Riflessioni sul composto umano - Terza Parte (3/3)

 Riflessioni sul composto umano

Terza Parte (3/3) 

La distinzione fra anima e corpo.

Excursus storico 

La difficoltà sta qui nel fatto che da una parte è innegabile che l’individuo umano sia un’unica sostanza; ma d’altra parte esso appare come composto di due sostanze diversissime fra di loro: una, ingenerabile, intellegibile, comunicativa, immateriale, incorruttibile, aperta all’universale e all’Infinito, trasparente a se stessa, immutabile nella sua essenza, libera dallo spaziotempo: l’anima; e l’altra, generabile, percepibile ai sensi, incomunicabile, materiale, corruttibile, chiusa nel concreto e nei propri limiti, sempre in movimento, impenetrabile, immersa nello spaziotempo: il corpo.

Su questa questione i filosofi si sono divisi tra monisti e dualisti. Monisti sono gli empiristi materialisti e gli idealisti. I monisti confondono lo spirito con la materia. Gli empiristi riducono lo spirituale al sensibile, e quindi l’anima al corpo; gli idealisti riducono il sensibile all’ideale, e quindi il corpo al corpo pensato, ossia all’anima.

I dualisti sono gli induisti, i platonici, gli origeniani, i cartesiani e i kantiani. Per gl’induisti l’individuo sensibile (jivan) è vana apparenza. Solo l’anima (atman) è realtà, come l’apparire (avatar) di Brahman, l’Assoluto, puro Spirito.

Per Platone l’anima preesiste al corpo e scende nel corpo ad esso prigioniera ed illusa dal corpo, con la volontà di liberarsi dal corpo e di risalire alla contemplazione delle Idee, da dove è caduta per precipitare nel corpo.

Per Origene l’anima è stata creata all’inizio della creazione, per cui discende nel corpo nel momento del concepimento. Il corpo, dunque, non è formato dall’anima come sua forma sostanziale, ma ha già una forma per conto proprio e se ne sta per conto proprio come compagno tentatore dell’anima ad essa soggetto e da essa castigato nella vita presente, fino alla sua separazione dall’anima al momento della morte. In futuro sarà alloggio dell’anima al momento della resurrezione del corpo dei beati. C’è un platonismo mitigato, ma Origene non è riuscito a liberarsi del tutto dal dualismo platonico spregiatore del corpo per comprendere in pienezza la concezione biblica dell’uomo, più vicina a quella di Aristotele.

Per Cartesio l’uomo è un’unica sostanza in quanto fusione di anima e di corpo, che comunque restano originariamente due res, rispettivamente res cogitans e res extensa. Cartesio rifiuta il dogma dell’anima forma sostanziale del corpo, perché la concepisce come pura e completa sostanza spirituale congiunta con il corpo come sostanza materiale mediante la ghiandola pineale.

Dunque per lui c’è fusione di spirito-materia quando consideriamo la persona concretamente esistente; ma c’è dualità se consideriamo la natura umana in se stessa. Quindi l’antropologia di Cartesio si presta sia ad uno sbocco idealista, se si assorbe il corpo nello spirito, sia ad uno sbocco materialista, se si assorbe lo spirito nel corpo.

Per Cartesio l’uomo è un’unica sostanza in quanto fusione di anima e di corpo, che comunque restano originariamente due res, rispettivamente res cogitans e res extensa. Cartesio rifiuta il dogma dell’anima forma sostanziale del corpo, perché la concepisce come pura e completa sostanza spirituale congiunta con il corpo come sostanza materiale mediante gli spiriti vitali. Sorprende che Cartesio neghi l’esistenza dell’anima sensitiva nell’uomo e nell’animale e poi ricorra, per spiegare la vita neurovegetativa, alla rozza dottrina medioevale degli spiriti vitali, che suppone una grave forma o alto grado di ignoranza del modo di funzionare del sistema nervoso.

Si aveva compreso il ruolo guida del cervello, ma non si aveva ancora compreso, come oggi, la guida primaria dello spirito per la mediazione della vita psicoemotiva, il tutto facente capo all’animazione dell’anima spirituale. Per questo manca nella psicologia cartesiana la percezione di quel mondo dei sentimenti, delle emozioni, dei gusti e degli affetti amicali e sessuali, che fa da ponte fra le potenze dello spirito e i movimenti del corpo.

