Le opere dello Spirito Santo - Quinta Parte (5/5)

 Le opere dello Spirito Santo

Quinta Parte (5/5)

Il Figlio è mandato nel mondo dallo Spirito Santo

 insieme con lo Spirito Santo 

Il Figlio procede dal Padre ed è mandato nel mondo per la salvezza del mondo. Ma il Padre, affinchè l’opera del Figlio arrivi alla perfezione, gli associa lo Spirito Santo ed unge e consacra la sua umanità nello Spirito Santo, in modo che lo Spirito resta in permanenza sull’umanità di Gesù. Le dà potenza, così da farle compiere le opere della salvezza.  

Ovviamente l’opera del Figlio in quanto Dio è in se stessa opera divina e perfettissima. Lo Spirito Santo la completa non in se stessa, ma in rapporto a noi, nel senso che ci mostra fino in fondo la verità della dottrina del Figlio e la potenza della sua grazia, verità e grazia che del resto non sono altro che quelle del Padre, giacchè  tutto ciò che Cristo è e possiede lo deriva dal Padre e lo dona a noi nello Spirito Santo.

Il Padre dunque manda nel mondo sia il Figlio che lo Spirito Santo: il Figlio, ossia il Verbo, col compito di illuminare l’intelletto, lo Spirito, ossia l’Amore con quello di scaldare il cuore. Dice San Tommaso:

«L’anima per mezzo della grazia si conforma a Dio. Per cui, affinchè una Persona divina sia mandata a qualcuno per mezzo della grazia, bisogna che si verifichi la sua assimilazione alla Persona divina, che viene mandata attraverso un certo dono della grazia. E poiché lo Spirito Santo è l’Amore, per mezzo del dono della carità l’anima è assimilata allo Spirito Santo, per cui la missione dello Spirito Santo avviene secondo il dono della carità. Il Figlio invece è il Verbo, ma non un verbo qualunque, ma Verbo che spira l’Amore, per cui Agostino nel libro IX, c.10 del DeTrinitate dice: “il Verbo al quale facciamo riferimento è il sapere amante” (cum amore notitia).

 

Il Figlio non viene dunque inviato secondo una qualunque perfezione dell’intelletto, ma secondo quell’istruzione dell’intelletto che prorompe nell’affetto dell’amore, come è detto in Gv 6,45: “chiunque ha ascoltato il Padre ed ha imparato, viene a Me”; e nel Salmo 38,4: “nella mia meditazione divampa il fuoco” (in meditatione mea exardescet ignis)[1]. E quindi Agostino dice espressamente nel De Trinitate, libro IV, c.20 che il Figlio è mandato “quando è conosciuto e percepito”: infatti la percezione sperimentale significa una certa conoscenza. E questa si dice propriamente “sapienza”, quasi scienza saporosa, secondo quanto è detto in Sir 6,22: “la sapienza è come dice il suo nome”»[2] .

Ma San Tommaso fa notare che si può dire in un certo senso che il Figlio è mandato dallo Spirito Santo. Egli si rifà ad Is 48,16: “Il Signore e il suo Spirito mi ha mandato” e dice:

 

«Agostino nel libro II, c.5 del De Trinitate dice che il Figlio è mandato da Se stesso e dallo Spirito Santo e lo Spirito Santo è mandato da Se stesso e dal Figlio, così che l’esser mandato non conviene a qualunque Persona, ma solo a quelle che esistono da un’altra; il mandare invece conviene a qualunque Persona. Ora l’una e l’altra cosa in qualche modo è vera», ossia il mandare e l’esser mandata, «perché quando si dice che una Persona è mandata, si designa sia la Persona esistente da altro, sia l’effetto visibile o invisibile secondo il quale si parla di missione della divina Persona.

 

Se dunque il mittente» (il Padre e il Figlio) «è designato come principio della Persona che è mandata» (il Figlio e lo Spirito Santo), «così non qualunque Persona manda, ma solo quella alla quale conviene essere principio di un’altra Persona. E così il Figlio è mandato solo dal Padre, lo Spirito Santo dal Padre e dal Figlio. Ma se la Persona mittente è intesa come principio dell’effetto conformemente al quale si considera la missione, così tutta la Trinità manda la Persona mandata»[3] .

In altre parole, se consideriamo le processioni trinitarie, allora certamente è il Figlio che manda lo Spirito e non viceversa. Ma se consideriamo l’opera di salvezza compiuta dalla Trinità, allora si può dire che lo Spirito Santo, per volontà del Padre, manda il Figlio incarnato nel mondo a salvare il mondo.

L’opera del Figlio

Stando alla verità rivelata dalla Scrittura, sappiamo che il Figlio Gesù Cristo, compiuta la missione terrena affidatagli dal Padre, torna al Padre, lascia il suo Spirito nella Chiesa, al fine che essa, sotto l’assistenza dello Spirito, ma guidata dal Figlio a nome del Padre, guidi la Chiesa alla visione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Gesù Cristo ci ha salvati con la sua beata Passione nella potenza dello Spirito Santo, come dice la Lettera agli Ebrei:

«se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca che si sparge su quelli che sono contaminati, li santificano, purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo, che con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente?».

Lo Spirito Santo completa nel corso della storia fino alla fine del mondo l’opera del Figlio tornato alla destra del Padre, completata la quale il Figlio tornerà sulla terra, nella potenza dello Spirito, per terminare l’edificazione del regno di Dio, sconfiggere per sempre e pienamente le forze di Satana, far risorgere i morti, giudicare i vivi e i morti e inaugurare i nuovi cieli e la nuova terra, dove abita la giustizia.

Inoltre, la Santissima Trinità abita nell’anima del giusto per prepararla alla visione beatifica e farle pregustare le «primizie» e la «caparra» dello Spirito. La sequela di Cristo e soggezione filiale al Padre assicura l’esercizio delle virtù cristiane, perfezionato dai sette doni dello Spirito Santo, che si congiungono con i doni gerarchici e carismatici, ordinari e straordinari, per l’edificazione della Chiesa, mentre lo Spirito opera nei sacramenti per la santificazione del cristiano: liberazione dalla colpa del peccato originale ed infusione della grazia santificante nel battesimo, remissione dei peccati nella penitenza, Spirito di fortezza nella cresima, Spirito dell’unità, della comunione e della carità nell’eucaristia, Spirito del sacrificio e del servizio nell’ordine, Spirito dell’amore nel matrimonio.

Il Dio degli Ebrei e dei musulmani è il vero Dio, ma manca la conoscenza del mistero trinitario. È il Dio della ragione naturale, che ignora la rivelazione cristiana.

Nella natura divina c’è l’intelletto e la volontà. Pertanto, quelle azioni divine che vengono attribuite alle persone divine come proprie di ciascuna persona, sono simultaneamente proprie della natura, con la differenza che quella data proprietà in quella data persona è maggiormente accentuata o appare più in quella persona che nelle altre.

Per esempio, quando si dice che il Logos è il Pensiero del Padre fatto persona, distinto dal Padre, non vuol dire che il Padre come Dio non pensi o abbia delegato il suo pensare al Figlio o che il Figlio non abbia un suo pensare personale come Dio distinto dal Padre, anche se il pensiero divino è realmente identico nel Padre e nel Figlio.

