La concezione buonista del peccato - Terza Parte (3/3)

  La concezione buonista del peccato

Terza Parte (3/3) 

I buonisti falsificano la divina Provvidenza

I buonisti hanno di Dio una concezione dimezzata: accettano alcuni attributi, ma ne rifiutano altri, con la conseguenza, però, che, dato che essi sono tutti connessi fra di loro, togliendone alcuni, vengono distrutti tutti, si finisce nell’ateismo e nel nichilismo.

Ammettono un Dio creatore, infinito, eterno, trascendente, sapiente, provvidente, buono, pacifico, misericordioso, amante dell’uomo. Ma non ammettono che possa esistere senza l’uomo, perché secondo loro l’uomo, come dice Rahner, è il «destino di Dio», cioè l’uomo è finalizzato a Dio, ma anche Dio è finalizzato all’uomo, per cui, come dice Hegel, «Dio non è Dio senza il mondo». Si capisce allora che scompare la trascendenza divina.

Dio per i buonisti è per essenza sempre con l’uomo; perdona sempre e non castiga mai. Ciò fa sì che ognuno nutra troppa fiducia di salvarsi, per cui viene meno quel santo timore di Dio, che rende vigilanti nel timore di peccare e quindi facilita la fuga dal peccato. Coloro che cadono più facilmente nel peccato sono infatti coloro che sono troppo sicuri di non peccare. Non che non si debba confidare nella grazia, ma il fatto è che dobbiamo tener conto anche della nostra fragilità, volubilità ed inaffidabilità.

A causa di questi errori sorge l’eresia oggi assai diffusa, che vuole che tutti si salvano e non peccano mai o, se peccano, sono però sempre in grazia. Ma allora Dio non è un vero Assoluto, perché diventa relativo all’uomo e al mondo. Non è il mondo che si regola su Dio, ma il mondo diventa la misura di Dio.

Dio non è più infinito perché la sua potenza è finita. Dio non è sapiente, ma si contraddice, perché ha creato anche il male che sta sempre accanto a Lui. Non è libero, perché il mondo non esiste per sua volontà, ma in forza della sua stessa essenza. E quindi non è neppure buono perché nel mondo c’è il male. E quindi vediamo che crollano tutti gli attributi ammessi dai buonisti.

Inoltre, dato che Dio non è onnipotente, non riesce ad impedire il male, per cui soffre anche Lui. Dunque la sua misericordia non è infinita, ma limitata: ci aiuta fin dove può, ma non può liberarci da ogni male. Inoltre, non è immutabile, perché, come dice Rahner, al seguito di Hegel, nell’Incarnazione la natura divina diventa umana; Dio diventa uomo (Menschwerdung) non nel senso che Cristo è uomo e Dio, ma nel senso che Egli non è un Dio immutabile, ma un Dio che diviene, un Dio immerso nella storia. È un «assoluto nella storia»[1], che non può stare senza la storia.

Occorre invece dire che Dio fa piovere sui buoni e sui cattivi. Manda i benefìci affinchè gli uomini siano felici e perché, accorgendosi di essi, ne scoprano l’Autore, lo riconoscano, lo cerchino, lo amino e gli obbediscano; manda le sventure, conseguenze del peccato originale, come prova della loro fede, come castigo dei loro peccati e perché si esercitino nella pazienza, nella solidarietà ed aiuto reciproco nei dolori comuni, e nella lotta contro la sofferenza, perchè traggano dalle sventure occasione di penitenza e di conversione, trasformandole in sacrifici di espiazione in unione a Cristo.

Se certe azioni della natura, come i cataclismi, i terremoti, le siccità, le alluvioni, le carestie, le epidemie, le bestie feroci recano danno all’uomo, e se la parte materiale dell’uomo è governata da leggi chimiche che prima o poi costringono l’anima ad abbandonare il corpo con la morte, non significa che anche l’azione di questi agenti chimici sia cattiva, perché fa danno all’uomo, giacchè anche qui siamo davanti a un ordine stabilito da Dio, il quale ordine, perché stabilito da Lui, è con ciò stesso buono, e danneggia l’uomo solo come conseguenza del peccato originale. Tutto ciò infatti non vuol dire che la natura è cattiva, perché anche in ciò essa non fa che obbedire alle leggi divine. Piuttosto bisogna interpretare queste azioni, come indica la stessa Genesi, come castighi e conseguenze del peccato originale.

