Le false affermazioni di Andrea Grillo circa il preteso rahnerismo del Papa

Le false affermazioni di Andrea Grillo

circa il preteso rahnerismo del Papa

 

Invisibilia Dei per ea quae facta sunt, intellecta conspiciuntur

Rm 1,20

Ci difendiamo con le nostre labbra:

chi sarà nostro padrone?

Sal 12,5

 

Un’altra sparata di Andrea Grillo, forse la più grossa.

 I miei lettori conoscono ormai da tempo il teologo Andrea Grillo come uno dei teologi modernisti oggi più noti, che si distingue sia per la demolizione dei valori cristiani, come ha fatto per esempio nel suo attacco alla dottrina del matrimonio e della famiglia, nonché al dogma della transustanziazione eucaristica ed insultando e denigrando grandi figure di Pontefici dell’età moderna, come il Beato Pio IX o S.Giovanni Paolo II o Benedetto XVI, oppure i più coerenti e limpidi testimoni della fede oggi presenti nel collegio cardinalizio, come per esempio i Cardinali Müller, Brandmüller e Burke, nonché i recentemente scomparsi Meisner e Caffarra. Il Grillo peraltro si è divertito a infierire in modo particolare su questi illustri prelati approfittando di una punta di conservatorismo presente in alcuni di essi.

Questa volta il Grillo, con un salto acrobatico, vedendo il consenso dei numerosi gonzi che gli fanno la claque, si è lanciato audacemente in un folle blitz, ha sparato ancora più in alto: addirittura sostenere che il pensiero del Papa si ispira a Rahner.

Ma il blitz non è del tutto folle, perché il Grillo calcola le sue mosse e, sebbene io sia convinto che di Rahner ci capisce molto poco, tuttavia egli è evidentemente mandato avanti con lauto compenso dalla potente corrente rahneriana, che per decenni ha lavorato prima ad occupare i posti più importanti della Chiesa e con le trame della mafia di San Gallo, capeggiata dal Card. Martini, è riuscita addirittura a far salire al soglio pontificio un uomo, che essa ritiene utile strumento dei suoi piani criminosi, il che sia detto nel pieno riconoscimento della legittimità dell’elezione e quindi della validità dell’autorità papale di Jorge Mario Bergoglio, checché ne dicano alcuni che si accaniscono con vani argomenti a sostenere al contrario che il vero Papa è Benedetto e non Francesco.

Con queste mie parole mi riferisco all’articolo del Grillo Quale Rahner è caro a papa Francesco? Una piccola ermeneutica papale del teologo, pubblicato il 21 maggio scorso nel blog: Come se non. Notate la perspicuità del titolo di questo blog. Prenderò alcune affermazioni di Grillo, alle quali farò seguire un mio commento.

Grillo cita alcune tesi di Rahner. La prima:

“Il cristiano è il vero scettico, il più radicale. Credendo alla incomprensibilità di Dio, egli è convinto che nessuna verità singola è realmente vera al di fuori di quel movimento (che le è essenziale) in cui essa si supera in domanda destinata a rimanere senza risposta perché è domanda su Dio e sulla sua inafferrabilità”.

Osservo dicendo che effettivamente lo scetticismo è il fondo del pensiero rahneriano, basato sul cogito cartesiano, principio non della sicurezza, ma della sicumera, e quindi del dogmatismo. Ma ciò non va affatto ad onore del pensiero rahneriano. Si tratta infatti di uno scetticismo dogmatico, che adesso spieghiamo. Significa che Rahner non è certo di niente, dubita di tutto, all’infuori di sé stesso e di quello che dice lui.

Per questo Rahner non accetta di essere contraddetto da nessuno. Si è sempre infischiato di chi ha smascherato le sue truffe e lo ha messo con le spalle al muro, come per esempio Fabro o Lakebrink o Von Balthasar o il Card. Siri o lo stesso Ratzinger. Oppure denigra ed insulta gli avversari, fossero pure i Papi o i Concili.

