Via da me maledetti - Prima Parte (1/2)

Via da me maledetti

Prima Parte (1/2)

Maledetto l’uomo che confida nell’uomo

Ger 17,5

Delle parole di Cristo non bisogna accettare solo una parte

Che significano queste parole di Cristo? Colui che è venuto a chiamare tutti alla salvezza, quel Cristo che a tutti predica il Vangelo, che va verso tutti e tutti avvicina per sanare le loro piaghe e sollevare dalle loro miserie, come può allontanare qualcuno? Eppure il Concilio di Quierzy dell’853 (Denz.623), confermato dal Concilio di Trento (Denz.1523), insegna che non tutti si salvano[1].

E come è possibile quel «via da me»? L’amore – ecco l’obiezione - significa vicinanza, unione, stare assieme. L’amante accoglie, avvicina e si avvicina, non separa, non respinge, non rifiuta, non allontana da sè, non si allontana dall’amato. Se non fa così vuol dire che non ama, ma odia. Dunque Cristo odia qualcuno?

No. Egli offre a tutti il suo amore. Ma non tutti ricambiano questo amore.  L’amore di Cristo per l’uomo non è un amore che lasci all’uomo decidere che cosa è bene e che cosa è male; ma questo ufficio è solo il suo, in quanto Dio nostro creatore. Sta quindi a Cristo e non all’uomo, stabilire le condizioni dell’amore. E queste sono l’osservanza della legge divina.

Ma il fatto è che alcuni hanno ripugnanza nei confronti di Dio, non Lo amano, e quindi non ne vogliono sapere di obbedirGli e invece Lo odiano. Infatti davanti a Cristo non si può restare neutrali o indifferenti, come alcuni vorrebbero darci ad intendere – i cosiddetti «agnostici» -.

Invece bisogna scegliere. O si ama Cristo per l’eternità o Lo si odia per l’eternità. Incontrarsi con Lui – tutti s’incontrano con Lui – vuol dire incontrarsi con l’eterno. Ora, ogni uomo è fatto per l’eterno. Ma ognuno ha la facoltà di scegliere qual è il suo eterno. Se sceglie Cristo, il vero Eterno, la sua sarà un’eternità felice. Se invece eternizza la creatura – o se stesso o altro -, avrà fallito il senso della propria vita e questo non è altro che l’inferno.

Gli empi, dunque, non vogliono avvicinarsi a Cristo, non vogliono obbedirGli, non vogliono stare con Lui, uniti a Lui, perché lo odiano, perché hanno diretto il loro amore a ciò che Cristo odia, cioè il peccato. Dunque Cristo, allontanandoli da Sè al giudizio universale, non fa che accontentarli, e lasciare che facciano quello che vogliono. Dà ad essi un ultimo avvertimento: dopo, però, non lamentatevi di quello che vi succederà, perché ve lo siete meritato e l’avete voluto voi.

Oggi molti restano talmente urtati da queste parole severe di Cristo, perché trovano una tale contraddizione con l’atteggiamento di Gesù che ama tanto stare in mezzo alla gente e invita tutti al banchetto celeste, che sembrano espungere dal Vangelo queste parole e tutte quelle che similmente dicono condanna o rifiuto o esclusione, come non fossero di Cristo, come fossero interpolazioni o comunque cose da non prendere in considerazione.

Eppure anche queste sono parole di Cristo. Ci troviamo dunque davanti a una scelta arbitraria ed ingiustificata. La fede ci dice che di ciò che dice Cristo dobbiamo accogliere tutto. Non ci è concesso fare scelte o cernite, quasi che nelle sue parole ce ne fosse qualcuna che non possiamo accettare. Ora, fare così è eresia.

Eresia, infatti, come è noto, significa «scelta». E di fatti, abitudine degli eretici o dei pastori faziosi è scegliere, dalla Scrittura solo quei passi che sono di proprio gradimento o fanno piacere al mondo o fan credere di essere «moderni», trascurando gli altri, i quali invece completano il senso di quegli stessi passi prescelti, il quali pertanto esprimono solo una mezza verità e non la verità tutta intera oppure, isolati dai passi corrispettivi, presentano un aspetto unilaterale e quindi falso delle cose.

