Che cosa è
il proselitismo?
Una parola che
non piace al Papa
Nel recente
discorso fatto al convegno di Napoli sul Mediterraneo, il Papa ha avuto parole
dure contro il «proselitismo» e l’«apologetica». Occorre fare molta attenzione
a che cosa egli ha inteso dire riguardo a questi temi di estrema importanza,
che toccano le ragioni, le vie, i mezzi, le modalità e i metodi dell’annuncio e
della diffusione del Vangelo a tutti i popoli, temi sui quali il Papa torna
spesso, avendo anche, come è noto, dedicato ad essi la prima enciclica Evangelii gaudium.
Francesco
oppone al proselitismo l’evangelizzazione e prende evidentemente la parola
«apologetica» in un senso spregiativo, che si è diffuso in questi ultimi
decenni, ad indicare un modo fazioso, esagerato, forzato o scorretto, per non
dire menzognero di voler a tutti costi giustificare o difendere idee,
istituzioni, abitudini e comportamenti correnti nella Chiesa o in uomini di
Chiesa, o anche in Santi, soprattutto del passato, che in realtà non possono
essere giustificati e difesi, almeno alla luce delle più recenti cognizioni
storiche o del progresso attuale del Magistero, della teologia e del costume
cattolici.
Il
proselitismo è anche la tendenza a proporre il Vangelo non nella sua purezza ed
universalità, ma rendendo arbitrariamente obbligatori, quasi essenziali al
Vangelo, alcuni elementi o rivestimenti accidentali, sopraggiunti, particolari
o contingenti, magari legati alla cultura del missionario, elementi che in
realtà, per quanto a volte rispettabili, non entrano nel suo contenuto
essenziale o sostanziale.
Era questo un
difetto dell’evangelizzazione preconciliare, al quale il Concilio ha rimediato facendo
presente che, per quanto il Vangelo debba essere mediato da una cultura o debba
incarnarsi in una cultura o sia inevitabile che il missionario ragioni
nell’orizzonte della propria cultura,
egli deve saper astrarre da questa particolare cultura e deve proporre all’evangelizzando
il Vangelo nella sua essenzialità, sia pur incarnandolo nella cultura dell’evangelizzando.
È quel metodo, che poi S.Giovanni Paolo II chiamò «inculturazione».
Il Vangelo è
al di sopra delle culture
Ciò non vuol
dire però che non esista una cultura universale,
al di sopra delle culture particolari,
frutto della ragione come tale,
proprietà essenziale di tutti gli uomini, la quale cultura, come ha fatto notare
Benedetto XVI, è patrimonio preziosissimo e perenne, lasciatoci dall’antica Roma
e dalla Grecia, patrimonio dell’umanità,
che la Chiesa ha utilizzato per la stessa formulazione del dogma.
Questo patrimonio, pertanto, benchè semplice frutto
dell’ingegno umano, è talmente connesso alla verità di fede, che non può essere
negato o alterato o trascurato senza falsificare il dogma di fede. Quindi,
almeno nelle sue linee essenziali, strettamente connesse col dogma, questo patrimonio, al fine di una buona
evangelizzazione, dev’essere, per comando della Chiesa stessa[1],
trasmesso a tutto il mondo, insieme col Vangelo, come propedeutica al Vangelo o
suo strumento interpretativo, secondo la tradizione del Magistero della Chiesa.
Emerge qui allora luminosa la figura e missione perennemente attuale di S.Tommaso d’Aquino, Doctor Communis Ecclesiae.
Come infatti
insegna il Concilio Vaticano I, «la retta ragione dimostra i fondamenti della
fede; ed illuminata dalla sua luce, coltiva la scienza delle cose divine,
mentre la fede libera la ragione dagli errori e la istruisce con molteplici
conoscenze» (Denz.3019). I «fondamenti della fede» non sono, come potrebbe
sembrare a una lettura superficiale, il principio attivo o causa formale dell’atto
di fede, perché questa è solo l’autorità o azione dello Spirito Santo, ma sono le
ragioni umane di questo atto, in quanto ragionevole, ossia motivato dai motivi di
credibilità del messaggio evangelico, la sua conformità alla ragione e il fatto
che la Parola di Dio attira la ragione a crederle.
