La coscienza umana è una realtà immateriale appartenente al mondo dello spirito

 

La coscienza umana è una realtà immateriale

appartenente al mondo dello spirito

Un fisico che vuol definire la coscienza mediante la fisica

Su Avvenire del 10 febbraio scorso è apparso un articolo di Roberto Italo Zanini dal titolo «Il fisico. Faggin: “La coscienza è un fenomeno quantistico”»[1], dedicato al convegno “Per una nuova antropologia. Incontro fra scienza e mistica”, svoltosi il giorno successivo alla fondazione culturale San Fedele di Milano organizzato dalla Fondazione Nova Cana, protagonista il Prof. Federico Faggin, fisico quantistico, inventore di sofisticati congegni elettronici al servizio della robotica e dell’informatica, che da molti anni indaga su come la fisica può affrontare il problema dell’esistenza e del funzionamento della coscienza umana.

 Zanini riferisce il racconto fatto da Faggin di una straordinaria esperienza interiore fatta molti anni fa, che dette una svolta alla sua vita e che Faggin chiama «mistica»:

«il livello spirituale in cui una persona è tutt’uno con il mondo. Una conoscenza diretta, più forte della certezza offerta dalla logica. Una conoscenza da dentro anziché da fuori, che aveva coinvolto tutti gli aspetti della mia coscienza: fisico, emotivo, mentale e spirituale».

E prosegue Zanini:

«Un’esperienza che, come spiega anticipando i contenuti della relazione al convegno “Per una nuova antropologia”, «mi ha rivelato che sono il Tutto che osserva e conosce se stesso con il mio punto di vista. Tale conoscenza era una combinazione di amore, gioia e pace mai provata prima, di una intensità impossibile da immaginare e con un senso profondo di verità del quale non si poteva dubitare. Invece di essere separato dal mondo come credevo e come la scienza ci definisce, ero sia l’osservatore che l’osservato».

Una rivelazione che cambia il corso della vita di Faggin e anche la direzione delle sue ricerche scientifiche. Inizia come mai aveva fatto prima a esplorare il suo mondo interiore per metterlo in dialogo col sapere della scienza.

Dopo vent’anni, rivela,

“sono arrivato alla sola ipotesi che poteva spiegare la natura della realtà senza negare l’enorme mole di evidenza teorica e sperimentale accumulata dalla scienza. L’ipotesi è che la coscienza e il libero arbitrio devono essere fenomeni quantistici che esistono sin dall’inizio dell’universo. Ma come si fa a trovare evidenza nella scienza stessa per rendere plausibile un’ipotesi che dice esattamente l’opposto di quello che affermano gli scienziati più autorevoli?”.

Una domanda essenziale che lo conduce a “dedicarsi interamente” a cercare un contesto concettuale che potesse spiegare «sia il mondo fisico che il mondo interiore, portando luce su aspetti della realtà che la scienza non sa ancora spiegare e allo stesso tempo rendere più comprensibile le stesse teorie fisiche che sono ancora controverse tra i fisici». Insomma, come è scientificamente teorizzabile il fatto che, per dirla con le parole del suo libro, era stato possibile «mantenere la mia identità nonostante sperimentassi me stesso come fossi il mondo. Mi sentivo “mondo” con il mio punto di vista».

Faggin spiega tutto questo con una teoria della coscienza che utilizza i concetti della fisica quantistica:

La coscienza e il libero arbitrio esistono e sono fenomeni puramente quantistici esistenti in una realtà più vasta di quella che gli strumenti e il corpo umano possono rilevare. Questa realtà si può solo esplorare unendo profondamente scienza e spiritualità e ponendo fine al tragico dualismo che oggi le separa”.

Parole che aprono a una nuova lettura scientifica dell’umanità e soprattutto a una comprensione dell’essere umani e dell’essere nel mondo, quindi a una nuova antropologia che si avvicina moltissimo, anzi, quasi ricalca la storia della mistica cristiana e molto si accosta all’analisi spirituale e psicanalitica di Jung, che aveva nel fisico Wolgang Pauli un assiduo interlocutore. Non è un caso che Angela Volpini abbia trovato in Faggin il corrispettivo scientifico del grande messaggio di speranza contenuto nelle sue esperienze mistiche: la possibilità per ogni essere umano e per l’umanità di avviarsi sulla strada della felicità sulla terra.

