I sofismi di Maurizio Chiodi nella sua interpretazione del pensiero del Papa

I sofismi di Maurizio Chiodi

nella sua interpretazione del pensiero del Papa

Un Papa progressista ma retto nella fede

Il quotidiano Avvenire dell’8 ottobre scorso riporta un discorso del moralista Maurizio Chiodi[1] dedicato all’esposizione del rinnovamento della morale ad opera dell’attuale Pontefice con particolare riferimento all’Amoris laetitia nella spiegazione che Mons. Fernandez ci ha dato recentissimamente della famosa nota 351 dell’AL dove il Papa si esprime al condizionale: «in alcuni casi si potrebbero dare i sacramenti ai DR». La formula al condizionale non esprime evidentemente una legge o un permesso. Per questo occorre l’indicativo.

Ora il DDF ha sentenziato che la formula va interpretata all’indicativo, per cui ciò che prima appariva come una semplice ipotesi di legge, una legge possibile, adesso che la formula è passata all’indicativo, ha assunto la forma della vera e propria legge: esistono effettivamente dei casi nei quali i DR possono ricevere i sacramenti.

Non c’è da stupirsi che questo permesso concesso dall’attuale Pontefice contrasti con la proibizione netta pronunciata a suo tempo da San Giovanni Paolo II al n.84 della Familiaris consortio. Qui c’è in gioco il potere petrino delle chiavi, dove un Papa può cambiare quello che ha fatto un Papa precedente.

Maurizio Chiodi ha sottolineato giustamente il tono diverso della posizione di Papa Francesco nei confronti di quello di San Giovanni Paolo II. Questi al riguardo è mosso dalla preoccupazione di ricordarci che il peccato di adulterio è un intrinsece malum, ossia, come aveva spiegato nella Veritatis splendor, un precetto immutabile che non ammette eccezioni, per cui non esistono casi nei quali la proibizione diventi legittimazione.

È successo però che quando nella nota 351 si è parlato di «casi», alcuni hanno pensato che invece Papa Francesco ammettesse casi, appunto quelli dei DR, nei quali i loro atti sessuali non sono peccato.

Invece, a ben guardare, il Papa non ha affatto detto questo. Ha ribadito la peccaminosità dell’adulterio ed ha parlato di casi umani pietosi, che richiedono comprensione e misericordia, ossia si è riferito, come chiarì la lettera su questo argomento dei Vescovi argentini, a particolari situazioni morali, psicologiche, familiari, culturali, sociali, economiche, ambientali e sanitarie.

Questo non vuol dire che in essi non vi sia malizia, la quale, come tale, certo suscita sdegno e provoca l’ira divina. Non vuol dire che non possa essere salutare il timore del castigo infernale. Non è qui il caso di parlare di misericordia, perché chi è ribelle a Dio non sa che farsene della sua misericordia. Oppure vorrebbe vederlo complice pur continuando a peccare. Piuttosto si può pregarlo perchè abbia misericordia mutando il loro cuore.

Si tratta comunque di casi da studiare attentamente uno per uno, onde operare in ciascun caso un prudente discernimento, casi nei quali la coppia, pur peccando, può, a causa della sua fragilità e della pressione di cause di forza maggiore, indipendenti dalla sua volontà, fruire di attenuanti, può realizzare un cammino di conversione mettendo in opera i talenti ricevuti da Dio, può collaborare alla vita della Chiesa, per cui, seppure in mezzo a cadute, può mantenersi in grazia di Dio.

Ora, questa attenzione caritatevole, prudente e misericordiosa alle situazioni concrete, con un cuore pastorale animato da ferma volontà di operare tutto il possibile per non spegnere il lucignolo fumigante e non spezzare la canna fessa, pur nella piena fedeltà e nel rispetto delle leggi umane e divine, per la verità non si trova nel n.84 della Familiaris consortio, la cui preoccupazione esplicita è quella di ottenere che i sacramenti del Matrimonio e dell’Eucaristia agli occhi dei fedeli siano rispettati e l’eventuale partecipazione dei DR alla Comunione non insinui l’impressione che in fin dei conti la loro unione sia di pari dignità di quella matrimoniale. Lo stesso attuale Pontefice in più occasioni ci ha ricordato la superiorità dell’unione matrimoniale rispetto a quella civile, pur guardando con favore alla regolamentazione civile di quelle coppie.