Quella natura che nell’Eden era solo docile, benefica e soggetta al dominio dell’uomo, e serviva solo al bene dell’uomo, adesso, nello stato di natura decaduta, mantiene sempre le leggi di prima, perché la natura è sostanzialmente quella di prima del peccato. Ma adesso essa funziona in modo che non armonizza più o non si lascia armonizzare più con le esigenze fisiche dell’uomo, a sua volta in uno stato di intimo contrasto, di corruttibilità e dissesto fisico, psicologico e spirituale conseguenti alla colpa originaria.

L’uomo nella vita presente conserva forze che gli consentono, seppur imperfettamente, di recuperare, nel corso della storia, progressivamente, con l’esercizio della virtù e il soccorso della grazia, le condizioni di innocenza e di perfezione proprie dell’Eden ed anzi, come figlio di Dio, di edificare una nuova e più alta umanità, che avrà il suo fastigio supremo e definitivo nella futura risurrezione gloriosa.

In questo cammino di salvezza e di perfezionamento soprannaturale, l’umanità con l’impegno della ragione e della buona volontà, l’impiego della scienza, del lavoro, della tecnica e della medicina, soccorso dalla grazia divina, compie progressivamente un’opera di riconciliazione delle leggi dello spirito con quelle della natura e della materia, così che la bontà ontologica di questa viene a sposarsi sempre meglio e sempre di più con la bontà morale dell’agire umano teso, seppur sempre in mezzo a nuove prove e difficoltà, a dominare il corpo e la natura, a vincere il male e la sofferenza, il peccato e la sventura, la malattia e la morte.

L’azione delle forze della natura è sempre buona in quanto ordinata e guidata da Dio, sia che esse operino la generazione, la crescita, la conservazione e la corruzione. L’azione corruttrice nei confronti della vita psicofisica dell’uomo è conseguenza del peccato originale. Ma Dio concede all’uomo le risorse della natura e della grazia per salire dall’attuale condizione di miseria a condizioni di vita sempre più elevata e soddisfacenti.  

Il Dio biblico è un Dio che provvede da Padre sapientissimo, amorosissimo, giusto, misericordioso e onnipotente, ovviando ai bisogni, riparando ai danni e alle ingiustizie, difendendo gli oppressi, abbattendo i tiranni, allontanando mali e pericoli, concedendo grazie e favori, dando forza e pazienza nelle prove, proteggendo da forze ostili, guidando gli uomini nel bene, ispirando buoni propositi, premiando i buoni e castigando i malvagi, giustificando, perdonando e salvando i peccatori, compassionando e sollevando i miseri, spingendo in avanti la storia, illuminando i ciechi, consolando gli afflitti, consigliando i dubbiosi, ammonendo i peccatori.

Mediante l’operazione dei miracoli, Dio fa compiere straordinariamente alla natura opere a beneficio dell’uomo, le quali, superando le sue solite forze, sostituiscono l’azione delle forze corruttrici con forze sananti e benefiche, che dimostrano l’onnipotenza e l’infinita bontà divina incoraggiando l’uomo nel difficile cammino della salvezza e facendogli pregustare la dolcezza della vita futura.

Il buonismo nasce dalla negazione del peccato originale

Il buonista, che considera il racconto genesiaco privo di qualunque attendibilità storica, ammettendo il darwinismo ed essendo possibile anche il poligenismo, un semplice mito eziologico per spiegare poeticamente l’attuale fragilità e peccaminosità umane, perde di vista la realtà tragica del  peccato nella sua essenza profonda e nelle sue conseguenze umanamente irrimediabili, e lo riduce a un semplice, banale inevitabile incidente di percorso nel semplice svolgimento normale della condotta umana o come fosse un prodotto industriale o artigianale fallito, malriuscito o di scarto, che si elimina senza conseguenze e senza  che ne resti traccia, un fatto spiacevole e involontario, ma tutto sommato irrilevante e rimediabile con un semplice atto di buona volontà, che non manca mai.

Se al vasaio capita di sbagliare nel formare un vaso e viene fuori un vaso deforme, non ha bisogno di confessarsi e invocare il perdono divino, ma semplicemente getta via il vaso malriuscito e prosegue tranquillo nel lavoro.