Nel suo libro, raccontando l’esperienza di cui è stato protagonista, Faggin precisa: “Ero contemporaneamente l’osservatore del mondo e il mondo. Allo stesso tempo capivo che il mondo è fatto di una sostanza che sa d’amore e che io sono quella sostanza. In altre parole, l’essenza della realtà è una sostanza che conosce se stessa nella sua autoriflessione e il suo autoconoscersi è vissuto come un amore irreprimibile, dinamico e pieno di gioia e di pace». Il racconto biblico della creazione e il Prologo di Giovanni sono lì da millenni a ricordarcelo».[2]

Prendiamo le frasi centrali e commentiamole:

«Per la prima volta nella mia vita avevo sperimentato l’esistenza di un’altra dimensione della realtà: il livello spirituale in cui una persona è tutt’uno con il mondo». «Invece di essere separato dal mondo come credevo e come la scienza ci definisce, ero sia l’osservatore che l’osservato». Questa esperienza «mi ha rivelato che sono il Tutto che osserva e conosce se stesso con il mio punto di vista».

«Sono arrivato alla sola ipotesi che poteva spiegare la natura della realtà senza negare l’enorme mole di evidenza teorica e sperimentale accumulata dalla scienza. L’ipotesi è che la coscienza e il libero arbitrio devono essere fenomeni quantistici che esistono sin dall’inizio dell’universo». «Era stato possibile mantenere la mia identità nonostante sperimentassi me stesso come fossi il mondo.

Mi sentivo “mondo” con il mio punto di vista». «La coscienza e il libero arbitrio esistono e sono fenomeni puramente quantistici esistenti in una realtà più vasta di quella che gli strumenti e il corpo umano possono rilevare. Questa realtà si può solo esplorare unendo profondamente scienza e spiritualità e ponendo fine al tragico dualismo che oggi le separa».

Questa esperienza «quasi ricalca la storia della mistica cristiana». «Ero contemporaneamente l’osservatore del mondo e il mondo. Allo stesso tempo capivo che il mondo è fatto di una sostanza che sa d’amore e che io sono quella sostanza. In altre parole, l’essenza della realtà è una sostanza che conosce se stessa nella sua autoriflessione e il suo autoconoscersi è vissuto come un amore irreprimibile, dinamico e pieno di gioia e di pace».[3] 

Osservazioni

Osserviamo che l’identità dell’io col Tutto non è mistica cristiana ma esperienza brahmanica o buddista. In questa esperienza il soggetto ha la duplice impressione da una parte di essere il Tutto esistente ab aeterno, per cui la sua coscienza aperta all’Assoluto diventa uno con l’Assoluto, ma dall’altra il Tutto si restringe nei limiti della sua coscienza, al punto che essa diventa calcolabile in quanto «fenomeno puramente quantistico». Il finito diventa infinito, l’infinito diventa finito. La materia diventa spirito e lo spirito diventa materia. Siamo in fondo davanti ad una forma di panteismo.

L’esigenza di unità fra spirito e materia, fra sapere scientifico e sapere metafisico è comprensibile, ma Faggin, per evitare il dualismo cartesiano, finisce per negare la distinzione filosofica e cristiana di anima e corpo, materializzando la coscienza e per dissolvere l’io empirico nell’Io assoluto alla maniera dei panteisti idealisti tedeschi o di quelli indiani.

Ma nel contempo la cosa interessante è che Faggin in altri contesti non citati qui sembra lanciare una sfida ai fisici materialisti che vorrebbero spiegare l’origine della coscienza dal cervello e immaginano la possibilità di una macchina dotata di coscienza, tale da guidare l’uomo, senza capire che è l’uomo, costruttore della macchina – ed egli ne sa qualcosa -, che governa la macchina e non viceversa. 

Quali sono le funzioni della coscienza?

La fisica quantistica si occupa del mondo fisico, non può sapere che cosa è la coscienza umana. Essa può studiare le funzioni elettromagnetiche della neurologia cerebrale, la quale è certamente la base materiale che rende possibile l’attività della coscienza. Ma questa attività non si esercita nello spazio come lo oggetto della fisica e non è pertanto misurabile o quantificabile secondo parametri matematici.

La coscienza[4] umana ha un’attività intellegibile, interiore, non spaziale, inestesa, immanente, riflessa sovratemporale, intenzionale, libera, imponderabile, non quantificabile e non misurabile, un’azione infinitamente superiore e più potente dell’attività semplicemente fisica, materiale e corporea, attività del tutto impossibile alla materia, la cui azione è transitiva, spaziale, ponderabile, estesa, quantitativa, deterministica, misurabile, sensibile, immaginabile, temporale.