Ora Don Chiodi, pur avendo messo in luce questo sviluppo evangelico della pastorale fatto fare dall’attuale pontefice, lo ha interpretato e lo ha motivato in modo sbagliato, come se il Papa desse un avallo all’etica esistenzialista rahneriana o della situazione, cosa che non risulta affatto da un’attenta lettura dell’AL, che è in linea con l’etica cattolica di sempre, né del resto non poteva non esserlo.

Elenco pertanto qui di seguito le tesi errate di Chiodi, facendole seguire ciascuna dalla mia confutazione.

Gli errori di Chiodi

1) Il fulcro dell’argomentazione teologico-morale di AL è senza dubbio una lunga citazione della Summa Theologiae, dove s. Tommaso afferma che nel campo del giudizio morale – la ragione pratica – quanto più si scende nel determinare casi concreti tanto più aumentano le “eccezioni” o le differenze rispetto alla norma “letterale”, situazioni nelle quali essa non è valida. Il testo di A. Thomasset e J.-M. Garrigues, Discernimento ... Verso una fede matura. Amoris laetitia insegna un nuovo stile pastorale, edito dalla Libreria Vaticana (2017), ha sostenuto in modo interessante che la sottolineatura della singolarità della decisione in AL non si oppone all’universalità della norma in Veritatis splendor, ma la integra. Il nucleo del “giudizio morale”, nell’approccio tomista, si trova nella virtù della saggezza (prudentia), che nella Summa rappresenta la chiave di volta architettonica di tutto l’agire.

La saggezza, in san Tommaso, ha un duplice risvolto. Per un verso, infatti, essa riprende decisamente il pensiero di Aristotele che, nell’Etica Nicomachea, attribuiva appunto alla virtù della saggezza (phrónesis) il ruolo cruciale nella scelta virtuosa. Per altro verso, però, la saggezza dei medievali, che trova la sua sintesi mirabile nella teologia di Tommaso, era strettamente legata alla tradizione spirituale del “discernimento” degli spiriti (discretio spirituum) che, a partire dai padri della Chiesa, venne poi ripresa nell’epoca moderna da alcuni grandi maestri della vita cristiana, come San Francesco di Sales e Sant’Ignazio di Loyola e molti altri. Saggezza e discernimento, in fondo, sono due nomi diversi, legati il primo alla riflessione morale e il secondo alla tradizione spirituale, per dire la stessa cosa.

 

Chiodi confonde i precetti negativi con quelli positivi. San Tommaso (Summa Theologica, I-II, q.94, a.4) non si riferisce a un precetto negativo incondizionato, come per esempio la proibizione dell'adulterio (intrinsece malum, come dice la Veritatis splendor), ma a un precetto positivo e porta l'esempio del dovere di restituire le cose ricevute in deposito. 

Sono solo i precetti positivi, non quelli negativi che ammettono eccezioni. Infatti bisogna sì fare sempre il bene. Ma ci sono circostanza nelle quali questo bene può diventare male, mentre ciò che è assolutamente o intrinsecamente male non può mai diventare bene.

Per esempio, se il proprietario di un'arma che mi ha prestato chiede che gliela restituisca perchè ha intenzione di uccidere qualcuno, io in questo caso - ecco l'eccezione - non devo restituirgliela. Ma non esistono eccezioni che possano legittimare un atto intrinsecamente cattivo, come può essere l'adulterio. 

Può essere scusato per mancanza di avvertenza o deliberato consenso, ma la materia è sempre grave. Infatti il tradire il coniuge vuol dire mancare all'impegno assoluto di fedeltà irrevocabile connesso con l'indissolubilità del matrimonio.

Quindi l'adulterio, che nel caso  dei DR si esprime negli atti more uxorio, non può diventare lecito per nessun motivo. Il peccato resta peccato anche per i DR, anche se possono esserci attenuanti che non tolgono lo stato di grazia. E quand'anche la perdessero con la colpa mortale, possono sempre recuperarla chiedendo perdono a Dio e adesso con la Confessione.

Esistono invece eccezioni a precetti negativi condizionati, ossia che si riferiscono a precetti positivi. Per esempio, la proibizione dell'atto sessuale non vale nel caso del matrimonio onde consentire la procreazione, ed inoltre perchè la volontà originaria ed escatologica di Dio è la congiunzione dell'uomo con la donna (Gen 2,24). 

