La rabbia
contro Dio
I deliri di
alcuni Gesuiti sudamericani
Gli uomini bruciarono per il
terribile calore
e bestemmiarono il nome di Dio
che ha in suo potere tali flagelli,
invece di ravvedersi
per rendergli omaggio
Ap 16,9
Il
Dio cattivo che castiga sostituito dal Dio
il
cui Corpo è la Natura, Madre buona
Lo scrittore cattolico Josè Antonio Ureta nel Sito Fatima oggi del 1° luglio scorso ha
pubblicato un articolo dal titolo Coronavirus:
i gesuiti dell’America Latina approfittano della crisi per apostatare dal vero
Dio.
Egli fa questa grave accusa – cito dall’Autore - alla «rivista Aurora, lanciata dalla Conferenza dei Provinciali in America
Latina e Caribe all’inizio dell’epidemia e che ha già pubblicato quattro numeri,
con articoli di religiosi della Compagnia e di laici legati ad essa».
Ureta riferisce che Padre Ignacio
Blasco S.J. nel suo articolo intitolato: “Dove chiama Dio nella pandemia?”
propone di sostituire la concezione di un Dio che punisce con quella di un Dio
essenzialmente unito alla Madre Natura, che sarebbe il Corpo di Dio, Madre
benefica e non punitiva, se non siamo noi ad offenderla. Dio quindi non punisce, ma punisce la Madre
Natura. Al timor di Dio sostituisce il timore reverenziale della Natura.
Ecco le parole di Ureta:
«Secondo
questa concezione molto diffusa, che potrebbe trovare eco in molti passi
dell’Antico Testamento”, si lamenta Padre Mella, “Dio ha mandato il coronavirus
per castigare l’umanità a causa dei suoi peccati”. Il suo obiettivo sarebbe
“umiliare l’essere umano affinché rivolga il suo cuore a Dio”.
Perché un tale Dio castigatore “è
in fondo un essere geloso, egocentrico e distante”, che dal suo trono celeste
invia malesseri “per mostrare all’umanità che è lui (minuscolo nell’originale)
che ha il potere assoluto e che lo esercita come vuole, senza rendere conto a
nessuno”. Un tale “dio” (sempre con minuscola) “non dialoga, punisce
machiavellicamente e condanna in maniera vendicativa, senza batter ciglio”, in
quanto “questo essere freddo e risentito non guarda con affetto e compassione a
una umanità persa”. A questo “Dio sadico” (adesso con maiuscola) “bisogna
ripetere insistentemente di avere pietà, perché se non lo si facesse, si corre
il rischio di soffrire una nuova versione delle piaghe d’Egitto su scala
planetaria».
Da notare il livore e l’odio coi
quali Padre Mella si scaglia contro la giustizia divina punitrice, deformandone
orribilmente l’essenza, come possiamo immaginare che possa fare un’anima
dannata, colpita dai fulmini dell’ira divina. Senza volermi naturalmente
sostituire nel giudicare a quel Dio che scruta i cuori, mi viene infatti quasi
il sospetto e il timore che il povero Padre Mella, per vomitare tanto veleno
contro Dio, non sia affatto in pace con Lui, ma abbia la coscienza gravata da
qualche grave colpa, che si rifiuta di riconoscere.
È logico che l’orgoglioso senta
il castigo divino come un’insopportabile ingiustizia. Al Dio adirato risponde
con l’ira del ribelle. Basterebbe che riconoscesse umilmente, come Davide, il
suo peccato, se ne pentisse e subito troverebbe il Dio dolce e misericordioso.
Continua Ureta:
«Da questa “interconnessione” emerge
necessariamente un diverso concetto della divinità. A differenza del Dio-Orologiaio-Controllatore
– e del “Dio sadico” delle piaghe d’Egitto, direbbe il suo confratello Mella
S.J. – la Teologia Quantistica (sic) ci offre, secondo P. López S.J., una nuova
immagine della Trinità: “MADRE-AMANTE-AMICO”. (Sarebbe, ai suoi occhi, la
versione biblica Padre-Figlio-Spirito Santo, eccessivamente maschilista,
patriarcale e autoritaria?).
Il
libro ispirato che il nostro missionario gesuita itinerante cita devotamente
per spiegare la sua nuova immagine del mistero trinitario è Teologia quantistica: implicazioni spirituali della nuova fisica,
il cui autore sacro è Padre Diarmuid O’Murchu, un membro irlandese dell’Ordine
dei Missionari del Sacro Cuore, laureato in Psicologia Sociale e attivo nel
campo della consulenza di coppia e dei programmi di Sviluppo della Fede Adulta.