Esiste bensì una coscienza animale, che comporta l’intenzionalità e quindi l’immaterialità, ma non la spiritualità. Qui la materia resta unita all’atto di coscienza, perchè il soggetto dell’atto è solo l’anima sensitiva e non è come in noi lo spirito che agisce da solo e per conto proprio.  La possediamo anche noi a livello psichico. Ma anch’essa non è quantificabile e quindi non può essere considerata un fenomeno quantistico, benchè non lasci del tutto la materia.

Ma nell’animale questa coscienza si pone al solo livello dell’immaginazione e della memoria, senza che il conoscente riesca ad astrarre del tutto dal dato concreto, anche se conosciuto nella sua essenza. Il cane quando riflette sul fatto che è stato picchiato dal padrone perché ha disobbedito, possiede la coscienza di essere stato picchiato, ma non ha il concetto del picchiare, perchè l’esperienza individuale della botta che ha preso è tale per cui non è capace di astrarre totalmente da essa per farsi, come facciamo noi, il concetto dell’essenza del picchiare.

Occorre dire inoltre che l’attività coscienziale umana è l’attività di quell’ente, che, come dice San Tommaso, è atto a convenire con ogni ente. E questo è lo spirito.  L’uomo, come dice Heidegger, è quell’ente la cui essenza è quella di interrogarsi sull’essere. E con quale facoltà lo fa, se non con la coscienza? Per capire che cosa è la coscienza non basta la fisica; occorre la metafisica.

La coscienza ha spontaneamente relazione con la verità, il bene, l’assoluto, l’eterno, l’infinito, l’universale, la totalità dell’essere. Che ne sa il fisico di tutto ciò? Quando egli forma questi concetti, con ciò stesso ha abbandonato il campo della fisiica per entrare in quello della metafisica.

Il fisico ha già per conto suo un vastissimo campo d’interesse e d’intervento in neurologia, in informatica, in robotica, in astrofisica, in ingegneria, in medicina. Sappia accontentarsi del suo campo e lasci al filosofo, allo psicologo, al metafisico, al sacerdote, al moralista, al mistico, al teologo, alla Sacra Scrittura, al Magistero della Chiesa, occuparsi di questo delicatissimo ambito dell’esistenza e del destino dell’uomo

Il distinguere nell’uomo lo spirito dal corpo non comporta nessun dualismo e non provoca nessuna tragedia, purchè, s’intende, si concepisca spirito e corpo nel modo giusto, non come ha fatto Cartesio intendendoli come due sostanze complete e sussistenti ognuna per conto proprio, ma intendendoli come parti essenziali di una medesima sostanza. L’esistenza nel mondo di spiriti e corpi provenienti da un puro Spirito che è Dio è un dato di fatto noto alla metafisica e alla teologia naturale, nonché a tutte le religioni dell’umanità.

La coscienza suppone un soggetto vivente e conoscente. La macchina può riprodurre i circuiti cerebrali e il funzionamento elettromagnetico del cervello misurabile con la fisica quantistica. Ma la somiglianza dell’attività del computer con i meccanismi cerebrali non basta a ipotizzare la possibilità di una vera e propria attività conoscitiva e coscienziale del computer, perché la macchina, mancando di anima e non essendo un corpo naturale ma un semplice assemblaggio artificiale di parti, manca della potenza conoscitiva e per conseguenza motrice, affettiva o volitiva, che è propria del soggetto vivente. Il dinamismo della macchina non è il dinamismo della vita, ma solo quello dei moti proprio della materia. Per questo la coscienza non può essere ridotta ad essere un mero fenomeno quantistico qual è il meccanismo proprio di una macchina, ma è un fenomeno intellegibile secondo le categorie della qualità e dell’azione immanente vitale, le sole adatte per comprendere il fenomeno della coscienza.

Visibilia et invisibilia

Chi non sa elevare il proprio sguardo dalle cose sensibili, visibili e temporali e derivate a quelle primarie, superiori, supreme ed eterne puramente intellegibili, invisibili, divine e spirituali è considerato dalle grandi sapienze dell’umanità uno stolto. Sapiente invece è colui che sa che lo spirito vale più della materia, che la materia ha origine dallo spirito, il mondo da Dio, l’essere materiale dal pensiero divino.

Chi con la propria coscienza, il proprio intelletto, la propria ragione e la propria volontà non sa dominare e disciplinare se stesso, i propri istinti, le proprie passioni, le proprie fantasie e il proprio corpo, ed invece di elevare lo spirito alle cose divine rinuncia alla propria dignità per abbassarsi al livello delle bestie, è considerato dalle grandi sapienze dell’umanità un individuo spregevole e bestiale.

