Cari Vescovi, parlateci di Dio - Seconda Parte (2/2)

 Cari Vescovi, parlateci di Dio

Seconda Parte (1/2) 

Il teologo al posto del Vescovo

Oggi il personaggio mitico produttore di dottrina,  colui che vi aggiorna sulle nuove scoperte riguardanti la Parola di Dio e il concetto di Dio, colui che corregge i vostri errori su Dio, che vi mostra che il vostro concetto di Dio è antiquato e superato, il maestro della fede,  la luce della Chiesa, il mistagogo e l’iniziatore ai divini misteri, il maestro dell’anagogia, chi vi guida per gli ardui e scoscesi sentieri dell’Assoluto, che vi fa sentire il sapore dell’Eterno aprendo spazi infiniti alla vostra autocoscienza, il profeta dell’escatologia del presente e del futuro realizzato, che vi fa sperimentare l’ineffabilità atematica del Trascendente preconcettuale, l’inutilità dei concetti e dei dogmi, nonché  la tenerezza della divina misericordia, non è più il Vescovo, non è il parroco, non è il catechista, non è il confessore, non è il Papa; è il teologo e il biblista, è il professore dell’Università Gregoriana o della Facoltà di Teologia di Tubinga o di Francoforte.

Oggi abbiamo dottori in teologia laici, uomini e donne. In sé si tratta indubbiamente di un progresso. Ma spesso che cosa accade? Che il teologo o la teologa, mettendo sul mercato idee «creative» del tutto personali strane e strampalate ma piacevoli ed originali, rifacendosi a supposte apparizioni soprannaturali, a teologi protestanti o modernisti, a romanzieri, a poeti, a cineasti, a cantanti, ad attori, a giornalisti, a massoni, cabalisti o buddisti o induisti, sedicenti profeti, parapsicologi, ufologi, visionari e rivelazioni private, ci assicurino con totale sicurezza di mostrarci loro finalmente la verità, in barba all’insegnamento del buon senso, dell’esperienza, della sana ragione, della storia, dei Papi, dei Concili, di Vescovi, di Cardinali, di Dottori della Chiesa, dei SS.Padri, dei Santi, dei profeti e della stessa Sacra Scrittura. L’importante è spararla grossa: si è certi del successo.

Come siamo arrivati a questo punto? Si è verificata nel corso di questi ultimi secoli una mostruosa elefantiasi dell’ufficio del teologo e contemporaneamente una graduale perdita di prestigio dell’autorità del Vescovo e quindi del Papa. Ma come mai questo è potuto accadere?

Si è trattato della deformazione di un normale processo di sviluppo ecclesiale, per il quale la doverosa maturazione dell’inferiore, il soggetto laico, ha comportato da una parte l’insubordinazione del laico al Vescovo, fino a rovesciare oggi il rapporto gerarchico, così che certi laici presuntuosi pretendono di fare da maestri ai Vescovi; ma dall’altra c’è anche stato il fatto in sé positivo e provvidenziale che i buoni e zelanti  laici, sinceramente amanti del bene della Chiesa e delle anime, accorgendosi che i Vescovi sono latitanti o non si fanno sentire, cercano essi stessi di rimediare come possono, richiamando gli stessi Vescovi al loro dovere e cercando di rimediare loro a scandali ed eresie, a volte con successo, a volte in modo indiscreto e imprudente, senza l’adeguata preparazione, anche se forse con buona intenzione.

Per capire meglio che cosa sta succedendo, dobbiamo andare col ricordo a quanto successe nei primi secoli del cristianesimo. Allora i Padri della Chiesa, servendosi della filosofia di Platone e degli stoici, fissarono le nozioni fondamentali della dottrina cristiana, quelle nozioni che poi i Papi e i Concili proclamarono dogmi o verità di fede.

I Padri furono i primi teologi, intendendo per «teologo» il credente che utilizza la ragione per capire il dato rivelato e spiegarlo in modo comprensibile al popolo. Essi furono anche i primi esegeti o biblisti con i loro commenti alla Scrittura. Furono anche i primi moralisti con lo spiegare e giustificare i doveri e le leggi della morale cristiana.

Il problema più importante, naturalmente, era il concetto del vero Dio, da distinguersi dagli dèi del paganesimo, il Dio della ragione, ma innanzitutto il Dio di Gesù Cristo, Cristo stesso come Dio, la divinità del Padre e quella dello Spirito Santo, gli attributi divini, la conoscenza di Dio, l’esperienza mistica, il culto divino, le vie verso Dio, l’opera divina della salvezza, come parlare di Dio. Abbiamo qui una miniera di preziosi insegnamenti, sempre attuali, ai quali i Vescovi potrebbero sempre attingere.

