immeditate intuìta nella sua concretezza esistenziale nel nome che la designa. Cf O.Todisco, G.Duns Scoto e Guglielmo d’Occam. Dall’ontologia alla filosofia del linguaggio, Libreria Universitaria, Cassino 1989, p.122. L’impostazione occamistica riappare nella cosiddetta «filosofia analitica» della scuola di Oxford negli anni ’60 del secolo scorso, col proposto di sostituire, nel sapere teologico, le nozioni della metafisica con la sistemazione logico-grammaticale dei termini del linguaggio religioso. Cf D.Antiseri, Filosofia analitica e semantica del linguaggio religioso, Queriniana, Brescia 1969.


 

Nell’omelia della Messa in San Pietro per la Comunità Filippina il 21 marzo scorso il Papa ha affermato che «il contenuto del Vangelo non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù».

 Che cosa ha inteso dire?

  

Immagine da internet

10 commenti:

  1. Padre Cavalcoli, stavolta io sono d'accordo con il papa; con lei, in parte sì e in parte no. Io ho sempre creduto che leggendo il Vangelo, io ascoltassi direttamente Gesù che parlava. Allo stesso modo, per es., quando ho letto che Mosè parla con Dio davanti al roveto ardente, per me l'autore non c'è, ma c'è Dio che parla. Anzi, ad essere sincero, io per anni non ho saputo chi fosse l'autore del Vecchio Testamento, per leggendolo e conoscendolo discretamente. Adesso mi fa la distinzione tra l'autore e ciò che questi riferisce. Scusi la bestemmia, ma in questo caso mi tenta di dire che l'Eucarestia sia solo un segno e non il Corpo di Cristo. Inoltre, con la distinzione tra l'autore e l'opera, nasce un problema ermeneutico di non facile soluzione, perché la prima domanda che sarei costretto a pormi è: ha riportato il vero o ha lavorato di fantasia, dato che noi uomini siamo attratti dalle belle favole? Certo io non voglio mettere in dubbio la Tradizione, che è importantissima per integrare ciò che non è stato scritto, però io al massimo le concederei che il Cristo, che leggo dai Vangelo, è solo una sua reale prospettiva e che per la sua conoscenza complessiva sia necessaria anche la millenaria tradizione; e ci aggiungerei come indispensabile anche la lettura di quanto i Padri della Chiesa hanno espresso durante i secoli. Grazie della benevolenza con cui mi vorrà leggere e arrivederci alla prossima. Intanto le porgo i miei più sinceri auguri per la prossima Santa Pasqua del Signore.

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    1. Caro Giuseppe, rispondo alle sue obiezioni.
      1. Lei dice: "Io ho sempre creduto che leggendo il Vangelo, io ascoltassi direttamente Gesù che parlava". Ma chi lo nega? Questo è evidente! E' chiaro che Lei non ha colto la difficoltà interpretativa che nasce o può nascere da una prima lettura delle parole del Santo Padre. Egli infatti dice: "il contenuto del Vangelo non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù". Ora, se vogliamo essere precisi, il contenuto di un libro, che cosa è se non una dottrina, cioè un insieme di parole e di concetti? Ora Gesù non è una dottrina, ma una persona in carne ed ossa. E quindi come fa ad essere il contenuto di un libro come il Vangelo? Quindi nel iVangelo noi leggiamo delle parole dette da Gesù, una dottrina insegnata da Gesù. Quindi il Vangelo contiene una dottrina insegnata da Gesù, non contiene Gesù, ma rimanda a Gesù che è l'autore di quella dottrina che è insegnata dal Vangelo.
      E' possibile comunque che il Santo Padre con quelle parole intendesse dire che il Vangelo non espone una dottrina come potrebbe fare un trattato di filosofia o di teologia, ma ci parla di Gesù. Resta sempre comunque che il Vangelo indubbiamente contiene la dottrina di Gesù, che ci è spiegata dalla dottrina della Chiesa e della quale si prende cura la Congregazione Romana della Dottrina della Fede come aiuto del Papa nel suo magistero di Maestro della fede
      2. La distinzione fra l'autore e ciò che l'autore dice è una distinzione di palmare evidenza, che la fa anche un bambino delle scuole elementari, quando distingue il compagnuccio Paoletto dal quaderno scritto da Paoletto. Un conto è Gesù e un conto è il contenuto del Vangelo. Gesù é Gesù mentre il Vangelo parla di Gesù. Sono stato chiaro?

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  2. Nell’enciclica Redemptoris Missio di san Giovanni Paolo II si legge:
    “[…] Gesù è lui stesso la "buona novella", come afferma già all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore (Lc 4,14). Essendo la "buona novella", in Cristo c'è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il segreto dell'efficacia della sua azione sta nella totale identificazione col messaggio che annunzia: egli proclama la "buona novella" non solo con quello che dice o fa, ma con quello che è.”
    Forse con l’espressione “il contenuto del Vangelo non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù” Papa Francesco, intendeva anche sintetizzare, in qualche modo, quanto sopra espresso dal suo predecessore polacco.