C’è da considerare inoltre che la sostanza è un ente completo e incomunicabile. E per questo Cartesio notoriamente non riesce a spiegare come l’uomo sia un’unica sostanza pur essendo composto di due sostanze complete.

Egli percepisce che l’essenza del corpo è distinta dall’essenza dell’anima, ma siccome confonde il sussistente con l’essenziale, non riesce a vedere che l’uomo è un unico sussistente, pur essendo composto di due parti essenziali.

Così secondo lui c’è fusione di spirito-materia quando consideriamo la persona concretamente esistente; ma c’è dualità se consideriamo la natura umana in se stessa. Quindi l’antropologia di Cartesio si presta sia ad uno sbocco idealista, se si assorbe il corpo nello spirito, sia ad uno sbocco materialista, se si assorbe lo spirito nel corpo.

Inoltre Cartesio non comprende che se il corpo ha già una forma da sé, ossia la forma dell’estensione, non potrà più essere informato dall’anima, perché una medesima materia non può essere formata da due forme, ma a due forme distinte corrispondono due materie distinte a formare due sostanze distinte.

Inoltre Cartesio non comprende che il corpo umano non è formato solo dall’estensione, ma anche dalla vita vegetativo-sensitiva, dalla quale derivano le qualità sensibili, la cui oggettività invece Cartesio non riconosce, rimandandole all’attività del senziente. Quindi Cartesio spiega meccanicisticamente solo i moti locali del corpo, ma non quelli finalistici della generazione, dell’alterazione, dell’aumento e della corruzione.

In tal modo non si vede più nell’antropologia cartesiana che senso vitale abbia la molteplicità degli organi vitali del corpo e come e perché si diversificano in esse le diverse funzioni della vita vegetativo-sensitiva. Non è più l’uomo che sente, patisce, appetisce e vegeta, ma è il corpo che funziona meccanicamente per conto proprio, tanto che alla fine ci si chiede, come hanno fatto i materialisti, se non sia sufficiente spiegare fisicamente le funzioni della vita corporea senza bisogno di ammettere un’anima spirituale.

Inoltre Cartesio, concependo il corpo come di per sé formato, non avverte la necessità di distinguere la materia prima dalla materia propria, confondendo la materia del vivente con quella del non vivente e trascurando il fatto che ad ogni forma materiale occorre la materia adatta.

L’antropologia kantiana ha una base in Cartesio con l’Io penso e il concetto dello spirito come soggetto della ragione e della legge morale. La persona si risolve nell’autocoscienza cartesiana. Contrariamente a Cartesio, per Kant, che fa avanzare l’impostazione idealistica promossa da Cartesio e Berkeley, il corpo umano non è una cosa in sé, non è una sostanza materiale sensibile ed intellegibile, ma è solo un fenomeno, sicchè anche l’anima per lui è un semplice fenomeno del senso interno, mentre lo spaziotempo nel quale sarebbe collocato il corpo. per Kant è solo ideale e non reale, in quanto forma a priori della sensibilità.

Mentre il dualismo cartesiano anima-corpo si presta all’equivoco e può volgersi in monismo, ossia nella riduzione dell’un termine all’altro, il dualismo kantiano è netto e irresolubile. Infatti in Cartesio il corpo è il corpo pensato, e qui abbiamo l’idealismo; per cui il corporeo diventa pensiero. Ma allora vuol dire che si può invertire l’equivalenza, per cui il pensiero diventa corporeo e così si cade nel materialismo.

Invece in Kant tra l’Io penso, atto dello spirito, soggetto della ragione da una parte e le inclinazioni sensibili ed affettive emananti del corpo dall’altra non si dà alcuna comunicazione o alcun contatto, perché esse vengono estromesse da Kant dall’orizzonte della volontà, unico organo dell’atto morale. E per questo, mentre l’etica cartesiana, al di là dell’apparente spiritualismo, fa l’occhiolino al sensualismo, quella kantiana è rigorista nel suo rigido puritanesimo.