Come ha dimostrato Aristotele l’incapacità di distinguere la realtà corporea da quella spirituale e riduce questa a quella è segno di mancanza di intelligenza metafisica, ossia dell’incapacità di oltrepassare con l’intelletto il piano dell’esperienza sensibile per elevarsi a quello spirituale, vale a dire di elevare il proprio sapere dalla fisica, che considera le cause seconde e i composti di materia e forma, alla metafisica, la scienza del puro essere, del puro intellegibile, del puro immateriale, dei puri spiriti, delle pure forme, delle cause prime e divine, fino alla causa delle cause che è è Dio.

La metafisica ci rende edotti del fatto che la realtà non è piatta, ma è gerarchica, è fatta a scale. Esistono gradi di essere e di realtà. Dal più basso, la materia prima troviamo una serie di gradini per i quali l’ente superiore ha un potere che l’inferiore non ha. Le piante possono di più di quello che fanno i minerali. Gli animali fanno di più di ciò che sanno fare le piante. L’uomo ha poteri superiori a quelli degli animali. Gi angeli sono più potenti dell’uomo. Dio è l’onnipotente, l’Altissimo creatore e signore del cielo e della terra.

La distinzione fra realtà materiali e realtà spirituali, fra materia e spirito, fra il composto di materia e forma e la pura forma non è solo un dato di ragione chiaramente dimostrato da Platone e da Aristotele, ma è anche un dato della fede cristiana, è un articolo di fede del Simbolo apostolico: visibilia et invisibilia. Non solo, ma gli enti materiali e spirituali non giacciono tutti nel medesimo grado di dignità ontologica, ma Dio li ha creati secondo diversi gradi di dignità ontologica, in modo tale che i più bassi sono ordinati ai più alti e sono al servizio dei più alti, fino ad arrivare al sommo ente che è Dio stesso, causa prima e fine ultimo di tutti gli enti.

Lo spirito umano mostra una duplice tendenza difettosa: o quella occidentale, che consiste nel paragonare il rapporto fra materia e spirito a quello fra realtà e immaginazione o quella orientale consistente nel paragonare il rapporto tra spirito e materia al rapporto fra realtà e apparenza. L’occidentale esagera il valore della materia e finisce nell’ateismo. L’orientale esagera il valore del suo spirito e, disprezzando la materia, finisce nel panteismo.

Maritain[5] delinea con un arguto confronto la differenza fra la mentalità occidentale e quella orientale: per l’Oriente – egli dice – è evidente che esiste Dio. Il problema è se esiste il mondo. Per l’Occidente, invece, è evidente che esiste il mondo. Il problema è se esiste Dio.

Tipico rappresentante dell’Occidente è Aristotele. Invece Parmenide col suo monismo ontologico e Platone col suo dualismo sembrano rappresentare influssi orientali in Occidente. Cartesio col suo razionalismo è tipico rappresentante dell’Occidente. Tuttavia il suo idealismo fa pensare all’Oriente.

Sapienza equilibratrice e conciliatrice è quella biblica. E non per nulla Israele sta in mezzo fra Occidente ed Oriente, abbracciandoli entrambi e liberandoli dai loro eccessi materialistico, quello occidentale e spiritualistico, quello orientale.  

A questi gradi dell’essere corrispondono gradi del sapere: l’esperienza sensibile coglie l’individuo materiale concreto; la fisica è la scienza dell’ente sensibile, mobile e quanto; la matematica è la scienza dell’ente in quanto immaginabile e atemporale; la metafisica è la scienza dell’ente in quanto ente, indifferente al materiale e spirituale, quindi puramente intellegibile.

La teologia è la scienza del primo e sommo ente, che è Dio. La fede è la conoscenza di Dio mediante la rivelazione cristiana. L’esperienza mistica è l’esperienza della presenza di Dio nell’anima in grazia. Infine la visione beata di Dio in cielo è il sommo grado del sapere proprio del paradiso.

Ora io vorrei chiedere a Faggin: l’esperienza mistica che dice di aver avuto si colloca al piano del sapere che ho detto? Se ciò non fosse, non si tratterebbe di vera esperienza mistica, ma di una straordinaria ed intensissima esperienza emotivo-immaginaria della totalità come unità dell’individuo col Tutto, che ha molta affinità col panteismo indiano o buddista.

L’uomo è una sostanza materiale animata da un’anima spirituale

Occorre inoltre ricordare che la natura umana completa è solo quella che risulta dall’unione dell’anima col corpo. Poiché l’anima è incorruttibile e immortale, in quanto sostanza semplice, mentre il corpo è corruttibile e mortale, in quanto composto, l’anima, come è dimostrato dalla filosofia ed è insegnato dal dogma proclamato dal Concilio Lateranense V nel 1513, sopravvive al corpo separata dal corpo deposto nel sepolcro.

