Il ministero del Confessore - Prima Parte (1/4)

 

Il ministero del Confessore

Prima Parte (1/4)

Ricevete lo Spirito Santo;

a chi rimetterete i peccati saranno rimessi

e a chi non li rimetterete,

resteranno non rimessi 

Gv 20,22-23

Una grave questione che affligge la Chiesa di oggi è quella dell’identità del sacerdote e per conseguenza del Vescovo e del Papa, evidentemente sacerdoti anch’essi.  Ciò tira in ballo le due funzioni essenziali del sacerdote, dir Messa e confessare. Che senso hanno queste pratiche? Sono ancora attuali? E il sacerdote chi è? A che cosa serve? Non ha fatto bene Lutero ad abolire sacerdote, confessione e Messa?

Tanto più che nelle attività ecumeniche non pare che capiti mai che cattolici esortino i fratelli luterani a recuperare questi valori, mentre quello che si nota, quando non si tratta di cattolici che abbandonano la fede in quei valori, è la tendenza in molti a intendere quei valori in modo deformato, che li assimila a ciò che Lutero ha messo al loro posto: il ministero della Parola, lo studio della Scrittura, la memoria della Cena del Signore, la preghiera, la condivisione fraterna, le opere assistenziali.

Circolano nella Chiesa opinioni errate sul sacerdozio influenzate dal concetto luterano di ministero. Il sacerdote non viene inteso come colui che offre il sacrificio della Messa e rimette i peccati col potere di Cristo, ma come uno che svolge un servizio di guida e presidenza della comunità, servizio al quale qualunque battezzato può essere deputato per decisione della stessa comunità[1].

Come è noto ormai da molti anni, il numero dei sacerdoti è in decrescita un po’ dappertutto, soprattutto in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina. Perché l’ideale del sacerdozio non attira i giovani o entrano false vocazioni?  Perché non c’è chiarezza sulla funzione del prete o perché non lo si distingue chiaramente dal laico o perché viviamo in una cultura edonista, relativista e storicista attaccata all’effimero,  nella quale soprattutto i giovani, non ancora consolidati in una scelta di vita, non capiscono come sia possibile e onesto assumere impegni irrevocabili, perché il clima circostante non crede più nell’esistenza di valori immutabili o di ideali, ai quali finalizzare e consacrare tutta la vita, nella convinzione che possano sorgere circostanze impreviste che obblighino ad abbandonare gli impegni assunti. Non riescono a intuire valori o impegni sovratemporali circa i quali si possa aver già da adesso certezza che nulla li potrà mettere in crisi. Manca la fiducia che la grazia aiuti a mantenersi fedeli.

Non c’è da meravigliarsi che preti confusi e poco convinti formino laici confusi e poco convinti. In tal modo, come sappiamo ormai da molti anni, la frequenza ai sacramenti è in diminuzione. Ci sono teologi i quali, col pretesto che Dio salva anche senza i sacramenti, non danno ad essi sufficiente importanza. Esistono bensì laici preparati e zelanti che richiamano i pastori al compimento del loro dovere.

Ma se coloro stessi che dovrebbero insegnare agli altri il valore dei propri insostituibili uffici, non ci credono o fingono di crederci, come si può pretendere che comprendano il valore di questi uffici coloro che per il loro stesso stato di vita ad essi sono estranei? Molti laici dicono: se è il prete il primo a non credere nella Messa e nella Confessione (si vede da come dice Messa e da come confessa) che è il loro compito, dovrei essere io a stimolarli che da nessuno sono stato incaricato di dir Messa e confessare?

Esistono bensì nelle diocesi e negli istituti religiosi centri di promozione delle vocazioni; ma per mancanza di sani princìpi teologici o di adeguata attività formativa, succede che vengano accettate false vocazioni e vengano respinte quelle vere.