Quando si dice che lo Spirito Santo è l’Amore che lega il Padre col Figlio, non si dice che il Padre e il Figlio, come Dio, non siano amore, ma s’intende dire che lo Spirito Santo non è semplicemente l’amore proprio della natura divina, ma è un Amare sussistente fatto persona, realmente distinto dal Padre e dal Figlio.

Per questo non si devono definire le persone divine nella loro differenza tra di loro con attributi della natura divina, anche se di fatto il Nuovo Testamento sottolinea per una data persona quel dato attributo più che non in un’altra. Ma se si vuol dare una definizione rigorosa e specificante di ciascuna persona come risulta dalla Rivelazione e dal dogma, soprattutto quello di Firenze del 1442, ci si deve limitare a dire che il Padre è Relazione di Paternità e di Spirazione dello Spirito; il Figlio è Relazione di Figliolanza e di Spirazione dello Spirito; lo Spirito è Relazione d’esser spirato dal Padre e dal Figlio.

L’essere relativo della persona divina non deve farci pensare a ciò che abitualmente consideriamo come relativo, ossia relativo ad un assoluto e quindi dipendente da esso ed inferiore ad esso. Il relativo in tal caso è un accidente di una sostanza, così come diciamo che Francesco, padre di Paolo, ha una relazione accidentale con Paolo.

Ma tale relazione si aggiunge accidentalmente, benché stabilmente, a Francesco. Egli era Francesco anche prima di diventare padre.  Invece la persona divina del Padre si esaurisce nell’esser Padre: il Padre è la sua paternità, è il suo relazionarsi al Figlio. Per questo non si tratta di una relazione inerente a un soggetto precedente. Dall’eternità il Padre celeste è Padre. Non è diventato Padre dopo non esserlo stato.

Invece in Francesco la sua relazione a Paolo è ontologicamente qualcosa di meno importante della persona di Francesco e di Paolo, per quanto importante detta relazione sia dal punto di vista morale ed affettivo. Potrebbero però anche non aver relazioni e non per questo non continuerebbero ad esistere. Se dunque concepiamo la relazione del Padre celeste al Figlio sulla base di questo modello umano, ci sfugge completamente l’essenza del Padre e del Figlio, inconcepibili senza il loro essere rispettivamente Padre e Figlio.

Inoltre, se teniamo presente che nella nostra esperienza umana il relativo è relativo ad un assoluto, rispetto al quale è inferiore, dal quale dipende o sul quale si fonda, pensando che nella Trinità l’assoluto è Dio, ossia la natura divina, rischiamo di perder di vista la consistenza e sussistenza proprie delle persone, la loro uguaglianza ed identità con Dio, di subordinarle all’unità divina e di concepirle come un qualcosa di inferiore a Dio, il che è eretico.

Se invece, per una falsa pretesa di concretezza ed aderenza alla narrazione neotestamentaria, si abbandonano quelle definizioni come aride, troppo astratte e non personalistiche, e se quindi, come fanno alcuni, si vogliono omologare le proprietà delle singole persone e la diversità del loro comportamento fra di loro e verso di noi a quanto avviene tra di noi persone umane, si profana la dignità delle persone divine e la si degrada al livello di persone meramente umane, come avviene nei racconti mitologici e fantastici, spesso assurdi, del politeismo pagano o dello gnosticismo popolare.

Lo Spirito Santo è il Dio che si dona all’uomo

Lo Spirito Santo si autocomunica all’uomo non nell’essenza, ma nella potenza – consortes divinae naturae –. L’uomo diviene Dio intenzionalmente, non ontologicamente –; l’uomo può acquistare una partecipazione alla vita divina, ma non il potere creatore.

Credere, con Rahner[4], che Dio possa autocomunicarsi all’uomo ontologicamente («quasi causa formale»), vuol dire cadere nel panteismo. Invece si può parlare di autocomunicazione divina intratrintaria, per esempio del Padre al Figlio o del Figlio allo Spirito e viceversa, perché Padre, Figlio e Spirito sono sempre Dio.

E per questo nel Simbolo della Fede troviamo l’espressione Deum de Deo: nell’originarsi di una Persona dall’altra, per esempio dello Spirito dal Figlio, possiamo dire che Dio Spirito viene da Dio Figlio. E così pure nell’autocomunicazione divina, Dio dona Se stesso a Dio, come per esempio Dio Spirito dona Se stesso a Dio Figlio.

Qui non c’è confusione o identificazione di due nature diverse, umana e divina, come nella teoria rahneriana dell’autocomunicazione divina, perché nella Trinità abbiamo un termine solo dell’autocomunicazione, che è Dio, e quale maggior possibilità di autocomunicazione di quella per la quale Dio comunica con Se stesso? Ma anche nella Trinità, se una Persona può comunicare la propria divinità all’altra, non può però comunicare la propria identità di Persona: il Padre, per esempio, non può comunicare la propria paternità al Figlio.

L’Amore è il nome proprio dello Spirito Santo

San Tommaso[5] spiega che «il nome amore in Dio si può assumere sia in rapporto alla natura che in rapporto alla persona», ossia si può dire sia che Dio è per essenza amore e che l’amore ha a che fare con la persona divina. Dice Tommaso:

«E in quanto il nome si assume personalmente, è il nome proprio dello Spirito Santo, così come Verbo è il nome proprio del Figlio. Per evidenziare ciò, occorre sapere che in Dio ci sono due processioni, una per modo d’intelletto, che è la processione del Verbo, e l’altra per modo di volontà, che è la processione dell’amore».

Infatti, essendo Dio Spirito, lo spirito, come abbiamo visto, ha due emanazioni: l’intelletto e la volontà. Tommaso dimostrerà che lo Spirito Santo è quella Persona che corrisponde alla processione dell’amore ovvero della volontà. E prosegue:

… «Così infatti, come per il fatto che uno intende una cosa, si produce nell’intelligente una certa concezione intellettuale della cosa intesa, la quale si dice «verbo», così dal fatto che uno ama una cosa, sorge nell’affetto dell’amante, per così dire, una certa impressione della cosa amata, secondo la quale impressione si dice che la cosa amata è nell’amante, così come ciò che è inteso è nell’intelligente.

In tal modo, quando uno intende ed ama se stesso, egli è in se stesso non solo per reale identità, ma in quanto l’inteso è nell’intelligente e l’amato è nell’amante. … Così dunque, in quanto nell’amore o nel diletto non si trova se non il rapporto dell’amante alla cosa amata, l’amore e il diligere si dicono in rapporto alla natura divina, così come l’intelligenza e l’intendere. In quanto invece usiamo questi vocaboli per esprimere il rapporto di quella cosa che procede per modo di amore, al suo principio, e viceversa, cosicchè per «amore» s’intenda l’amore che procede, e per diligere s’intende lo spirare l’amore procedente, così l’Amore è nome della Persona».

Inoltre Tommaso fa notare che

«Lo Spirito Santo si dice essere il nesso fra il Padre e il Figlio, in quanto è l’Amore, poiché, dato che il Padre ama con un unico diletto Se stesso e il Figlio e viceversa, nello Spirito Santo, in quanto Amore, si trova in un rapporto al Padre e al Figlio e viceversa, come dell’amante all’amato. Ma per il fatto stesso che il Padre e il Figlio si amano vicendevolmente, occorre che il mutuo amore che è lo Spirito Santo, proceda da entrambi. Secondo dunque l’origine, lo Spirito Santo non è medio fra entrambi, ma è la Terza Persona della Santissima Trinità. Invece, secondo il predetto rapporto è il nesso che sta in mezzo, procedente da entrambi» (ad 3m).

