Sacerdozio e
mascolinità
Si rifanno
vivi i sostenitori del sacerdozio della donna
Nonostante il magistero pontificio nei
decenni passati, specie con S.Paolo VI[1]
e S.Giovanni Paolo II[2],
abbia ribadito autorevolmente e più volte la tradizionale dottrina di fede che
la donna non può essere sacerdote, oggi è possibile constatare il risorgere di
una annosa tendenza teologica, influenzata dal luteranesimo, la quale, errando
sull’essenza del sacerdozio, nega questo carattere dogmatico e rivelato della dottrina
della Chiesa, per cui si fa promotrice e sostenitrice del sacerdozio femminile,
asserendo che l’esclusione della donna non sarebbe affatto essenzialmente
legata al sacerdozio e quindi non sarebbe un dato rivelato, non sarebbe volontà
immutabile di Cristo, non sarebbe un dato di fede, ma sarebbe solo un dato di
fatto, una semplice prassi pastorale della Chiesa, che è ormai giunto il tempo
di abbandonare, per consentire alla donna di esprimere e far fruttare in pienezza
nella Chiesa quei doni peculiari che Dio le ha dato.
Secondo i sostenitori di questa tesi, non si potrebbe
parlare di una perfetta parità ed uguaglianza fra uomo e donna nella Chiesa, ma
si lascerebbe la donna in un’ingiusta condizione d’inferiorità e di
asservimento al maschio, resterebbe oggetto di dominio e di sfruttamento, finché
non le sia concessa la possibilità di accedere al sacerdozio a tutti suoi gradi
e di assumere le più alte cariche direttive nella Chiesa, così come avviene
ormai da tempo nelle società moderne.
Questi femministi sacerdotisti si sforzano di
dimostrare che l’esclusione della donna dal sacerdozio è la sopravvivenza di un
intollerabile ancestrale maschilismo non biblico o quanto meno non evangelico,
ma di origine pagana, è contrario ai diritti umani e si trova nel comportamento
di Cristo solo per il fatto che Egli, per non tirar troppo la corda, ha voluto
adattarsi ai costumi del tempo. Eppure, con tutto ciò, Egli mostra tanta stima
per la donna, che non ha poi temuto di fatto di scandalizzare i benpensanti del
suo tempo.
Per questo, questi femministi e femministe
estremisti si dicono certi che, se Cristo vivesse oggi, non esiterebbe a concedere
alla donna il sacerdozio, proprio per esplicitare, oggi che i tempi sarebbero
maturi, la sua concezione della donna, che, ai suoi tempi, non poté manifestare
in pienezza, altrimenti avrebbe perso di credibilità presso gli stessi apostoli,
abituati al rabbinismo del tempo. Basta vedere S.Paolo o i primi Padri della
Chiesa.
Per questa ostinata convinzione, influenzati dai
protestanti, i femministi, sprezzanti dei precedenti decreti della Chiesa, sono
tornati alla carica con l’attuale Papa. Sembra che questa idea sia presente addirittura
tra i vescovi tedeschi. Del resto, come si sa, essa è stata sostenuta anche da teologi
famosi, come Schillebeeckx e Rahner.
Questi modernisti, avendo infatti notato in
Papa Francesco il suo progressismo, la sua tendenza al cambiamento, certe sue imprudenze
nell’agire e nel parlare, la troppa
indulgenza verso i protestanti, la sua ingenuità e la sua influenzabilità,
pensano come la mafia di San Gallo, di poter manovrare il Papa a loro
piacimento con sfacciata e astuta piaggeria,
per cui sembrano essersi convinti che Papa Francesco acconsentirà alle
loro richiese.
Ma si illudono. Si dimenticano o non sanno che
Francesco, nonostante i suoi evidenti difetti umani e le sue tergiversazioni, è
tuttavia l’infallibile Vicario di Cristo e Maestro della Fede, che sa meglio di noi che cosa nella Chiesa può cambiare
e che cosa non può cambiare, per cui, se i femministi sacerdotisti dovessero
oltrepassare una certa soglia di arroganza, possiamo pensare che il Papa saprebbe
farli tacere.
Papa
Francesco, infatti, se riterrà opportuno intervenire, non potrà non basarsi
sulla sentenza di S.Giovanni Paolo II, il quale ha chiuso definitivamente la
questione in questi termini: «Al fine di togliere ogni dubbio su di una
questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione
della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli (cf Lc
22,32), dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire
alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta
in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa» (n.4).