Nel sec. XIII, come è noto, la cristianità europea era ben consolidata. Ma ecco sorgere, pericolosissime perché seducenti e apparentemente spiritualiste, le eresie dualiste provenienti dall’Oriente, come i catari. D’altra parte un’importante novità: all’Università di Parigi si venne a conoscenza, attraverso i filosofi musulmani, delle opere di Aristotele, che suscitarono vivo interesse, ma anche turbate reazioni, nelle scuole monastiche episcopali. Successe allora che il Concilio Lateranense IV del 1215 ordinò che i Vescovi per la loro predicazione, si valessero dell’aiuto di uomini debitamente preparati per l’insegnamento della dottrina cattolica e la lotta contro l’eresia.

Fu così che San Domenico di Guzmán ebbe l’idea di fondare un apposito Istituto religioso, che fu poi l’Ordine dei Frati Predicatori, per soddisfare alle direttive conciliari. Fu così che nacque, per opera dei Domenicani e soprattutto Sant’Alberto Magno e San Tommaso d’Aquino, la teologia aristotelica universitaria a Parigi e a Bologna accanto a quella monastica agostiniana, già fiorita con San Bernardo, Sant’Anselmo e i Vittorini.

Ma ecco sorgere un ritorno di paganesimo. Nel sec. XIV in Inghilterra la teologia iniziò ad inquinarsi con Guglielmo di Ockham, che abbandonò l’aristotelismo per ripristinare l’individualismo volontarista e lo scetticismo sensista protagoreo, mentre l’Episcopato europeo, diviso in vari nazionalismi, si lasciò infettare da questa spinta individualistica così da perdere di vista i valori universali della fede e della morale cristiana, il che per  conseguenza fece dimenticare al Vescovo la sua responsabilità di guida, custode e maestro della fede.

La ricomposizione dello scisma d’Occidente nel 1415 non sanò però del tutto la ferita inferta nell’Episcopato dall’occamismo, sicchè successe che quando Lutero si ribellò al Papa, l’Episcopato tedesco, infetto di occamismo e nazionalismo, non fu capace di fermare e correggere Lutero. Quale la conseguenza dell’azione di Lutero? Che la figura del Vescovo s’indebolisce e scompare e a spiegare la Parola di Dio e stabilire la dottrina della fede restano solo l’esegeta e il teologo.

Data da questo momento il progressivo distacco del Papato dall’Episcopato, che oggi ha raggiunto un momento drammatico. Il Concilio di Trento darà testimonianza di una bella ripresa di fedeltà dell’Episcopato al Papa, ma d’ora innanzi il Papato dovrà mantenere la disciplina solo con la forza, perché l’Episcopato non ritroverà più quell’unione col Papa, della quale aveva dato l’esempio sin dai primi secoli della Chiesa, dopo la soluzione dei problemi cristologici di quei primi secoli. Ma oggi purtroppo essi tornano a presentarsi, come se su di essi la Chiesa non avesse dato una risposta definitiva.

Il Concilio Vaticano I e il Concilio Vaticano II sono stati momenti felici di unione dell’Episcopato col Papa. Dalle loro dottrine i Vescovi hanno moltissimo da attingere per un efficace svolgimento della loro missione oggi. Sorgente di speciale ispirazione per il Vescovo è il Decreto Christus Dominus, che il Vaticano II ha dedicato appositamente per loro. In esso si illustra la dignità del loro ufficio, che comporta la pienezza del sacerdozio.  

È interessante il confronto col Decreto Presbyterorum Ordinis, dedicato al presbiterato. Per capire meglio la dignità dell’ufficio episcopale, possiamo notare che mentre per quanto riguarda il presbiterato la tradizione della Chiesa prevede come cosa normale l’aspirazione del giovane al presbiterato, benché il soggetto possa essere invitato ad abbracciare il presbiterato da un uomo di Dio o da un Vescovo, San Paolo (I Tm 3,1) loda bensì chi aspira all’Episcopato,  di fatto la prassi è che sia il Vescovo, dietro opportuna consultazione o indicazione di profeti, a invitare o chiamare il soggetto a salire all’Episcopato.

Questo che cosa significa? Che il soggetto mostra le qualità per poter esser fatto Vescovo, senza che per questo egli se ne renda conto o lo desideri.  E di fatto non sono rari i Santi, i quali, richiesti di salire all’Episcopato, si sono rifiutati non perché amanti della vita comoda, ma per umiltà. Tutto ciò vuol dire che dal presbiterato all’Episcopato c’è un notevole salto. Coloro che si fanno sacerdoti normalmente si accontentano di questo stato e non aspirano a salire oltre.

