Dio manda il
male?
Se da Dio accettiamo il bene
perché non
dovremmo accettare il male?
Gb 2,10
Se Dio è
bontà infinita, può mandare il male? La Bibbia dice chiaramente che Dio manda
castighi, sventure e flagelli, che certamente sono mali, ma mali di pena, non
mali di colpa. Ma oggi ci sono alcuni ai quali non basta dire che Dio non
spinge al peccato, ma pretendono, contro l’esplicito insegnamento della
Scrittura, che Dio non voglia o non sia causa neppure dei mali di pena, ossia
del castigo del peccato.
Ora dobbiamo
ricordare che certamente, sempre secondo la Scrittura, Dio, di per Sé, non
vuole la sofferenza e la morte di nessuno, ma vuole la vita e la felicità di
tutti. Ma siccome nel contempo vuole la giustizia e la giustizia richiede che
il peccato sia punito, in questo senso si può dire che Dio, seppure a malincuore,
se così posso dire, voglia il male di pena, fino alla stessa dannazione eterna.
Occorre però
precisare che la causa originaria e diretta della pena del peccato, non è Dio,
ma lo stesso peccatore, che, col suo peccato, che di per sè è causa di morte,
si tira addosso con la sua stoltezza, la pena del peccato, pena logica ed
inevitabile, perché è effetto intrinseco all’essenza del peccato.
Similmente
uno che tocchi i fili dell’alta tensione, non può non morire. Un peccato senza pena
non esiste, perché altrimenti non sarebbe un male ma un bene. Il peccato
infatti si definisce essenzialmente come azione punibile. Neppure Dio può fare
che il peccatore, cosciente di quello che fa, non senta turbamento nella sua coscienza
in colpa, che è appunto il castigo immediato, intrinseco, inevitabile e proprio
del peccato.
Come insegna
la Chiesa, sulla base del Nuovo Testamento, non esiste soltanto un castigo intrinseco al peccato, circa il quale
neppure Dio può intervenire, altrimenti il peccato non sarebbe peccato, ma anche
un castigo conseguente al peccato, circa
il quale Dio può operare con mitigazioni o estinzioni, castigo che può essere
temporale, proprio del peccato veniale, ed eterno per il peccato mortale. La
società civile, invece, irroga solo pene temporali, che, nei casi più gravi, si
estinguono con la morte del castigato. Possono sfuggire alla pena i delinquenti
della società civile, ma non coloro che peccano davanti a Dio, senza pentirsi e
ravvedersi.
Magari, come
ci insegna la Bibbia, Dio attende un certo tempo a punire, affinchè il
peccatore si converta. Egli manda allora qualche sventura come eventuale avvertimento.
Ma se non si converte e non ripara debitamente ai suoi peccati, Dio lo punisce
o con la pena dell’inferno o con quella del purgatorio.
Quindi anche
i castighi divini non sono solo quelli intrinseci al peccato stesso, ma, a
parte l’eternità della pena infernale, sono, come anche nella società civile,
pene temporali. Ma inoltre Dio, come insegna la Chiesa, dispone pene temporali post mortem in purgatorio, pene che possono
essere abbreviate o estinte dal suffragio offerto dai fedeli e dai sacerdoti
con la celebrazione di SS.Messe o con la pia pratica delle SS.Indulgenze.
Quindi è
vero, come dice Giobbe, che Dio manda sventure e sofferenze, che possono essere
conseguenze di nostri peccati o di peccati altrui o esser danni che ci vengono
dalla natura, e che comunque, anche in coloro tra di noi che sono i più
innocenti, per esempio i bambini, sono quantomeno conseguenze del peccato originale.
Nulla impedisce però ad un’anima santa, come è accaduto molte volte nella vita
dei Santi, se Dio la ispira, che si offra
vittima, in unione alla Vittima divina per la salvezza del popolo sofferente e
stornare su di sè i fulmini dell’ira divina.
Osserviamo
inoltre che prendere da Dio il bene è cosa ragionevole e spontanea, almeno per
chi sa ragionare, dato che Egli, bontà infinita, è causa prima di ogni bene
materiale spirituale. Invece, prendere o accogliere o accettare da Lui anche i
mali che ci capitano e che chiaramente non ci vengono né da noi stessi nè dal
prossimo, come può essere una calamità naturale o un’epidemia, è più difficile
ed anzi sembrerebbe impossibile, o un’offesa a Dio, quasi che fosse cattivo.
Giobbe
capisce che se Dio, bontà infinita, permette o addirittura manda la sofferenza,
dev’esserci un sapientissimo e misterioso motivo di giustizia, di bontà e di misericordia,
che all’uomo sfugge. È certo comunque, per lui, che Dio, nella sua onnipotenza, sa ricavare
dal male un maggiore bene. Sa inoltre che Dio premia l’innocente e lo libera
dalla sofferenza. Ha intuito che proprio mandandogli la sofferenza Dio lo
libererà della sofferenza. Ma non capisce ancora come.
Inoltre, al
di là dei suoi amici i quali sono ancora fermi al principio, in sé giusto, ma
insufficiente, che se uno soffre è perché ha peccato, Giobbe va oltre ed
intuisce che Dio può far soffrire anche l’innocente, certamente per un piano
d’amore, del quale non riesce per adesso a vederne contorni e finalità, per poi
beneficarlo più di prima, se sopporta con pazienza e fiducia. Sa che Dio è come
un buon medico che può guarire il paziente procurandogli dolore. Quello che a Giobbe
non è ancora chiaro, è come ciò potrà avvenire. Ma questo ce lo farà capire solo
Gesù Cristo.
Giobbe infatti
non sa ancora che la sofferenza dell’innocente, ma anche quella del peccatore
pentito, accolta con fiducia e amore dalle mani di Dio può avere un valore
purificativo, educativo, espiativo, soddisfattorio e redentivo, come avrebbe fatto
capire Cristo con il suo insegnamento e il suo sacrificio.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
22 marzo 2020
Grazie.
RispondiEliminaGrazie.Perfettamente condivisibile.
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