La distinzione fra anima e corpo.

Analisi teoretica 

Nel distinguere anima e corpo bisogna stare attenti da una parte a non accentuare troppo la distinzione e dall’altra a non sottovalutarla. Chi esagera per eccesso confonde l’uomo con l’angelo e non spiega che cosa è e a che cosa serve il corpo umano. Chi esagera per difetto abbassa l’uomo al livello dell’animale e non spiega come fa l’uomo a capire le cose spirituali.

Da una parte abbiamo Cartesio, che nega l’esistenza dell’anima sensitiva; dall’altra abbiamo Hume, che riduce l’anima umana all’anima sensitiva. I cartesiani confondono la psicologia con la logica, riducendo il pensare al pensato, come ha fatto Husserl; i secondi riducono la psicologia razionale alla psicologia animale. I primi si dibattono in un irresolubile dualismo, che oscilla fra rigorismo e lassismo; i secondi sono il pieno ritratto dell’uomo carnale, del quale parla San Paolo.

L’anima sensitiva, come vedremo, emanazione dell’anima spirituale, fa da mediatrice fra anima razionale e corpo, perché essa è immateriale ma non spirituale, ossia non del tutto immateriale. In queste condizioni è agli ordini dello spirito e può rendersi interessante per lo spirito.

Ma in quanto la vita sensitiva ha una radice materiale, essa è una sublimazione della materia corporale che però riesce a modificare la natura stessa e il modo di agire dello spirito, così che lo spirito diventa sessuato e il sesso diventa spirituale, come intuì Freud, benché purtroppo in chiave atea e materialistica.

Ciò consente al sesso di introdurre alla comprensione dello spirito e allo spirito di esprimersi nel sesso. Questo salire dal sensibile allo spirituale e discendere dello spirito nel sensibile in fondo era già stato scoperto da Platone, sotto forma dell’esperienza estetico-erotica.

Se perdendo di vista la concretezza dell’esperienza sensibile, si pretende di sostenere, come Cartesio, che l’anima razionale muova direttamente il corpo come fosse un oggetto materiale esterno a disposizione della volontà, si manca della percezione della convenienza e proporzione ontologica fra spirito e corpo, si accentua troppo la differenza e non si riesce più a spiegare come lo spirito possa agire sul corpo. Da qui le teorie assurde della ghiandola pineale di Cartesio, dell’occasionalismo di Malebranche e dell’armonia prestabilita di Leibniz.

Ci si lusinga di essere uno spirito libero e di ampie vedute, mentre in realtà si diventa schiavi della propria superbia; mancando di umiltà, si diventa ciechi davanti alla realtà, scambiata per le proprie idee e, siccome come il diavolo sa mascherarsi da angelo della luce, si finisce per confondere lo spirito con la carne e, come per Narciso, per annegare nella contemplazione della propria vanità.

Se ci si chiude nel concreto e nel particolare, se ci si lascia immergere nei sensi, nell’immaginazione, negli istinti, nelle inclinazioni sensibili, nelle emozioni e nelle passioni, non si riesce ad elevare lo sguardo alle «cose di lassù», non ci si libera dai lacci della carne, si resta schiavi della terra, prigionieri di piaceri animali e si fallisce alla destinazione eterna della vita umana.

Anche coloro che, come Husserl, risolvono la realtà dello spirito e della coscienza nell’ente di ragione, per quanto si elevino al di sopra della mera scienza fisica, tuttavia non assurgono al vero livello metafisico dello spirito, perché sia la logica che la matematica hanno per oggetto in fin dei conti degli enti mentali, che non astraggono del tutto dalla realtà materiale, e restano quanto meno nell’ambito dell’immaginazione della quantità, che sono entità ancora legate alla sostanza materiale.

A proposito dell’influsso dell’anima sul corpo, cominciamo col fare un’osservazione elementare alla portata di tutti: l’anima è il principio e la causa della vita del vivente; essa fa sì che un corpo sia vivente, perché quando si dice «corpo» non necessariamente s’intende che sia vivente. Dando vita a tutto il corpo, essa è presente tutta in tutto il corpo; non è collocata nel corpo come fosse un organo del corpo, anche se essa agisce in modo privilegiato e direttivo nel cervello e nel cuore. 