Lo Spirito Santo ha reso fecondo il seno della Beata Vergine Maria

Maria genera lo stesso Figlio del Padre celeste. Ma se una persona è figlia della persona A e della persona B vuol dire che A è sposo di B. E dunque Maria è sposa del Padre. Qual è stata la parte svolta dallo Spirito Santo in questa generazione?

Lo lascia intendere l’arcangelo Gabriele che risponde alla domanda di Maria, la quale chiede appunto come ella potrà generare il Figlio incarnato del Padre. L’angelo usa un’espressione delicata e grandiosa, misteriosa ma significativa: lo Spirito la coprirà con la sua ombra. Lo Spirito funge da gamete maschile creandolo, il quale si unisce al gamete di Maria per formare lo zigote del Verbo incarnato.

Lo Spirito Santo consacra le oblate della Messa

I canoni della Messa prevedono che il celebrante, prima di pronunciare le parole della consacrazione delle offerte, invochi lo Spirito Santo perché venga a consacrarle. È la cosiddetta «epìclesi». Essa comporta formule diverse sia tra canoni e sia confrontando la Messa di San Paolo VI con quella di Papa Francesco secondo i quattro canoni. Che cosa significa questa consacrazione? E qual è la differenza dalla consacrazione operata dal celebrante in persona Christi?

Vediamo anzitutto le varie formule.

A.   Messa di San Paolo VI:

Canone I - Santifica questa offerta con la potenza della tua benedizione.

Canone II – Santifica (o Padre) questi doni con l’effusione del tuo Spirito.

Canone III – Manda (o Padre) il tuo Spirito a santificare i doni che ti offriamo.

Canone IV – Lo Spirito Santo santifichi questi doni

B.    Messa di Papa Francesco:

Canone I – Santifica, o Dio, questa offerta con la potenza della tua benedizione. 

Canone II – Santifica (o Padre) questi doni con la rugiada del tuo Spirito.

Canone III – Santifica (o Padre) e consacra con il tuo Spirito i doni che ti abbiamo presentato.

Canone IV – Ora ti preghiamo, o Padre, venga il tuo Santo Spirito a santificare questi doni.

Si parla di «consacrare» e di «santificare». Al canone I della Messa di Paolo VI si parla di «benedizione» ed una sola volta, al canone II della Messa di Paolo VI si prega il Padre di «effondere il suo Spirito». Al canone II della Messa di Papa Francesco si parla di «rugiada dello Spirito».

Che cosa fa lo Spirito e qual è il rapporto di questo suo intervento con la consacrazione successiva del celebrante che opera la transustanziazione?

Appare un concorso dello Spirito Santo con le parole di Cristo che transustanziano le offerte. La transustanziazione consegue alla presenza potente dello Spirito, che muove Cristo a parlare, come lo Spirito fece costantemente su questa terra per tutto il corso della vita mortale di Cristo e fa ancora in cielo. La parola di Cristo ha una propria potenza divina, ma le Persone divine agiscono perché sono l’unico Dio che agisce.

I doni dello Spirito Santo per la Chiesa e per le anime

Lo Spirito Santo non solo dona Se stesso per venire con le altre due Persone ad abitare nell’anima del giusto, ma elargisce al cristiano in grazia e alla Chiesa un’infinità di svariati doni, appropriati a ciascuno, singolari e collettivi, permanenti e temporanei, maschili e femminili, ordinari e straordinari, sempre in aumento nel corso della storia, i quali si possono classificare, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II[6], in santificanti e ministeriali.

Questi ultimi si suddividono in gerarchici e carismatici, i primi costituenti i gradi della gerarchia ecclesiastica, riservati ai maschi, i secondi assegnati ai laici e ai religiosi uomini e donne. Essi servono al bene e al progresso della Chiesa. I doni santificanti sono la grazia santificante, principio delle virtù teologali e i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, scienza, consiglio, fortezza, pietà e timore.

L’uomo spirituale

La prospettiva etica di San Paolo è quella che il fedele battezzato nello Spirito Santo, e divenuto figlio di Dio, acquisti la libertà di figlio e si lasci condurre dallo Spirito Santo, che lo muove, nell’imitazione di Cristo e nell’obbedienza a Cristo e alla Chiesa, al compimento delle opere buone e all’esercizio delle virtù naturali e soprannaturali.

Se vogliamo vivere da figli di Dio, ed avere il giusto rapporto con le tre Persone dobbiamo chiedere a ciascuna ciò che è di sua competenza regolandoci in ogni dettaglio del nostro pensare, amare ed agire, spirituale ed anche fisico, persino nella direzione dello sguardo.

Così, per esempio, per rivolgerci al Padre dobbiamo elevare lo sguardo verso l’alto, al Padre che è nei cieli; non ha senso recitare il Padre Nostro guardando per terra. Gesù stesso, quando prega il Padre, volge lo sguardo verso l’alto.

Per rivolgerci al Figlio, il nostro sguardo è orizzontale, diretto verso l’uomo Gesù; non si guarda il prossimo altezzosamente dall’alto in basso; e neppure dal basso in alto da esseri meschini, ma orizzontante, da fratelli, si tratti del piccolo come del grande. 

Non è simpatico tenere gli occhi bassi nel conversare col fratello; è bene guardarsi negli occhi, in modo da comunicare anche con lo sguardo[7]. Si teme                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                              per la castità? Occorre che lo spirito prevalga sulla carne.  Infatti il cristiano vive e cammina «secondo lo Spirito e non secondo la carne» (Rm 8,4). Egli non è «sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in lui» (v.9), anche se in certi casi è d’obbligo la rinuncia e la mortificazione.

Similmente, per cogliere la presenza dello Spirito nel nostro intimo, non giriamo lo sguardo a destra e a sinistra, perché ci ammonirebbe Sant’Agostino: «noli foras ire; in teipsum redi: iun interiore homine habitat Veritas». In questo caso volgiamo lo sguardo verso il basso, come quello di chi guarda nella propria coscienza.

L’uomo spirituale, secondo San Paolo, deve esprimersi in un linguaggio spirituale, adatto all’argomento trattato, linguaggio col quale egli esprime le verità rivelate dallo Spirito, ossia le verità di fede:

«A noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio. Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno mai li ha potuti conoscere se non lo Spirito di Dio. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato. Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito dalla sapienza umana, ma insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. L’uomo psichico (psychikòs)[8], però non è capace d’intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito. L’uomo spirituale invece giudica ogni cosa senza poter essere giudicato da nessuno» (I Cor, 2, 10-15).                                               

La guida dello Spirito Santo, secondo San Paolo, conduce dall’uomo carnale all’uomo spirituale, regolando e moderando la disciplina ascetica e lo sforzo morale. Egli fa morire progressivamente l’uomo vecchio, dominato dalle passioni, attaccato alla terra, sepolto nel battesimo, per far crescere ogni giorno l’uomo nuovo nato nel battesimo.