Da quell’opera, originariamente pubblicata nel 1996 e rivista nel 2004, Padre
López S.J. estrae la seguente citazione:
“Dio-Madre”
dà alla luce “il mondo (universo) attraverso la sua divina espressione di sé,
il mondo è il ‘corpo di Dio’. Dio, come Madre, implica una generosità cosmica
che dà vita a ogni essere, senza pensare a una ricompensa, e continua così
a partecipare al sogno delle possibilità aperte che si va dispiegando, onde la
nozione di un petto prodigioso. Una donna ferocemente protettiva, per la quale la
passione e la giustizia sono molto importanti, una donna che diventa furiosa
quando i suoi discendenti (il suo stesso corpo) sono privati dell’essenziale,
come l’amore, la cura e la giustizia”.
Per
Padre O’Murchu la creazione non sarebbe un’opera di Dio ex nihilo e ad extra,
bensì l’emanazione di un principio o di una realtà primaria, come postulato
dalla dottrina gnostica dell’emanatismo, secondo la quale tutti gli esseri,
incluso l’anima umana, sarebbero una emanazione della stessa divinità, formando
ciò che Diarmuid O’Murchu chiama “corpo di Dio”, in cui, ovviamente, tutto è
collegato.
Teilhard
si augurava in uno dei suoi ultimi scritti, cautamente non citato da Mauricio
López Oropeza: “La Terra, questa volta, può afferrarmi con le sue braccia
giganti. Può gonfiarmi con la sua vita o recuperarmi nella sua polvere. […] I
suoi incantesimi non possono più farmi del male, poiché è diventata per me,
oltre che sé stessa, il Corpo di colui che è e che viene! Il mezzo divino!”.
Il
ritorno dell’idolatria
Per quanto riguarda il riferimento alla fisica
quantistica, Ureta commenta così le parole del Padre Lόpez:
«Forse
pensando ai lettori europei, che non conoscono l’amenità del territorio e della
fauna dell’Amazzonia, oltretutto deformati dalla razionalità greco-latina, Padre
López S.J. offre un’analogia con il mondo della scienza, con cui hanno maggior
familiarità. “La fisica classica e determinista ci dà l’immagine di un mondo
‘meccanico’, esatto, un mondo ‘orologio’ e un ‘Dio-Orologiaio-Controllatore’”.
Al contrario, “la fisica quantica ci avvicina a un mondo profondamente connesso
e interconnesso, più dinamico e interattivo, creativo e generatore, dove non
tutto è controllato (principio di indeterminazione) e vi è spazio per le
sorprese, per la libertà e l’amore”, come nelle selve amazzoniche».
Osserviamo che le fantastiche
asserzioni panteiste del Padre Lόpez non trovano alcun appoggio nella fisica
quantistica, la quale non nega affatto l’inconfutabile certissimo determinismo
delle leggi fisiche, mentre il principio d’indeterminazione di Heisenberg non ha
alcun intento ontologico, ma si riferisce solo alla relatività e insufficienza
dei nostri metodi di misurazione.
Per cui tutto l’immaginario
castello di carta che l’articolista vorrebbe fondare sulla fisica quantistica
per concepire la Natura come fosse una divina Superpersona onnipervadente ed
onnirisucchiante e non vista come è realmente e cioè come insieme di enti
viventi e non-viventi, crolla miseramente.
Abbiamo qui un nuovo segnale
spaventoso ed orrendo del risorgere del
politeismo e della corrispondente idolatria, che dopo duemila anni di
cristianesimo sembravano definitivamente confutati e sconfitti. Ed eccoli
invece risorgere, preceduti dall’altro recentissimo segnale del culto a
Pachamama, scandalosamente esploso l’anno scorso in occasione del Sinodo
sull’Amazzonia, sotto pretesto di una malintesa inculturazione.
Nietzsche non avrebbe che da
rallegrarsi, egli che in uno dei suoi scritti lamenta la «monotonia» del Dio
cristiano e la mancanza cristiana di creatività e di inventiva in campo
teologico, portando a modello di genialità teologica il politeismo
greco-romano. Certamente, se Nietzsche leggesse i recenti articoli su Avvenire di Luigino Bruni, gli farebbe
le più vive congratulazioni per la sua eccezionale creatività teologica del Dio
che dev’essere cambiato, «convertito», rabbonito, «arricchito» e migliorato.