La singola persona è il soggetto umano dotato di una natura umana composta di anima e corpo. La persona è solo questo singolo soggetto. L’anima separata dell’oltretomba non è persona, perché qui la natura umana non è completa.

Che l‘uomo sia composto di spirito e corpo è dogma insegnato dal Concilio Lateranense IV del 1215 e lo si dimostra anche razionalmente, come hanno fatto Socrate, Platone ed Aristotele.

È vero, tuttavia, come nota San Paolo, che, a seguito del peccato originale, esiste purtroppo in noi un doloroso ed innaturale conflitto fra lo spirito e la carne. Ma ciò non corrisponde affatto alla volontà originaria del Creatore, che ha creato l’uomo, uomo e donna, composto di spirito e corpo perchè l’uno e l’altro formino un’unica sostanza. E il Concilio di Viennes del 1312 insegna appunto dogmaticamente che l’anima razionale è forma sostanziale del corpo.

Il fisico non deve interferire nella metafisica

Il fisico è chiamato a lavorare insieme col metafisico per il bene dell’umanità senza la pretesa di rispondere lui alle domande del metafisico. Egli deve lasciar rispondere a queste domande Parmenide, Platone Aristotele, San Tommaso, Hegel, Heidegger e Severino. Il problema della coscienza è strettamente connesso con quello dell’essere, perchè la coscienza non è altro che la riflessione intellettuale sull’essere pensato. Ora, la questione dell’essere, la seinsfrage, come dice Heidegger, non è affare del fisico, ma del metafisico.

Il fisico non s’interessa, come il metafisico, dell’ente come tale o del puro essere o della totalità dell’essere, ma solo dell’ente mobile, sensibile e quanto. La fisica è quantistica per sua essenza, giacchè la quantità e lo spazio-tempo sono accidenti della sostanza materiale misurabili col metodo matematico, che caratterizza il metodo del sapere fisico.

La fisica non ha neppure a che fare direttamente con la sensazione o l’esperienza o il sentimento,  se non come presupposti gnoseologici, in quanto ogni nostro sapere parte dai sensi, ma essa come scienza è scienza dell’universale; essa astrae dal sensibile individuale, contingente  e concreto del qui ed ora e formula in forma matematica  le leggi universali e necessarie dei fenomeni o moti deterministici, certi, misurabili, costanti, verificabili e calcolabili della natura fisica vivente e non vivente, umana e subumana.

Con la fisica o la matematica non si risolve il problema dell’essere o del tutto, materiale o spirituale che sia. La fisica risponde alle questioni poste dal mondo materiale, sensibile e immaginabile, non di quello invisibile, non sensibile, non immaginabile e spirituale, al quale la coscienza appartiene.

Il fisico, certo, deve esercitare la coscienza per far fisica. Ma egli, come fisico non sa nulla dell’essenza spirituale della coscienza, la quale non è affatto oggetto del suo sapere, se non per quanto riguarda le basi e condizioni fisiologiche e neurologiche cerebrali del suo esercizio.  E qui può rendere servizi utilissimi per consentire, favorire e potenziare il sano e lucido esercizio della coscienza.

La fisica quantistica ci apre orizzonti interessantissimi di conoscenza su quello che è il rapporto fra mente e cervello a livello atomico e, facendoci meglio comprendere la somiglianza dell’attività fisiologica elettromagnetica cerebrale con i dinamismi fisici quantificabili e sperimentali studiati dalla fisica quantistica, offre la possibilità di costruire macchine o congegni che nel loro funzionamento incrementano, riproducono o imitano la attività cerebrale, così da offrire un prezioso servizio anche dal punto vista medico-terapeutico.  

Tuttavia occorre che i fisici, come il prof. Faggin, al quale siamo grati per le sue scoperte e per le sue invenzioni, abbiano la modestia e la saggezza di mantenersi entro i limiti delle loro competenze, riconoscendo come fa il prof. Faggin, l’opera spirituale ed intenzionale della coscienza, delle idee, dei concetti, del sapere, della conoscenza,  dell’intelletto, della ragione, della volontà e del libero arbitrio, ma senza la pretesa di darne una fondazione scientifica e teoretica, che non spetta  alla fisica ma alla metafisica, alla psicologia, alla morale ed alla dottrina della fede.