La Chiesa è fondata sugli Apostoli, non sui presbiteri, non sui teologi e tanto meno sui laici. Questi ultimi possono essere numerosi e c’è da augurarsi che lo siano. I Vescovi sono scelti tra molti per non dire moltissimi. Che significa questo? Quando si tratta in natura come nella vita dello spirito di generare energia su larga scala, non occorre che i generatori di forza e di energia siano numerosi. Bastano pochi, purchè siano all’altezza del loro compito. Oggi, con tutto rispetto, ci chiediamo a volte: ma come ha fatto quel tale a diventare Vescovo? Chi lo ha promosso?

C’è da notare ancora che segno di vocazione episcopale non sono tanto speciali qualità umane in campo organizzativo, sociale o amministrativo, notorietà o aderenze politiche o ecclesiali, facilità di parola e giovialità, carattere sportivo, attitudine a scherzare, tutte cose alle quali oggi si bada molto, e si vede quali Vescovi vengono fuori, ma è la fortezza della fede, la fedeltà al Papa, la saggezza del giudizio, l’esperienza nella guida delle anime, la preparazione teologica, la costanza nel lavoro e negli impegni, il coraggio delle proprie idee, la sobrietà, l’umiltà, la castità,  l’onestà e la lealtà nel pensare e nel parlare, l’amore per la preghiera e per la liturgia, la disponibilità al sacrificio, la vita austera, le opere della carità e della misericordia. Nella tradizione orientale il Vescovo è generalmente scelto fra i monaci. Questo gesto è significativo del fatto che il Vescovo deve anzitutto rispondere alla richiesta che gli facciamo: duc in altum!

Ciò allora vuol dire che chi designa uno per esser fatto Vescovo o lo stesso presbitero che ha accettato di farsi ordinare Vescovo e che è diventato Vescovo, devono esser ben sicuri che la sua accettazione sia stata motivata non da ambizione, ma dal desiderio di servire Dio e le anime, se occorre, fino al martirio, come testimonia per tutto il corso della Chiesa l’esempio di tanti Vescovi.

Che cosa ci attendiamo dal Vescovo

Per questo il Vescovo che vuol fare il suo dovere e parlarci di Dio in modo persuasivo ed efficace, deve avere sempre davanti agli occhi della mente e all’aspirazione del cuore l’esempio dei Vescovi martiri, per cui, se gli passano per la mente pensieri di vita comoda e mondana, è in grado di cacciarli immediatamente.

Voi, cari Vescovi, dovete tornare ad insegnarci a guardare in alto, a sollevare lo sguardo da queste cose che abbiamo sotto gli occhi e che cadono sotto i sensi, che pure sono belle e utili, alle realtà sovrasensibili, metafisiche, invisibili, puramente intellegibili, spirituali, celesti, divine.

Ho ancora nel cuore il dolcissimo ricordo dell’allora Mons. Giacomo Lercaro, Arcivescovo della mia Ravenna, quando nel 1950 mi amministrò il sacramento della Cresima. Difficilmente posso descrivere l’emozione religiosa di me fanciullo, istillataci dalle nostre catechiste, davanti a questa figura circondata di un alone di sacralità, che ci veniva descritta come un personaggio quasi celeste. Gli Angeli delle sette chiese dell’Apocalisse non sono forse i Vescovi delle rispettive chiese?

Cari Padri, dovete condurci in alto. Lo so che è impegnativo. Ma Dio vi ha costituiti per questo. La delusione che potete provocare nel popolo di Dio se non siete fedeli al vostro carisma, può essergli fatale e generare in lui odio contro la Chiesa. Questo guidare verso l’alto è ciò che i Santi Padri chiamano «anagogia». Noi sappiamo guardare ciò che ci sta davanti, i nostri simili; sappiamo guardare in basso, ai beni materiali del mondo e della natura. Sappiamo guardar dentro noi stessi, nella nostra coscienza. Ma l’innalzare lo sguardo alle verità soprannaturali, ai misteri della fede e della vita futura, della grazia e della beatitudine, della gloria e dell’eternità, solo voi in nome di Cristo, in unione col Papa, ce lo potete insegnare.

Da lassù, da presso Dio, acquistiamo nella fede lo stesso pensiero di Dio, lo stesso sguardo di Dio e con quello sguardo d’amore scendiamo verso il basso, verso i fratelli a istruirli, a curarne le piaghe, a consolarne le sofferenze, ad accendere la speranza del perdono e della misericordia.

Per questo, quando si vede un Vescovo che si rende assente e non si fa sentire quando viene il lupo a disperdere e divorare le pecore, viene il sospetto che abbia accettato di farsi fare Vescovo per ambizione e non per un sincero amore di Dio e delle anime. Forse era meglio se restava semplice presbitero.