Del resto chiediamoci
francamente: il Dio di San Tommaso o di Sant’Agostino o di San Paolo VI o di
San Giovanni Paolo II o della Bibbia è lo stesso che il Dio di Cartesio o di
Rahner o quello di Bruno Forte o quello di Walter Kasper o quello di Teilhard
de Chardin o quello di Hegel? Come mai allora tutti questi diversi dèi hanno libera
cittadinanza e libero culto nella Chiesa cattolica ed anzi trionfano come numi
tutelari e portafortuna dell’imperante modernismo?
Stiamo assistendo ad una
gravissima corruzione del metodo teologico, per la quale il concetto è
sostituito dalla metafora, la sapienza è sostituita dalle battute di spirito,
il ragionamento è sostituito dalle frasi fatte, la metafisica dalla storia, la
verifica storica è sostituita dal «si dice», il sapere dall’opinione, il dogma
dall’aneddoto, la rigorosa analisi speculativa è sostituita dalla creatività e
dall’inventività poetiche, l’intelletto è sostituito dall’immaginazione, la
realtà è sostituita dal sogno, la profezia dall’utopia, la carità è sostituita
dall’emozione, il principio di non-contraddizione è sostituito dal principio di
contraddizione, il sensato è sostituito dall’insensato, la scienza è sostituita
dalla favola. Si tratta semplicemente del metodo col quale sono stati elaborati
tutti i miti più assurdi ed irrazionali delle superstizioni, delle pratiche
magiche e delle religioni pagane.
A questo punto noi cristiani ci
possiamo trovare d’accordo più col monoteismo islamico, come ce ne dà prova
Papa Francesco, che non con la teologia evoluzionista di Teilhard de Chardin o
quella panteista di Rahner o quella storicista di Forte o di Kasper. Il Dio del
Corano corrisponde al Dio biblico meglio del Dio di questi teologastri, che
sarebbe meglio chiamare mitologi, quando
non sconfinano nello gnosticismo.
La
pedagogia divina nulla ha a che vedere
con
i mostri inventati dai Gesuiti
Diciamo
dunque che Dio è un buon educatore e pastore, che per condurre l’umanità alla
salvezza usa due metodi: comincia con l’esortazione pacata e persuasiva
mostrando al peccatore la via e le condizioni
per raggiungere la salvezza, mostrandogli cioè la sua pericolosa
situazione di lontananza da Dio e le conseguenze dolorose del peccato,
rendendolo consapevole della debolezza delle sue forze, e il bisogno che ha di
pentirsi e obbedire a Dio per liberarsi da ogni male, al fine di ottenere
misericordia e quindi il perdono dei peccati e la vita eterna.
Se il peccatore è intelligente, onesto ed
umile, amante di Dio e teme il Signore, se si lascia istruire ed avvertire da
Dio, se è dispiaciuto dei propri peccati e vuole emendarsi e riparare,
consapevole dell’insufficienza delle sue forze e teme di potersi dannare,
certamente ascolta i richiami divini, che possono essere anche severi, ne
prende coscienza per espiare le sue colpe, purificare il suo cuore e,
confidando nel soccorso della grazia divina, si dedica alle opere buone, e così
si prepara l’ingresso al regno dei cieli.
Se il metodo dolce della persuasione non
sortisce l’effetto, Dio allora normalmente ricorre ad un metodo energico e
doloroso, come il medico che, constatando l’inefficacia di una cura
farmacologica, può ricorrere ad un doloroso intervento chirurgico. Se però il
paziente non si salva neppure con questo mezzo allora chiaramente è spacciato.
Così i castighi divini in questa vita servono per la nostra correzione. Ma se
gli uomini, colpiti da questi flagelli, invece di umiliarsi, invece di
«battersi il petto» (Mt 24, 30), non si pentono, ma anzi si ergono spavaldi e
adirati contro Dio, come de fosse un crudele tiranno, è evidente che, restando
sordi all’ultimo appello divino, si preparano la dannazione eterna.
Se dunque il peccatore è superbo, attaccato alla
propria volontà e ai propri peccati, sente l'intervento divino come
fastidioso e irritante, non riconosce i suoi peccati e quindi non accetta di
essere castigato per essi, le sventure che Dio gli manda non le intende come
gesti di un Dio giusto e misericordioso, un’esortazione alla penitenza e alla
conversione, ma come le espressioni di un Dio sadico, tiranno e crudele. Per
cui non intende affatto convertirsi, perché ritiene di conoscere i suoi
interessi meglio di quanto Dio vuol fargli credere.