Ogni scienza ha il suo metodo che vale solo in relazione ai limiti ed alla dignità del suo oggetto. Voler affrontare con i metodi della fisica problemi di metafisica significa, bene che vada, dare soluzioni semplicistiche che alla fine sono illusorie in un campo delicatissimo della vita umana.

Le vere tragedie non vengono, come crede Faggin, dalla distinzione innocente ed anzi necessaria fra materia e spirito, tra scienza e spiritualità, ma dalle false esperienze mistiche, sorgenti di autoesaltazione e megalomanie che producono falsi profeti ed impostori. Non si risolve il conflitto confondendo ma distinguendo. Solo così è possibile unire.

Il rischio infatti, bene che vada, è quello di scambiare l’esperienza mistica per un sogno straordinario dell’immaginazione creatrice e dell’emozione scaldata da un infuocato sentimento, ma niente di più. La visione dello spirituale non è raggiunta e tanto meno quella del divino.

Il Prof. Faggin continui il suo prezioso lavoro e nelle sue ricerche, ma nel contempo abbia fiducia nella competenza dei suoi colleghi filosofi e nel Magistero della Chiesa: siamo tutti con lui a lavorare a servizio dell’umanità. Come noi impariamo da lui, anche lui abbia l’umiltà di imparare da noi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 11 febbraio 2024 


Osserviamo che l’identità dell’io col Tutto non è mistica cristiana ma esperienza brahmanica o buddista. In questa esperienza il soggetto ha la duplice impressione da una parte di essere il Tutto esistente ab aeterno, per cui la sua coscienza aperta all’Assoluto diventa uno con l’Assoluto, ma dall’altra il Tutto si restringe nei limiti della sua coscienza, al punto che essa diventa calcolabile in quanto «fenomeno puramente quantistico». Il finito diventa infinito, l’infinito diventa finito. La materia diventa spirito e lo spirito diventa materia. Siamo in fondo davanti ad una forma di panteismo.

L’esigenza di unità fra spirito e materia, fra sapere scientifico e sapere metafisico è comprensibile, ma Faggin, per evitare il dualismo cartesiano, finisce per negare la distinzione filosofica e cristiana di anima e corpo, materializzando la coscienza e per dissolvere l’io empirico nell’Io assoluto alla maniera dei panteisti idealisti tedeschi o di quelli indiani.

Ma nel contempo la cosa interessante è che Faggin in altri contesti non citati qui sembra lanciare una sfida ai fisici materialisti che vorrebbero spiegare l’origine della coscienza dal cervello e immaginano la possibilità di una macchina dotata di coscienza, tale da guidare l’uomo, senza capire che è l’uomo, costruttore della macchina – ed egli ne sa qualcosa -, che governa la macchina e non viceversa. 

 Immagine da Internet: Federico Faggin



[2] Cf. Articolo su Avvenire

[3] Cf. Articolo su Avvenire

[4] Cf Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, a cura d Luca Gabbi e Vittor Ugo Petruio, Donzelli Editore, Roma 2000; F.-X.Putallaz, Le sens de la réflexion chez Thomas d’Aquin, Librairie  Philosophique Vrin, Paris 1991.

[5] Scienza e saggezza, Edizioni Borla, Torino 1964.


7 commenti:

