Il rapporto del Papa con la dottrina di Gesù Cristo

 Il rapporto del Papa con la dottrina di Gesù Cristo

Due princìpi della dottrina cattolica

 in apparente contraddizione fra di loro

Uno dei principali problemi che tormentano molti oggi è quello di avere le idee chiare sulla considerazione che noi fedeli dobbiamo avere degli insegnamenti del Papa in rapporto alla dottrina di Gesù Cristo.

Esiste infatti un duplice problema. Uno: che valore ha l’interpretazione che il Papa dà della dottrina di Gesù Cristo? E l’altro: con quale criterio interpretare ciò che il Papa dice circa o in relazione alla dottrina di Gesù Cristo?

Ora è certo per noi cattolici che il Papa è, nella Chiesa, colui che ci chiarisce definitivamente la verità circa certi punti della dottrina di Cristo, punti attorno ai quali non riusciamo a metterci d’accordo su quale sia l’interpretazione giusta. 

Tuttavia vi sono altri che si considerano cattolici, i quali invece sostengono che i dogmi della Chiesa o gli insegnamenti dottrinali dei Concili, sanciti o proclamati dai Papi, non sono sentenze definitive ed irreformabili, tali da potere esprimere verità immutabili ed universali, perché non esistono verità universali ed immutabili, ma il vero è relativo ai tempi e ai luoghi, per cui la stessa dottrina di Cristo in questi 2000 anni è andata soggetta a un mutamento di significato e a diverse interpretazioni. 

Ciò comporta che oggi come oggi, nonostante gli insegnamenti dei Papi e i più raffinati strumenti esegetici, non siamo più in grado di sapere che cosa ha detto veramente Cristo, ma dobbiamo accontentarci di ciò che oggi riteniamo possa aver detto.

Questi sedicenti cattolici si proclamano spesso amici intimi e devoti entusiasti di Papa Francesco, ma non si preoccupano affatto di discernere quando il Papa parla nei documenti ufficiali come Vicario di Cristo, Successore di Pietro, Pastore universale della Chiesa, Testimone della Sacra Tradizione, maestro della fede, e interprete autorevole della Parola di Dio e quando invece il Papa esprime pareri od opinioni sue personali discutibili o parla come dottore privato o parla a braccio, senza misurare le parole, in modo improvvisato ed estemporaneo, magari in forma scherzosa o ironica, come farebbe uno qualunque di noi, senza avere alcuna pretesa di interprete infallibile della Parola di Dio.

Costoro non fanno questo discernimento per il semplice fatto che a loro Papa Francesco piace perché si sono accorti che lo possono strumentalizzare a loro vantaggio, ossia che nei suoi discorsi informali ed improvvisati, come per esempio nelle interviste giornalistiche o nei tweet, usa ogni tanto certe espressioni o certi slogan che fanno loro comodo, tanto che si sforzano di trovarle persino nei documenti ufficiali, al punto da far dire al Papa ciò che non intende e non può assolutamente dire, ossia delle eresie.

Costoro, dato che non credono nel valore assoluto e perenne del dogma, della morale, della dottrina di Cristo, della Scrittura e della Tradizione, perché non credono neanche nella verità, non si preoccupano affatto di verificare se quanto dice il Papa è o non è conforme a questi dati, né si preoccupano affatto di distinguere insegnamenti ufficiali dai non ufficiali, ma a loro basta interpretare il Papa come fosse uno dei loro, cioè un modernista o un rahneriano.

La loro ammirazione per Papa Francesco è una pura finzione: in realtà, nella loro superbia gnostica e nella loro empietà, lo disprezzano e lo considerano un povero essere, intellettualmente limitato, utilizzabile per i loro piani massonici, un ambizioso assetato di successo, che possono manovrare come vogliono, come la volpe nei confronti di Pinocchio nel famoso romanzo di Collodi.

A questo partito di chiara impostazione modernista, si contrappone ferocemente e pervicacemente da 60 anni, come sappiamo tutti, la reazione rigidissima di un partito opposto di altri sedicenti cattolici, i quali, dichiarando di essersi accorti «alla luce della Tradizione» che i Papi del postconcilio sono traditori della «Tradizione», modernisti ed eretici,  sono convinti che l’ultimo Papa che ha retto degnamente la Chiesa è stato Pio XII; dopodiché i Papi seguenti sarebbero stati incapaci di governarla ed anzi hanno consentito a che i lupi devastassero il gregge di Cristo.