Quanto al Concilio Vaticano II, ne falsifica l’insegnamento volgendolo a vantaggio del suo modernismo hegeliano, come ho dimostrato in un apposito libro[1]. Purtroppo l’abilissima falsificazione rahneriana, che si è valsa di potenti mezzi di diffusione[2], ha avuto un enorme successo ingannando anche molti vescovi, ed è all’origine dello sdegno col quale oggi molti cattolici maledicono il Concilio, ma è solo perché è stato loro presentato nell’interpretazione rahneriana, a parte il fatto che alcuni di essi sono effettivamente troppo conservatori e chiusi alle novità del  Concilio.

Fermiamoci brevemente a vedere che cosa è lo scetticismo filosofico. Lo scettico è maestro di opportunismo, astuzia e doppiezza, perché è costretto ad autocontraddirsi e ad autoconfutarsi, senza tuttavia volerlo riconoscere, ma anzi con la pretesa di confutare gli onesti, dando ragione contemporaneamente, per non avere noie da nessuno, ai due avversari, che sostengono tesi reciprocamente contradditorie, visto che non si può mai sapere chi ha ragione.

Invece di tacere, come già gli consigliava di fare Aristotele, lo scettico è un formidabile logorroico, vedi per esempio le 4000 pubblicazioni di Rahner, quasi a cercare sempre disperatamente una verità che gli sfugge. Per questo egli sproloquia a più non posso e vuole avere l’ultima parola sui sostenitori e difensori della verità. Si potrebbe esprimere la superbia dello scettico parafrasando il famoso detto Roma locuta, causa finita, con la formula scepticus locutus, causa finita.

Lo scetticismo non è, come vorrebbe farci credere Rahner, l’acutezza, ma è la distruzione del pensiero. Non è l’onestà, ma la slealtà del pensare. Non è l’incontentabilità di un pensare che respinge e smaschera le soluzioni e le risposte raffazzonate, e vuole un pensare rigoroso, ma è il rimettere sempre in discussione ciò che è stato chiarito, non accontentarsi mai del vero conquistato o dimostrato, ma è l’opposizione alla verità conosciuta. Non è messa in discussione delle opinioni correnti per correggerle e far progredire il pensiero, ma è un contraddire ai risultati raggiunti e pacifici, perché non accetta l’immutabilità della verità. Non è sviluppare il pensiero partendo dalle basi e sulle basi del pensiero, ma è distruggere o dubitare delle basi del pensiero.

Lo scetticismo non è l’espressione della ragione critica, ma dell’arroganza dell’ignorante. Non è espressione dell’umiltà di chi è aperto al reale, pronto ad imparare, ma del borioso centrato su sé stesso e che vuole a tutti i costi imporsi sugli altri. Non è l’atteggiamento purificatore di chi vuol eliminare i pregiudizi e le false certezze per trovare gli inconcussi fondamenti dell’essere, del pensiero e della vita, ma è semplicemente la furia barbarica e distruttiva di chi fa l’apoteosi del nichilismo e della morte.

Lo scetticismo non serve a nulla nel problema di Dio

Quindi nel problema di come pensare o concepire Dio e come parlare di Lui, il metodo giusto non è assolutamente quello di spingere lo scetticismo al massimo.  Niente scetticismo «radicale», non si tratta di essere più scettici di Gorgia o di Sesto Empirico o di Hume, come se così si potenziasse la nostra intelligenza, ma al contrario il metodo giusto è quello di partire da una buona, verificata e solida base di verità e di assoluta oggettiva certezza. Attenzione a dove si mettono i piedi, perché, se si scivola, si cade nel precipizio. Lo scettico è come uno che vuol fare la scalata di sesto grado con le scarpe da ginnastica.