Inoltre il buonista, vittima di una gnoseologia esistenzialista, storicista e relativista, non ha la percezione dell’assolutezza, oggettività, immutabilità ed universalità della legge morale, non la considera un comando divino che richiede assoluta obbedienza. Le sue categorie morali si racchiudono tutte e soltanto nei confini della libertà, del diverso, della coscienza, dell’incontro, del concreto, del nuovo. È chiaro che in un contesto intellettuale di tal genere il giudizio sul bene e sul male, sul buono e sul cattivo viene soggettivizzato e relativizzato, per cui vien meno l’accordo su ciò che è peccato e non è peccato.

Da qui l’assenza di una condanna comune e condivisa del peccato e di ciò che è peccato. Naturalmente il principio del fare il bene e fuggire il male, che è il primo ed universale principio dell’agire umano, comune a tutti, resta. Solo che viene applicato alla rovescia col prendersela con coloro che condannano il relativismo morale a favore dell’oggettività e dell’universalità dei valori morali e quindi col prendersela con coloro che vogliono far presente la realtà drammatica del peccato. Per i buonisti diventa peccato ricordare l’essenza e l’importanza del peccato.

Per quanto il buonista faccia per sopprimere l’idea del male morale, per sopprimere ogni senso di colpa e scusare tutto e tutti, non condannare nulla e nessuno, non vi può riuscire, perché la suddetta è necessaria al giudizio morale, che suppone l’esistenza della responsabilità e quindi della possibile colpevolezza dell’agente e distinzione fra azione buona e azione cattiva.

Il buonista si sforza di ridurre la colpa e il peccato all’errore o allo sbaglio, ossia al male fatto inconsapevolmente, inavvertitamente o senza sapere o per fragilità. E tende sistematicamente a sostenere che ciò che per uno è peccato per l’altro non lo è.

Tende sistematicamente ad accusare chi condanna il peccato di un altro di non capire la sua diversità e non s’accorge che nel momento in cui condanna il colpevolizzare, non rinuncia a colpevolizzare a scagliarsi contro coloro che invece sostengono che esiste anche il male fatto con malizia, in cattiva fede, con cattiva volontà e colpevolmente. Dunque per il buonista, tutti sono innocenti, tranne coloro che sostengono che tutti e non sempre sono innocenti. Tutti vanno un paradiso, tranne quelli che sostengono che non tutti vanno in paradiso.

Con la sua minimizzazione per non dire soppressione dell’importanza del peccato, è evidente che il buonismo non porta alcun rimedio al peccato, ma lo aggrava, indebolendo il senso di responsabilità, la finezza del giudizio e del discernimento morale, il timor di Dio, l’odio e l’orrore per il peccato, la coscienza della colpa, la lotta contro il peccato e lo sforzo ascetico, l’amore alla rinuncia e al sacrificio, l’abitudine al controllo delle passioni, la cura nell’individuare ed evitare ciò che è peccato, la pratica della fuga delle occasioni, della penitenza,  dell’espiazione e della riparazione, l’opera e la preghiera per la conversione dei peccatori, facendo cadere nella recidività, favorendo la pretesa di farla franca, l’ostinazione, la spavalderia, l’indurimento del cuore, l’ottundimento della coscienza, una vana fiducia in Dio, la disperazione di salvarsi oppure all’opposto una sicumera senza fondamento.

Il buonismo è una falsificazione della bontà.

Come per Lutero, per il buonista la giustizia di Dio è la sua stessa misericordia[2], con la quale rende giusto il peccatore. Ma così scompare la distinzione tra misericordia e giustizia, la quale perde la sua peculiare essenza nei confronti della misericordia, mentre questa viene falsata. Oppure la giustizia viene ridotta alla misericordia, perdendo la sua peculiare fisionomia.

I buonisti sembrano trovarsi davanti ad un aut-aut: o la giustizia o la misericordia e non capiscono che esse, per quanto opposte fra loro, si richiamano a vicenda, alternandosi l’una all’altra ed applicandosi a soggetti diversi. La giustizia suppone il male di colpa: la misericordia, il male di pena. Ora è chiaro che colpa e pena sono i due aspetti essenziali del male. È vero che la giustizia abbatte la misericordia solleva. Ma non è forse giusto, equo e salutare rafforzare il bene e colpire il male?

Ma la cosa grave è che la misericordia nelle mani dei buonisti sembra diventare un attributo della stessa essenza divina, come se Dio non potesse esistere senza l’uomo. Dio avrebbe potuto esistere benissimo da solo anche senza aver creato il mondo.