Ma il problema qui si complica perché quando si moltiplicano i Vescovi di questo tipo, se capita un presbitero che per il suo zelo potrebbe fare il Vescovo, si astengono dall’invitarlo, perché prevedono che la condotta episcopale di quel tale sarebbe di rimprovero agli altri Vescovi. E così si moltiplicano i Vescovi opportunisti che non vogliono avere problemi. Qualcosa del genere capitò con l’Episcopato anglicano dopo la riforma di Enrico VIII o con l’Episcopato tedesco dopo quella di Lutero.

In linguaggio militare si direbbe che questi Vescovi si sono imboscati. È una chiara e grave mancanza alla loro responsabilità. È un modo falso di voler essere al di sopra delle parti; in realtà è un non prender posizione che denota doppiezza ed opportunismo.  Basta conservare la sedia. Si accontentano di un misero successo terreno. La loro bonomìa, il loro fraternismo, egualitarismo, pauperismo e misericordismo, privi di motivazioni profonde e spirituali, non convincono.

Essi purtroppo fanno come niente fosse. Capita di tutto – i lefevriani protestano, i gay imperversano, i modernisti spadroneggiano, i transumanisti progettano il futuro, alcuni cercano gli extraterrestri, gli scandali si moltiplicano, le eresie pullulano, i fedeli calano, i massoni ridono sotto i baffi, i buoni sono inascoltati, derisi ed emarginati, i poveri restano poveri, - ma loro vanno avanti tranquilli.

Appare esagerata la loro preoccupazione di non voler apparire al di sopra degli altri, di evitare il clericalismo, di non assumere toni impositivi, ma di esser pronti ad imparare da tutti. In tal modo dimenticano il loro prezioso ed insostituibile ruolo di guide, di sostegni, di protettori, di maestri, di educatori, di padri, di medici, di giudici, di santificatori.

L’atteggiamento di semplicità e di modestia che molti assumono, il voler «essere alla mano» sono certamente lodevoli. L’affabilità e la cordialità attirano le simpatie. Certamente hanno eliminato ogni ombra di sussiego e di alterigia, che era il difetto dei pastori di un tempo. Ma la loro pastorale sembra limitarsi troppo a interessi temporali e dimenticare le vie dello spirito.

Raramente leggiamo meditazioni sulla morte, sulla sofferenza, sul peccato, sulla grazia, sulla santità, sul paradiso, sull’inferno e sul purgatorio. Raramente sentiamo in loro il richiamo alle cose del cielo, alla vita futura, al bisogno di vedere Dio, alla ricerca del volto di Dio.

Rari o quasi assenti gli interrogativi sull’essenza della verità, sulla dignità del pensiero, sull’esistenza di Dio,  sui motivi della fede, sulla dignità dell’uomo, sui fondamenti della morale, sulla reciprocità fra uomo e donna,  sull’essenza della mistica, sul valore della vita religiosa, sul valore della coscienza e della libertà,  sull’immortalità e la spiritualità dell’anima, sul rapporto della filosofia con la teologia, della fede con la scienza, della religione con la politica, dell’importanza della metafisica, del valore della ragione.

Quando mai ci parlano di San Paolo, di San Giovanni, di San Tommaso, di Sant’Agostino, di San Bonaventura, di San Giovanni della Croce, di Santa Teresa di Gesù, di Edith Stein, di Maritain? Quando ci parlano dei grandi Papi della storia a cominciare da San Pietro, e poi Leone Magno, San Gregorio Magno, Innocenzo III, San Pio V, del Beato Pio IX, di Leone XIII, di San Pio X, Pio XII, San Giovanni XXIII, San Paolo VI, San Giovanni Paolo II?

Come mai non riprendono mai i grandi temi spirituali trattati da Papa Francesco sulla santità, lo gnosticismo, la lotta contro il demonio, la confidenza in Dio, l’ascolto della sua Parola, il mistero di Cristo, l’azione dello Spirito?

Siamo travagliati da divisioni, protagonismi, antagonismi, interminabili polemiche, conflitti tra rigoristi e lassisti, tra passatisti e modernisti, ciarlatani e teologastri, visionari e spiritisti, maghi e indovini. Non sono capaci di consigliarci, confortarci, incoraggiarci, illuminarci, correggerci, stimolarci?

Gli eventi si susseguono drammatici, sconvolgenti, scandalosi, allarmanti, sconfortanti, paurosi, angoscianti, tra guerre, calamità, terrorismo, mafia, scontri sociali, immigrazione selvaggia, eresie, scismi, apostasie, defezioni. E i Vescovi dove sono?