Lo Spirito Santo risuscita col battesimo l’uomo morto ucciso dal peccato o schiavo del peccato, gli fa gustare la sua caparra e le sue primizie, e lo fa risorgere sin da adesso, naturalmente non nel corpo, che dovrà morire, ma nell’anima, sicchè il cristiano non pensa più alle cose di quaggiù, ma a quelle celesti, dov’è Cristo assiso alla destra del Padre. Egli è ormai libero e capace di obbedire alla legge.

 Il conflitto tra lo spirito e la carne, del quale parla San Paolo, conseguente al peccato originale e aumentato dai nostri peccati personali, non è solo ribellione della carne allo spirito, delle passioni alla volontà, ma è anche lo spirito che per la sua superbia e il rifiuto gnostico di accettare il corpo, lo maltratta con una disciplina disumana e crudele.

Abbiamo quindi in San Paolo l’opposizione sia all’edonismo epicureo e lassista, quanto al rigorismo dualista e manicheo dell’anima che non vuol liberarsi col corpo, ma dal corpo. Ma la vera mira dello Spirito Santo è la riconciliazione dello spirito con la carne, dopo una dovuta purificazione di entrambi, per la ricostituzione di quell’unità sostanziale corporeo-spirituale che era nella volontà originaria del creatore e che lo Spirito ricostituisce, grazie alla croce di Cristo, in vista della futura gloriosa risurrezione.

La riconciliazione dello spirito con la carne sotto l’impulso dello Spirito Santo giungerà a pienezza, secondo San Paolo, alla futura risurrezione, allorchè l’uomo carnale di adesso sarà diventato pienamente spirituale.

Il corpo

«si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso; si semina debole e risorge pieno di forze; si semina corpo psichico e risorge corpo spirituale. Se c’è un corpo psichico, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che il primo uomo, Adamo divenne un corpo psichico, ma l’ultimo Adamo divenne spirito datore di vita. Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello psichico. Il primo uomo tratto dalla terra è di terra; il secondo uomo viene dal cielo. Qual è l’uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti. E come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste» (I Cor 15, 42-49).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 ottobre 2021

 

Lo Spirito Santo si autocomunica all’uomo non nell’essenza, ma nella potenza – consortes divinae naturae –. 

L’uomo diviene Dio intenzionalmente, non ontologicamente –; l’uomo può acquistare una partecipazione alla vita divina, ma non il potere creatore.

Credere, con Rahner, che Dio possa autocomunicarsi all’uomo ontologicamente («quasi causa formale»), vuol dire cadere nel panteismo.

Che cosa fa lo Spirito e qual è il rapporto di questo suo intervento con la consacrazione successiva del celebrante che opera la transustanziazione?

Appare un concorso dello Spirito Santo con le parole di Cristo che transustanziano le offerte. La transustanziazione consegue alla presenza potente dello Spirito, che muove Cristo a parlare, come lo Spirito fece costantemente su questa terra per tutto il corso della vita mortale di Cristo e fa ancora in cielo. La parola di Cristo ha una propria potenza divina, ma le Persone divine agiscono perché sono l’unico Dio che agisce.


 

Lo Spirito Santo non solo dona Se stesso per venire con le altre due Persone ad abitare nell’anima del giusto, ma elargisce al cristiano in grazia e alla Chiesa un’infinità di svariati doni, appropriati a ciascuno, singolari e collettivi, permanenti e temporanei, maschili e femminili, ordinari e straordinari, sempre in aumento nel corso della storia, i quali si possono classificare, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, in santificanti e ministeriali.

 Immagini da internet


[1] È la traduzione di San Gerolamo.

[2] Sum.Theol., I, q.43, a.5, ad 2m.

[3] Ibid., a.8.

[4] Cf Peter Paul Saldanha, Revelation as «self-communication of God», Urbanian University Press, Roma 2005.

[5] Sum.Theol.,I, q,37, a.1..

[6] Lumen Gentium, 4.

[7] Nella psicologia moderna chi non ci guarda in faccia dà l’impressione dell’insincerità o quasi di ostilità, mentre nella spiritualità medioevale gli occhi bassi erano segno di umiltà. Di San Bernardo si dice che era talmente abituato a tenere gli occhi bassi, che non sapeva neanche di che colore fosse il soffitto della sua stanza.

[8] Si potrebbe dire dell’uomo carnale: «esseri carnali» (sarkinois) dice poco più sotto (3,1).

20 commenti:

  1. Grazie per queste parole preziose per l'intelligenza e per il cuore!

    Le volevo chiedere quando preghiamo, che cosa è più appropriato chiedere al Padre, cosa al Figlio e cosa allo Spirito Santo.