Il buonista non capisce che l’opera della Redenzione non è solo opera di misericordia, ma anche di giustizia riparatrice, la quale ottiene misericordia ed è effetto della misericordia. Ottiene misericordia la giustizia di Cristo, ed è effetto della misericordia la giustizia dell’uomo.

Invece per il buonista, ai fini della salvezza non occorre alcuna pratica della giustizia, dato che l’uomo peccatore non ne è capace, per cui la salvezza è puro effetto della misericordia. Non occorre alcuna giustizia espiatrice. Lutero la nega nell’uomo, ma la mantiene in Cristo. Rahner la nega anche in Cristo, il quale ci salva solo perché Egli stesso si è messo nelle mani del Padre accettando la morte e proponendoci l’esempio da imitare.

Per Lutero Cristo ha compiuto un sacrificio, mentre non occorre che lo compiamo noi, anzi sarebbe la pretesa di perfezionare ciò che Cristo ha fatto. Da qui la negazione della Messa. Invece Rahner nega anche il sacrificio di Cristo e lo sostituisce con la misericordia. Cristo ci salva perchè ha pietà di noi. L’opera di Cristo è tutta qui.

Ora, la giustizia è tribuere unicuique suum. È dare a ciascuno ciò che gli spetta, è il rispetto del diritto altrui e il riconoscimento dei suoi meriti. È la rivendicazione dei propri diritti. È lo scambio o la commutazione di due beni equivalenti. È il pagamento del prezzo dovuto. È la corresponsione a quanto si è ricevuto. È l’esecuzione di un’opera così come va fatta. È il compenso per l’opera compiuta, nel bene come nel male. È il compimento del proprio dovere. Essa è la virtù del giudice che, secondo i meriti, premia i giusti e condanna i malfattori.  La stessa misericordia è un dovere di giustizia.

La carità e la misericordia non sostituiscono la giustizia, ma la presuppongono e vanno oltre nell’operare il bene e nella bontà. Infatti il motivo dell’amore, ancor più che il rispetto dei diritti e il soddisfacimento dei bisogni dell’altro, ambito, questo, della giustizia, è il desiderio di donarsi all’altro gratuitamente, è il bisogno di unirsi all’altro formando una sola carne e un solo spirito. Il motivo dell’amore è molto più profondo del motivo della giustizia.

Nell’amore il rapporto umano è molto più stretto e più intimo. La giustizia si riferisce a ciò che appartiene alla persona: i suoi beni, le sue opere, i suoi meriti. L’amore riguarda la persona stessa. I giusti si scambiano fra loro dei beni aggiunti o esterni alla loro persona e facilmente passeggeri e contingenti. Gli amanti comunicano l’uno con l’altro, si completano a vicenda, si donano l’uno all’altro, si posseggono reciprocamente. La giustizia crea l’uguaglianza dei beni; l’amore crea l’unione delle persone. La giustizia crea un ordine esteriore; l’amore crea l’unione degli spiriti e dei cuori.

Mentre dunque l’unione d’amore suppone la pratica della giustizia, la pratica della misericordia non richiede necessariamente che si sia amici dei misericordiati; essi anzi possono essere addirittura dei nemici, benché sia vero che, mentre le opere della misericordia corporale si possono compiere anche nei confronti di estranei o di sconosciuti, le opere della misericordia spirituale suppongono di norma una conoscenza intima del misericordiato e quindi un rapporto d’amore.

Nell’incontro con gli altri dobbiamo sempre partire da corretti rapporti di giustizia, anche se nell’intimo dobbiamo essere animati dalla carità. Ma pretendere, come fanno i buonisti, di instaurare immediatamente e sin dall’inizio con chiunque una comunione d’amore, saltando cautele, verifiche, preoccupazioni ed obblighi di giustizia, e magari col pretesto della carità e della fratellanza universale, considerandoci tutti figli di Dio ed orientati al paradiso, come se fossimo tutte anime belle nel paradiso terrestre e fossimo degli angeli che con un semplice colpo d’occhio intuiscono immediatamente la bontà e l’amabilità dell’altro, è una pericolosa e avventata utopia, fonte dei più disastrosi equivoci e delle più amare delusioni.