Bisogna costruire sulla roccia e non sulla sabbia. Bisogna essere vento che sbatte le canne non canne sbattute dal vento.  Bisogna servire un solo padrone: la verità e non due padroni, Cristo e Beliar. Occorre scegliere: aut-aut. L’et-et vale nell’ambito delle opinioni, della pluralità, della diversità e dell’analogia, dove il bene sta col bene, il vero sta col vero. Ed è vero che tra il bianco e il nero ci sono delle sfumature, ma non tra il sì e il no, il vero e il falso, il bene e il male.

Per trovare Dio occorre illuminare l’intelletto e non spegnerlo

L’intelletto dev’essere illuminato col concetto e non oscurato, col pretesto dell’oscurità del Mistero. L’«esperienza apriorica, preconcettuale trascendentale ed atematica di Dio», della quale parla Rahner, non esiste, è un’illusione della sua gnoseologia idealista. Egli confonde l’essere metafisico e trascendentale con l’essere divino. Solo in questo l’essere è identico al conoscere[3]. Invece, sul piano della metafisica si dà una distinzione fra conoscere ed essere, perché la metafisica abbraccia non solo lo Spirito infinito, ma anche quello finito, creaturale (uomo ed angelo), il cui pensiero è distinto dall’essere.

Se l’intelletto in teologia è privato della luce del concetto, magari con la pretesa di sostituirlo con l’immagine o la metafora, si cade nei più grossolani antropomorfismi, per non dire nell’idolatria, anche se indubbiamente per un intelletto legato ai sensi come il nostro l’immagine e la metafora occorrono per rendere accessibile l’astrazione intellettuale metafisica e trascendentale, che comunque deve presiedere all’immaginazione.

Bisogna pertanto far uso, come fa la Bibbia, delle nozioni trascendentali dell’ente, dell’essere, dell’esistenza, dell’uno, del qualcosa, della perfezione, del vero e del bene, perché è con queste nozioni che è possibile farsi il necessario concetto di Dio, come vediamo per esempio che nel Catechismo di San Pio X Dio è definito «Ente perfettissimo». Dobbiamo dunque usare quei concetti trascendentali precisandoli con gli attributi propri di Dio, che sono stabiliti dalla teologia naturale, dalla Scrittura e dalla dottrina della Chiesa.   

Per arrivare a vedere Dio in paradiso è assolutamente necessario quaggiù formarsi un concetto vero di Dio, esplicito o implicito che sia, perché il nostro intelletto nel cogliere il reale, non può non far uso di concetti e giudizi[4]. Per questo esiste una dogmatica cristiana, per questo esistono gli articoli del Credo. Per questo esistono la dottrina della Chiesa e la teologia. Che razza di teologo è colui che col pretesto del mistero stravolge a piacimento i concetti della metafisica biblica ed ecclesiale per concepire Dio e pensare a Dio? È meglio che faccia un altro mestiere.

Per affrontare adeguatamente il problema di Dio, bisogna fortificare il pensiero, non indebolirlo, non dubitare delle sue risorse e possibilità, non fargli perdere coraggio e la fiducia, ma al contrario infondergli fiducia e speranza. Ma non speranza di cogliere la verità nel futuro, come crede Rahner, no. La verità su Dio si comincia a cogliere fin da adesso con la ragione e con la fede, benché ovviamente ci sia tutto un cammino fino alla visione beatifica.

Lo scetticismo rimpicciolisce il cervello e rende imbecilli ed abulici, l’esistenza perde di significato, l’essere vale tanto quanto il non-essere, il vero quanto il falso, il bene quanto il male. Tutto perde d senso. Ora, per poter pensare e concepire Dio, per poter convenientemente parlare sensatamente di Lui, bisogna che la ragione e l’intelletto siano impegnati al massimo nella ricerca della verità, non vaganti nella nebbia dell’una cosa vale l’altra.

Il metodo di Rahner

 Rahner è un abile sofista nel far uso della logica hegeliana, che insegna a cavarsela comunque e a stare a galla, anche quando si ha torto marcio. È espertissimo nel volgere a suo vantaggio anche le idee più opposte alle sue e nello far sfigurare anche chi ha ottime ragioni contro di lui. Se è colto in castagna, nega l’evidenza e sguscia slealmente come un’anguilla.