Ciò non esclude che per motivi pastorali sia opportuno tacere almeno momentaneamente certi passi del Vangelo, che potrebbero scandalizzare od ottenere effetti controproducenti, in attesa eventualmente che l’interlocutore maturi spiritualmente così da poter accettare le parole del Signore.

È questo il caso di tutti quei passi della Scrittura e in particolar modo del Vangelo, dove Cristo parla della punizione dei malvagi. Addirittura nei lezionari liturgici, quando capita una parabola o una profezia di Cristo, che ha senso compiuto solo nella congiunzione del premio col castigo, si legge ciò che riguarda il premio e si tace ciò che riguarda il castigo.

Ma che fanno i buonisti? L’Apocalisse parla dei flagelli divini e della Gerusalemme celeste? Si parla della Gerusalemme celeste e si lasciano cadere i flagelli divini. Parla della lotta del Drago contro la Donna, simbolo della Chiesa? Ma la Chiesa accoglie tutti e non esclude nessuno. La Chiesa non ha nemici, ma è amica di tutti e misericordiosa con tutti. Il Drago è un influsso inconscio in Giovanni del dualismo gnostico.

 L’Apocalisse parla di uno scontro finale tra i seguaci di Satana e quelli di Cristo, con la vittoria definitiva di questi? Questo episodio decisivo della storia sacra viene ignorato immaginando che tutti saranno con Cristo. La Bibbia parla, riguardo a Dio, della misericordia e dell’ira? Si cita la misericordia e si tace sull’ira.  Cristo parla del paradiso e dell’inferno? Si tace sull’inferno e si parla solo del paradiso. S.Paolo parla dei predestinati? Non si parla mai dei predestinati per non dover dire che ci sono anche i non predestinati. Cristo parla degli eletti? Non si parla mai degli eletti per non dover dire che ci sono anche i non eletti. Giovanni distingue i figli di Dio dai figli del diavolo? Si parla dei figli di Dio ma non dei figli del diavolo.

L’opera di Cristo ha fallito?

Alcuni sostengono che se non si salvassero tutti, l’opera di Cristo sarebbe rimasta incompleta, avrebbe fallito almeno in parte. Ritorna la concezione monistico-buonista di Origene: tutto parte dall’unità e tutto deve tornare all’Unità. Il conflitto è solo un momento intermedio, destinato a dissolversi nell’armonia finale.

Ma la Chiesa ha condannato questa visione di Origene, chiarendo che esistono i beati (uomini e angeli) per l’eternità e i dannati (uomini e diavoli) per l’eternità. Esistono pene espiabili e redentrici, quelle di quaggiù; ed esistono pene inespiabili e puramente afflittive, quelle dell’inferno. Certo, se Dio avesse voluto, poteva effettivamente salvare tutti.

Ma perché allora non ha voluto? Perché Egli tiene a che ognuno scelga liberamente, disposto ad accettare di non essere scelto, naturalmente con le conseguenze inevitabili e giuste di tale scelta a carico del ribelle, conseguenze che neppure Dio può impedire, così come non può fare che il male sia bene.

Occorre allora dire che il rilievo che, se non si salvassero tutti, l’opera di Cristo resterebbe imperfetta, non tiene, perché la sua opera non è stata simile a quella di un  barista, che a causa di un improvviso malessere, non termina di lavare una trentina di tazzine da caffè, perché l’uomo davanti alla questione della salvezza non si trova in uno stato di inerzia come la tazzina da caffè davanti al barista, ma  come soggetto capace di scegliere fra il bene e il male, per cui, al fine di salvarsi, occorre il consenso della sua volontà.

Questo vuol dire che se l’uomo non ama Dio ma lo odia, Dio non lo può costringere ad amarlo, per cui lo lascia libero di fare la sua scelta, la quale però per sua essenza comporta l’inferno. Se quindi l’empio va all’inferno, ciò è dipeso dalla sua volontà, non nel senso di una scelta diretta e positiva dell’inferno, chè la pena non piace a nessuno, ma nel senso di preferire l’odio per Dio con l’inferno all’amore per Dio col paradiso.

Dobbiamo allora chiederci seriamente se sono fondate le ragioni che ci portano ad escludere i passi della Scrittura che parlano della severità di Dio e dell’esistenza di dannati. In realtà tali ragioni non esistono, perché il principio che Dio premia i buoni e castiga i malvagi è essenziale a una vera concezione di Dio, presente nella religione naturale e confermata dalla religione cristiana, così come è interpretata dalla dottrina della Chiesa.