  1. Leggendo questo articolo e le riflessioni riportate del fisico Saggin ed il suo commento, p. Giovanni, mi ha riportato alla mente uno studio che feci a suo tempo sul rapporto tra mente e cervello, in cui sostengo e dimostro che l’anima non ha origini biologiche confutando la pretesa meccanicistica dei fenomeni cerebrali che sostiene che il cervello sia l'origine della coscienza, del pensiero, delle emozioni, e di ogni attività psichica e questa conclusione è accettata da quasi tutti i neuro scienziati. Di conseguenza i fenomeni vitali dovrebbero interpretarsi completamente ed esclusivamente in base alle leggi della fisica e della chimica.
    Infatti così scrive G. Brunetti, umanista-scienziato, professore universitario e scrittore:
    “Negli ultimi decenni tuttavia importanti scoperte ci hanno fornito nozioni fondamentali. Le nostre attuali conoscenze sul cervello mostrano che il dualismo corpo-mente è una dottrina ormai superata. Siamo lontani dal “dualismo anima-corpo”, dal concetto cioè che il cervello (entità materiale) e la mente (entità immateriale) siano due sostanze separate, secondo l’impostazione di Cartesio. Per i neuro-scienziati, è il cervello a “produrre” quella cosa cui abbiamo dato il nome di “mente”. La mente è qualcosa che il cervello “fa”. Il cervello “è” la nostra anima, la nostra mente. Una conclusione che mette in profonda crisi le nostre millenarie concezioni filosofiche e teologiche, a partire dal pensiero di Platone, il padre della filosofia occidentale e “l’inventore” dell’anima, indipendente dal corpo, e dunque immortale. La mente dunque “non è altro che il cervello” (S. Le Vay), “ridotta” perciò a un processo biologico, non più sostanza immateriale, ma sostanza materiale”. (G. Brunetti, Le ali dell’anima. Dal neurone al pensiero.
    Personalmente credo e sono convinto che la scienza da sola non può dimostrare l'esistenza dell'anima o di Dio, proprio come non può dimostrare l'esistenza della vita psichica, perché come lei dice, non è questo il suo compito ma è compito della metafisica e della teologia. Anzi, il punto cruciale è proprio il fatto che nella scienza la vita psichica non c'è, né come proprietà della materia, né di alcun processo fisico, chimico o biologico. Non è la scienza quindi che dimostra l'esistenza dell'anima, ma la ragione che trova nella scienza la conferma della natura trascendente della vita psichica rispetto alla materia e ai suoi processi. È la ragione che analizza sia le teorie scientifiche che i fenomeni osservabili (incluso il fenomeno della vita psichica) comprendendo così che nella fisica, la vita psichica non c'è; ci sono tutti i processi naturali che conosciamo, fisici, chimici e biologici, ma non c'è la vita psichica.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      la cosa triste e che ha dell’incredibile, per l’ignoranza che nasconde della storia della filosofia, è che tutte le volte che viene fuori la questione dell’anima e del corpo si polemizza con Cartesio e con Platone, ignorando che la dottrina dell’anima e del corpo nella sua verità, confermata dal dogma del Concilio Lateranense IV del 1215, non è assolutamente legata al dualismo platonico-cartesiana, che oppone l’anima al corpo come se fossero due sostanze separate, per non parlare della posizione estremista di Platone, il quale, se ha il merito di aver dimostrato l’immortalità dell’anima, d’altra parte, come è noto, considera il corpo come una specie di carcere dal quale l’anima si deve liberare.
      Quello che non riesco a capire e crea in me il sospetto di una ignoranza colpevole, è l’ostinarsi ad ignorare la psicologia di Aristotele, che, se da una parte soddisfa il più corretto sperimentalista, dall’altra, applicando il principio di causalità, porta a perfezione la dimostrazione platonica della spiritualità e della immortalità dell’anima, intesa come forma sostanziale della materia prima, categorie che saranno approvate dalla Chiesa ed estese persino alla natura dei Sacramenti.
      Nella psicologia di Aristotele si riconosce la difficoltà da parte dell’anima di governare il corpo, difficoltà che per noi cristiani proviene dal peccato originale, ma Aristotele è ben lontano dal concepire il corpo come un peso dal quale l’anima si deve liberare, perché per lui la natura umana è composta di anima e corpo, cosa che poi il dogma cristiano ha confermato.
      Se vogliamo dunque parlare di dualismo anima-corpo, questo esiste certamente, ma è semplicemente un dato di fatto doloroso, dal quale possiamo liberarci soltanto con la riconciliazione tra il corpo e l’anima, consentita dall’ascetica cristiana.
      Inoltre c’è da considerare una cosa, che Aristotele ignorava, e cioè che il destino ultimo dell’uomo non è l’anima separata, seppure in una contemplazione dell’Assoluto, ma, conformemente alla esigenza della natura umana, è la ricostituzione dell’unità anima-corpo nella futura resurrezione.