Inoltre il rapporto sessuale extramatrimoniale è proibito non perchè intrinsece malum, perchè il rapporto sessuale è di per sé buono e creato da Dio, ma in quanto causa di una procreazione non rispettosa della prole, possibile solo nel matrimonio. L'unione omosessuale è assolutamente proibita perchè intrinsece malum in quanto contraria alla volontà divina assoluta dell'unione del maschio con la femmina, da Lui creati.

Lo stato attuale di natura decaduta, soggetta alla concupiscenza, che comporta una ribellione della carne allo spirito, prescrive la virtù del pudore, mentre nell'Eden vigeva la nudità, e consiglia l'astensione dal rapporto sessuale soprattutto in chi vuol fruire di una superiore libertà spirituale, come i Religiosi. 

Per quanto riguarda le attenuanti, da valutare di volta in volta, esse non cancellano la colpa; semplicemente la diminuiscono. Solo che i DR, pentendosi, possono essere perdonati. Questo è il discorso da fare, che del resto è quello di AL.

 

È vero che Tommaso dice che «quanto più si scende nel determinare casi concreti tanto più aumentano le “eccezioni” o le differenze rispetto alla norma “letterale”, situazioni nelle quali essa non è valida». Ma Tommaso, come ho detto, si riferisce a un precetto positivo, non a uno negativo, quale può essere la proibizione dell'adulterio. Invece Chiodi vorrebbe sostenere che nel caso dei DR l'adulterio diventa permesso. Chiodi sostiene che la morale

 

1)   «chiede alla coscienza di non limitarsi ad una sua fredda “applicazione”, come dice AL ai numeri 2 e 305. La saggezza, piuttosto, permette di superare la “dittatura” della norma, con il legalismo di chi riduce la vita morale a semplice applicazione di un comandamento immutabile riferito alla situazione particolare, mediante un ragionamento deduttivo e logicamente stringente».

Ora, bisogna osservare, contrariamente a quanto sostiene Chiodi, che segue la teoria di Rahner[2], che il giudizio morale prudenziale certo e sicuro, che dirige l'azione nei casi concreti, risulta precisamente dall'applicazione di un comandamento immutabile riferito alla situazione particolare, mediante un ragionamento deduttivo e logicamente stringente. Tutto ciò non è affatto legalismo né dittatura della legge, ma è dovere assoluto, vera saggezza e virtù.

La norma non esercita nessuna dittatura e non va affatto superata, ma semplicemente conosciuta e messa in pratica. Supporre che l'uomo debba "superare" la legge che Dio gli ha dato è supporre un superuomo alla maniera di Nietzsche che dia a se stesso una legge superiore a quella divina.

Il credere che la norma morale voluta da Dio, nella sua universalità debba essere integrata da una norma "concreta" aggiunta dall'uomo, significa anteporre l'uomo a Dio nella guida dell'agire morale.

L'atto umano concreto, per essere buono e non atto ribelle alla legge, non può stare al di sopra della legge, ma deve essere soggetto alla legge, deve stare all'interno e non fuori della legge, quasi a costituire una legge aggiuntiva di proprio conio che avrebbe lo scopo di concretizzare la legge nella sua astrattezza. L'atto morale singolo deve stare all'interno della legge universale similmente a come in logica l'individuo sta nell'orizzonte della specie o è contenuto nell'universale.

È normale che la legge sia concepita in un concetto più o meno astratto, perchè l'astrarre è l'opera del pensiero. L'importante è che il contenuto intellegibile del comando della legge sia calato nel concreto dal giudizio prudenziale, perchè è vero che l'azione avviene nella realtà concreta e non nell'astratto. 

Ma chi pretende di far a meno dell'astratto, ben lungi dall'essere saggio, come vorrebbe Chiodi, agisce come l'animale mosso dall'istinto e dalla passione e non dalla ragione e dal pensiero, che si esprimono nei concetti, negli ideali e nei princìpi, benchè essi debbano essere, calati, applicati e realizzati nel concreto.

 

2)   «Si tratta di pensare un “modello teorico” che non parta della norma, senza però perderne la necessità, ma che proceda dalla coscienza, non certo intesa semplicemente come “autocoscienza” o consapevolezza né tantomeno come autonomia assoluta.

 

La centralità della “coscienza” nell’esperienza morale non cade affatto nel “relativismo”, nella misura in cui la coscienza venga interpretata come il soggetto morale che, “toccato” dall’appello del bene attraverso la mediazione della sua esperienza personale e culturale, è chiamato a decidersi per il bene che gli è anticipato».