Il Concilio Vaticano II ha riproposto questi valori in una forma che tiene conto delle istanze valide prospettate a suo tempo da Lutero, ma ovviamente confermandoli nella loro perenne ed immutabile essenza.  Per quanto riguarda il sacerdozio con particolare rifermento al ministero della Confessione, tema di questo articolo, credo che non sia male ricordare le sue radici bibliche e dogmatiche, per allontanare errori che si sono insinuati e aiutare i fratelli luterani a ritrovarli nella loro bellezza ed utilità per la nostra salvezza.

Il Concilio e il postconcilio[2] hanno proposto una riforma del ministero della Confessione; eppure molti sacerdoti non sanno confessare o confessano male, in modo meccanico, trasandato e facilone o amministrano Confessioni invalide. Lo vedo benissimo, di riflesso, dai penitenti che frequentano il mio confessionale da 45 anni a questa parte.

Se prima del Concilio il penitente, come il Lutero giovane, era terrorizzato dal confessore, adesso il confessore è terrorizzato all’idea di scontentare il penitente. Se prima del Concilio il confessore piombava come una clava sul penitente, adesso il confessore scenderebbe a qualunque compromesso pur di non scontentare il penitente.

Anzi dobbiamo dire che in molti casi si è perduto addirittura il concetto di penitente e di penitenza. Chi entra oggi in confessionale spesso non è un peccatore pentito; non è uno che vuol far penitenza dei suoi peccati, ma uno che – quando va bene - ha voglia di fare quattro chiacchiere col sacerdote. Non è uno che abbia necessità di essere assolto, perché non ha – dice lui - alcun peccato di cui accusarsi. Si impone allora da parte del Confessore il dovere di negare l’assoluzione non perché il Confessore ha letto nel cuore lo stato di peccato del penitente – dono straordinario rarissimo -, ma perché, non essendoci alcun peccato denunciato, il penitente non ha nulla da cui debba essere assolto.

Avviene inoltre che il penitente non considera la Confessione come un cammino di purificazione, di correzione, di guarigione, di penitenza, di liberazione, ma come una piacevole occasione per raccontare al Confessore i propri fatti a partire dalla confessione precedente. Come si è giunti a questo punto? Colpa del Concilio? Niente affatto: colpa dei modernisti che hanno falsificato l’insegnamento del Concilio, influenzati dal buonismo e dal perdonismo luterano.

Accostiamoci al problema attraverso Lutero

In questo articolo mi fermerò pertanto in modo approfondito su Lutero perché il luteranesimo è nato in confessionale. La dinamica del luteranesimo è la dinamica che ruota attorno al confessionale: il peccato, la colpa, l’umiltà, il pentimento, il perdono, la grazia, la giustificazione, la fiducia in Dio. Il dramma di Lutero nasce da un’esperienza negativa del confessionale, esperienza – si badi – da penitente, non da Confessore.  Lutero non è mai riuscito ad essere un buon penitente.

Non ha mai capito l’importanza e la natura del pentimento. Il segreto per attirare la misericordia di Dio non è la fiducia di poter essere comunque salvati vada come vada, ma è il pentimento autentico, che non è l’arrovellarsi in un inutile e angosciante senso di frustrazione e di impotenza, ma è il sincero dolore, dettato dall’amore e dal timore per aver offeso Dio, accompagnato dal proposito di non più peccare. Ha mai recitato l’atto di dolore?

Il pentimento è un atto del libero arbitrio col quale la volontà che ha voluto peccare e che quindi si trova in colpa, gira su se stessa e va nella direzione opposta, ossia verso il bene, rispetto alla direzione verso il male che aveva imboccato. È qualcosa di simile alla cosiddetta «conversione a U» dell’automobilista che si accorge di aver sbagliato direzione.