Per questo, respinta la guida di Papa Francesco, secondo costoro non c’è che da ricorrere direttamente a Cristo, allo Spirito Santo, alla Madonna e ai numerosi veggenti perché, per loro mezzo, la Chiesa, ormai in preda all’apostasia totale, possa tornare ad essere come era prima del Concilio, i cui decreti sarebbero da annullare.

Per i più radicali, poi, saremmo ormai giunti nell’imminenza del Ritorno di Cristo, che farà giustizia di Francesco falso Papa e strumento dell’anticristo, e dei suoi seguaci modernisti, salvando dalla condanna della Chiesa corrotta, dalla «nuova Chiesa», come dicono, loro che si considerano il piccolo resto rimasto fedele alla «Chiesa e alla Messa di sempre».

Essi infatti sostengono di essere l’ultimo piccolo gruppo di cattolici fedeli alla Tradizione, scampati all’apostasia generale che ha coinvolto anche il Papa, per cui si sentono capaci, insieme con Cristo, di salvare la Chiesa dalla falsa Chiesa di Bergoglio uscita dal Concilio Vaticano II, essendosi accorti ormai da 60 anni che i Papi diffondono e difendono le idee di un Concilio eretico.

Il problema, l’alternativa angosciosa ed apparentemente insolubile, ridotti alla sostanza ed esposti in termini semplici, suonano così: come cattolici è alla luce del Vangelo che dobbiamo giudicare le idee di un Papa oppure è alla luce delle parole del Papa che dobbiamo interpretare il Vangelo?

Il problema ne fa sorgere altri due: possiamo essere così sicuri di conoscere così bene il Vangelo da poter giudicare l’insegnamento di un Papa? E per converso: dobbiamo prendere per buona qualunque interpretazione che il Papa dà del Vangelo, anche quella che egli esprime seppur pubblicamente, ma in colloqui informali, interviste, discorsi a braccio, opinioni personali, battute di spirito, frasi non chiare, interpretabili in sensi opposti o espresse con termini impropri?

Daremo risposta più sotto ai due problemi connessi. Sappiamo intanto che risposta ha dato Lutero all’alternativa dalla quale siamo partiti.  Siccome egli non riusciva a risolvere l’antinomia di cui sopra, spezzando l’apparente circolo vizioso, egli si convinse che tra il primo corno del dilemma e il secondo, dobbiamo scegliere il primo: come figli di Dio, illuminati dalla fede, possessori dello Spirito Santo, come popolo santo di Dio, siamo autorizzati ed anzi dobbiamo, ascoltando lo Spirito Santo, giudicare gli insegnamenti dei Papi e dei Concili e della stessa Tradizione alla luce del Vangelo, unico araldo e contenitore della pura purissima e chiarissima Parola di Dio («sola Scriptura»).

Viceversa è evidente che la scelta di Lutero è sbagliata, perché è evidentemente in contrasto con l’incarico dato da Cristo a Pietro di essere infallibile interprete della sua dottrina. Quindi, se vogliamo essere veri cristiani, non basta essere luterani, ma dobbiamo essere cattolici, cioè accettare il Papa come definitivo ed infallibile interprete del Vangelo.

Ma allora come si scioglie la contraddizione? Da dove dobbiamo partire? Partiamo dal Vangelo e giudichiamo il Papa oppure partiamo dal Papa e comprendiamo il Vangelo? Se so già che cosa dice il Vangelo, che bisogno ho dell’interpretazione del Papa? E come faccio a sapere che è infallibile? E quando è infallibile? C’è da fidarsi?

D’altra parte, se so che il Papa è interprete del Vangelo, e non credo, come i modernisti, a una verità assoluta, ma tutto diviene e muta, tutto è relativo, non m’interessa sapere quando è fallibile e quando è infallibile.  Dipende dai punti di vista e dai climi storici. Accetto il Vangelo come lo interpreta lui e non sto a chiedermi se si tratta di insegnamenti ufficiali o non ufficiali; non sto ad interrogarmi sui  gradi di autorità o cose del genere. Bado a quello che dice: se mi va, lo prendo; se no, lo lascio.

Quello che m’interessa è che Papa Francesco mi piace, lo vedo in sintonia con i miei gusti e i miei comodi, vedo che certe sue espressioni non chiare si possono interpretare nel senso dei miei interessi, per cui non ho problemi a sentirlo come un leader internazionale simpatico e permissivo della Chiesa all’altezza dei tempi moderni. 