Papa Wojtyla fa riferimento alla «divina
istituzione della Chiesa», dunque all’istituzione divina del sacramento
dell’Ordine, per sostenere che il legame del sesso maschile col sacramento ad
esclusione del sesso femminile, entra nella sostanza o essenza del sacramento,
circa la quale, come insegna Pio XII, «la Chiesa non ha alcun potere, vale a
dire su tutto ciò che il Cristo Signore, secondo la testimonianza delle fonti
della Rivelazione, ha voluto che si mantenga nel segno sacramentale»[3].
L’essenza del sacerdozio è una verità di fede e la Chiesa non può cambiare le
verità di fede.
Queste parole di S.Giovanni Paolo II sono chiaramente
contro coloro che sostengono che questo rapporto esclusivo con la mascolinità
non è ad essentiam del sacramento,
per cui la Chiesa su questo punto potrebbe mutare atteggiamento, consentendo alla
donna di accedere al sacramento, come se quel rapporto entrasse in quegli
aspetti accidentali, caduchi, esterni e contingenti del sacramento, circa i quali
la Chiesa, in base alla potestas clavium,
può operare mutamenti per andare incontro, come dice il Concilio di Trento, «al
variare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi»[4].
Ora dobbiamo avvertire che chi volesse riaprire
la questione del sacerdozio femminile, si troverebbe davanti alla sentenza inappellabile di
S.Giovanni Paolo II, che ha tutti gli estremi della definizione dogmatica: 1. L’appello al ministero petrino di
confermare i fratelli nella fede; 2. La materia di fede, ossia la definizione
del sacramento dell’Ordine; 3. La definitività della sentenza, come quando si
tratta di materia di fede, che è verità immutabile. Chi volesse allora affermare
che su questo punto la Chiesa sbaglia e dovrà ritrattarsi, sappia che respinge una definizione dogmatica. Ma
respingere una definizione dogmatica è eresia. E dunque, chi respinge questa
sentenza di S.Giovanni Paolo II, è eretico.
D’altra parte, è comprensibile che la
sentenza di S.Giovanni Paolo II sia contestata dai modernisti, giacchè per
loro, come è noto, non esistono, anche nel campo della dogmatica, verità immutabili
e definitive, ma, in base al loro principio veritas
filia temporis, tutto può essere sempre rimesso in discussione. Quello che ieri
era eresia oggi può essere verità e viceversa. Fanno eccezione, ovviamente, a
questo principio, le loro idee, le quali, però, benchè confutate da questo
stesso principio, non curandosi affatto di violare il principio di
non-contraddizione, per loro sono assolutamente vere.
I modernisti, che risolvono l’essenza della verità
nel divenire storico, se fossero leali nel riconoscere i fatti, si
accorgerebbero ed ammetterebbero che nella stessa storia degli insegnamenti
della Chiesa, se è vero che la Chiesa nella storia ha mutato parere più volte,
accogliendo alcune istanze di certi riformatori, compreso lo stesso Lutero, lo
ha fatto su punti di carattere giuridico-pastorale-liturgico di per sé suscettibili
di cambiamento, ma in nessun caso nel campo da essa definito dogmatico o di fede.
Al contrario è possibile constatare nella storia
dei dogmi che quando la Chiesa definisce un dogma, non si smentisce o non si
ritratta mai. Per questo, il cattolico, considerando l’insieme degli
insegnamenti della Chiesa, sa che cosa può cambiare e che cosa no, per cui
propone eventualmente riforme o cambiamenti nel primo ambito e non perde tempo
ad auspicare mutamenti in ciò che non può mutare.
Perché la
donna non può essere sacerdote?
Vediamo adesso gli argomenti con i quali il
Magistero della Chiesa motiva l’esclusione della donna dal sacerdozio, e confuta
gli argomenti a favore del sacerdozio.
Il primo e principale motivo, per espressa
dichiarazione del Magistero, è un motivo
di fede, ossia l’obbedienza e la fedeltà fiduciosa alla volontà di Cristo, il quale ha misteriosamente
voluto in modo categorico, assoluto e incondizionato, indipendentemente da
qualunque circostanza, quindi in tutti i luoghi e fino alla fine del mondo, che
il sacerdozio ministeriale sia conferito ai soli uomini.
La Chiesa in questo caso non si trova davanti
a una volontà o decisione di Cristo, della quale, come invece in altri casi di
etica naturale, si possono indagare e scoprire motivi razionali alla portata
dell’umana comprensione. Ma si tratta di
un precetto di Cristo squisitamente ed esclusivamente
soprannaturale, da accettare con fede, senza esigere motivazioni razionali,
anche se ovviamente non è un precetto contrario alla ragione, ma è al di sopra della
ragione, come ogni precetto di fede. Se non si capisce questo, il precetto di
Cristo appare scandaloso, superato o
inaccettabile, come appare appunto ai modernisti, i quali, però, col il loro diniego
e con la loro accusa alla Chiesa di passatismo e di ingiustizia, peccano contro la fede.