La dottrina di Cristo è una dottrina di salvezza, per raggiungere la quale bisogna accoglierla integralmente. È una prescrizione medica: se il paziente vuol guarire, deve credere a tutto quello che il medico dice, anche se ci sono delle cose che a lui sembrano ingiuste o nocive. Così pure se noi vogliamo ottenere la conversione del mondo, dobbiamo insegnare tutto quello che Cristo ci insegna.

La convinzione che Dio ci salva tutti e una predicazione che si astiene dall’avvertire che non tutti si salvano, e che viceversa insegna che Dio non punisce ma fa solo misericordia, crea falsi cristiani candidati all’inferno e non aumenta il numero dei fedeli, come stiamo constatando ormai da sessant’anni, dall’inizio della messa in pratica di questa predicazione. Predicare agli empi che comunque Dio li salva a loro non interessa per niente e li lascia del tutto indifferenti, per non dire che suscita la loro irrisione, dato che non credono in Dio e ritengono di salvarsi con le proprie forze.

L’opera di Cristo in realtà è stata un’opera perfettissima, è stata un’opera divina. In che senso? La perfezione di quest’opera è stato quello che Gesù ha fatto e patito per noi. Che cosa poteva fare di più? Poteva amarci con un amore più grande, più intenso, più completo, più efficace, più generoso, più sublime, più profondo, più eroico, più sincero, più potente, più vantaggioso, più fruttuoso, più misericordioso, più compassionevole, più unitivo, più dolce, più tenero, più beatificante di quello col quale ci ha amati?

Ma la sua opera chiede di essere completata da noi. Essa ci propone un lavoro nostro da fare per completarla nel suo aspetto umano. Abbiamo una nostra parte da fare per completarla in noi, perchè si realizzi in noi ciò che ha voluto fare per noi il Signore, come dice San Paolo: «completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24). Se noi non facciamo la nostra parte, Cristo che colpa ne ha? La colpa è solo nostra! Siamo noi che roviniamo e frustriamo la sua opera impedendole di realizzare in toto o in parte in noi la sua divina efficacia!

Per questo è da disonesti dire che la Croce di Cristo è sufficiente per salvarci senza che occorra unire la nostra alla sua. Non possiamo pretendere che Egli ci accolga, se non corrispondiamo in tal modo al suo amore. È vero che è Lui il nostro Salvatore, ma non possiamo essere salvati se non collaboriamo alla sua opera salvifica. Non si può disgiungere il salvarsi dall’essere salvati.

Il valore delle parole di Cristo

Il problema, allora, non è scartare ciò che non ci piace, ciò che ci urta, ma comprendere che cosa intende dire Cristo ed apprezzarne il valore, sapendolo mettere in armonia con l’altro contenuto della dottrina di Cristo, che concerne la misericordia, l’accoglienza, la presenza, l’incontro, la corrispondenza, il soccorso, la tenerezza, la cura, l’affetto, il servizio, la dolcezza, il perdono, la pazienza, il contatto umano  universale, il farsi carico, il sacrificio di sé, la ricerca della pecora smarrita.

Che cosa significa nella Scrittura maledire? Che cosa è la maledizione? Chi può e dev’essere maledetto? Esiste una regola della maledizione? La maledizione può essere benefica? Chi ha la facoltà di maledire? Qual è lo scopo della maledizione?

Non abbiamo qui lo spazio per rispondere a tutte queste domande. Limitiamoci a un discorso essenziale. Innanzitutto l’etimologia della parola male-dire. Significa dire il male, ma non nel senso della maldicenza, che è un peccato di diffamazione, bensì nel senso di inveire contro una persona nel denunciare il male che sta facendo con l’intento di allontanarla per punizione escludendo con essa il dialogo. Nella Scrittura la maledizione o imprecazione (alàh) è un’apostrofe pronunciata da un uomo di Dio con effetto punitivo nei confronti della persona alla quale viene rivolta[2].