La
ragionevolezza della fede
L’atto di fede
è atto della ragione, ma non un atto della sola
ragione. È la ragione illuminata dalla fede infusa dallo Spirito Santo. Non
è dunque semplicemente un atto razionale, causato solo dalle forze della
ragione. E tuttavia è un atto ragionevole. Nella fede la ragione, per divina
rivelazione e fidandosi dell’autorità di Dio rivelante, sale molto più in alto di
quanto essa non sappia salire con le sue sole forze. La fede, infatti, come
insegna il Vaticano I, è una «virtù soprannaturale, per la quale, sotto l’ispirazione
di Dio e con l’aiuto della grazia, noi crediamo esser vere le cose da Lui rivelate,
non per la loro intrinseca verità penetrata dal lume della ragione naturale, ma
per l’autorità dello stesso Dio rivelante» (Denz.3008).
Dio vuol fare
a tutti il dono della fede illuminandoli con lo Spirito Santo, ma vuole nel
contempo che l’atto del credere sia un atto umano, intelligente e libero, e che
pertanto la Parola di Dio venga diffusa mediante l’opera dei predicatori, i quali
devono saper proporre agli evangelizzandi i contenuti della fede in modo persuasivo,
argomentato e credibile, conforme alle esigenze della ragione e della scienza, la
quale chiede a loro, come fa intendere il Vaticano I (Denz.3009), garanzie di credibilità
di quanto essi intendono comunicare agli ascoltatori.
L’apologetica
è questa opera di persuasione, alla quale S.Pietro esorta noi credenti: «siate
sempre pronti a far opera apologetica (etoimoi
pros apologhian) davanti a coloro che vi chiedono ragione (aitunti logon) della speranza che è in
voi» (I Pt 3,16). La parola apologia (apologhia)
viene da apologheomai, che vuol dire
«mi difendo», «mi giustifico». Indubbiamente si suppone un’accusa da parte di
un avversario, dalla quale ci si vuol difendere.
In tal modo
nel passato l’annuncio evangelico ha quasi sempre avuto un tono polemico, quanto
meno di confutazione di errori o di risposta a difficoltà ed obbiezioni. In ciò
si è anche esagerato. Per questo nel decreto sulle missioni Ad Gentes del Concilio Vaticano II non si
parla mai di «apologetica». Per questo si preferisce parlare oggi di educazione
o introduzione o propedeutica alla fede. Eppure, questo aspetto
dell’evangelizzazione resta sempre attuale e doveroso, anche se ha ragione il
Concilio Vaticano II a dare il primato alla proposta positiva e costruttiva,
svolgendo i grandi temi del dialogo e dell’ecumenismo.
Ma a parte
l’aspetto polemico, l’apologetica conserva sempre una grande importanza per
quanto riguarda la cura dei fondamenti razionali della fede e la questione del
rapporto della fede con la cultura, con la scienza e con la filosofia. Questo è
il punto importante, che S.Paolo intende toccare, quando dice che la nostra
«latria» dev’essere «loghikè», che è bene tradurre non con razionale, ma con ragionevole,
ossia secondo ragione o conforme
a ragione, come spiega il Concilio Vaticano I (Denz.3009).
L’irrazionalità
non favorisce la fede
È su questo
punto che appare incresciosa la debolezza dell’apologetica luterana, per la sua
insensibilità o addirittura ostilità nei confronti dei fondamenti razionali
della fede, a causa del suo ben noto irrazionalismo. Un limite
dell’evangelizzazione luterana è dato dal fatto che essa non è nata con la
prospettiva dell’annuncio ad gentes,
ossia ai non cristiani o non credenti, ma, come sappiamo bene, come polemica
all’interno della Chiesa, con la pretesa di avere ritrovato contro il Papa il
vero Vangelo. E quindi il primo bisognoso di conversione era il Papa, se ancora
poteva essere recuperabile. Ma a parte il
pessimismo di Lutero riguardo alla ragione, egli non pensò di chiarire
la funzione della ragione come presupposto alla fede, perché abituato a polemizzare
con fratelli di fede.