Non si tratta certo di promuovere una spiritualità solipsistica di evasione, astratta ed intimistica, schifiltosa e paurosa nei confronti del mondo: al contrario, la prospettiva che ci proponiamo è quella di dare ulteriore forza e ragione all’impegno nel mondo e nelle opere della misericordia. Si tratta invece di dare un fondamento contemplativo nell’animazione delle realtà terrene, all’azione a favore dei fratelli meno favoriti e più bisognosi.

Quei pochi Vescovi che riprendono gl’insegnamenti del Papa lo fanno in modo arido e pedissequo, ripetendo le stesse parole senza andar oltre, quasi a temere qualche richiamo del Papa. Nessuno osa avanzare qualche riserva o qualche critica, sia pur lecita e costruttiva. Non possiamo però certamente approvare l’opposizione faziosa ed irragionevole a Francesco da parte di Vescovi come Mons. Williamson e Mons. Viganò. Altri prelati, come Mons. Schneider o il Card. Zen, sembrano troppo severi.

I Vescovi per guidarci devono aiutare il Papa

passando sopra ai suoi difetti

Pesa il ricordo del fatto che Francesco non ha voluto rispondere ai famosi «dubia» di quattro Cardinali circa l’Amoris laetitia. Crea un certo disagio il ricordo della degradazione del Card. Burke da Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, e dell’improvviso congedo del Card. Müller[1], Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva criticato il Papa.

Francesco ha tenuto abbastanza in conto l’esempio e gli input che gli venivano dal pontificato di San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? Che dire delle sue lodi di Lutero? Su Pachamama poteva essere più chiaro? E riguardo i divorziati risposati? È giusta la sua pastorale per gli omosessuali? È bene armare o e meglio non armare l’esercito ucraino? Zelensky combatte una guerra giusta?

Lascia perplessi il commissariamento ordinato dal Papa nel 2013 dell’Istituto dei Francescani dell’Immacolata, per quanto non fosse da approvare il loro attaccamento eccessivo al vetus ordo della Messa. Non appaiono chiari i motivi dell’intervento del Papa che ha fatto sì che Albrecht Von Boeselager, Gran Maestro dell’Ordine di Malta, personaggio indubbiamente discusso, fosse dimesso dalla sua carica.

Occorre però dire che il Santo Padre, dopo alcuni anni nei quali ha mostrato eccessiva indulgenza verso i modernisti e troppa severità verso i lefevriani, di recente ha assunto quella posizione di imparzialità che si conviene al Pastore universale della Chiesa, Padre di tutti i figli di Dio, conciliatore dei conflitti e promotore della pace, della giustizia e della concordia nella Chiesa.

Egli infatti di recente ha fatto alcuni gesti, che testimoniano di questa volontà di imparzialità, di mediazione e di conciliazione, come la sconfessione di Enzo Bianchi, il vate dei modernisti e la riproposizione di San Tommaso d’Aquino come Doctor Communis Ecclesiae. Francesco propone il rinnovamento conciliare non però nella rottura ma nella continuità.

Francesco ci parla di Dio, lo fa in vari modi, sotto vari aspetti, sottolineando taluni temi e forse trascurando altri. E voi, cari Vescovi, dove siete? Non vi sembra di lasciarlo solo in mezzo alla tempesta? Sono in atto i lavori del Sinodo, ottima cosa, è presente lo Spirito Santo. Eppure voi restate, insieme col Papa, i maestri e noi i discepoli. Come facciamo senza di voi?

Sì, camminare assieme, va bene, ma assieme con voi e sotto di voi, che col Papa, ci rappresentate l’apostolicità della Chiesa, mediandoci e spiegandoci il Vangelo di Nostro Signore. Non abbiate paura di comandarci, di dirci quello che dobbiamo pensare di Cristo; ci fidiamo di voi. Il Vangelo non ce lo possiamo studiare da soli. Ci provò un giorno un certo Lutero. Ma non è finita bene. Non vogliamo che si ripeta la stessa disavventura.

P.  Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 24 luglio 2023


 

Voi, cari Vescovi, dovete tornare ad insegnarci a guardare in alto, a sollevare lo sguardo da queste cose che abbiamo sotto gli occhi e che cadono sotto i sensi, che pure sono belle e utili, alle realtà sovrasensibili, metafisiche, invisibili, puramente intellegibili, spirituali, celesti, divine.

Come mai non riprendono mai i grandi temi spirituali trattati da Papa Francesco sulla santità, lo gnosticismo, la lotta contro il demonio, la confidenza in Dio, l’ascolto della sua Parola, il mistero di Cristo, l’azione dello Spirito?


Immagine da Internet: Portogallo, 6 agosto 2023

https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/8/6/portogallo-angelus.html



[1] Il Cardinale narra la sua versione in In buona fede, intervista con Franca Giansoldati, Edizioni Solferino, Milano 2023.