Bisogna insomma rendersi conto, considerando
l’espresso insegnamento della Chiesa e in base a ciò che Cristo ha voluto e
vuole, che non è possibile sapere con certezza o evidenza razionale, apoditticamente
o dimostrativamente con la nostra semplice ragione perchè Gesù, certamente a nome
del Padre, ha voluto così.
Non si possono addurre motivi razionali
stringenti, che necessitino il nostro assenso. Certo la decisione di Gesù non è
assurda, non discrimina né umilia la donna, non è ingiusta, non è immorale, non
è irragionevole, non è contro la ragione; ma è al di sopra: si pone su di un ambito
di sapienza e di bontà divine che ci supera e ci sfugge, ma del quale non
dobbiamo dubitare.
Alla Chiesa dunque non resta che aver fiducia
nella bontà della volontà di Cristo senza cercarne la ragione. Ma la fede è proprio
questo: accettare con fiducia una volontà superiore saggia, della quale non
conosciamo le ragioni. Le ragioni ci sono, ma sono al di sopra della nostra
limitata comprensione. Sono ragioni divine, per cui è logico che non le comprendiamo.
Quindi il dovere della Chiesa non è altro che quello di obbedire e mettere in
pratica. Non sono contro la ragione, per cui la Chiesa adduce motivi di convenienza,
per far vedere che armonizzano con la ragione, ma essa non li può comprendere.
Il modo dei femministi sacerdotisti di
prendere in considerazione questa dottrina della Chiesa, è viziato in partenza,
perché essi la riducono a una tesi puramente umana e sociologica, abbordabile e
confutabile con semplici argomenti razionali per non dire politici. Così essi
si affannano a sostenere che oggi la donna ha progredito rispetto a 2000 anni
fa, che se Cristo vivesse oggi le concederebbe il sacerdozio, che uomo e donna
nella Chiesa hanno pari dignità.
La risposta della Chiesa è che non si tratta di
una questione di diritti umani o di promozione
umana e sociale della donna, campo nel quale la donna deve poter realizzare se
stessa al massimo grado; ma si tratta di materia di fede, dove è in gioco il
piano di Dio della salvezza, il sacramento come dono gratuito ed immeritato
dalla grazia e mezzo di santificazione delle anime, essendo il sacerdozio non
l’obbiettivo di una conquista culturale o sociale o il termine di una
maturazione umana, non l’esplicazione di speciali qualità umane, capacità
pratiche o doti di comando, o attitudini all’influsso sociale, anche se tutto
ciò ovviamente concorre; ma è un ufficio che non si pone sul piano dell’umano,
della cultura, delle relazioni umane, del sociale, della politica o del potere.
Invece il sacerdozio è risposta ad una divina
chiamata soprannaturale per essere strumento e ministro di Cristo Sacerdote,
vittima con Cristo di soave odore, servo della Parola, Angelo dell’Alleanza,
cibo delle anime, padre dei poveri, liberatore dal potere di Satana, guida al
paradiso.
Alcuni femministi obiettano che, essendo il sacerdozio
una missione spirituale, non si vede che
cosa c’entri il sesso maschile e perchè mai non dovrebbe essere indipendente dall’essere
uomo o donna, dato che nel regno di Dio, come dice l’Apostolo, «non c’è più né
uomo né donna» (Gal 3,28). Il sacerdozio, essi dicono, è spirito e non si vede per
quale motivo nel campo dello spirito che dice universalità, si debba dire di sì
al maschio e no alla femmina, salvo a non vedere nella donna, secondo il
dualismo platonico, un pericolo per lo spirito, cosa evidentemente contraria
all’antropologia cristiana.
La Chiesa risponde riconoscendo ovviamente l’indipendenza
dello spirito dall’esser uomo o donna e tuttavia, secondo gli studi più recenti,
appare la differenza fra l’anima maschile e quella femminile[5];
dal che emerge l’affinità fra sacerdozio e mascolinità, in quanto il sacerdote
è ministro di quel Verbo che si è incarnato in una natura umana di sesso
maschile. Da un punto di vista antropologico si può precisare che la psicologia
maschile appare più conforme della psicologia femminile alla pratica sacerdotale[6].
Possiamo aggiungere che la mascolinità del
sacerdozio non degrada affatto né immiserisce a banali questioni di sesso
l’indipendenza sovrana della spiritualità sacerdotale da condizionamenti
psicobiologici, ma piuttosto questo legame del sesso col sacerdozio dimostra l’altissima
dignità del sesso umano nella linea della
salvezza e in particolare come Dio abbia voluto il sesso umano non tanto come mezzo
di riproduzione della specie, ma come strumento di redenzione e via di santificazione
in vista della resurrezione finale[7].