Cristo è sempre mosso dall’amore, ma dobbiamo tener presente che l’amore non è solo amore per il bene, ma anche odio per il male. L’amante punisce perché odia il male presente nel peccatore, oggetto del suo amore. L’amante non serve a due padroni, non si barcamena fra il sì e il no. Ma accoglie il bene e respinge il male.

Diciamo in linea di principio che la cosa fondamentale da tenere presente per capire la dottrina e la condotta di Cristo, il quale al giudizio universale accoglie alcuni ed allontana da sé altri, è l’esistenza del libero arbitrio, per il quale, benché ogni uomo sia creato da Dio con una spontanea tendenza della volontà all’amore per il sommo bene, di fatto, a causa del peccato originale, esiste in ciascuno di noi anche una tendenza a peccare, per cui non abbiamo solo il gusto del bene, ma anche quello del male. Certi peccati ci attirano e ci piacciono.  

Noi, se vogliamo salvarci, scegliamo come vogliamo salvarci, ma anche Dio sceglie chi salvare. Il primo punto oggi non fa difficoltà. Fa difficoltà il secondo. Nessuno oggi parla di predestinazione e di elezione divina, che pure sono verità di fede tradizionali insegnate dal Concilio di Trento su chiara base scritturistica. Eppure, proprio al fine di salvarci, occorre assolutamente che noi capiamo il significato di quei concetti.

Il dogma della predestinazione ci insegna che la salvezza avviene per una duplice scelta: l’uomo sceglie Dio e Dio sceglie l’uomo, cioè il predestinato. Ma l’uomo sceglie Dio perché Dio lo ha scelto. Inoltre questa verità di fede ci dice che a Dio sta più a cuore che l’uomo eserciti il suo libero arbitrio, che non essere amato da lui.

Infatti, se Dio non sceglie i predestinati, non è perché non voglia salvare tutti, ma perché è l’uomo stesso che odia Dio e vuole starsene per conto proprio. Non è dunque Dio che lo respinge, ma è l’uomo stesso che di Dio non vuol saperne. Propriamente, dunque, non è che Dio lo mandi all’inferno, ma è l’uomo stesso che preferisce stare all’inferno piuttosto che stare con Dio.  

Inoltre bisogna che noi teniamo presente la dottrina paolina della predestinazione, la quale suppone che Dio, avendo guardato compassionevolmente e con giustizia all’umanità ferita dal peccato originale e punita con la dannazione eterna («non ne mangiate, altrimenti morirete», Gen 3,3), ha voluto tuttavia redimere l’umanità (Gen 3,15) praticando con alcuni la misericordia[3] e con altri la giustizia. La divisione fra giusti ed empi, però, non dipende da Dio, ma dalle opposte scelte degli uni e degli altri.

Dio dà a tutti i mezzi per salvarsi. Se la salvezza dipendesse solo da Lui, tutti sarebbero salvi. Se quindi ci sono dei dannati, questo fatto è esclusivamente colpa loro. Sono stati cacciati da Cristo, perché essi stessi di loro iniziativa si sono esclusi. Cristo non fa che avallare la decisione che essi stessi hanno presa. Dà loro un’intimazione che corrisponde esattamente a quanto essi vogliono: star lontano da Dio perché lo odiano. Cacciando gli empi, Cristo non dà prova di esclusivismo, non smentisce la sua disponibilità a salvare tutti, ma semplicemente non fa che lasciare libero l’empio di fare quello che egli stesso vuole.

L’empio, dal canto suo, sa benissimo che cosa lo aspetta, ma per lui è meglio bruciare nell’inferno lontano da Dio, piuttosto che essere in paradiso, soggetto a Dio. Noi stiamo con le persone che amiamo. Chi ama Dio vuol stare con Dio. Chi ama se stesso come fosse Dio, ama stare per se stesso, con se stesso e con i suoi complici lontano da Dio. L’inferno è tutto qui. È quella parte di umanità che di Dio non vuol saperne ed ha deciso di stare per sempre lontano da Lui a bestemmiarLo.  

L’uomo col suo libero arbitrio si trova davanti all’eterno, ha per suo destino un’esistenza eterna; o di vita eterna o di morte eterna. A lui la scelta. Tuttavia se Dio ci sceglie, scegliamo Lui; Se non ci sceglie, è perché abbiamo scelto il nostro io. Come mai uno sceglie Dio e l’altro no? Come mai Dio sceglie questo e non quello? È la domanda che si pone Sant’Agostino, alla quale risponde : «noli judicare, si non vis errare ».