Senonchè a Lutero che cosa capita? Che accorgendosi dopo la Confessione di ricadere nello stesso peccato, viene il dubbio che la precedente confessione non lo avesse liberato dal peccato, ma fosse rimasto nel peccato, per cui quella Confessione non era servita a nulla. Non si rendeva conto della padronanza che noi abbiamo sui nostri atti volontari, per cui se diciamo no, questo è no e non è sì. Se diciamo no al peccato, il peccato se ne va. Ma se diciamo sì e no, non meravigliamoci se questo resta.

Tendeva invece a concepire il peccato non come un atto, ma come uno stato. Non capiva che il peccato lo cancelliamo con un atto del libero arbitrio, sicchè quel peccato lì non c’è più. Succede invece che essendoci in noi la tendenza a commettere quel peccato – questa sì che è uno stato – dopo poco tempo, nonostante ogni buon volere, ricadiamo nello stesso peccato. Ma ciò non ci deve traumatizzarci o scoraggiarci. Il peccato veniale quotidiano è inevitabile anche nei santi[3];  è un po’ come quel po’ di povere che copre il nostro volto nel corso della giornata e che ci obbliga ogni mattina a lavarci la faccia.

Nessuno si angoscia per questa pratica quotidiana, ma la svolge tranquillamente tutti i giorni. Ebbene, Lutero, invece, incapace di riflettere su questa dinamica dell’igiene spirituale simile all’igiene fisico, montò su una tragedia per una cosa del tutto risolvibile: una tempesta, potremmo dire, in un bicchier d’acqua. Ma il problema si complicò ulteriormente successivamente perché a Lutero venne la voglia, visto che la concupiscenza non spariva, di poter peccare liberamente senza per questo suscitare l’ira divina, anzi con un Dio bonaccione che lo lasciava fare senza incolparlo. E qui allo scrupolo si aggiunse l’ipocrisia.

Lutero, certo, da sacerdote, ha confessato per alcuni anni. Stando a come ci parla della sua esperienza di penitente, non sappiamo quanto volentieri egli abbia esercitato questo ministero. Se egli l’ha sentito come un tormento, probabilmente gli sarà sembrato di tormentare gli altri. Se non lo vedeva come una cura dell’anima, come sarà stato capace di curare le anime? Se non lo vedeva come una consolazione, come sarà stato capace lui di consolare?

Confessare, per il sacerdote è una grande gioia che solo lui può provare, ma quando la prova, sa trasmettere qualcosa di questa gioia ai suoi penitenti. Si tratta però di una gioia speciale, soprannaturale: non è la gioia di una chiacchierata fra amici, ma quella misteriosa e sublime di sperimentare la misericordia divina.

Per il sacerdote è la gioia di salvare le anime; per i penitenti è la gioia di essere salvati. È la gioia di consolare, confortare, incoraggiare, pacificare, riconciliare, dar pace alla coscienza e far pregustare al penitente la gioia del paradiso. Nessuno ci parla della gioia provata nel confessarsi da Lutero. Lutero non ci dice mai che egli abbia provato gioia nel confessare. 

Ma Lutero, stando a quello che ci racconta di quando si confessava, probabilmente deve aver sentito questo ministero come un peso insopportabile o una pratica ingiusta. Da qui la decisione di lasciare il sacerdozio. Non ha mai capito come la misericordia divina passi attraverso la Confessione. Non è mai stato capace di rendersi qui strumento della divina misericordia.

Lutero non era contrario in linea di massima alla confessione dei peccati, tanto è vero che egli continuò a confessarsi anche dopo aver lasciato la Chiesa. Quello che non accettava era la confessione come sacramento a causa della sua erronea concezione del sacramento, in linea col suo concetto di fede, come atto sufficiente a ottenere il perdono divino. Per questo per lui il sacerdote non ha potere di comunicare la grazia mediante il sacramento, non può dire «io ti assolvo», ma deve dire «Dio ti assolve» oppure «Dio ti ha assolto». 