La pratica della giustizia è il primo gradino per salire poi al secondo dell’amore, Dal rapporto iniziale, esteriore, superficiale, di comune cortesia, si passa successivamente, con l’approfondirsi della conoscenza reciproca, al rapporto profondo ed intimo dell’amore. Prima di riottenere l’amicizia dell’offeso, bisogna che paghiamo il debito che abbiamo con lui. Questo è un dovere verso il prossimo e Dio vuole che ci comportiamo così anche con Lui. Per questo non otteniamo misericordia se non imitando Cristo nella giustizia riparatrice, che Egli ha compiuto a favore nostro nei confronti del Padre.

La giustizia dunque è quella virtù divina con la quale Dio dona il premio eterno e giudica i reprobi. La giustizia è quella virtù divina con la quale Cristo ha pagato per noi col suo sangue il debito del peccato e ci ha giustificati.

E la forma più elevata della giustizia umana è la giustizia verso Dio, che fonda la virtù di religione, la quale suppone il dovere di onorare Dio, di rispettare la sua legge e di offrirgli sacrifici in sconto dei peccati e per ottenere il suo perdono. Questi sono i doveri della religione naturale, confermati e sublimati dalla religione cristiana col Sacrificio e il Sacerdozio di Cristo.

Ora, la negazione buonista e misericordista della giustizia divina porta come conseguenza la negazione dei dogmi della redenzione, della retribuzione eterna, del giudizio universale e di quello particolare. E siccome il diritto umano e civile è fondato sul diritto naturale e divino, scalza dalle fondamenta il giusto ordinamento della convivenza sociale e civile.

Il buonismo scambia l’effettiva bontà ontologica dell’uomo, creato da Dio per trovare in Lui la sua felicità, con un’inclinazione naturale ad agire per un fine ultimo e quindi con un naturale bisogno di assoluto e di un bene che soddisfi in pieno le sue esigenze, con un inesistente orientamento effettivo ed efficace, sostenuto dalla grazia, di tutti gli uomini, anche atei, verso Dio, tutti perdonati ed oggetto della divina misericordia, sicchè tutti si salvano. Le conseguenze del peccato originale vengono ignorate sia per quanto riguarda l’opposizione a Dio sia per l’esistenza della concupiscenza, e sia per quanto riguarda l’ostilità della natura.

Il buonismo sopprime la necessità dell’ascetica

Secondo i buonisti non c’è da condurre nessuna lotta dello spirito contro la carne, nessuno sforzo ascetico, ma si deve seguire la spontaneità dell’impulso dello Spirito Santo, perché non esiste reale distinzione fra anima e corpo, ma l’uomo è un tutt’uno dove il corpo è spirito solidificato, mentre lo spirito è il corpo allo stato liquido, così almeno secondo Rahner; lo spirito, sempre secondo Rahner, ha a disposizione il corpo per plasmarlo liberamente come meglio crede, perché Rahner nega l’esistenza di una natura umana definita ed immutabile e per conseguenza l’esistenza di una legge naturale universale ed immutabile.

Il buonismo si sposa facilmente col panteismo dell’uomo il cui vertice è Dio stesso; e si capisce l’accostamento: Dio è bontà infinita e ciò che ha il suo vertice in lui non può che essere buono. Eppure il concetto del male è realmente essenziale alla vita umana, che anche il buonista non può evitare di fare i conti con esso. Gli si aprono due strade, ma entrambe però vicoli ciechi: o dire che il male non esiste, ma è solo un’apparenza soggettiva; o dire che il male è anche in Dio: Dio soffre e pecca. Cristo ha assunto non solo le conseguenze del peccato, ma lo stesso peccato, come dicono, «si è fatto peccato».

L’aporia insolubile nella quale cade il buonismo è quella di ammettere sì l’esistenza di un Dio buono, ma con accanto a sé l’uomo altrettanto buono, per cui, ammettendo d’altra parte anche l’esistenza del male, il buonismo, per mantenere la parità e la reciprocità tra Dio e uomo, è costretto ad ammettere il male non solo nell’uomo, ma anche in Dio. Per questo il male diventa necessario e assoluto come il bene. Possiamo dire che il male diventa bene. Ma ciò da che cosa dipende? Dipende dalla sua nozione del rapporto di Dio con l’uomo e dalla sua base metafisica concernente il rapporto del pensiero con l’essere.