Rahner non dà nulla per evidente, se non le proprie idee e i dogmi del modernismo,  ha sempre il tono del riformatore, di chi sostituisce il nuovo al vecchio, è sempre in polemica con l’autorità della Chiesa, identifica la realtà con ciò che lui pensa della realtà -  la famosa «identità dell’essere col pensiero» - non prende niente sul serio, se non l’istanza modernista, si palleggia tra il sì e il no, non crede all’immutabilità ed all’universalità della verità, relativizza la legge morale al trascorrere dei tempi e alla diversità delle culture, mette tutto in discussione, anche i princìpi primi della ragione e i dogmi più sacri del cristianesimo, esclusi i princìpi della sua metafisica e gnoseologia hegeliane , mantenendoli per tutta la vita dal 1939 al 1984, data della sua morte.

Torniamo al brano dell’inizio e terminiamo di commentarlo.

“Il cristiano è il vero scettico, il più radicale. Credendo alla incomprensibilità di Dio, egli è convinto che nessuna verità singola è realmente vera al di fuori di quel movimento (che le è essenziale) in cui essa si supera in domanda destinata a rimanere senza risposta perché è domanda su Dio e sulla sua inafferrabilità”.

L’incomprensibilità di Dio non ha nulla a che vedere con lo scetticismo. Al contrario, lo scetticismo blocca l’intelligenza nel dubbio sulle prime verità della ragione naturale e a maggior ragione le impedisce di prendere in considerazione l’esistenza e la natura di Dio, che vengono scoperte solo procedendo oltre, sulla base delle verità prime, verso la scoperta della causa prima del mondo. È solo a questo punto che la ragione scopre l’incomprensibilità divina, che non c’entra niente col dubbio scettico, ma al contrario, suppone la certezza di avere scoperto l’esistenza di Dio e la sua natura.

È falso inoltre che su Dio noi in questa vita non riusciamo a conseguire alcuna verità, che non si possa formare alcuna proposizione assolutamente vera di ragione o di fede, e che essa diventa vera solo in un movimento nel quale essa supera sé stessa. Al contrario, essa è e resta assolutamente vera, anche prima di quel movimento e indipendentemente da esso.

La verità acquisita certo può e deve essere superata per una conoscenza più alta del mistero divino, ma il fatto che essa non sia superata non toglie nulla o non mette in dubbio la sua assolutezza e immutabilità di verità. I dogmi della fede non sono opinioni provvisorie destinate ad essere superate e sostituite da altre opinioni, che dovranno a loro volte essere sostituite da altre fino a che l’intelletto del fedele e la Chiesa stessa non raggiungerà la visione beatifica. No. I dogmi della fede sono sapere certissimo soprannaturale, fin da adesso, garantito dall’autorità divina della Chiesa, circa quell’infinito Mistero che speriamo un giorno di vedere svelatamente, faccia a faccia, in paradiso.

Non c’è sostituzione di contenuti intellegibili e concettualizzabili, ma il loro esser concepiti meglio – è questo il progresso dogmatico -; si tratta di un loro perfezionamento quoad nos, fino a che vedremo Dio dopo la morte direttamente e immediatamente, senza concetto. Rahner ha troppa fretta di eliminare i concetti, ma così succede che quel Dio che egli pensa di sperimentare senza concetti, non è il vero Dio, ma è un’astrazione della sua mente, il Dio-Idea di Cartesio, di Kant e di Hegel.

I concetti dogmatici già da adesso ci istruiscono in modo certissimo, infallibile e definitivo, senza alcuna «perplessità», benché oscuramente – e qui Rahner ha ragione – circa quell’essenza divina che quaggiù conosciamo incoativamente nei limiti dei concetti di ragione e di fede e sotto il velo delle metafore, dei simboli e dei paragoni.