Avviene così
che il luterano è convinto che per diffondere il cristianesimo non occorra
un’apologetica, ma sia sufficiente diffondere la Bibbia contando sull’azione
dello Spirito Santo. Ora circa l’azione dello Spirito Santo non c’è alcun
dubbio e certo è cosa ottima diffondere la Bibbia.
Ma il punctum dolens sta nel fatto che
un’evangelizzazione priva di una seria opera propedeutica e apologetica di
argomentazione razionale, invano potrebbe far leva sulla diffusione della
Bibbia e contare sull’ispirazione dello Spirito Santo, fattori indubbiamente
essenziali della diffusione della fede, ma che possono avere la loro
efficacia solo se possono valersi della collaborazione della
cultura umana e delle energie della ragione, sapientemente promosse,
selezionate, purificate e custodite dalla millenaria tradizione della Chiesa
cattolica.
Gli
inconvenienti del proselitismo
Il Papa ha
abbinato proselitismo e apologetica in una comune condanna, perché
effettivamente si richiamano l’un l’altra. Per «proselitismo», infatti, il Papa
non intende certamente il fare o accogliere «proseliti» nel senso degli Atti degli
Apostoli (At 2,11; 6,5; 8,27; 13,43); ma semmai si riferisce alle parole di
condanna di Gesù ai farisei: «percorrete il mare e la terra per fare un solo
proselito» (Mt 23,15).
Il termine
«proselito» (proselytos) nel NT è un termine
del tutto innocente, il cui significato etimologico è «colui-che-si-è-avvicinato»
sia perchè è stato avvicinato o sia perchè si è avvicinato da sé. Il proselito
non è ancora un vero e proprio convertito, ma solo un interessato alla fede, il
quale, con un opportuno accompagnamento, può diventare un catecumeno ed arrivare
al battesimo.
Il Papa, con
quel termine intende, invece, un certo stile disonesto, astuto, imbonitore,
riduttivo, secolaresco e mondano di presentare la fede, il Vangelo, Gesù Cristo
e la Chiesa, uno stile non animato da finalità soprannaturali e da autentico
amore e servizio alle anime, in comunione con la Chiesa e il Papa, ma uno stile
settario e divisivo, che nasconde un bisogno di emergere e di ottenere seguaci
e di affermare se stessi a spese del Vangelo, col risultato, che, come oggi
avviene spesso sotto i nostri occhi o ci pare che avvenga, non assistiamo
affatto, tranne pochissimi casi, nonostante gli sforzi di pastori, missionari
ed evangelizzatori, non escluso il Papa, alla crescita e al progresso della
Chiesa e del numero dei credenti, della fede cattolica e della pratica morale
che ne consegue, ma ci pare con tristezza di assistere, per tanti fatti che si
succedono a getto continuo, pur non volendo essere pessimisti, ad un processo di decadenza e di dissoluzione,
al moltiplicarsi di posizioni individualistiche, ad un «raffreddamento generalizzato
della fede e della carità», ad un calo dei credenti, vuoi sedotti dal fascino
dello gnosticismo o dalla bassezza dall’edonismo e del materialismo, vuoi smarriti
nell’indifferenza o nello scetticismo, vuoi attirati o dal ciarlatano del momento o
dall’empietà degli atei o da altre religioni più comode e meno esigenti o dalla
voglia di creare una religione di proprio conio.
Papa
Francesco oppone al proselitismo l’evangelizzazione, basata sull’annuncio del
Vangelo, sulla testimonianza, sulle opere della carità, sulla preghiera, e
sulla fiducia nella forza dello Spirito Santo. Forse occorrerebbe riprendere un
maggior impegno in un dialogo più fiducioso nelle forze della ragione, della
cultura e della filosofia, secondo le migliori tradizioni che risalgono ai
Padri ed hanno percorso le grandi imprese che hanno dato origine alla civiltà
cristiana.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
22 giugno 2019
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