Solo Lui lo sa, ma il perchè è così misterioso, che è troppo al di sopra di quanto potremmo comprendere. Diversamente Cristo ce lo avrebbe rivelato. Ci deve bastare sapere che il perché c’è ed esiste, e che  Dio è sapientissimo, infinitamente buono, giusto e misericordioso. Sono cose che non ci riguardano. Badiamo a quanto Cristo ci ha rivelato. È qui che potremo trovare la nostra beatitudine.

Osserviamo ancora che nella vita presente è un dato di fatto che non siamo sempre d’accordo con Dio su ciò che per noi è bene o male. Noi abbiamo per conto nostro un concetto di ciò che è bene o male per noi. Ma il fatto è che certi comandi divini ci urtano perché ci pare che limitino la nostra volontà e c’impediscano di conseguire ciò che ci piace. Da qui la tentazione a disobbedirGli. Così preferiamo farGli dispiacere e fare la nostra volontà piuttosto che rinunciare alla nostra volontà per far piacere a Lui.

Stentiamo a capire che la nostra vera felicità sta nell’obbedire a Lui. Ma la cosa ancora più grave è data dal fatto che, siccome la presenza di Dio ci è fastidiosa, cerchiamo di convincerci che Dio non esiste. Oppure, riflettendo sulla potenza del nostro pensiero e della nostra volontà, ci viene l’idea che Dio siamo noi stessi e per questo possiamo fare tutto quello che ci pare senza dover render conto a nessuno. Ma chiaramente sentiamo comunque che questo trucco non ci persuade e che questi sono ragionamenti o meglio sofismi che non tengono. Ci ritroviamo sempre con i nostri limiti e le nostre miserie davanti a Dio, che in tal caso ovviamente non può essere contento di noi.

Ma anche noi nel nostro orgoglio non vogliamo incontrarLo e vogliamo stare lontano da Lui. Se Cristo ci caccia, è perché noi stessi non vogliamo accostarci a Lui con l’obbedienza ai suoi comandamenti. Nondimeno, per giustificare questo atteggiamento di ribellione costruiamo su quei sofismi degli interi sistemi filosofici, per dare una parvenza di giustificazione al nostro odio per Dio.

Egli ci richiama facendoci capire le conseguenze negative dei nostri peccati, dandoci con le pene della vita presente occasione di far penitenza e convertirci. Ma se in noi c’è questa superbia di ritenerci innocenti, disprezzeremo questi appelli paterni e continueremo nella nostra disobbedienza interpretando le pene della vita semplicemente come il male da distruggere, senza considerare invece il fatto che il vero male da togliere in ogni caso non è il male di pena, ma quello di colpa, il peccato.

Inoltre, per capire le parole di Cristo, bisogna tener conto della circostanza nelle quali le pronuncia: si tratta del giudizio universale, ossia del giudizio divino definitivo circa le sorti dell’umanità e della conferma del destino dei singoli in relazione alla comunità umana e alla Chiesa.

Cristo qui mostra una delle qualità e dei doveri del buon pastore. Il buon pastore deve accostarsi agli uomini con dolcezza, fiducia e pazienza. Deve cercare di persuadere e convincere, ammonire ed esortare con abbondanza di prove ed argomentazioni, deve farsi capire con chiarezza onde evitare gli equivoci, deve saper esporre con chiarezza la dottrina e smascherare gli errori, deve saper attendere e camminare col passo dell’evangelizzando, deve saper con lui dialogare e discutere, mostrare e dimostrare, battere e controbattere, approvare e confutare, lodare e rimproverare, obiettare e rispondere, parlare e tacere.

Tuttavia il buon pastore a un certo punto del confronto col fedele ha anche il compito di prendere una decisione circa l’operato e le idee del fedele. Egli può trovarsi davanti a comportamenti o idee del fedele, circa i quali non vedendoci chiaro, sospende il giudizio e rinuncia a giudicare. Ma in linea di principio, avendone l’autorità, se apre una causa o un inchiesta, ha la facoltà, il potere e il dovere di portarla avanti e di chiuderla, se è possibile, con una sentenza definitiva o di assoluzione o di condanna.