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    1. Caro Andrea,
      occorre tener presenti le mansioni delle singole Persone. Al Padre vengono appropriate l'onniptenza, la creazione, il governo del mondo, la provvidenza, la giustizia e la misericordia. Può essere rappresentato come quel "Vegliardo", del quale parla il profeta Daniele (4,9), davanti al quale giunge un "figlio di uomo"(4,14), profezia di Cristo, che riceve dal Veglardo "potere, gloria e regno". Il Padre dunque dev'essere invocato nel Padre nostro come Colui dal quale dipendiamo totalmente cime creature, che dà senso, fondamento, direzione e finalità alla nostra esistenza e alla nosra vita, Colui che ha concepito ab aeterno e voluto il piano della nostra salvezza, Colui al quale supremante dobbiamo obbedre e che supremante ci comada per ol nostro bene, sull'esempio stesso del Figlio.
      Dobbiamo rivolgerci al Figlio incarnato Gesù Cristo come Signore uguale al Padre, Immagine, Rappresentante, Rivelatore, Interprete, Ambasciatore e Mediatore del Padre, Parola del Padre, guida al Padre, modello di figliolanza del Padre, ideale perfettissimo di ogni virtù umana, come Capo della Chiesa, del quale il Papa è Vicario. A Cristo dobbiamo chiedere che c'insegni l'amore, l'adorazione e l'obbedienza al Padre.
      Lo Spirito Santo che è puro spirito possiamo immaginarlo sotto le apparenze di un angelo. Ma essendo privo di materia, non è neppur necessario immaginarlo. Il simbolo del fuoco o dell colomba significano solo la sua azione, ma non ci soccorrono nell'immginarlo in quanto persona. Possiamo parlargli e udire la sua voce senza che occorra vederlo, come faremmo telefonando ad una persona che non vediamo.
      Dobbiamo chiedere allo Spirito Santo, che può essere rappresenato dall'angelo custode, di soccorrerci nei momenti più difficili dell'aridità, della sofferenza, delle tenebre, del dubbio, della confusione, dell'angoscia, della tristezza, della disperazione, quando la coscienza ci rimprovera, quando il mondo, la carne e il demonio ci tentano. Dobbiamo chiedergli l'intimità con Dio, la fede, la verità, il discernimento, l'umiltà, la carità, la sapienza, la prudenza, l'intelletto, la scienza, il consiglio, la fortezza, la pazienza, la pietà e il timor di Dio, il perdono dei peccati, lo spirito di penitenza, la pregustazione delle gioie della vita futura.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    vorrei sottoporre ad un suo primo giudizio, se lei è d’accordo, la metafora dello Spirito Santo come Respiro divino, per come è stata sviluppata da Etienne Veto nel suo testo “Il Soffio di Dio” (Libreria Editrice Vaticana, 2020, pag. 82 - 128).
    A mia modesta impressione, la riflessione di Veto contiene degli spunti originali, interessanti, anche suggestivi e tuttavia nutro dei dubbi sull’effettiva solidità teologica, rispetto alla verità dogmatica, di alcune sue conclusioni. Come già le scrissi in un commento, da lei condiviso, la ricerca dell’originalità in teologia può rivelarsi rischiosa. Nel peggiore dei casi a scapito della verità, nel migliore fornendo un contributo più squisitamente poetico, emozionale, piuttosto che prettamente teologico (il che non esclude che anche l’arte possa aiutarci all’intelligenza della fede). E penso che il tomismo, di cui non è adulazione definire lei, Padre Giovanni, uno degli ultimi maestri, possa essere tra i migliori strumenti per discernere cosa salvare e valorizzare, cosa rifiutare.
    Veto è partito da un dato quantitativo che si riscontra nella Bibbia, relativamente ai nomi con cui si riferisce allo Spirito di Dio. E cioè che:
    “Sulle 378 occorrenze del termine Ruah nella Bibbia ebraica, quasi la metà si riferisce allo Spirito di Dio, mentre nel Nuovo Testamento ciò accade per 275 delle 379 occorrenze di Pneuma” (Ivi, pag. 20).
    Dunque se Ruah-Pneuma, ovvero Soffio-Vento-Respiro, sono i nomi di gran lunga più suggeriti dalla Sacra Scrittura per lo Spirito Santo, nell’ambito quindi della Trinità economica ai fini della salvezza, allora, conclude Veto, anche nella Trinità eterna in sé stessa (“immanente” secondo la scorretta definizione di Rahner), “la terza ipostasi dovrebbe essere considerata nel modo più concreto possibile come l’eterno Soffio del Padre, il Respiro che egli alita al Figlio e nel Figlio, e che il Figlio gli rivolge” (Ivi, pag. 75).
    Pur cercando di stralciare il meno possibile dalle oltre quaranta pagine in cui il teologo della Pontificia Università Gregoriana tratta l’argomento, la sintesi che riporto occupa più commenti lunghi, e questo è il primo.
    “Il significato principale di ruah e pneuma è vento e respiro […] Ruah trascende la realtà corporale di una persona […] Pneuma, sia nella Septuaginta che nel Nuovo Testamento, è molto vicino a ruah, poiché significa fondamentalmente vento o respiro, e per estensione il principio di vita e diversi aspetti della vita interiore di una persona. […] I “nomi” offerti dalle Scritture, tuttavia, non sono solo, né primariamente, nomi personali […] sono immagini e “similitudini”, come direbbero gli scolastici. Più precisamente, si tratta di metafore. […] In effetti, tutto il linguaggio su Dio è analogico, giacché tutte le parole e le nozioni necessitano di essere “allargate” per esprimere ciò che è oltre la loro semantica. Comunque, non tutto il linguaggio su Dio è metaforico. In una metafora, un tema è espresso dall’interazione di due pensieri: uno che lo esprime direttamente, il contenuto (nel nostro caso lo Spirito Santo), e uno che proviene da un’altra area di pensiero, il mezzo (nel nostro caso, il soffio). […]

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    1. Caro Bruno,
      il concepire lo Spirito Santo sul modello del soffio, mi pare del tutto conforme al linguaggio biblico. A tal riguardo è interessante la differenza tra il linguaggio di Aristotele e quello di San Paolo, riguardo all’essenza dello spirito. Aristotele aveva a disposizione il termine “pneuma”, sennonché non lo usa per indicare il nus, ossia lo spirito. E questo perché in greco “pneuma” significa semplicemente un soffiare fisico. Inoltre, in Aristotele l’idea di un dio spirituale, che possa soffiare sull’uomo, è praticamente assente. Qualcosa del genere invece c’è in Platone, dove la Musa è ispiratrice di amore e di poesia. In quanto a San Paolo, egli usa il termine “pneuma”, perché dietro ad esso c’è il termine ebraico “ruach”.
      Detto questo, occorre però affermare con chiarezza che il soffio dello Spirito Santo non fa parte dell’essenza dello Spirito Santo, in quanto è un atto dello Spirito finalizzato alla nostra salvezza. Ciò significa che, se Dio non avesse creato il mondo, il soffio dello Spirito Santo non esisterebbe, perché è un opus ad extra. È su questo punto che Veto sbaglia.

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    2. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sulla-santissima-trinita.html

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  3. La primitiva comprensione cristiana della prima e della seconda persona della Trinità si sviluppò in riferimento ai nomi rivelati dalle Scritture: Padre e Figlio, o Verbo. Applicati a Dio, anche questi sono analogici. Ora, i Padri vi fecero ricorso gestendoli come metafore, utilizzando nel loro ragionamento teologico alcune dimensioni della paternità e della figliolanza, e del pronunciare una parola. […] E’ coerente comprendere Dio “Figlio” alla luce di un “Padre” dal quale riceve il suo essere, essendo “generato” da lui. Quando si estende la metafora del pensiero e della parola, è logico anche comprendere il Padre nell’atto di pronunciare o proferire la Parola e il Verbo come provenienti dalla sua bocca, come parola interiore e poi esteriore, espressa. Allargando ulteriormente l’immagine, si può dire che il Padre concepisce sé stesso e tutte le cose nella Parola e che esprime sé stesso in essa. Quindi, le due metafore si intersecano […]
    “Sebbene [i nomi dati dalla Scrittura e dalla Chiesa alle persone divine sono] espressioni analogiche, pure la loro analogia è così ricca, così conseguente, e così viva, da offrirci la più chiara e la più perfetta idea del sublime mistero” (M. J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, Morcelliana, 1953, 88).
    Basilio nota che la terza ipostasi “proviene da Dio: non al modo della generazione, come il Figlio, ma come soffio della sua bocca” (Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, XVIII, § 46, 152). Cirillo di Alessandria interpreta il secondo racconto della creazione di Adamo, quando Dio alita in lui il suo soffio vitale, spiegando che lo Spirito Santo viene dal Padre come il respiro esce dalla bocca di un essere umano e che Dio sta donando ad Adamo una partecipazione nel suo Spirito, allo stesso modo in cui il Signore Risorto soffia sui discepoli in Gv 20, 22 (Cirillo di Alessandria, Adversus Julianum, 55; In Io., 9; De Trinitate, 2). Nel Medioevo, Riccardo di San Vittore nota: ”Il fatto che [lo Spirito Santo] sia chiamato Spiritus Dei o Spiritus sanctus non è del tutto contrario ai principi della similitudine. La parola “soffio (spiritus)” indica ciò che procede dagli esseri umani e senza il quale essi non hanno assolutamente vita […] Il Maestro di verità non ha forse insegnato [anch’egli], con una sorta di similitudine, che lo Spirito Santo è un “soffio” divino (divinum spiramen), allorché apparendo ai discepoli alitò [su di loro] e disse: “Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20, 23)?” (Riccardo di San Vittore, La Trinità, Città Nuova, 1991, VI, §9, 223). Un ultimo testimone sarà Tommaso stesso, in una delle questioni sulla terza persona: ”Il nome spirito (spiritus), sembra che significhi nelle realtà corporee un certo impulso e una certa mozione. Infatti, chiamiamo spirito il soffio (flatum) e il vento (ventum)” (Tommaso d’Acquino, ST, I, q.36, a.1 resp.). L’Aquinate usa anche la bella espressione baptismus flaminis – letteralmente “battesimo di respiro” o “battesimo della brezza” – per designare il battesimo nello Spirito Santo. (L’espressione compare diciassette volte nell’opera dell’Acquinate: cf. soprattutto ST, III, q. 66 aa.11 - 12).
    Crediamo che lo studio delle metafore di Janet Soskice offra un fondamento epistemologico più preciso che non solo le rende legittime, ma anche indispensabili per la teologia. […] “La particolarità di una descrizione metaforica non è quella di tradurre il pensiero letterale, ma il fatto che il pensiero stesso è intrapreso in termini metaforici. Ciò che ci interessa della metafora è precisamente che in essa troviamo un aumento (increment) della comprensione” (Janet Soskice, Metaphor and Religious Language, Clarendon, Oxford, 1985, 27; 31; 44). […] Ovviamente, bisogna esser chiari sul tipo di conoscenza fornita dalle metafore: esse non definiscono, bensì si riferiscono, o “indicano” (Ivi, 140; 148) […]