P. Giovanni Cavalcoli 

Fontanellato, 27 settembre 2022

Se certe azioni della natura, come i cataclismi, i terremoti, le siccità, le alluvioni, le carestie, le epidemie, le bestie feroci recano danno all’uomo, e se la parte materiale dell’uomo è governata da leggi chimiche che prima o poi costringono l’anima ad abbandonare il corpo con la morte, non significa che anche l’azione di questi agenti chimici sia cattiva, perché fa danno all’uomo, giacchè anche qui siamo davanti a un ordine stabilito da Dio, il quale ordine, perché stabilito da Lui, è con ciò stesso buono, e danneggia l’uomo solo come conseguenza del peccato originale.

 

Il buonista, che considera il racconto genesiaco privo di qualunque attendibilità storica, ammettendo il darwinismo ed essendo possibile anche il poligenismo, un semplice mito eziologico per spiegare poeticamente l’attuale fragilità e peccaminosità umane, perde di vista la realtà tragica del peccato nella sua essenza profonda e nelle sue conseguenze umanamente irrimediabili, e lo riduce a un semplice, banale inevitabile incidente di percorso

 Se al vasaio capita di sbagliare nel formare un vaso e viene fuori un vaso deforme, non ha bisogno di confessarsi e invocare il perdono divino, ma semplicemente getta via il vaso malriuscito e prosegue tranquillo nel lavoro.

 
Immagini da Internet:
- Eruzione Vesuvio, Pierre-Jacques Volaire
 

[1] Per dirla col titolo di un libro di Walter Kasper, L’Assoluto nella storia nell’ultima filosofia di Schelling, Jacabook, Milano 1986.

[2] Cf Walter Kasper, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2013.

4 commenti:

  1. Maurizio Javier Lozano19 ottobre 2022 alle ore 20:51

    Caro Padre Cavalcoli,
    Vorrei solo ringraziarvi per tali articoli. E questo per un motivo ben preciso.
    Sono un pensionato argentino e in questo momento, anche se volessi e potessi acquisire i suoi libri, è impossibile per me dal mio paese.
    Capisco che questo articolo è qualcosa come un estratto o una sintesi delle sue idee in uno dei suoi libri. Grazie mille per la pubblicazione di tali articoli! Vorrei poterlo fare con gli altri suoi libri! Per i cattolici come me, è un modo per accedere alle sue opere!
    Grazie ancora.
    Maurizio Javier Lozano.

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    1. Caro Maurizio, la ringrazio per queste sue buone parole, che mi incoraggiano a proseguire nel mio lavoro e mi confermano nella bontà di tale lavoro.
      Capisco la sua difficoltà a procurarsi i miei libri; tuttavia le può bastare il seguire quello che scrivo nel mio blog.
      Augurando ogni bene, la benedico.

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  2. Caro Padre, a proposito della poligenia, qualche tempo fa, ascoltando un programma radiofonico su una nota emittente, mi è capitato di sentire un sacerdote, presentato come biblista di una certa fama, affermare che i progenitori in realtà sono da intendersi come una comunità primitiva di essere umani.
    Io ho scritto una mail chiedendo di rettificare e di dire che quanto detto dal sacerdote non rappresentava la verità di fede insegnata dalla Chiesa. Ovviamente non ho ricevuto risposta. Io mi chiedo cosa possa pensare l'ascoltatore poco preparato che ascolta un'affermazione del genere. È mai possibile che sacerdoti con presunte competenze biblistiche possano andare in trasmissioni televisive o radiofoniche ad insegnare il falso? Secondo lei questo è tollerato per via dei buonisti che ormai hanno preso piede anche nei ranghi della chiesa? Giuseppe

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    1. Caro Giuseppe,
      la tesi poligenista fu condannata da Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950, per il fatto che viene indirettamente a negare alcune verità di fede, come: 1) l’origine dell’umanità da una coppia primitiva; 2) lo stato di innocenza nel quale si trovava la coppia; 3) il peccato originale col suo castigo; 4) la promessa divina fatta ai progenitori di una futura salvezza; 5) la cacciata dal paradiso terrestre; 6) la trasmissione della colpa originale per generazione.
      Per quanto riguarda la libertà con la quale questi modernisti si permettono di diffondere i loro errori, si tratta certamente di una cosa dolorosa e scandalosa, che fa tanto più danno quanto più potenti sono i mezzi di diffusione dei loro errori.
      Questo fatto denota il potere che essi sono riusciti a conquistarsi all’interno della Chiesa, tanto che il Papa stesso si trova in difficoltà nel risolvere questa triste situazione.

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