Inoltre a Lutero non andava a genio il nostro dovere di espiare i nostri peccati, di pagare per le nostre colpe, di fare opere di penitenza, di compiere sacrifici di propiziazione. Gli sembravano cose superate dell’Antico Testamento. Lutero crede nell’opera espiatrice e soddisfattoria di Cristo, benchè sulla croce Dio appaia «sub contraria specie».  Ma adesso, grazie alla Redenzione, c’è la grazia di Cristo; non c’è più niente da pagare; i nostri debiti ci sono stati rimessi. Ha pagato tutto Cristo al nostro posto. C’è solo da accogliere la grazia e da ringraziare.

E appunto per questo a Lutero pare blasfema la pretesa che noi possiamo scontare i nostri peccati come si paga un debito, che noi possiamo espiare con i nostri sacrifici e le nostre offerte, quasi a voler perfezionare l’opera di Cristo. Per questo, Lutero arrivò a rifiutare la Messa come sacrificio espiatorio. Non comprese che il sacerdote e tutti noi fedeli non abbiamo alcuna pretesa di aggiungere nulla a quanto Cristo ha patito e fatto per noi con la sua croce, ma semplicemente, per sua grazia, partecipiamo della sua opera e dei suoi meriti; collaboriamo con Lui per mezzo delle opere compiute in grazia.

Facciamo la nostra parte. Non siamo né dei pesi morti, né degli scrocconi, né degli approfittatori. Amore con amor si paga. L’andare in paradiso non è un viaggio in macchina nel quale Cristo è l’autista e noi ce ne stiamo comodamente seduti guardando il paesaggio, ma è un prender la croce ogni giorno al seguito di Gesù che porta la sua croce.

È vero che si può pregustare a momenti la vita futura, ma solo in mezzo alle tribolazioni sopportate per amore di Cristo e dei fratelli. Se però nella sventura io non trovo questa possibilità di trasformarla in espiazione dei miei peccati, come faccio a continuare a credere che Dio mi sta usando misericordia? Dovrò pensare che questa sventura non viene fa Dio. Da dove viene, allora? Dalla natura? Ma la natura è creata e governata da Dio! D’altra parte, misericordia vuol dir sollievo; sventura vuol dire abbattimento. Un abbattimento sollievo? È un assurdo.

Il misericordismo si aggroviglia in un’inestricabile contraddizione. Per il cristiano autentico, invece, la sventura è effettivamente segno della misericordia divina, ma in che senso? Nel senso che il cristiano vi legge l’occasione per fruire di quella misericordia che consiste nel poter espiare in Cristo i propri peccati. E allora vediamo che se non accettiamo il dovere di espiare i peccati, ci mettiamo in un labirinto dal quale non riusciamo a venir fuori, salvo fare come Nietzsche, il quale diceva che bisogna danzare nell’inferno.

Come si sa, Lutero, a somiglianza di Marcione, racchiude il concetto del Dio punitore nei limiti dell’Antico Testamento, mentre il Dio del Nuovo, cioè Gesù Cristo, è solo il Dio della misericordia. Lutero continua ad ammettere l’esistenza di dannati: sono coloro che, come il Papa, non accettano la sua teoria della giustificazione. Nel sec. XIX Schleiermacher mantenne la dottrina luterana della sola fides, ma anziché assicurare il paradiso solo a coloro che accettano tale dottrina, suppose che tutti, in forma inconscia, l’accettano, per cui non esistono dannati, ma tutti si salvano[4].

Nei numerosi studi su Lutero pochi si impegnano ad indagare a fondo, sulla base di quanto egli narra o di testimonianze di contemporanei, quello che nell’anima di Lutero succedeva in occasione della Confessione o quando si confessava. Certo siamo davanti a un mistero che solo Dio conosce. Ma quel poco che Lutero ci dice, se scavato a fondo, mi pare estremamente illuminante per capire le radici prime della sua avventura terrena. 