Grillo cita poi un interessante brano di Rahner, che secondo lui, dovrebbe costituire un’ispirazione per il Papa:

“Vita e pensiero mi conducono continuamente in situazioni di perplessità che non possiamo mai liquidare…Allora trovo la speranza. Essa condensa tutta l’esperienza della vita in due parole: mistero e morte. Mistero dice questa perplessità della speranza. Morte comanda di non dissimulare la perplessità, ma di affrontarla. Guardo a Gesù crocifisso e so che nulla mi sarà risparmiato. Mi consegno alla sua morte e spero che questa morte sia l’alba del mistero beato. Ma in questa speranza la vita emerge nella sua bellezza, anche nel fitto delle tenebre, e tutto diventa promessa”.

Osserviamo che la speranza cristiana non ha nulla a che vedere con la perplessità, ma al contrario, la speranza è legata alla certezza, come dice San Paolo: «La speranza non delude» (Rm 5,5). Sembra tornare il tema dello scetticismo. Giusto guardare a Gesù Cristo. Giusto consegnarsi alla sua morte e sperare che questa morte sia l’alba del mistero beato.

Ma come Rahner considera la morte salvifica di Cristo? Come morte espiatrice? Come soddisfazione vicaria? Per nulla! Rahner fa l’elogio della morte non perché essa sia imitazione del sacrificio redentivo di Cristo, in vista di ottenere la vita eterna dopo la morte. No! Per Rahner la visione del Mistero divino non è dopo la morte, ma nella morte![5]. Una spaventosa visione, per la quale la morte ha valore non perchè male di pena assunto da Cristo, valorizzata come via di redenzione, ma proprio la morte come tale, a somiglianza del «negativo» hegeliano che di per sè produce il «positivo» o come nell’esoterismo massonico, per il quale dalla vita viene la morte e dalla morte viene la vita: kein Leben ohne Tode; kein Tode ohne Leben.

Immaginarsi come fa Grillo che il Santo Padre faccia sue simili mostruosità è offesa gravissima alla sua autorità apostolica, per cui, se io fossi il Papa, smentirei seccamente simili menzogne e prenderei immediati provvedimenti disciplinari contro di lui, se non fosse che il Papa sa bene – se è bene informato - che si tratta di un impostore e un calunniatore, che nessun teologo serio, che non sia un bugiardo come lui, prende in considerazione.

Ora nessuno nega che il pensiero di Rahner, accanto alle suddette enormità, contenga dei valori. Soprattutto il giovane Rahner, per la serietà e coscienziosità del suo lavoro teologico, la profondità dei suoi interessi e dei suoi sentimenti, l’attitudine filosofica,  la sensibilità morale, la sua apertura mentale, il vivo senso pastorale e liturgico, l’acume delle sue intuizioni,  fu una grande speranza per la teologia: i suoi primi studi, dedicati alla storia del sacramento della penitenza o alla dottrina dei sensi spirituali in San Bonaventura promettevano molto bene e Rahner per tutta la vita ha conservato una speciale attenzione alle questioni e ai valori della spiritualità e della mistica. E che il giovane Bergoglio abbia attinto da essi non fa difficoltà ammetterlo e va certamente a suo onore.

Si nota invece come Grillo abbia colto solo un’affinità superficiale tra la teologia di Papa Francesco e quella di Rahner. Dice Grillo:

«La teologia di papa Francesco – per come lui stesso la caratterizza con le “tre i” della “inquietudine”, della “incompletezza” e della “immaginazione” -  mi sembra che riprenda questo filone potente di riflessione radicale ed esigente, che possiamo scoprire con gratitudine e con commozione sulla pagina rahneriana».