È chiaro in base a quanto detto che la mascolinità
del sacerdote dev’essere una mascolinità moralmente esemplare, simile alla mascolinità
verginale di Cristo. Da qui la ragione cristologica del celibato sacerdotale, benché
esso, come si sa, non sia essenziale al sacramento dell’Ordine.
Per questo, la Chiesa potrebbe in linea di principio
ed ove o quando lo giudicasse conveniente, concedere, in alcuni casi, anche un sacerdozio
coniugato, accanto e al di sotto di quello celibatario. Il sesso del sacerdote,
sia che si eserciti, sia che non si eserciti, può e dev’essere sempre un modello
di castità.
La
donna nella Chiesa ha una sua peculiare vocazione
in
reciprocità con quella del sacerdote
D’altra parte,
in questi ultimi decenni, grazie a numerosi studi, eventi ed esperienze, oltre
agli sviluppi e chiarimenti del Magistero della Chiesa, è venuta in sempre maggior
luce quella che è la peculiare vocazione della donna nella Chiesa, in reciprocità
con quella maschile. Per questo la linea giusta da seguire è la promozione dei ministeri
femminili del lettorato e del diaconato laicale. Quanto più la donna nella Chiesa
saprà apprezzare e valorizzare la sua propria vocazione in collaborazione col sacerdote,
tanto più essa sarà libera da suggestioni ingannevoli, che la vorrebbero
distogliere dalla sua vera vocazione per imboccare sentieri contrari alla
volontà di Cristo, che la Chiesa non accetterà mai.
La
vocazione, la funzione e la missione della donna nella Chiesa hanno il loro più
alto punto di realizzazione, il loro modello e punto di riferimento più alto
nella figura sublime e al contempo popolare della Beata Vergine Maria, più
volte, a partire dal Concilio Vaticano II e successivamente dai Papi del
postconcilio proposta come ideale della donna, immagine e tipo della Chiesa[8].
Maria è
stata ed è la creatura più strettamente associata a Cristo Sacerdote nell’opera
e nell’ordine della redenzione, tanto da essere chiamata da una lunga
tradizione e da S.Giovanni Paolo II «corredentrice», atteso il fatto che, se la
Redenzione è stata ed è opera divina come tale esclusivamente di Cristo, la stessa
vita cristiana, come vita di grazia e vita in Cristo, si risolve ad essere per ogni cristiano una partecipazione
più o meno alta all’opera redentrice. E appunto il grado più alto ed insuperabile,
ma da tutti imitabile, di tale partecipazione, fra tutte le creature, è quello di
Maria.
Naturalmente,
come suggeriva Paolo VI nell’enciclica Marialis
cultus, occorre tradurre in termini moderni, cogliendone l’essenziale, il
modello mariano in quanto legato alla condizione femminile palestinese di 2000
anni fa. Ma non c’è dubbio che tutti i più importanti progressi umani, psicologici,
morali e sociali della personalità femminile avvenuti da tre secoli a questa parte,
sono avvenuti di fatto, anche se non sempre consapevolmente o intenzionalmente,
sotto il segno della Madonna.
Punto d’incontro istituzionale, principio e
garanzia fondamentali di comunione ecclesiale sotto la guida dei pastori,
spazio per eccellenza per una reciproca feconda collaborazione al servizio di
tutta la Chiesa fra il sacerdote e la donna, è il sacerdozio comune dei fedeli,
fondato sul battesimo e la cresima. È questo l’habitat soprannaturale della
reciprocità donna-sacerdote, segno più alto ancora che non l’unione coniugale
dello sposalizio mistico fra Cristo e la Chiesa.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 17 dicembre 2019
[1] Cf Dichiarazione Inter insigniores della CDF del 15
ottobre 1976.
[2] Lettera Apostolica di S.Giovanni
Paolo II Sacedotalis ordinatio del 22
maggio 1994.
[3] Cost.Apostolica Sacramentum Ordinis del 30 novembre
1947. AAS 40 (1948), p.5.
[4] Sessione XXI, cap.2, Denz.1728.
[5] Cf il mio studio SULLA DIFFERENZA TRA
L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA,
Ed. Massimo, Milano, 1987, pp.227-234.
[6] Sulla differenza fra psicologia
maschile e psicologia femminile, vedi il mio libro La Coppia consacrata, Edizioni Vivere In, Monopoli (BA) 2008.
[7] Cf il mio studio LA RESURREZIONE DELLA
SESSUALITA’ SECONDO S.TOMMASO, in Atti dell’VII Congresso Tomistico
Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San Tommaso, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.
[8] Cr il mio articolo MARIA MODELLO
DELLA CHIESA E DELLA DONNA, in Sacra Doctrina, 6, 1993, pp.866-925.
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