12 commenti:

  1. Ottimo, più chiaro di così....Ha detto tutto benissimo e bisognerebbe farlo leggere a tutte le diocesi del mondo.

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  2. Condivido pienamente il giudizio di Alessandro. Spero che questo articolo venga letto da quanti più Vescovi possibile.
    E, siccome Padre Giovanni ha voluto dedicarlo ad Aldo Maria Valli, allora mi unisco alla preghiera per Valli, che purtroppo ormai da tempo ha dato una svolta nettamente filo-lefebvriana ai suoi post sul blog, soprattutto dando spazio a testi di autori chiaramente scismatici (secondo me) come monsignor Vigano (i suoi insulti al Papa e al Concilio Vaticano II non dovrebbero essere pubblicati in nessun blog che si definisca cattolico), o lo pseudonimo argentino "Wanderer" (noto personaggio di caratteristiche chiaramente psicopatologiche, con posizioni esplicitamente eretiche e scismatiche).
    Personalmente trovo difficile capire Valli nelle sue posizioni attuali. Per questo mi unisco sinceramente e devotamente alle preghiere per la sua conversione.

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    1. Caro Ross,
      Valli, dopo la pubblicazione della prima parte del mio articolo, mi ha risposto con queste parole: “Caro padre, ho visto la prima parte del suo saggio pubblicata nel blog. La ringrazio per averla voluta rivolgere a me: non lo merito. In tutta sincerità, mi chiedo però come si possa da un lato avere una visione chiara della crisi e dall'altro ancora cercare di salvare il Concilio e papa Francesco. Questa è la valutazione che ci divide. Ma che non ci impedisce di sentirci amici e impegnati sulla stessa barca.”.
      Da quanto dice emerge chiaro qual è il nodo della questione: riconosce l’esistenza del modernismo, ma invece di attribuirne la responsabilità ai modernisti, accusa il Concilio e il Papa, e ciò è evidentemente ingiusto.
      Chiaramente, come i lefevriani, si è lasciato ingannare dalla falsa interpretazione del Concilio, fatta dagli stessi lefevriani e anche dai modernisti, con la differenza che i lefevriani piangono mentre i modernisti esultano, mentre sarebbe così saggio e così semplice accogliere, come disse insistentemente Papa Benedetto XVI, l’interpretazione fatta dai Papi del postconcilio e dallo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).
      Un saggio della falsa interpretazione modernistica del Concilio è il Catechismo olandese.
      A proposito di mons. Viganò, io già da tempo ho l’impressione che si faccia ogni tanto sostituire da un sosia. Io, in passato, ho fatto il ritrattista e m’intendo molto bene di volti umani, e vedo che si tratta di due volti diversi. Che ne pensa lei di ciò?

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    2. Caro padre Giovanni,
      la risposta che le ha dato il signor Valli, sebbene dignitosa e piena di rispetto nei suoi confronti, mi pare mostri chiaramente (devo essere onesto qui) il pensiero passatista del Valli, sospettato di eresia, nel suo rifiuto del Concilio Vaticano II e il Papa Francesco (al di là della natura scismatica di queste espressioni).
      Anche Valli, con la sua replica, sembra ignaro di cosa significhi "impegnati sulla stessa barca". Non giudico, naturalmente, la sua buona fede. Tuttavia, non credo che possa sfuggire a ogni cattolico di buon senso che se gestisco un sito che si definisce cattolico, non può assolutamente ospitare testi di Viganò o di Peretó Rivas (Wanderer), per citare solo due collaboratori del blog di Valli . Lo stesso Papa Francesco si è recentemente interrogato sulla natura palesemente scismatica delle posizioni di Viganò.
      Lei ha parlato a lungo delle caratteristiche del passatismo scismatico ed eretico. Ho imparato molto da lei e anche noi due ci scambiamo commenti su questo argomento da molto tempo.
      Ho parlato nel mio precedente commento di "lefebvrismo". Per essere precisi, posso solo sospettarlo nel caso di Valli. Il lefebvrismo è sospettato di almeno tre eresie: il rifiuto della validità del Novus Ordo Missae di San Paolo VI, il rifiuto delle nuove dottrine del Concilio Vaticano II e il rifiuto del Magistero dei Papi post-conciliari. Con precisione posso parlare in Valli di "passatismo". Non ho informazioni sulla sua posizione nei confronti della Messa di Paolo VI, quindi non so quanto la sua posizione sia vicina a quella di lefebvriani. Ma, in ogni caso, è evidente il suo rifiuto del Vaticano II e del magistero postconciliare.
      Quanto al Vescovo Viganò, quello che dici è interessante, e so anche che sei stato un esperto disegnatore e ritrattista. Seguendo la sua domanda, ho visto alcuni video e anche questo ha attirato la mia attenzione. Non so che dirli. Ma la mia domanda è: perché Viganò dovrebbe ricorrere a un sosia?