Osserviamo che la coscienza non deve partire da se stessa, ma dalla norma. Non sta a lei, ma è Dio creatore dell'uomo, che fa conoscere alla nostra coscienza i nostri doveri. Se è la coscienza che crea una legge sua propria al di là di quella divina, essa relativizza questa a se stessa e cade nel relativismo che Chiodi ci assicura di voler evitare.

 

3)   «La coscienza coincide, dunque, con la persona umana, di cui dice il carattere originariamente morale, nello stesso tempo libero (auto-nomo) e interpellato da altro da sé (etero-nomo)"».

Niente affatto. La coscienza non è la persona, ma è atto spirituale, intellettivo e libero della persona. La coscienza non si identifica affatto con la persona. Essa è proprietà della persona e regola di origine divina del suo agire.

La coscienza è la voce di Dio nella persona. La coscienza è facoltà ed atto della persona, non è il tutto della persona e i suoi atti sono effetti e prodotti dell'intelletto e della volontà della persona. 

La coscienza, dal canto suo, non è solo “toccata” ma anche vincolata ed obbligata dall’appello del bene, la cui norma non sta a lei, ma a Dio stabilire.  Se la coscienza diventa il "centro" dell'agire e questo centro non è più Dio; se la coscienza si crea una legge "concreta" per conto proprio più efficace dell’universale ed astratta legge divina, ha un bel dire Chiodi che la coscienza non è autonomia assoluta. Invece essa diventa proprio questo, sostituendosi a Dio e alla sua legge.

La persona non è la coscienza, ma soggetto della coscienza. La persona è sostanza ilemorfica, soggetto umano singolo, irripetibile e sussistente, capace di intendere e di volere, composta di anima spirituale e corpo, creata da Dio legislatore dell'agire della persona.

La persona precede l'esercizio della coscienza. La persona appartiene anche a quei soggetti umani che non esercitano la coscienza; come i minori, i dementi e gli embrioni.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 ottobre 2023

 

Niente affatto. La coscienza non è la persona, ma è atto spirituale, intellettivo e libero della persona. La coscienza non si identifica affatto con la persona. Essa è proprietà della persona e regola di origine divina del suo agire.

La coscienza è la voce di Dio nella persona. La coscienza è facoltà ed atto della persona, non è il tutto della persona e i suoi atti sono effetti e prodotti dell'intelletto e della volontà della persona. 


Immagine da Internet : Maurizio Chiodi

[1] https://www.avvenire.it/famiglia/pagine/una-teologia-che-ascolta-la-vita-la-svolta-irreversibile-del-papa

[2] Vedi lo studio fatto da P. Tomas Tyn nel suo “Saggio sull’etica esistenziale formale di Karl Rahner”, Edizioni Fede&Cultura, Verona, 2012

8 commenti:

  1. Mi scusi Padre. Il "“Omne crepitus papalis est semper verum magisterium et eius odor semper est sicut rosae Damascenae.”” é un dogma apocrifo , come afferma Simon nel suo blog "Via-croce" pellegrininella Verità?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Vincenzo,
      la affermazione è indubbiamente falsa, perché i Concili Vaticani I e II, e la Lettera apostolica Ad tuendam fidem di San Giovanni Paolo II del 1998, precisano le condizioni alle quali sottostanno i pronunciamenti papali che costituiscono magistero.
      Questi pronunciamenti sono fatti dal Papa come maestro della fede, in materia di fede o di morale, indirizzati a tutta la Chiesa. Sono soggetti a tre gradi di autorità, che si riferiscono alla forza più o meno grande con la quale la Chiesa intende inculcare una data verità nella mente dei fedeli.
      In tutte le altre occasioni, nelle quali il Papa si pronuncia in forma privata o in modo improvvisato o per una improvvisa esternazione o per esprimere una opinione personale o con mezzi occasionali, come può essere una telefonata o un motto di spirito o con una lettera privata, il Papa può certamente sbagliare.

      Elimina
  2. "Ora il DDF ha sentenziato che la formula va interpretata all’indicativo, per cui ciò che prima appariva come una semplice ipotesi di legge, una legge possibile, adesso che la formula è passata all’indicativo, ha assunto la forma della vera e propria legge: esistono effettivamente dei casi nei quali i DR possono ricevere i sacramenti".