Alla ricerca di una vana tranquillità di
coscienza il peccatore ostinato ed impenitente s’inventa un dio di comodo per
conto proprio, un dio ad usum delphini,
che lo guarda comunque benevolo, benché egli non intenda affatto emendarsi dai
suoi peccati. Quanto al vero Dio che lo rimprovera e lo castiga, è per lui fumo
negli occhi, prova per lui un odio feroce, come appare dai deliri dei suddetti
gesuiti argentini.
Quanto alla predicazione di Cristo, essa è
sempre sanzionata dalla pena infernale o da altre pene. Invece, chi oggi
predica il Vangelo facendo presente che il disobbedire ad esso si paga con le
pene infernali o anche con pene ecclesiastiche o guai della vita, viene preso
in ridere, o suscita sdegno, perché si viene scambiati per arretrati o per degli
aguzzini o comunque non si viene presi sul serio o ascoltati, semplicemente perché non si crede nell’inferno o si constata la negligenza delle autorità
ecclesiastiche nel perseguire i delitti in campo canonico.
L’avvertimento circa la pena infernale o
altre pene o castighi divini o umani non ha quindi spessissimo alcuna efficacia
a distogliere dal peccato. Infatti, la stessa autorità ecclesiastica, benché
esistano norme canoniche in materia, non punisce né scomunica quasi mai
nessuno, per quanto colpevole, sicché gli eretici e i malfattori si
moltiplicano tranquillamente, certi dell’impunità, mentre i modernisti hanno un
tale potere malefico sulle autorità, spesso opportuniste o troppo deboli,
sprovvedute o addirittura conniventi, che capita che semmai vengono censurati o
puniti certi cattolici innocenti,
zelanti e coraggiosi, che denunciano le ingiustizie delle autorità o dei
potenti e il diffondersi dei peccati, dei delitti e delle eresie.
Orrendi
insulti a San Giovanni Battista
Ureta riferisce poi come il Padre
Ignacio Blasco, nella medesima rivista aggredisce la figura di San Giovanni
Battista:
«la prima tentazione di questi tempi di
pandemia che ci terrorizza”, consiste nel “considerare Dio come un essere
sadico”, l’“arcinoto Dio castigatore, aspettato da Giovanni Battista (Lc 3,7) e al quale si oppose Gesù”. Il versetto del
Vangelo di S. Luca racconta quel che diceva il Precursore a quanti venivano a
ricevere il battesimo di conversione dalle sua mani: “Razza di vipere, chi vi
ha insegnato a fuggire dall’imminente castigo?”».
Abominevoli ed empi sono questi insulti
lanciati da questo sciagurato e degenere figlio di Sant’Ignazio alla
nobilissima e santissima figura del Battista, «il più grande tra i nati di
donna», il Precursore immediato del Messia, colui che ha preparato un popolo
ben disposto per la venuta del Messia, personaggio-cardine della Scrittura, che
guida Israele e l’umanità al passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, il
battezzatore della ragione per renderla battezzabile dal battesimo che prepara
il battesimo dei figli di Dio nello Spirito Santo.
È una presentazione completamente falsa di
Giovanni contrapporre la sua severità alla dolcezza di Gesù, quando è lo stesso
Giovanni che annuncia la severità di Gesù: «Egli ha in mano il ventilabro e
pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio: ma brucerà la pula
con fuoco inestinguibile» (Mt 3, 12).
Quello che stupisce in Giovanni è come fosse
riuscito, nonostante la severità con la quale trattava la gente che veniva a
lui, a procacciarsi presso di essa una tale stima, fiducia e ammirazione, da
dar l’apparenza di essere il Messia. Evidentemente aveva a che fare da una
parte con gente timorata di Dio, ammiratrice dei profeti, e desiderosa di
giustizia e di conforto, e dall’altra
Giovanni doveva avere una carattere estremamente libero e franco,
unicamente fondato in Dio (Lc 7,25), alieno dall’adulare chicchessia, sia i
potenti come le folle, per cui questa sua lealtà e franchezza gli aveva
attirato la fiducia di molti timorati di Dio, disposti, quindi, a tener conto
dei suoi avvertimenti severi per chi non si fosse preparato alla Venuta del
Messia.
Dio ci ha creati non perché facessimo la
nostra volontà, ma la sua, perché Egli sa qual è la nostra vera felicità, per
cui è evidente che le disgrazie ci vengono non quando facciamo la sua volontà,
ma la nostra. E se ci pare che, pur facendo di testa nostra, non ci accada
nulla, questa è solo illusione, perché è solo questione di tempo e prima o poi
arriverà la resa dei conti e il meritato castigo. Così pure, se facendo la sua
volontà, siamo tuttavia colpiti dalla sorte, non dobbiamo perderci d’animo, ma
approfittare dell’occasione per espiare i nostri peccati ed offrirci in
sacrificio per la salvezza dei peccatori in unione a Cristo redentore.