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    3. Caro Ross,
      da come capisco, le interessa il mio giudizio circa quello che può essere il rapporto tra Valli e Lefebvre. Indubbiamente ci sono in gioco i tre punti, che lei ha detto: rifiuto del novus ordo, rifiuto delle dottrine del Concilio e disobbedienza al Papa.
      Il rifiuto del novus ordo io lo qualificherei come atto di indisciplina. Infatti in Valli non ho capito se lui giudica il novus ordo come filo-luterano. Invece Lefebvre giudicava il novus ordo come filo-protestante. Trattando di eresia, ne viene che propriamente eretico su questo punto è solo Lefebvre.
      Invece il rifiuto delle dottrine del Concilio mette in gioco l’eresia, per cui purtroppo Valli, con questo suo rifiuto, diventa oggettivamente sospetto di eresia, insieme con mons. Viganò, il quale ha espresso con la massima chiarezza il suo rifiuto delle dottrine del Concilio.
      Per quanto riguarda l’obbedienza al Papa, si può parlare di scisma.
      Il mio sospetto è che Viganò sia manovrato da qualche oscuro potere, probabilmente massonico, il quale può spingerlo ad alternare la sua presenza con quella di un sosia, per motivi prudenziali. Un’altra cosa sulla quale ci interroghiamo è come mai non si sappia dove ha la sua residenza.
      Un’altra cosa che io mi domando è come mai il Papa finora non ha preso provvedimenti. Al riguardo, mi piacerebbe sapere da dove lei ha ricavato la notizia che il Papa si sarebbe pronunciato su mons. Viganò.
      Don Minutella ha delle posizioni molto simili a quelle di mons. Viganò. Ci potremmo chiedere come mai c’è tanta differenza di trattamento nei loro confronti da parte del Papa.
      Il Santo Padre è osteggiato sia dai modernisti che dai lefevriani. I primi, molto numerosi, fanno i gradassi; invece i lefevriani visibilmente sono una piccola entità, ma sta crescendo in me il sospetto che dietro di loro ci siano delle forze potentissime, forse la stessa massoneria, e che siano giunte a mettere in difficoltà il Papa e forse si spiega così il fatto che il Papa non abbia ancora preso provvedimenti nei confronti di Viganò.

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    4. Caro Ross,
      le sono molto grato per queste informazioni. Esse gettano una luce autorevole sulla triste ed oscura vicenda di mons. Viganò, del quale ho un ricordo quando lavoravo in Segreteria di Stato. Non avrei mai immaginato che facesse una svolta così sbagliata.
      In questi ultimi anni, da quando fece quel famoso rapporto, la sua opposizione al Papa si è invelenita. E la cosa ancora più grave, che ha rivelato solo alcuni anni fa, è addirittura la sua idea che i documenti del Concilio Vaticano II andrebbero annullati. Come ha potuto cadere in un simile baratro? Chi ha dietro le spalle? Perché è in un luogo sconosciuto? Certe sue critiche al Papa sono anche accettabili, ma lui le sfrutta per una opposizione di carattere dottrinale, totalmente biasimevole.
      Il Papa è anche troppo comprensivo nei suoi confronti. Secondo il mio modesto parere dovrebbe essere più severo, perché io non noto solo lo scisma, ma anche l’eresia. Quindi anche questo atteggiamento del Papa suscita delle domande. Può essere che egli speri che si ravveda. O non sarà forse che il Papa ha un qualche timore di una oscura potenza anticristiana, che si nasconde dietro a Viganò? Potrebbe esserci lo zampino della massoneria?
      Sono tutte domande che ci poniamo, ma alle quali è difficile rispondere. La cosa sicura è che Viganò ha preso una strada sbagliata, e quello che mi addolora molto è il fatto che Valli si sia lasciato sedurre. Tuttavia la mia speranza è che, trattandosi di due persone sostanzialmente cattoliche, si ravvedano. Inoltre, secondo me, il Papa dovrebbe un po’ ascoltare queste due persone, perché hanno un influsso notevole in una porzione del mondo cattolico ed inoltre la loro argomentazione non è di facile confutazione.
      Il Papa ha ragione nel provare disgusto per chi lo critica dietro alle spalle, ma in fin dei conti le critiche di queste due persone sono pubbliche e note a tutti.
      Quindi io mi aspetterei che il Papa entrasse nel merito delle loro critiche e le confutasse in modo argomentativo, così si eviterebbe l’indurimento del contrasto e si eviterebbe che molti cattolici caschino nella loro rete.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    un bellissimo articolo, per il quale li ringrazio personalmente. Auspico anche che molti Vescovi lo leggano e lo meditino.
    Consentitemi però una piccola sfumatura che non so se sia il caso di dirla nell'argomento sollevato in questo articolo, ma che ritengo doveroso esprimere.
    Lei cita, con lode, il decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II.
    Personalmente, modererei piuttosto la lode per quel documento, non per quanto riguarda la sua parte dottrinale, ovviamente, ma quella pastorale.
    Purtroppo, il decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II riguardante l'ufficio pastorale dei Vescovi è piuttosto debole, nel senso che non dà forza sufficiente al ministero episcopale e non lo caratterizza nella sua interezza. Si limita a parlare di "dialogo", "carità", "comprensione", "mansuetudine", "umiltà", "prudenza", "amicizia" (n. 13). Quasi non accenna proprio lì al dovere di custodire, difendere e propagare la dottrina.
    Credo che il decreto Christus Dominus sia proprio il documento pastorale più discutibile del Concilio per bontà e utopismo.