Il livello-base della vita, comune a tutti i viventi corporei fino all’uomo, è la vita vegetativa, riscontrabile già nelle piante. Qui abbiamo il piano meramente biologico dell’autoconservazione e difesa, della motilità, dell’accrescimento, dell’autonutrizione ed autoriproduzione della specie.

Il sistema neurovegetativo è potenza vitale dell’anima sensitiva dell’animale, la quale emana da sé la potenza cognitiva sensitiva, con i sensi esterni ed interni, nonché la potenza affettiva o appetitiva sensitiva, il complesso degli istinti, delle emozioni e delle passioni. Il sistema neurovegetativo animale  viene arricchito e potenziato nell’uomo dal sistema nervoso volontario, alle dipendenze della volontà, la quale utilizza la fisiologia cerebrale per esercitare l’attività del pensiero e della comunicazione umana, per esercitare la vita di relazione, per la conquista delle virtù intellettuali e morali, per la promozione dell’attività artistica e lavorativa, per moderare le passioni, regolare i movimenti del corpo, gli istinti e l’affettività, eccitare e calmare le emozioni.

La distinzione fra anima e corpo va fatta senza spezzare l’unità della persona umana, senza contrapporre spirito e corpo e senza confonderli. Si tratta di una distinzione reale e non solo modale, perché resterebbe il monismo; non si tratta di due modi d’essere di un medesimo soggetto o due punti di vista sotto il quale considerare il medesimo soggetto, ma si tratta di due realtà che hanno un essere diverso. Dunque una distinzione reale, come tra due realtà, e non solo di ragione o modale, tanto reale che le due componenti si separano effettivamente con la morte del soggetto.

Eppure non si tratta di una distinzione perfetta, ma solo imperfetta, perché il medesimo termine (anima) si ritrova del termine opposto (corpo) aggiunto alla materia del corpo. Infatti il corpo è animato; non può essere concepito come una mera res extensa alla maniera cartesiana. L’anima è quindi distinta dall’anima-corpo. Una distinzione perfetta l’abbiamo se distinguiamo l’anima come forma sostanziale dalla materia prima. Ma ecco che solo che diamo forma a questa materia, questa forma è l’anima.

Naturalmente nel momento della morte l’anima non si separa dalla materia prima, la quale non può esistere senza una qualche forma. È chiaro che il cadavere, che si costituisce quando l’anima abbandona la sua azione vivificante, non è la materia prima, ma è una materia, come abbiamo visto, informata da una pluralità di forme chimiche, ovverosia un insieme di sostanze chimiche non più connesse fra loro dall’informazione animale, ma dalle leggi della chimica e della fisica, non influenzato dell’ambiente fisico.

Come l’anima si unisce al corpo 

Nella sostanza materiale la forma sostanziale si unisce immediatamente alla materia prima, perché non occorrono altri princìpi esplicativi della trasformazione sostanziale, ossia del fatto che una sostanza cambi forma e si trasformi in un’altra. Al momento della morte del composto umano, la sua materia prima perde quella forma sostanziale che è l’anima e assume la forma del cadavere, che però propriamente non è una sostanza, ma un aggregato di sostanze chimiche, come abbiamo visto sopra, tenute assieme per un certo tempo secondo un ordine, che corrispondeva a quello imposto dall’anima. Ma, venendo meno questo ordine, esso viene gradualmente sostituito da un nuovo ordine spaziotemporale, che è imposto dallo svolgersi dei processi chimici e dagli influssi dell’ambiente.

Il conflitto e la pace fra spirito e carne

Le conseguenze del peccato originale 

È degna di nota l’opposizione paolina di carne, sarx e spirito, pneuma. Ad essa corrisponde l’opposizione fra uomo carnale e uomo spirituale, fra uomo vecchio e uomo nuovo, tra uomo terreno e uomo celeste. Si tratta di un contrasto interiore proprio della natura decaduta. Le forze degli istinti e delle passioni sono ribelli a quelle dello spirito. Ciò genera il lassismo, l’edonismo, il sensualismo. Ma anche le forze dello spirito possono schiacciare le energie psicoemotive. Abbiamo allora la rigidezza, il rigorismo, il puritanesimo, l’origenismo, il manicheismo, l’induismo.