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    1. Caro Bruno, non c'è dubbio che Gesù è Parola fatta Persona, cioè sussistente.
      Tuttavia è evidente che il Vangelo è un insieme di parole. Che cosa sono queste parole? Certo, non sono Gesù, ma sono parole umane nelle quali Gesù esprime la sua dottrina, si manifesta a noi e nel contempo sono parole che ci parlano di Gesù.
      Quindi, in Gesù bisogna distinguere la Parola, ossia il Verbo, la Persona divina, e le parole di Gesù, ossia la sua dottrina, come uomo.
      Quindi c'è la Parola e le parole, il divino e l'umano.
      Gesù, uomo e Dio, è la Parola, che si esprime in un insieme di parole, cioè in una dottrina, che è la dottrina del Vangelo o la dottrina di Gesù.
      In questo senso dobbiamo dire che il Vangelo propriamente contiene delle parole, che ci parlano della Parola.
      In tal senso credo anch'io che ci colleghiamo con quanto ha detto San Giovanni Paolo II, per cui mi pare che il tuo accostamento sia giusto.

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  3. Caro Padre Cavalcoli:
    In riferimento a questo stesso problema, Lei spesso ha affermato che il Papa non può peccare contro la fede e che affermare il contrario è cadere nell'eresia.
    Come dice il c. di diritto canonico nel canone 751 "Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa", gli chiedo: Dov'è ha definito che è da credere con fede divina e cattolica che il Papa non può peccare contro la virtù della fede?
    Grazie

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    1. Caro Marquez, la dichiarazione del magistero, ricavata dal Concilio Vaticano I, anche se non fa parte della definizione dogmatica dell’infallibilità pontificia, tuttavia ne è l’introduzione, che ovviamente è vincolante in coscienza.
      D’altra parte su questo argomento non c’è bisogno di una definizione dogmatica, tanto la cosa è evidente.
      Infatti, in questa questione dell’eventuale papa eretico, entra in gioco addirittura la credibilità di Nostro Signore Gesù Cristo.
      Per quale motivo? Perché noi evidentemente dobbiamo credere al Signore quando Egli ha affidato a Pietro il compito di confermare i fratelli nella fede.
      Ora, è evidente che ogni Pontefice, come insinua il Concilio Vaticano I, per poter assolvere a questo compito sovrumano, dove la fallibilità è inevitabile, deve necessariamente possedere una fede di tale forza da non poter mai venir meno, il che è come dire che un Papa non può mai essere eretico, almeno secondo la definizione del Diritto Canonico.
      E’ possibile che a un Papa scappi qualche frase che sa di eresia, ma non gli si deve dare alcuna importanza, perché un atto di questo genere riflette solamente la sua debolezza umana, che nulla ha a che vedere con il carisma della infallibilità petrina.
      Questa tesi che espongo è evidente. Non c’è bisogno di una definizione dogmatica. Infatti se il Papa si ingannasse ed ingannasse la Chiesa in materia di fede, non potrebbe più essere quella roccia sulla quale Cristo ha fondato la Chiesa, ma un fatto del genere si ritorcerebbe contro la promessa di Cristo.
      Il che vuole dire che si finirebbe per accusare Cristo di essere un impostore. Te la senti, tu di fare a Cristo una accusa del genere?

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  4. Padre Cavalcoli, mi permetta di aggiungere un'altra cosa al mio precedente commento e domanda. Vorrei, per favore, che rispondeste alla mia domanda con qualche definizione di Magistero, pontificio o conciliare, se esiste, non una conclusione teologica.
    Grazie mille per aver fatto luce su questo argomento.

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    1. Caro Marquez, come puoi vedere da questo brano del Concilio Vaticano I, c’è l’affermazione che i Sommi Pontefici Romani hanno sempre conservata pura la retta fede.
      Proprio i Padri del quarto Concilio di Costantinopoli, ricalcando le orme dei loro antenati, emanarono questa solenne professione: “La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. E poiché non è possibile ignorare la volontà di nostro Signore Gesù Cristo che proclama: “Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa”, queste parole trovano conferma nella realtà delle cose, perché nella Sede Apostolica è sempre stata conservata pura la religione cattolica, e professata la santa dottrina. Non volendo quindi, in alcun modo, essere separati da questa fede e da questa dottrina, nutriamo la speranza di poterci mantenere nell’unica comunione predicata dalla Sede Apostolica, perché in lei si trova tutta la vera solidità della religione cristiana” [Ex formula S. Hormisdae Papae, prout ab Hadriano II Patribus Concilii Oecumenici VIII, Constantinopolitani IV, proposita et ab iisdem subscripta est].
      http://www.vatican.va/archive/hist_councils/i-vatican-council/documents/vat-i_const_18700718_pastor-aeternus_it.html

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  5. Grazie, padre Cavalcoli.
    Le citazioni del Magistero che avete indicato, credo, confermano la sua notevolisima distinzione teologica tra grazia magisteriale (indefettibile) e grazia pastorale o di governo (defettibile) del Romano Pontefice. Suppongo che dall'impossibilità che il Papa possa peccare contro la virtù della fede sia chiaramente dedotto il fatto che non possa mai insegnare l'errore (infallibilità nell'insegnamento, assistito dalla grazia magisteriale).

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    1. Caro Marquez,
      hai colto molto bene quanto intendevo dire.
      E si tratta di cose molto importanti, che ti danno, in linea di principio, il criterio per poter distinguere nel comportamento di un Papa quelle cose dove egli può mancare, e che quindi possono essere criticabili, da quelle cose dove non può sbagliare, e quindi dev’essere sempre obbedito.

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