C’è ben altro in Rahner, che in Bergoglio, temperamento realista e pratico, è totalmente assente, ed è l’anima stessa del suo sistema, il suo hegelismo di fondo, che è proprio quello gnosticismo idealista autoreferenziale che sostituisce l’astratto al concreto, e che chiude l’io assolutizzato in se stesso, obbrobrio che Papa Francesco ha più volte vigorosamente denunciato e condannato come gravido di pericolosissime conseguenze morali.

Continua Grillo:

«Ma questo versante del pensiero rahneriano resta carico di novità e di promessa. Rappresenta una “possibilità” di recezione del Concilio Vaticano II come “inizio di un inizio”. Il suo linguaggio franco, diretto, anche crudo, contrasta con la immagine di un Rahner astruso, involuto, sempre astratto… Si tratta di luoghi comuni che fanno torto all’autore e che oggi possono essere superati, se saremo capaci di offrirne una lettura sintetica e lungimirante».

Qui Grillo mostra di essersi lasciato ingannare dall’interpretazione rahneriana del Concilio, che lo mette in rotta con la Tradizione e ne fa una ripresa di modernismo, quando in realtà il Concilio è proprio l’antidoto al modernismo mostrando la via per una sana modernità alla luce del Vangelo e liberata dai suoi errori. Papa Francesco peraltro sembra risentire della tendenza buonista del Concilio, presente anche in Rahner; ma in Francesco il buonismo non ha i fondamenti panteistici, che assume in Rahner, ma è solamente un’espressione del suo carattere compassionevole e portato alla fraternità.

Continua Grillo:

«Rahner, pur con tutti i suoi limiti, ha pensato radicalmente la tradizione e ne ha offerto riletture potenti, accurate, illuminanti. Non sorprende che chi critica Francesco non abbia mai letto davvero Rahner nella sua urgenza e nella sua disarmante profondità. Potremmo quasi dire che, se da un lato Rahner ha potuto ispirare Francesco, oggi Francesco, con il suo magistero, ci mostra nuove possibilità di interpretazione di Rahner».

Rahner non ha affatto rispetto per la Tradizione. Lo si vede dal disprezzo che nutre per la teologia scolastica, per i Concili cristologici dei primi secoli, per quelli del Medioevo fino a Trento e al Vaticano I. Egli non fa che riprendere il movimento di rottura causato da Lutero e sviluppato dall’idealismo tedesco derivato da Cartesio. Il cattolicesimo di Rahner è un falso cattolicesimo di tendenza gnostica con forti agganci alla dottrina della massoneria esoterica.

Esiste un modo costruttivo di criticare Francesco, a lui gradito, perché gli è utile, un modo motivato del tutto legittimo, relativo a suoi difetti umani, ma nel pieno rispetto della sua autorità apostolica; e questo è il mio. Ed esiste purtroppo una critica che lo colpisce ed offende nella sua dignità di Successore di Pietro, e questa è la critica degli ultraconservatori. Questi lo scambia per un rahneriano, ma se così fosse, Francesco sarebbe eretico. Il che è impossibile.

Ma, come abbiamo visto, anche Grillo scambia il Papa per un rahneriano, con la differenza dai detrattori che questi se ne dispiacciono e si sdegnano, mentre Grillo approva e ne gode. Ma gli uni e gli altri, per motivi opposti, avvicinando il Papa  a Rahner, offendono gravemente il Papa col farne comunque un eretico. Io che conosco Rahner e pubblico su di lui da 40 anni, garantisco e dimostro, come ho esposto in questo articolo, la falsità di questi accostamenti.

Prosegue Grillo:

«É singolare che oggi, nella Chiesa, vi sia un papa che sa a quali fonti abbeverare con larghezza la sua ispirazione, mentre una parte della Chiesa resta arroccata su forme “antimodernistiche” di lettura della tradizione, che, ovviamente, fanno di tutta erba un fascio e mettono, indistintamente, modernisti, Rahner e Francesco nello stesso “sacco”. Anche Galli della Loggia non è sfuggito a questa “prova di incompetenza”. Una Chiesa che legga con intelligenza K. Rahner può comprendere con profondità la propria storia degli ultimi 100 anni e anche il suo papa attuale.