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    1. Caro Bruno,
      mentre mi complimento per la ricchezza di questo suo intervento, devo dire che mi trovo d’accordo con gli autori che lei cita, la maggior parte dei quali del resto gode nella Chiesa di una grande autorità.
      Riguardo la funzione della metafora, io direi che essa non ci fa conoscere in un modo più preciso. Questa è la funzione del concetto proprio. Sono invece d’accordo che la metafora non definisce, ma indica; è indispensabile e allarga la conoscenza anche al di là della comprensione del concetto, mediante il metodo dell’analogia.

      Per questo sono convinto che la metafora e il concetto si aiutano a vicenda, anche in campo teologico: il concetto serve per le menti abituate alla più alta astrazione; la metafora serve alle menti dei semplici, i quali trovano una certa difficoltà nei confronti dell’astrazione metafisica. Ad ogni modo, anche le menti più elevate hanno bisogno della metafora, come è vero che anche i più semplici sono capaci di concettualizzare.
      Del resto, anche la metafora è un concetto, solo che non è capace di definire l’oggetto, ma, come dice lei, rimane ad una certa distanza dall’oggetto e si limita ad indicarlo, mentre il concetto vero e proprio afferra la cosa intenzionalmente e rappresentativamente.

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    2. Caro Padre Giovanni,
      mi consenta una precisazione, perché non vorrei prendermi meriti o demeriti che non mi spettano: tutti i testi dei sette commenti che ho pubblicato, tra le 00.21 e le 00.29 del 5 novembre, salvo il piccolo "cappello" del primo, sono tratte esclusivamente dal testo di Etienne Veto.
      Con l'occasione la ringrazio del suo interessamento.

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    3. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sulla-santissima-trinita.html

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  4. Applicati a Dio, i nomi di Padre, Figlio e Ruah-Pneuma potrebbero non essere metaforici allo stesso modo della paternità o della figliolanza umane, o allo stesso modo del respiro e del vento come realtà creata. […] Le metafore possono aver bisogno di essere purificate più che le semplici parole. […]
    I Padri […] al fine di estendere i nomi del Padre e del Figlio-Logos in nozioni teologiche, li “correggono” facendoli passare per il setaccio della teologia negativa. […] Proprio perché non cerca di definire o di descrivere direttamente, ma invece parla di qualcosa consciamente e metodicamente in termini che sembrano appartenere a un’altra, il ragionamento teologico metaforico è un atto di teologia negativa (Ivi, 140 – 141; 148). […]
    La metafora del respiro è un tipo di ragionamento teologico legittimo, in effetti necessario, che può aumentare indirettamente, ma realmente, la nostra conoscenza dello Spirito Santo […]”.
    “Parlare della spirazione di Dio non è accurato da un punto di vista trinitario […] perché il soggetto delle operazioni nella Trinità non è la sostanza divina […] ma le tre ipostasi divine. La prima di queste, la fons o il principium totius divinitatis, è il Padre. […] Allo stesso modo in cui il respiro di una creatura vivente viene dalla profondità del suo essere, il Respiro del Padre verrà dalla più profonda intimità del suo essere. Persino un teologo tanto speculativo come Anselmo considera l’uso della metafora del respiro, ad esempio nella Pentecoste di Giovanni (Gv 20, 22), in quanto espressione dello Spirito che procede dalle profondità e intimità della sostanza divina e dalle ipostasi che ne sono la fonte [Anselmo d’Aosta, Sulla processione dello Spirito Santo, in A. Granata (cur.), Trattati, vol. II, Jaca Book, 2016, 293]. Anselmo si riferisce qui al Figlio, ma nella sua concezione occidentale del Filioque, esprime anche la spirazione del Padre. […]
    Proprio come nell’economia Pneuma abita l’intero essere, in Dio è co-esteso a tutto ciò che il Padre è. Ciò significa che nel dare il suo Spirito, il Padre darà qualcosa, o meglio, qualcuno, che viene dalle sue profondità più intime e che tocca tutto ciò che egli è. […] Negli esseri viventi, il respiro non ha “sostanzialità” o afferrabilità propria. […] Allo stesso modo, il Respiro del Padre è sostanza, ma lo è secondo un modo diverso dal Padre. Veramente, egli sembra quasi “insostanziale” senza il Padre: egli non è il Padre e non c’è senza di lui. L’azione di spirazione del Padre fa sì che il Respiro esista. Il Respiro gli è sempre relativo e il suo locus è l’intimità del Padre. […] [il Respiro] sarà anche intimamente legato a ogni azione del Padre: non avrà una propria azione indipendente, ma accompagnerà l’azione del Padre dall’interno. Ora, nell’economia, le caratteristiche fluide, eteree e liquide dello Spirito confermano l’attuale lettura intra-trinitaria e sono a loro volta fondate su di essa: Ruah e Pneuma sono fluidi nell’economia poiché lo sono già nelle profondità di Dio. Questo è anche il motivo per cui, nell’economia, lo Spirito è sempre relativo a un corpo, a un altro attore piuttosto che a sé stesso. […]

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    1. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sulla-santissima-trinita.html

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    2. Caro Bruno,
      alcune osservazioni.
      Lei dice: "Il Respiro del Padre è sostanza, ma lo è secondo un modo diverso dal Padre. Veramente, egli sembra quasi “insostanziale” senza il Padre: egli non è il Padre e non c’è senza di lui. L’azione di spirazione del Padre fa sì che il Respiro esista. Il Respiro gli è sempre relativo e il suo locus è l’intimità del Padre. […] [il Respiro] sarà anche intimamente legato a ogni azione del Padre: non avrà una propria azione indipendente, ma accompagnerà l’azione del Padre dall’interno".
      Oss.1. - Chiamare "Respiro del Padre" lo Spirito Santo è sconveniente. Lo Spirito è spirato dal Padre. Si può tutt'al più paragonare all'emissione dell'aria, ma non certo al respiro, il quale comporta anche l'aspirazione dell'aria. Lo spirare peraltro va distinto dall'alitare (Gv 20,22, che comporta un soffio. Il primo è atto intratrinitario e si riferisce allo Spirito come Amore che lega il Padre col Figlio. Il secondo è ad extra: Gesù manda lo Spirito sugli apostoli. 2. Chiamare lo Spirito "sostanza" non va bene, perchè la sostanza nella Trinità è la natura divina: consubstantialem Patri. Lo Spirito è Persona come Relazione sussistente.