Il conflitto fra la carne e lo spirito è conseguenza del peccato originale, il quale, col mettere l’uomo in contrasto con Dio, ha creato per conseguenza un conflitto in tutte le dualità create che prima erano in accordo: dell’uomo con se stesso, dell’anima contro il corpo e del corpo contro l’anima, contrasto fra intelletto e senso, contrasto fra volontà e passioni, conflitto fra uomo e donna, contrasto fra singolo e società, conflitto dell’uomo con la natura, soggezione dell’uomo al potere di Satana.

Che cosa propone San Paolo? Un cammino di trasformazione, di penitenza, di conversione, di purificazione, di illuminazione, di rinuncia, di sacrificio, di rinnovamento, di svecchiamento, di liberazione, di rinnovata obbedienza, di autodominio, di accoglienza della grazia di Cristo e dello Spirito. Occorre far morire progressivamente e gradatamente l’uomo vecchio ribelle a Dio e schiavo delle passioni e sostituirlo progressivamente con l’uomo nuovo, l’uomo libero e risorto, nato dal battesimo.

Questo cammino dura tutta la vita presente. Ma già da adesso, per coloro che s’impegnano in questo cammino, è possibile pregustare, come si esprime San Paolo, delle «primizie dello Spirito» o della «caparra dello Spirito», che non significa necessariamente pura spiritualità, ma è lo stile di vita, che può essere anche fisico o sessuale, che sarà proprio dell’uomo risorto, di quello che Paolo chiama il corpo glorioso (I Cor 15, 43), «corpo spirituale» (v.45) o «spirito datore di vita» (ibid.), «uomo celeste» (v.49), corpo immortale (cf v.53).

Quali sono le condizioni nelle quali è rimasta la natura umana ferita dal peccato? Sono condizioni miserevoli, effetto del castigo divino per aver disobbedito al comando divino. Esse si trascinano per tutto il corso della vita di ciascuno e della storia. L’opera della grazia divina, nel corso della vita di ciascuno e della storia, ad esse progressivamente rimedia; ma esse nel loro fondo rimangono fino a che scompariranno del tutto nella terra dei risorti.

La natura umana col peccato originale ha perduto lo stato di innocenza, di giustizia e di grazia che le consentiva di vivere confidenzialmente con Dio nel guardino dell’Eden (Gen 3,8); essa ha perduto i doni preternaturali dell’immortalità, dell’impassibilità e del pieno dominio sulla natura, acquistando un’invincibile inclinazione al peccato e alla ribellione a Dio cadendo sotto la schiavitù del demonio.

Col peccato le facoltà umane hanno perduto il loro vigore, si sono indebolite e corrotte, le forze morali sono diventate insufficienti a realizzare perfettamente le virtù. L’uomo non è stato più capace di rimediare da solo al male che si è procurato, di recuperare quello che ha perduto, e quindi di perseguire efficacemente il fine della propria vita, Dio.

Col peccato l’uomo è precipitato in una situazione dalla quale non riesce più a venir fuori e che anzi, inclinato com’è a peccare, non gli dispiace neppure del tutto, ingannato com’è dalle passioni e dal demonio. Così le sue opere sono diventate vane e inutili; le opere buone si sono mescolate alle cattive, in modo tale da non raggiungere la sufficienza in ordine al conseguimento della felicità. Alla morte l’uomo precipita negli inferi.

La natura certamente non si è corrotta nelle sue componenti essenziali. L’uomo è rimasto un animale ragionevole. La natura si è indebolita nelle sue facoltà. Sbaglia pertanto Lutero nel credere che la ragione sia rimasta cieca ed abbia perduto il libero arbitrio. Se così fosse stato, l’uomo avrebbe perso la natura umana e si sarebbe degradato al livello della bestia; sarebbe rimasto irrecuperabile, giacchè è impossibile salvare ciò che è totalmente corrotto. Il medico guarisce il malato, sana il ferito, ma non fa risuscitare il morto.