Ma è evidente che un vero cattolico non può ragionare a questo modo. Per questo il vero cattolico cerca di risolvere l’antinomia. E di fatto essa si può risolvere, come vedremo sotto.

Intanto, per avviare la soluzione, diciamo che nel patrimonio dottrinale conservato dalla Tradizione ecclesiale e trasmesso dalla Chiesa,  esiste una collezione ben ordinata e completa di verità di fede chiare e certe a disposizione di tutti: sono gli articoli del Credo, i dogmi della Chiesa, definiti o non definiti, le parole e la dottrina chiare del Signore contenute nel Nuovo Testamento, tutta dottrina di fede o prossima alla fede in armonia con la sana ragione, anche se evidentemente superiori alla ragione. 

Ebbene, queste sacrosante e divine verità salvifiche contenute nel Catechismo, sono accessibili a tutti i fedeli, i quali, viventi in grazia di Dio, sono dotati di quel discernimento spirituale infallibile, che è detto sensus  fidelium, che consente ad ognuno di essi – e questa è la parte di verità contenuta in Lutero – di discernere e valutare, tenuto conto dei gradi di autorità e della materia trattata, di fede o solo umana, se in una particolare circostanza o documento orale o scritto il Papa come Papa annuncia il Vangelo o, in quanto uomo fallibile, esprime solo un personale parere anche eventualmente sbagliato.

Ma ritenere come gli ultratradizionalisti che un Papa nell’esercizio ufficiale del suo magistero possa essere convinto d’errore in materia di fede o di morale, vuol dire credere che il Magistero della Chiesa non sia affatto infallibile, che un Papa o un Concilio possano essere eretici, mentre giudice infallibile diventerebbe di necessità il semplice singolo fedele, che si ritiene, senza la garanzia di alcun mandato ricevuto da Cristo, illuminato direttamente dallo Spirito, secondo l’assicurazione data da Lutero: «ogni cristiano è Papa». Ma Lutero con quale autorità dice questo?

Allora pare che nella concezione di Lutero unico a poter sbagliare sia proprio il Papa. Da qui si vede curiosamente come gli ultratradizionalisti vengono a raggiungere i luterani, con la differenza che mentre questi sono per la sola Scriptura, quelli sono per la sola Traditio.

I due princìpi suddetti dicono dunque così: Il Papa è l’unico interprete infallibile della dottrina di Gesù Cristo e L’insegnamento del Papa va giudicato alla luce della dottrina di Gesù Cristo. Ora qui l’impressione che abbiamo è di trovarci davanti a un processo logico circolare illegittimo, perché da una parte il pensiero parte da un principio per arrivare a una conclusione (dal Vangelo all’interpretazione del Papa), ma simultaneamente parte dalla conclusione, la quale, però, presa come principio, arriva ad una conclusione che è lo stesso principio, dal quale il pensiero è partito (dall’interpretazione del Papa al Vangelo).

Il risultato è che i due processi si elidono a vicenda e alla fine il pensiero è annullato perché annulla se stesso contraddicendosi e senza far fare alla ragione alcun progresso, ma riportandola al punto di partenza, sicché alla fine abbiamo un discorso che non dice niente.

Non è che non esista un moto circolare della ragione. Esso esiste, ma l’assurdità del circolo vizioso, come pare che sia qui il caso, è data dal fatto che la ragione avanza e retrocede nello stesso tempo. Sarebbe come se si affermasse che una auto è andata nello stesso tempo da Bologna a Milano e da Milano a Bologna. Il circolo virtuoso è dato invece quando una tesi si succede all’altra. È questo il processo della riflessione o dell’autocoscienza, nel quale la ragione, uscita verso il reale esterno, torna in sé stessa col concetto del reale esterno.

Così i due processi di andata e ritorno possono stare assieme senza contraddirsi ed anzi completandosi vicendevolmente. Similmente qui per quanto riguarda il rapporto del Papa col Vangelo.  I fedeli devono abituarsi a percorrere ora una via ora l’altra, perché entrambe sotto punti di vista diversi, hanno una loro necessità per una piena comprensione della Parola di Dio.