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  5. “Il soffio (spiritus) procede dall’uomo e senza di esso l’uomo non vive in nessun caso; nel definire, perciò, lo Spirito Santo come Soffio di Dio (Spiritus Dei), si pone in evidenza il fatto che la sua processione da colui che è eterno è [essa stessa] eterna” (Riccardo di San Vittore, La Trinità, VI, §9, 223).
    Se si prova ad essere perfino più letterali di Riccardo nel comprendere lo Spirito come Respiro del Padre, si deve ammettere che il Padre non può “vivere”, ovvero, non può “essere”, senza di lui. […] in quanto atto, respirare è una dimensione fondamentale dell’atto di vivere. Allo stesso modo, il Respiro del Padre non è la sua vita o la sua esistenza come tale: il Padre è la fonte della divinità e non è derivato, perché è ingenerato. Tuttavia, una delle dimensioni della sua esistenza e vita divina è la spirazione di un respiro. E’ un aspetto dell’atto di sussistenza del Padre. […] allo stesso modo in cui il Padre non è tale senza il Figlio, egli non è Padre senza lo Spirito […] non è senza la spirazione del Respiro. […]
    La teologia latina […] a partire da Anselmo d’Aosta, ha definito la “processione dello Spirito Santo” una “spirazione (spiratio)” […] Spiratio significa “espirazione”, “esalazione”. […] le Persone e le processioni sono intimamente legate in teologia trinitaria ed è impossibile comprendere le prime senza le seconde. […] la processione è costitutiva della persona, come la via verso la relazione (cf. E. Durand, Le Père en sa relation constitutive au Fils selon saint Thomas d’Aquin, RTh 107, 2007, 47 - 72). […]
    Ora, se una generazione divina produce un Figlio, è estremamente coerente pensare che una spirazione divina produca un Respiro. […]
    Il respiro non è solo ciò che è presente nei recessi più profondi di una persona, è anche emesso all’esterno. Nonostante sia immateriale e abbia bisogno di un corpo, o proprio perché è immateriale, può superare i limiti del corpo della persona. […] Ciò è coerente con il tratto economico mediante il quale lo Spirito è dato e riversato da Dio: è la capacità di Dio di essere “al di fuori di sé stesso” come avrebbe detto H. Muhlen (Heribert Muhlen, Morgen wird Einheit sein…, Schoningh, Paderborn, 1974, p. 53). Meglio ancora, è la capacità di Dio di essere in un altro rispetto a sé stesso. […] Certo in Dio non c’è esteriorità spaziale; non ci sono limiti fisici da superare. Verso dove può spirare il Padre? Mentre non c’è esteriorità, c’è un’alterità, ossia l’alterità tra il Padre e il Figlio. “Emettere” il suo Respiro, per il Padre, significa spirare verso il Figlio. Ora, nella Trinità tutta l’alterità è relazionale, così anche tutte le operazioni intra-trinitarie sono relazionali […] Di conseguenza, “espirare” in Dio è identico a “comunicare” e “condividere con” […]
    Quando il Respiro è spirato nel Figlio, presenta le stesse caratteristiche che ha nel Padre. […] Egli diventa “lo Spirito del suo Figlio” (Gal 4, 6), co-estensivo all’essere del figlio, parte del suo atto di sussistenza, ricevuto dal Padre. Ciò significa che, allo stesso modo in cui l’espirazione dello Spirito è parte dell’atto di sussistenza del Padre, ugualmente la comunicazione dello Spirito dal Padre al Figlio costituisce il Figlio come tale. […] In altre parole, l’ispirazione del Respiro nel Figlio è parte della sua generazione. […] sebbene il Respiro passi da un’ipostasi all’altra […] egli sussiste solo nel Padre e nel Figlio: egli ha bisogno della loro sostanzialità. […]

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    1. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sulla-santissima-trinita.html

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  6. Una prima conferma viene, giustamente, dall’economia. La “spirazione” del Padre “sul” o “nel” Figlio si rispecchia nel Padre che invia lo Spirito su Cristo e lo ricolma al suo Battesimo. E’ anche attestato ogni qual volta che lo Spirito Santo ispira Gesù. Il Padre comunica la pienezza della sua santità, della sua potenza e della sua sapienza al Figlio incarnato poiché da tutta l’eternità egli comunica la pienezza del suo Respiro dalle profondità del suo essere. […]
    Una seconda conferma viene dalla comprensione della nozione di “processione” dalla teologia trinitaria orientale […] Per l’Oriente, solo la terza persona è detta “procedente” (ekporeuèsthai), mentre il Figlio è generato. […]
    “La parola ‘processione’ non significa una semplice uscita di una persona da un’altra, come ad esempio nel caso della nascita; significa piuttosto una partenza da qualche parte verso un obiettivo definito […] Quando lo Spirito procede dal Padre, si avvia verso il figlio; il Figlio è l’obiettivo dove egli si ferma” (Dumitru Staniloae, Theology and the Church, traduzione di R. Barringer, St Vladimir’s Seminary Press, Crestwood (NY) 1980, 20 - 21).
    Il Figlio è “nato”: egli semplicemente esce dal Padre. Lo Spirito, invece, esce verso un obiettivo, verso il Figlio. Ciò corrobora il fatto che il Padre non solo respira, ma che egli respira verso e nel Figlio. […]
    “Lo Spirito si posa su corpi materiali nell’economia poiché si poggia sul figlio nella Trinità” (Eugene F. Rogers, After the Spirit: A Constructive Pneumatology from Resources outside the Modern West, Eerdmans, Grand Rapids (Mi) 2005, 69). Come sappiamo, egli si posa sul corpo di Cristo all’Annunciazione e al Battesimo, sul corpo di Cristo, che è la Chiesa, a Pentecoste, e su tutte le dimensioni di questo corpo, cioè i battezzati e il pane e il vino dell’Eucaristia. […]
    Una terza conferma viene dal secondo racconto della creazione dell’umanità, in Gen 2, 7 […] la si può interpretare non solo come un’immagine della creazione dell’uomo da parte di Dio ma anche come un’eco poetica della generazione dell’eterno archetipo dell’umanità, il Figlio (che si incarnerà), da parte del Padre: nello stesso modo in cui Dio modella Adamo e poi vi alita il proprio respiro, il Padre genera il figlio, lo “modella”, e co-eternamente immette in lui il suo Respiro.”
    La seconda ipostasi divina, tuttavia, non è chiamata solo Figlio, ma anche Logos. La metafora del respiro può essere sorprendentemente adatta anche in questo caso. Parlare, pronunciare una parola, implica allo stesso tempo un’espirazione. […] Quando il Padre proferisce la sua Parola eterna, non espira ugualmente il suo Soffio con lo stesso movimento? […]
    Nel Primo Testamento, la parola di Dio e il suo respiro agiscono insieme, come due forze che procedono dalla bocca di Dio: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera” (Sal 33, 6). Ciò è particolarmente vero per la creazione, come si vede nei primi versetti di Genesi […]
    “Nella letteratura patristica […] per caratterizzare l’ipostasi dello Spirito Santo, si ricorreva al paragone della Seconda ipostasi con le labbra e della Terza con il respiro delle labbra; oppure quello della parola e dell’aria nel suono della parola. […] Questa unione diadica è indispensabile per l’attuazione stessa dell’auto-rivelazione; la parola non pronunciata non risuona, benché riversi il suo contenuto nell’idea; il suono, non contenente un’idea verbale, non è una parola, ma soltanto un movimento dell’aria” (Sergei N. Bulgakov, Il Paraclito, Edizioni Dehoniane, 1972, 286). […]