Bisogna dunque dire che, anche dopo il peccato la ragione ci vede, ma non abbastanza. La volontà vuole il bene, quando lo vuole, ma non ce la fa a raggiungerlo. La ragione, per Paolo, resta capace di dimostrare l’esistenza di Dio e di conoscere la legge morale naturale.  Ma fa resistenza ai misteri della fede. La volontà è rimasta libera, ma soggetta alla concupiscenza. Se Paolo parla di schiavitù, egli vuol sottolineare questa debolezza della volontà, e l’affermazione non va presa alla lettera, perché in altri luoghi parla con chiarezza del libero arbitrio e degli obblighi morali necessari a conseguire la salvezza.

La resurrezione dal peccato, della quale parla S.an aolo, è effettivamente da lui presentata come una resurrezione da morte. Il vecchio uomo è sepolto nel battesimo, che fa nascere l’uomo nuovo. Se egli dice che il peccatore è «morto» (Rm 7,10), intende dire che, privato della grazia, è diventato mortale. Vive sì di una vita naturale, ma essa non basta, perché per salvarsi occorre vivere in Cristo. Occorre esser guariti da Cristo. Ora, uno che viene guarito è evidentemente ancora vivo. Il che vuol dire che per Paolo la grazia ha una funzione sanante e medicinale, il che suppone che la natura è ferita e non totalmente corrotta. 

Se Paolo dice inoltre che in lui non abita il bene (Rm 7,18), non intende dire che tutte le sue azioni siano peccato, come credeva Lutero, ma che il male si mescola al bene, sicchè la condotta morale non è sufficiente per la salvezza. Paolo ammette comunque una grazia elevante, che è quella dei figli di Dio, la quale però suppone che la nostra natura sia guarita, il che vuol dire che la grazia conduce da una vita malata a una vita sana.

Il conflitto fra la carne e lo spirito viene sanato in due modi: un modo repressivo, la vita secondo lo spirito, per la quale non si soddisfano i desideri della carne; e un modo conciliativo, ossia un’opera energica, saggia e paziente dello spirito, tesa ad assoggettare la carne per condurla alla condizione che corrisponde all’originaria volontà di Dio e soprattutto alla sua volontà escatologica, perché Dio ha creato tanto lo spirito che la carne, tanto l’anima che il corpo e vuole che siano una cosa sola.

La rinuncia alla carne è solo una misura di emergenza e di ripiego nella vita presente in quei casi nei quali la carne fa resistenza e intralcia la vita dello spirito. Ma una conoscenza precisa dei rapporti che devono intercorrere fra anima e corpo rende edotti del metodo da usare per togliere i punti di contrasto e condurre anima e corpo a quell’armonia che corrisponde alla volontà divina protologica in vista di realizzare quella escatologica.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 agosto 2022

Sophie Anderson, Il bel viso

Nel distinguere anima e corpo bisogna stare attenti da una parte a non accentuare troppo la distinzione e dall’altra a non sottovalutarla. Chi esagera per eccesso confonde l’uomo con l’angelo e non spiega che cosa è e a che cosa serve il corpo umano. Chi esagera per difetto abbassa l’uomo al livello dell’animale e non spiega come fa l’uomo a capire le cose spirituali. 

 

A proposito dell’influsso dell’anima sul corpo, cominciamo col fare un’osservazione elementare alla portata di tutti: l’anima è il principio e la causa della vita del vivente; essa fa sì che un corpo sia vivente, perché quando si dice «corpo» non necessariamente s’intende che sia vivente. Dando vita a tutto il corpo, essa è presente tutta in tutto il corpo; non è collocata nel corpo come fosse un organo del corpo, anche se essa agisce in modo privilegiato e direttivo nel cervello e nel cuore.

 

Il conflitto fra la carne e lo spirito viene sanato in due modi: un modo repressivo, la vita secondo lo spirito, per la quale non si soddisfano i desideri della carne; e un modo conciliativo, ossia un’opera energica, saggia e paziente dello spirito, tesa ad assoggettare la carne per condurla alla condizione che corrisponde all’originaria volontà di Dio e soprattutto alla sua volontà escatologica, perché Dio ha creato tanto lo spirito che la carne, tanto l’anima che il corpo e vuole che siano una cosa sola.

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