Per chiarire questo discorso dobbiamo basarci su due princìpi: uno, che ci fa presente che le verità del deposito rivelato sono di tre tipi:

1. ci sono verità morali e teologiche di carattere razionale evidenti o dimostrabili, indiscutibili, chiare, universalmente note e comprensibili da tutti, che non hanno bisogno di alcuna interpretazione;

2. ci sono parole del Signore che a tutta prima sembrano contrarie alla ragione e alla morale. Qui è impegnata la funzione ermeneutica chiarificatrice dell’insegnamento pontificio; 

3. ci sono verità la cui sconfinata ricchezza consente alla tesi che la esprime di essere continuamente migliorata grazie ad una progressiva conoscenza del suo contenuto, come è avvenuto per esempio nel progresso dogmatico lungo i secoli e in particolare nella progressiva conoscenza del mistero di Cristo da Nicea a Calcedonia e nei successivi Concili fino al Vaticano II. Anche qui è chiaro che è impegnata l’ermeneutica pontificia con le definizioni dogmatiche.

Secondo principio: occorre distinguere nel magistero pontificio i gradi di autorità: un conto sono le definizioni dogmatiche e il magistero pontificio ufficiale ordinario in materia di fede e di morale. E qui il Papa non sbaglia. E un conto sono le dottrine od opinioni, anche in materia di fede, che il Papa espone in modo informale o come dottore privato. È chiaro che qui può sbagliare. In questo ambito il Papa può essere giudicato alla luce della Tradizione, della Scrittura, del magistero precedente, della storia, e della ragione naturale.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 5 marzo 2021


Non è che non esista un moto circolare della ragione. Esso esiste,

 

ma l’assurdità del circolo vizioso, come pare che sia qui il caso, è data dal fatto che la ragione avanza e retrocede nello stesso tempo. 

Sarebbe come se si affermasse che una auto è andata nello stesso tempo da Bologna a Milano e da Milano a Bologna.

Il circolo virtuoso è dato invece quando una tesi si succede all’altra. 

È questo il processo della riflessione o dell’autocoscienza, nel quale la ragione, uscita verso il reale esterno, torna in sé stessa col concetto del reale esterno.

Così i due processi di andata e ritorno possono stare assieme senza contraddirsi ed anzi completandosi vicendevolmente. 

Similmente qui per quanto riguarda il rapporto del Papa col Vangelo.  I fedeli devono abituarsi a percorrere ora una via ora l’altra, perché entrambe sotto punti di vista diversi, hanno una loro necessità per una piena comprensione della Parola di Dio.

Immagini da internet

2 commenti:

  1. Carissimo padre,
    Leggendo il suo prezioso contributo mi viene in mente un altro elemento, di cui non ho mai trovato riscontro in nessun contributo che abbia letto finora. Mi riferisco alla differenza fra insegnamento pubblico del romano pontefice in qualità di pastor et doctor omnium christifidelium, e delle sue opinioni come doctor privatus, il tutto indagato alla luce dei nuovi mezzi di comunicazione. Ho l'impressione, e mi piacerebbe che qualcuno lo mettesse a tema in maniera chiara, che nell'era di Twitter e dei c.d. social media i confini fra le due forme di espressione del papa siano drammaticamente confusi. In un'era pre-telematica, è chiaro che si poteva discernere a colpo sicuro quando un papa si esprimeva in forma privata o pubblica. Ora credo sia urgente una riflessione teologica proprio su questo aspetto: come distinguere il doctor privatus dal pastor et doctor pubblico, in un'era in cui uno starnuto viene postato sui c.d. social e diventa di dominio pubblico?
    Grazie ancora per tutto il suo operato e che il Signore la benedica

    Pietro

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    1. Caro Pietro, tu metti in luce una questione molto importante. Che differenza c'è tra il Papa, come dottore privato, e il Papa, come maestro della fede?
      Possiamo elencare alcuni punti.
      Uno, mentre il Papa, come dottore privato, esprime delle sue opinioni, anche discutibili o addirittura erronee, eventualmente con un linguaggio improvvisato, estemporaneo ed impreciso, il Papa, come maestro delle fede, si esprime in documenti ufficiali di vario livello, i quali, partendo dal basso sono le omelie, le udienze generali, le lettere pastorali, i documenti postsinodali fino alle encicliche, e, in casi molto rari, le definizioni dogmatiche. Inoltre in questi documenti il linguaggio è preparato con cura dall'aiuto dei suoi collaboratori, in modo tale che sia il più chiaro, il più preciso, e il più inequivocabile possibile.
      Secondo, per fare la distinzione occorre distinguere i documenti ufficiali, dove il Papa tratta di materie di fede e di morale, secondo quei gradi di cui sopra, e documenti non ufficiali, nei quali il Papa può parlare di temi di fede e di morale, ma non gode di una tale autorità per cui non sia possibile sollevare delle obiezioni.

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