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  2. Perfettamente d’accordo con lei, ci troviamo di fronte oggi, ad una visione e concezione materialista e meccanicistica della vita, compresa quella umana, a tutti i suoi livelli. Possiamo parlare di un materialismo metafisico o cosmologico, una concezione che sostiene il primato della materia, per il quale l'unica realtà che possiamo dire che esista è la materia con tutto ciò che ne deriva dalle sue continue trasformazioni. La materia è il fondamento, la sostanza unica di tutte le cose, della realtà materiale, compresa della mente e del pensiero ed è indipendente dal soggetto. La materia è la causa di ogni cosa e lo è mediante la forza espressa dagli atomi che la costituiscono.
    Purtroppo questa concezione della realtà, ha avuto conseguenze devastanti anche a livello antropologico, assistiamo a concezioni dualiste o moniste a livello filosofico, scientifico e religioso causate anche da un’ignoranza colpevole, ma anche da un rifiuto della metafisica realista che afferma e sostiene l’esistenza di una realtà oggettiva al di là delle nostre percezioni e delle nostre interpretazioni. In altre parole, il mondo esiste indipendentemente da noi e dalla nostra coscienza.
    Ma ritornando al nostro argomento ritengo insuperabile e realistico, appunto la concezione aristotelica dell’unità, nell’uomo, di anima e corpo. Secondo Aristotele l’anima e il corpo non devono essere considerati come due sostanze a sé, unite in modo accidentale, bensì come costituenti una sostanza unitaria, il corpo vivente, che è sinolo o unione di corpo, quale materia, e di anima, quale forma. Il corpo, infatti, senza anima, è vivo soltanto in potenza. E l’anima non è che la vita del corpo in atto, la struttura vivente del corpo. Essa quindi non è separabile dal corpo, anima e corpo sono entrambi importanti per l’armonia e la realizzazione dell’individuo. L’anima è prima di tutto il principio della vita e solo secondariamente ha, come per Socrate e per Platone, un significato spirituale.
    Per superare le derive dualistiche e monistiche ritengo sia urgente ritornare al pensiero di Aristotele e di San Tommaso d’Aquino che consideravano il corpo naturalmente abitato da una forza vitale-spirituale, appunto l’anima.

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    1. Caro Don Vincenzo, mi compiaccio molto per queste sue note di antropologia, nelle quali lei esprime la necessità di seguire l’insegnamento di Aristotele e di San Tommaso.
      Secondo questa dottrina, il corpo umano è una sostanza materiale animata da un’anima spirituale, la quale dà vita dà vita al corpo a tutti i livelli vitali, quello vegetativo, quello sensitivo e quello spirituale, oltre a causare i movimenti del corpo.
      Lei parla di un corpo vivo in potenza. L’espressione non è chiara. Da come ho capito lei vuole mettere il corpo in rapporto con l’anima, in quanto essa costituisce l’atto d’essere del corpo. E su ciò sono pienamente d’accordo. Tuttavia vorrei dire che, propriamente parlando, un corpo vivo in potenza non è semplicemente un corpo senz’anima, perché un corpo di questo genere non è più un corpo umano, ma è un cadavere. Quello che lei dice potrebbe far pensare alla futura resurrezione, nel senso che un corpo attualmente senz’anima, ossia un corpo morto, è vivo in potenza in quanto tornerà a riassumere la propria anima.
      Oppure si potrebbe dire che un corpo vivo in potenza è una semplice sostanza materiale, come per esempio la sostanza chimica, la quale diventa viva una volta che, sotto forma di alimento, è assunta da un soggetto vivente, per cui diventa materia vivente di questo soggetto.
      Per quanto riguarda la separazione dell’anima dal corpo, tenga presente che essa è separabile, tanto è vero che questo succede al momento della morte, in cui l’anima si separa dal corpo.
      Se lei invece vuole considerare la natura umana nella sua essenza, si può dire che anima e corpo sono inseparabili, in quanto costituiscono le due componenti essenziali della natura umana.

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  3. "L’anima separata dell’oltretomba non è persona, perché qui la natura umana non è completa".

    Se l'anima separata nell'aldilà, prima della resurrezione dei corpi, non è una persona, allora che cos'è? So già la risposta: è un'anima separata. Ma allora, cosa significa che l'anima può vivere nell'aldilà se non vive come persona? L'uomo è una persona, ma poi non vive l'uomo dopo la sua morte, bensì vive la sua anima, che non è una persona... non capisco...

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    1. Caro Anonimo,
      bisogna vedere che cosa intendiamo per persona umana.
      Per capire questo, chiediamoci in generale che cosa è la persona. La persona è un ente spirituale singolo sussistente. In tal modo anche l’angelo e Dio, che sono puri spiriti, sono persone.
      Perché ho detto che l’anima separata non è persona? Perché, affinché ci sia la persona, occorre una natura singola completa. Nel caso dell’angelo e di Dio, abbiamo una natura completa. Nel caso dell’anima separata invece non abbiamo una natura completa, perché manca il corpo. In questo senso ho detto che l’anima separata non è persona. Infatti, la persona umana è un soggetto o un ente sostanziale sussistente in una natura composta di anima e corpo.
      Poste queste premesse, si può anche dire che l’anima separata abbia quanto meno relazione con la personalità; semmai si potrebbe dire che è una persona incompleta.
      Posso aggiungere che, essendo l’anima la parte più nobile della persona, in tal senso l’anima separata conserva la parte più nobile della persona umana, in attesa di riassumere il proprio corpo.

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    2. Grazie, caro Padre, molto istruttivo! Grazie

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