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    1. Cfr.https://padrecavalcoli.blogspot.com/2021/11/dibattito-sulla-santissima-trinita_13.html

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  7. “Non deve essere inferiore al nostro logos il Logos di Dio, e sarebbe così se appunto si credesse che, mentre nel nostro si osserva un soffio (pneuma), il Logos di Dio fosse invece senza Spirito. […] C’è uno Spirito di Dio che si accompagna al Logos e manifesta la sua attività” (Gregorio di Nissa, Discorso catechetico, II, Edizioni San Clemente-Edizioni Studio domenicano, 2016, 173). Commentando Gregorio, Giovanni Damasceno scrive: “Quando pronunciamo una parola, questo movimento d’aria produce pure una voce che sola ci consente di cogliere il senso della parola”. In modo analogo, anche in Dio c’è un respiro, ossia lo Spirito “che accompagna la Parola e ne manifesta l’efficacia” (G. Damasceno, Expositio Fidei orthodoxae, I, 7, PG 94, 806). […]
    La Parola e il Respiro sono inseparabili nell’economia poiché vengono fuori insieme dalla bocca del Padre nelle profondità della Trinità eterna. […]
    “Non c’è Parola senza un Respiro […] Non c’è Respiro senza una Parola” (Yves Congar, <>, in J.S. Martins (ed), Credo in Spiritum Sanctum, Libreria Editrice Vaticana, 1983, 25) […]
    “Il Padre proferisce il suo Verbo eterno nell’espirazione eterna del suo Spirito” (Jurgen Moltmann, Trinità e regno di Dio: la dottrina su Dio, Queriniana, 1983, 183) […]
    Il Respiro non ha forma senza la Parola che trasmette: la sua azione si riferisce unicamente a quella del Padre e del Verbo. Nondimeno, il respiro è ciò che “porta” fuori il Logos e lo conduce al suo termine. […] Come si vede, il Respiro non è la Parola, ma è difficile distinguerlo da questa. […] L’atto con cui la terza persona procede è interiore all’atto con cui la seconda viene generata.
    Procediamo con la metafora del respiro. Se la si allarga interamente, anche la seconda ipostasi divina dovrebbe espirare. Il Respiro del Padre è ugualmente il respiro del Figlio, e un respiro vitale ha bisogno tanto di essere espirato quanto di essere inspirato. Ciò è concepibile nelle relazioni intra-trinitarie?
    Una prima risposta è che il Figlio emette il Respiro al Padre, in una forma di risposta alla comunicazione vivificante del Respiro da parte del Padre. Una conferma economica […] è il momento in cui Gesù esala l’ultimo respiro sulla croce, specie nel Vangelo di Luca: <> (Lc 23, 46). […]
    Alcuni autori contemporanei affermano che c’è una forma di “risposta” del Figlio al Padre nell’eternità della vita divina. […]
    “La risposta del Figlio al possesso equiessenziale donato della divinità non può che essere un eterno rendimento di grazie (eucharistia) alla sorgente paterna, un rendimento così disinteressato e senza calcolo alcuno quale era la dedizione prima del Padre” (Hans Urs von Balthasar, Teodrammatica, IV: L’azione, Jaca Book, 1986, 301) […]
    Nella Trinità immanente, “rendere grazie” non implica mere parole: allo stesso modo in cui il Padre comunica la pienezza del suo essere al Figlio, il Figlio restituisce il proprio essere. Questo restituire ringraziando è il modo in cui il Figlio coopera pienamente nella sua generazione lasciandosi generare, e come tale fa parte della generazione stessa (H.U. von Balthasar, Teodrammatica, V: L’ultimo atto, Jaca Book, 1986, 74 – 76). Ora, se la si comprende nel contesto di un respiro intra-trinitario, la “collaborazione” del Figlio è di re-spirare. La sua risposta è il ritorno del Respiro, che gli è stato comunicato dal Padre. La generazione del Figlio implica il dono dello Spirito, dal quale il Padre comunica la sua vita e il suo essere per generare un’altra ipostasi, ma essa implica anche la recezione e cooperazione del Figlio, che accade attraverso il dono dello “Spirito del Figlio” (cf. Gal 4, 6), re-spirato al Padre: offendo la sua propria vita e intimità, egli si abbandona pienamente all’azione del Padre. […]
    Quando Gesù esulta “nello Spirito Santo” (cf. Lc 10, 21), rendendo grazie, egli sta per così dire restituendo ciò che il Padre gli ha dato. […]

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    1. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/2021/11/dibattito-sulla-santissima-trinita_13.html

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  8. Commentando il passo del Cantico “Mi baci con i baci della sua bocca” (Ct 1, 2), Bernardo di Chiaravalle spiega che […] nel caso di Dio, dove si vede il Padre “abbracciare” il Figlio, c’è un bacio tale: “Quella reciproca conoscenza, che allo stesso tempo è anche amore, tra colui che genera e colui che è generato, cosa è se non un bacio soavissimo, ma segretissimo? […] Se, giustamente, il Padre viene inteso come colui che bacia e il Figlio come colui che è baciato, non sarà certo fuori luogo interpretare lo Spirito Santo come bacio […] Dunque, il Padre, baciando il Figlio, riversa in lui, in pienezza i misteri della sua divinità […]” (Bernardo di Chiaravalle, Sermoni sul Cantico dei Cantici, vol. I, Sermone VIII, Fondazione di studi cistercensi, 2006). […]
    Lo Spirito Santo è il bacio di Dio, il bacio in Dio. Nello stesso commento Bernardo di Chiaravalle estende il bacio di Dio alla relazione tra Cristo e i discepoli: quando il Signore Risorto soffia su di loro, egli effettivamente li “bacia”, “bocca a bocca”. […] poiché il Figlio emette lo Spirito profondamente nel Padre, egli può fare così anche in noi, e quindi essere presente nelle profondità del nostro essere. […]
    L’Acquinate capisce che un bacio è anche uno scambio di respiro, quando commenta il passo: “Salutatevi a vicenda con il bacio santo” (2Cor 13, 12): “Qui bisogna osservare che il bacio è un segno di pace. Infatti attraverso la bocca con cui dà il bacio, l’uomo respira. E perciò, quando gli uomini si scambiano i baci, è un segno che essi uniscono il loro spirito per la pace” (Tommaso d’Acquino, Commento alla seconda Lettera ai Corinzi, XIII, lectio 3, § 542).

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    1. Cfr. https://padrecavalcoli.blogspot.com/2021/11/dibattito-sulla-santissima-trinita_13.html

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