Che cosa era per lui il peccato? Che cosa era la colpa? Che cosa era il pentimento? Come vedeva la giustizia divina? Come concepiva la misericordia? E il castigo divino? Che cosa era la coscienza? Che cosa era l’assoluzione, che cosa era il perdono? Che cosa era la grazia? Lutero è parco di definizioni e spesso definisce una cosa in forme estremizzanti, senza le dovute precisazioni, o paradossali oppure non nel suo dover-essere, ma nel suo stato difettoso come fosse normale.

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 agosto 2023

Avviene inoltre che il penitente non considera la Confessione come un cammino di purificazione, di correzione, di guarigione, di penitenza, di liberazione, ma come una piacevole occasione per raccontare al Confessore i propri fatti a partire dalla confessione precedente. Come si è giunti a questo punto? Colpa del Concilio? Niente affatto: colpa dei modernisti che hanno falsificato l’insegnamento del Concilio, influenzati dal buonismo e dal perdonismo luterano.

È vero che si può pregustare a momenti la vita futura, ma solo in mezzo alle tribolazioni sopportate per amore di Cristo e dei fratelli. Se però nella sventura io non trovo questa possibilità di trasformarla in espiazione dei miei peccati, come faccio a continuare a credere che Dio mi sta usando misericordia? Dovrò pensare che questa sventura non viene fa Dio. Da dove viene, allora? Dalla natura? Ma la natura è creata e governata da Dio! D’altra parte, misericordia vuol dir sollievo; sventura vuol dire abbattimento. Un abbattimento sollievo? È un assurdo.

Il misericordismo si aggroviglia in un’inestricabile contraddizione. Per il cristiano autentico, invece, la sventura è effettivamente segno della misericordia divina, ma in che senso? Nel senso che il cristiano vi legge l’occasione per fruire di quella misericordia che consiste nel poter espiare in Cristo i propri peccati. E allora vediamo che se non accettiamo il dovere di espiare i peccati, ci mettiamo in un labirinto dal quale non riusciamo a venir fuori, salvo fare come Nietzsche, il quale diceva che bisogna danzare nell’inferno.

Immagini da Internet


[1] Cf Karl Rahner, Esercizi spirituali per il sacerdote. Iniziazione all’esistenza sacerdotale, Editrice Queriniana, Brescia 1974; il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009. Pp.260-265; il mio intervento Il concetto del Sacerdozio in Rahner negli atti del convegno internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata «Il sacerdozio ministeriale. “L’amore del cuore di Gesù”», Casa Marina Editrice, Frigento 2010, pp.183-230: E.Schillebeeckx, Il ministero nella Chiesa. Servizio di presidenza nella comunità di Gesù Cristo, Editrice Queriniana, Brescia 1982. Secondo Schillebeeckx, in base al fatto che il sacerdote è espressione della comunità, qualunque laico battezzato uomo o donna, in caso di assenza del prete, può celebrar Messa.

[2] Cf per es. l’Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia di San Giovanni Paolo II del 2 dicembre 1984; il Vademecum dei confessori su alcuni temi di morale attinenti alla vita coniugale del Pontificio Consiglio per la Famiglia del 12 febbraio 1997; Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, della Congregazione per il Clero, del 32 gennaio 1994.

[3] Come dirà poi il Concilio di Trento.

[4] Il Card. Kasper ha scritto un libro, Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2015, nel quale sostiene che la misericordia è un attributo dell’essenza divina e che Dio, dopo esser stato punitore nell’Antico Testamento, con la venuta di Cristo non castiga più, ma fa a tutti misericordia e salva tutti. In realtà l’esercizio della misericordia suppone l’esistenza del peccatore. Se Dio non avesse creato il mondo non avrebbe avuto l’occasione di esercitare la misericordia. Quanto alla tesi che con la venuta di Cristo, Dio non castiga più, basta leggere le parole di Cristo nel Vangelo per rendersi conto del contrario.

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