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    1. Caro Silvano,
      lei mette il dito sulla piaga. Sono d’accordo con lei.
      Per non perderci d’animo, tuttavia, bisogna che ricordiamo le parole di Papa Benedetto XVI, il quale ha detto che le dottrine del Concilio devono essere pienamente accolte, mentre quelle pastorali possono essere discusse.
      Infatti, mentre le dottrine dei Concili sono infallibili, può capitare e di fatto capita che invece le disposizioni pastorali e giuridiche possano mancare di prudenza.
      Così, per esempio, si può dire che il Concilio di Trento sia stato troppo severo contro i Luterani, mentre il Vaticano II è stato troppo indulgente. San Pio X fu troppo severo verso i modernisti, mentre Papa Francesco è troppo indulgente.
      Qual è il compito che spetta a noi, figli della Chiesa? È imitare l’esempio dei veri riformatori. Esempio splendido tra tutti è quello di Santa Caterina da Siena, la quale ebbe a che fare con un Papa riformatore, Urbano VI, ma estremamente irascibile. Essa, con grandissima carità, riuscì ad ammansirlo in modo tale che il Papa accettò umilmente i rimproveri della Santa e accolse le sue proposte di riforma.

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  4. Caro padre,
    È interessante quello che dici sui lefebvriani:

    "...i lefevriani visibilmente sono una piccola entità, ma sta crescendo in me il sospetto che dietro di loro ci siano delle forze potentissime, forse la stessa massoneria, e che siano giunte a mettere in difficoltà il Papa e forse si spiega così il fatto che il Papa non abbia ancora preso provvedimenti nei confronti di Viganò".

    Immagino lei si riferisca in modo specifico alla Fraternità San Pio X. O lei si riferisci ai "lefebvriani" in senso generale, come corrente del pensiero passatista?
    Altra domanda, se posso:
    In che senso lei dice che "siano giunte a mettere in difficoltà il Papa"? Essendo una piccola entità che sono... come potrebbero?

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    1. Caro Silvano,
      quando io parlo di lefevriani o di passatisti non mi riferisco necessariamente agli associati alla FSSPX, ma vado alla sostanza, al di là del rivestimento giuridico. E la sostanza delle posizioni di un Minutella, un Valli, un Radaelli, una Guarini, un Viganò e tutti coloro che li seguono, è la stessa delle idee di mons. Lefebvre.
      Un segno del fatto che sono arrivati a mettere in difficoltà il Santo Padre è il caso di Viganò, che è il più pericoloso, il più influente e il più potente di tutti. Perché si è intervenuti con Minutella e non con Viganò, che è più pericoloso di Minutella? La risposta mi sembra semplice. Perché è più facile vincere un nemico debole che un nemico forte.

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  5. Per quanto riguarda il dibattito che è stato sollevato in questo sito sulla imposizione ideologica passatista del signor Aldo María Valli, penso che quanto accaduto oggi sul suo blog sia molto suggestivo e rivelatore. Proprio in risposta (esplicita) a diversi articoli della Nuova Bussola Quotidiana, critici nei confronti della Fraternità San Pio X, Valli pubblica oggi un articolo a favore dei lefebvriani.
    Più limpido..., acqua.

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    1. Caro Alessandro,
      la ringrazio per queste informazioni.
      Da tempo mi ero accorto della attrattiva che Lefebvre esercitava su Valli, soprattutto in relazione al rifiuto delle nuove dottrine del Concilio.
      Ho tentato in molti modi di correggere i suoi giudizi sul Concilio, ma purtroppo non ho ottenuto niente.
      Non mi meraviglio pertanto di una sua esplicita difesa di Lefebvre. La cosa mi addolora, ma devo purtroppo riconoscere che le cose stanno così.

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