La misura è
ormai colma
È giunta la goccia che fa traboccare il vaso.
Se nessun’alta autorità della Chiesa ferma questi empi odiatori della divina
giustizia, essi, vedendosi impuniti, continueranno a spargere l’odio verso Dio
mettendosi in pericolo di eterna dannazione e facendo a loro volta periclitare innumerevoli
anime, convinte che sia loro lecito peccare liberamente perché a loro non
succederà nulla.
Esse sono come il personaggio che il Siracide
ammonisce con queste parole:
«Non dire:
“ho peccato; che cosa mi è successo?” Perché il Signore è paziente. Non essere
troppo sicuro del perdono, tanto da aggiungere peccato a peccato. Non dire: “la
sua misericordia è grande”, perché presso di lui ci sono misericordia e ira, il
suo sdegno si riverserà sui peccatori, poiché improvvisa scoppia l’ira del
Signore e al tempo del castigo sarai annientato» (Sir 5,6-9).
Sta venendo sempre più alla luce un tremendo
conflitto di fondo, che da cinquant’anni, aggravandosi sempre di più, sta
tormentando e lacerando in modo sempre più insopportabile la Chiesa cattolica,
ed esso tocca nientemeno che la stessa concezione
di Dio, giacché assistiamo allo scontro irresolubile fra due opposte concezioni
di Dio: quella della sana dottrina cattolica, la quale sostiene che Dio castiga, e quella eretica, di origine
marcionita, propria del buonisti e dei misericordisti, la quale sostiene che Dio non castiga.
Dunque un’opposizione frontale, dove non
esiste mediazione, così come non c’è mediazione fra il vero e il falso, anche
se occorrerebbe chiarire che cosa la Bibbia intende per «castigo divino» oppure
si dovrebbe distinguere castigo giusto da castigo ingiusto, cose che i
buonisti, fissati nel loro schema astratto, non capiscono o si rifiutano di
capire.
Tutti certamente riconosciamo che Dio è
buono, solo che le conclusioni che gli uni e gli altri traggono sono opposte:
per i cattolici normali, Dio castiga proprio perché è buono; per i buonisti, siccome
è buono, non può castigare. Non ci si
intende sul concetto della bontà divina.
Così abbiamo di fronte, «l’uno contro l’altro
armato» (Dante), due partiti entrambi estremisti: quello del Dio-che-castiga,
purtroppo spesso rappresentato da nostalgici del preconcilio, un Dio che quindi
manca di credibilità; e quello dei modernisti, soprattutto rahneriani e
teilhardiani, del Dio-che-non-castiga, un partito che mostra ancora di più
un’immagine falsa della Chiesa. La voce del normale cattolico, in mezzo al
chiasso fatto dai due partiti, quasi non si avverte, mentre sarebbe
indispensabile che fosse appoggiata e potenziata per il bene di tutti e per
ottenere il bene sommo della pace nella carità e nella verità.
Ci rivolgiamo perciò al Santo Padre,
supplicandolo di far sentire alta la sua voce in modo chiaro ed inequivocabile,
di Pastore universale della Chiesa e Maestro della Fede, affinché la Chiesa sia
liberata da questo marasma che la tormenta e la divide da cinquant’anni. Voglia
egli espellere l’eresia marcionita e mostrarci l’accordo in Dio dell’attributo
della misericordia con quello della giustizia, voglia spiegarci che è falsa
quella misericordia che nega la giustizia, voglia dirci che, se è vero che «la grazia
e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo» (Gv 1,17), tuttavia il Dio
misericordioso appare già nell’Antico Testamento, mentre il Dio del Nuovo
Testamento non ignora la severità.
Osiamo chiedere al Papa di donarci
un’enciclica che tratti del rapporto in Dio fra misericordia e giustizia, cosicché
i prepotenti e i corrotti siano in qualche modo intimoriti e smettano di
credere di poter continuare a peccare contro Dio e contro il prossimo
ritenendosi impuniti, mentre i poveri e gli oppressi siano consolati e non
cadano più nella disperazione, ma sappiano che non solo in terra, ma anche e
soprattutto in cielo c’è Qualcuno che li difende e farà loro giustizia. Non
sarebbe, questa, una grande opera di misericordia?
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 luglio 2020
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.