Uno dei compiti che ci è dato, oggi, in quanto teologi, è di rileggere con intelligenza il pensiero dei grandi autori del 900, per liberarlo dalle letture ideologiche e incompetenti, che spesso ne hanno oscurato la autorità: il “dispositivo di blocco” passa anche attraverso una “censura previa” che impedisce agli autori di parlare. Ma abbiamo bisogno, oggi più che mai, della “parrhesia” di Rahner, del suo sguardo lucido, persino dei suoi abbagli. I suoi testi, a distanza di molti decenni, possono ancora ispirare non solo papi intelligenti e sensibili, ma tutti i cristiani che siano disposti a considerare la tradizione più un giardino da coltivare, che un museo da conservare».

Rispondo dicendo che il Papa come Papa abbevera con larghezza la sua ispirazione alla Scrittura, al magistero pontificio precedente, ai documenti del Concilio Vaticano II, alla Tradizione e a San Tommaso. Che poi, sia come Papa che come dottore privato, abbia la sensibilità e la capacità di assumere alcuni temi validi di Rahner, questo è vero. Ma affermare che il Papa sia influenzato dalle eresie di Rahner è una pura e semplice calunnia.

È vero che «una parte della Chiesa resta arroccata su forme “antimodernistiche” di lettura della tradizione, che, ovviamente, fanno di tutta erba un fascio e mettono, indistintamente, modernisti, Rahner e Francesco nello stesso “sacco”».  Questi sono i lefevriani, gli ultraconservatori e i seguaci di Don Minutella.

«Abbiamo bisogno, oggi più che mai, della “parrhesia” di Rahner, del suo sguardo lucido, persino dei suoi abbagli. I suoi testi, a distanza di molti decenni, possono ancora ispirare non solo papi intelligenti e sensibili, ma tutti i cristiani che siano disposti a considerare la tradizione più un giardino da coltivare, che un museo da conservare».

Opinione totalmente falsa. Abbiamo bisogno oggi più che mai di aprire gli occhi davanti all’immensa impostura rahneriana, che da cinquant’anni, forzando in senso modernistico le dottrine del Concilio Vaticano II, con una sistematica spudorata opposizione all’interpretazione ufficiale dei Pontefici, sta provocando uno abominevole ritorno di modernismo, assai peggiore di quello dei tempi di S.Pio X, generando scandali, defezioni, dannose divisioni e controreazioni nella Chiesa, con gravissime conseguenze nel campo dei costumi morali, impedendo al Concilio di produrre in pienezza tutti quei frutti di riforma che avrebbe potuto dare e che può ancora dare. Rahner non ha affatto considerato la Tradizione come un giardino da coltivare, ma come uno stupendo monastero italiano da distruggere come facevano i barbari germanici nei secoli bui del Medioevo,

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 settembre 2020 

 

La Tradizione come un giardino da coltivare

Immagine da internet


[1] Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009; cf anche La nuova Chiesa di Karl Rahner, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2017.

[2] Pensiamo per esempio all’opera nefasta compiuta dalle Edizioni Paoline e dalla Morcelliana.

[3] Vedi la critica all’idealismo rahneriano fatta da Cornelio Fabro nella sua opera magistrale La svolta antropologica di Karl Rahner, Editore Rusconi, Milano 1974.

[4] Vedi la mia tesi di dottorato all’Angelicum di Roma: Il giudizio per affinità nel dono della sapienza, estratto dal periodico Sapienza 1, 5-63, Bologna 1987; J.Maritain, A propos du concept, in Les degrés du savoir, , Desclée de Brouwer,Bruges 1959, pp.769-819. Per quanto riguarda la formazione del concetto di Dio, cf J.-H.Nicolas, Dieu connu comme inconnu, Desclée de Brouwer, Paris 1966.

[5] Vedi i passi di Rahner nel mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

 

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