    Caro padre Cavalcoli,
    quelli di noi che, come me, li seguono da diversi anni, penso che non possiamo fare a meno di rimanere sorpresi da ciò che qui rifletti. Non perché sia ​​incoerente con quanto scrivevi nel 2016 o giù di lì, difendendo la natura condizionale dell'espressione del papa nella nota 351 di AL, ma perché ora le sue previsioni si avverano: quel giorno di domani in cui la disciplina sacramentale muta sarà arrivata, a quanto pare.
    Allora è sufficiente una semplice risposta del cardinale Fernández, in qualità di Prefetto della Fede, per renderlo tale?
    Lo dici lei.
    Ricordo ora le espressioni del 2016 o 2017 di monsignor Fernández, oggi cardinale, ma allora arcivescovo di La Plata, in Argentina, in cui affermava che papa Francesco aveva dato il permesso di conferire i sacramenti alla DR. Insomma: Fernández ha detto nel 2016 la stessa cosa che dice adesso, nel 2023. Ma ora è diverso. Prima lo diceva da semplice vescovo diocesano (e aveva torto!), ora dice la stessa cosa: e non ha torto, perché interpreta autorevolmente la parola del Papa.
    È così che lo dico?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Silvano,
      sì, effettivamente lei fa una lettura esatta di quella che è stata la guida della Chiesa, su questo tema dei DR, a partire da San Giovanni Paolo II fino al Papa attuale.
      È chiaro che se prima valevano le disposizioni di San Giovanni Paolo II, adesso valgono quelle che ci vengono dal Papa attuale.
      Naturalmente la decisione di ricevere i sacramenti non è rimessa in modo indiscriminato all’arbitrio della coppia, ma essa può essere ammessa ai sacramenti soltanto dopo aver sentito il parere del confessore.
      Sarebbe bene al riguardo che ci fosse per ogni diocesi un incaricato speciale per la trattazione e l’individuazione dei casi previsti dalla legge.

      Elimina
  3. Caro padre Giovanni Cavalcoli. Dopo aver letto il suo articolo, non posso fare a meno di farli una domanda chiara: sei d'accordo con l'interpretazione di "Amoris laetitia" fatta dai vescovi di Buenos Aires e ora fatta dal cardinale Fernández?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Dino,
      per la verità io preferivo la posizione di San Giovanni Paolo II, perché questo Papa ha ricordato il fatto che il matrimonio rappresenta l’unione di Cristo con la Chiesa, mentre l’unione di DR non può rappresentare un mistero così sublime.
      Un mio timore personale è che l’insistere nel voler fare la Comunione da parte dei DR facilmente non sia dettato da un sincero desiderio soprannaturale, ma da un desiderio di voler fare la figura che la loro unione è di pari dignità dell’unione sacramentale. Papa Francesco ha ricordato che il matrimonio cristiano non è da confondere con una unione civile.
      Una cosa importante che invece ha detto Papa Francesco, e che non si trova al n. 84 della Familiaris Consortio, è che la Comunione è un farmaco spirituale, fatta per dar forza alla nostra fragilità. In questo senso essa può aiutare i DR non solo ad essere fedeli tra loro e a mettere a frutto i talenti ricevuti da Dio, ma anche in vista di una attuazione della temperanza sessuale.

      Elimina
  4. Mi pare evidente che se la posizione di Chiodi ottiene spazio nel giornale della CEI e se il medesimo ha ormai fama di studioso che va per la maggiore, ciò significa che la sua interpretazione viene considerata corretta ed anzi da promuovere. Immagino che avrà una significativa influenza nella formazione di giovani teologi, seminaristi e nell'aggiornamento del clero. Se fosse considerata errata o almeno problematica l'autorità ecclesiastica, magari il papa stesso, sarebbe intervenuta.

    Stefano

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Stefano,
      un caso come quello di Chiodi si inserisce nel fenomeno attuale del modernismo, che è una corrente teologica che ha una tale diffusione che il Papa Stesso non è in grado di fermare.
      Il contrasto di Chiodi con l’autentico insegnamento del Papa, l’ho dimostrato nel mio articolo. Questa è la cosa da tenere presente. Che Chiodi abbia prestigio e non venga censurato non significa che abbia ragione. La verità non dipende dalla maggioranza, ma dalle ragioni intrinseche della stessa verità. E io queste ragioni le ho dimostrate.
      Il dovere del cristiano è quello di essere pronto anche a restare in minoranza, pur di seguire il Magistero della Chiesa.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.