Questi princìpi fondamentali di giustizia erano già ben noti al diritto romano come basi e requisiti essenziali per il buon ordine della società e la promozione del buon costume (boni mores), se non si vuole che la società diventi un bellum omnium contra omnes, tenendo conto che a seguito del peccato originale la tendenza dell’uomo al peccato, se non si riesce a frenarla con la persuasione, dev’essere frenata con la forza e il timore della pena. Se qualcuno, benché punito, fa peggio, peggio per lui.

Quanto ho detto suppone che in una controversia sia possibile, in linea di principio, appurare la verità con certezza, per cui il giudice, dopo accurate indagini, il confronto delle testimonianze, l’ascolto degli avvocati e il vaglio delle prove, è in grado di sentenziare chi ha torto e chi ha ragione, così da premiare l’innocente  e punire il colpevole.

Ora Cristo, alla fine del mondo non farà altro che questo. Quindi il «via da me, maledetti, nel fuoco eterno» non significa altro che la sentenza di condanna del reo da parte del Giudice divino. Dov’è lo scandalo? Dov’è l’orrore? Perché non riconoscere piuttosto la propria ipocrisia? Perché non riconoscere francamente che col pretesto della misericordia noi odiamo la giustizia?

Fine primo Tempo (1/2)

P.Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 febbraio 2023

Diciamo in linea di principio che la cosa fondamentale da tenere presente per capire la dottrina e la condotta di Cristo, il quale al giudizio universale accoglie alcuni ed allontana da sé altri, è l’esistenza del libero arbitrio, per il quale, benché ogni uomo sia creato da Dio con una spontanea tendenza della volontà all’amore per il sommo bene, di fatto, a causa del peccato originale, esiste in ciascuno di noi anche una tendenza a peccare, per cui non abbiamo solo il gusto del bene, ma anche quello del male. Certi peccati ci attirano e ci piacciono.  

Noi, se vogliamo salvarci, scegliamo come vogliamo salvarci, ma anche Dio sceglie chi salvare. Il primo punto oggi non fa difficoltà. Fa difficoltà il secondo. Nessuno oggi parla di predestinazione e di elezione divina, che pure sono verità di fede tradizionali insegnate dal Concilio di Trento su chiara base scritturistica. Eppure, proprio al fine di salvarci, occorre assolutamente che noi capiamo il significato di quei concetti.


Dio dà a tutti i mezzi per salvarsi. Se la salvezza dipendesse solo da Lui, tutti sarebbero salvi. Se quindi ci sono dei dannati, questo fatto è esclusivamente colpa loro. Sono stati cacciati da Cristo, perché essi stessi di loro iniziativa si sono esclusi. Cristo non fa che avallare la decisione che essi stessi hanno presa. Dà loro un’intimazione che corrisponde esattamente a quanto essi vogliono: star lontano da Dio perché lo odiano. Cacciando gli empi, Cristo non dà prova di esclusivismo, non smentisce la sua disponibilità a salvare tutti, ma semplicemente non fa che lasciare libero l’empio di fare quello che egli stesso vuole.




Inoltre, per capire le parole di Cristo, bisogna tener conto della circostanza nelle quali le pronuncia: si tratta del giudizio universale, ossia del giudizio divino definitivo circa le sorti dell’umanità e della conferma del destino dei singoli in relazione alla comunità umana e alla Chiesa.



Immagini da Internet:
- Giudizio universale, Beato Angelico
- Giudizio universale, Giotto
- Giudizio universale, Michelangelo


[1] Cf il mio opuscolo L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura,Verona 2010. In esso mostro che la provvidenza divina è presente anche all’inferno, il quale, stando all’insegnamento biblico, dev’essere concepito sul modello di un carcere giuridicamente organizzato. In passato, invece, si è troppo insistito sulla gravità della pena, così da rendere oggi l’inferno un’idea insopportabile ed incompatibile con la bontà divina. Se invece pensiamo al modello del carcere, la cosa ci diventa comprensibile ed accettabile.

[2] Enciclopedia della Bibbia, voce MALEDIZIONE, vol.IV, Edizioni LDC, Torino-Leumann 1970.

[3] «Farò misericordia con chi vorrò fare misericordia», Es 33,19.

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