Il Dio di Abramo

 Il Dio di Abramo

Abramo è il padre di tutti noi

Rm 4,6 

Qual è l’azione pastorale più urgente? 

Il recente discorso del Santo Padre ad Ur ci mostra chiaramente qual è la sua preoccupazione pastorale più urgente: la fraternità e la pace dell’umanità su questa terra. Viene in mente la famosa enciclica di San Giovanni XXIII Pacem in terris.

È ormai chiaro che cosa intende Papa Francesco con la sua espressione «Chiesa in uscita»: una Chiesa che, mettendo da parte le sue difficoltà interne, ha compreso che oggi come oggi la necessità pastorale più urgente, anche se non quella più elevata, è fare il possibile per promuovere la fratellanza umana messa in pericolo da un’umanità traviata dimentica di Dio, ragione ultima della fraternità e quindi della pace fra gli uomini.

Nell’azione pastorale occorre infatti distinguere i fini più elevati da quelli più urgenti, che non coincidono sempre con quelli più elevati.  La spiegazione della Parola di Dio e l’amministrazione dei sacramenti per il pastore è un’attività più elevata che soccorrere e richiamare gli uomini credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, cattolici e non cattolici, al loro senso di responsabilità come persone umane di uguale dignità, tutte chiamate ad adorare il medesimo unico e vero Dio, se vogliono tra loro pace e concordia e la comune soluzione dei problemi vitali, che attanagliano oggi un’umanità, che si sta smarrendo e disintegrando divisa dall’odio reciproco e rischia di essere distrutta da un’immane conflagrazione atomica.

Il Papa non si occupa del contrasto fra modernisti e tradizionalisti, fra rahneriani e lefevriani, fra il Card. Kasper e il Card. Burke, fra il Card. Müller e il Card. Madariaga, fra il Card. Brandmüller e il Card. Lehmann, fra Mons. Schneider e Mons. Sorondo, fra Mons. Negri e Mons. Forte, fra Mons. Gherardini e Mons. Galantino, fra Mons. Livi ed Enzo Bianchi, fra Andrea Grillo e Mons. Williamson, fra Don Davide Pagliarani e Kiko Arguello, fra Roberto De Mattei e Alberto Melloni, fra Padre Radclyffe e Padre Lanzetta, fra Don Minutella e Don Verzè, fra Padre Sosa e Padre Livio, fra Padre Spadaro e Mons. Carlo Maria Viganò, fra Leonardo Boff e Plinio Correa de Oliveira, tra Aldo Maria Valli e Andrea Tornielli, tra Marco Tarquinio e Eugenio Tosatti.

E questo, non perché il Papa non sia consapevole di questi contrasti fra opposti estremismi, ma perché si è accorto che ad un’umanità «che non sa distinguere la mano destra dalla mano sinistra» (Gen 4,11) e che rischia di confondere l’umano  col disumano, prima di spiegarle il mistero della Santissima Trinità o il valore cristiano della sofferenza o l’essenza della visione beatifica o i dogmi mariani o quello di Calcedonia, ma proprio con l’intento ultimo di arrivare a questo annuncio, occorre creare nel prossimo le condizioni anche economiche per renderlo disponibile ad accogliere i misteri soprannaturali della fede cattolica.

Si tratta di quel modo di evangelizzare che Cristo stesso ci ha insegnato con la sua condotta e le sue parole iniziando col dialogo e con l’esempio della misericordia fraterna e passando successivamente all’annuncio esplicito dei misteri del regno, ben sapendo che avrebbe pagato con la vita questo annuncio.

Questo metodo educativo e formativo è quello richiesto dal normale cammino della mente umana, che apprende le cose passando dalle causate alla loro causa, dalle visibili a quelle invisibili, dalle materiali alle spirituali, dalle umane alle divine, dalle terrene alle celesti, dalle razionali alle rivelate, dalle naturali alle soprannaturali. Primum ditari – dicevano gli antichi - deinde philosophari.

Alcuni suggerimenti a Papa Francesco

Se tuttavia è bene apprezzare questa linea pastorale del Papa, non è neppur male ascoltare alcune obiezioni e darvi risposta. Alcuni obiettano sostenendo che, proprio al fine di rendere credibile al mondo la sua predicazione a favore del dialogo interreligioso, della pace e della fratellanza, Francesco dovrebbe ritenere più urgente ottenere o quanto meno adoperarsi per il dialogo, la riconciliazione e la pacificazione degli opposti estremismi dei modernisti e dei lefevriani, giacchè pare controproducente presentare al mondo una Chiesa così interiormente divisa, con la pretesa di essere maestra di pace e di riconciliazione al mondo, mentre Cristo ha avvertito che i suoi discepoli si riconosceranno dall’amore reciproco esercitato fra di loro (Gv 13,35).

Si può rispondere dicendo che Papa Francesco trova probabilmente più facile e forse più consona alle sue particolari doti pastorali questa attività di appello all’intera umanità e alle religioni, del resto in perfetta linea col Concilio, e forse si sente meno capace - e si capisce, data la sua gravità - di affrontare la gravissima opposizione fra i due partiti dei modernisti e dei lefevriani, ognuno dei quali esercita una biasimevole opposizione al Papa: una, quella modernista, subdola, celata da una finta amicizia  e caratterizzata da servilismo e condotta adulatoria.

L’altra è quella dei lefevriani, capace solo di lamentarsi e redarguire con animo livoroso e saccente trasformando la Tradizione in un idolo, ostinatamente chiusa alle interpretazioni benevole; un’opposizione aperta, ingiusta, martellante e spietata.

In mezzo c’è il povero popolo dei cattolici normali, fedeli a Francesco, un gregge sballottato a destra e a sinistra da preti, religiosi, moralisti, teologi ed intellettuali  in conflitto e perenne litigio fra di loro, senza conforto o assistenza da parte dei vescovi, che non si facciano vivi,  tanquam non essent,  un popolo che si arrangia come può, sconcertato, sofferente, calunniato, strattonato e corteggiato dalle due parti.

Questo popolo, che è la vera Chiesa, che ha capito il vero significato e la vera utilità del Concilio Vaticano II, pur coi suoi difetti pastorali, fedeli che sanno distinguere il Concilio in sé stesso come magistero infallibile della Chiesa dalla sua falsificazione modernista, questo popolo costituisce, assistito dallo Spirito Santo mediante i suoi profeti e il sensus fidelium, un fattore indispensabile di mediazione fra le due parti. Esso è, nelle mani di Papa Francesco, strumento preziosissimo di riconciliazione e di pace nella Chiesa.

Le cose che secondo me dovrebbe fare Papa Francesco per sanare questo doloroso e scandaloso conflitto fra modernisti e tradizionalisti, dovrebbe essere

 1. innanzitutto quella di aver maggior cura del suo linguaggio, in modo tale che non si presti ad equivoci o malintesi o a strumentalizzazioni;

2. non ripetere senza spiegarle frasi che hanno suscitato polemiche tra i due partiti;

3. dovrebbe chiarire il senso di certe sue affermazioni che destano scandalo nei tradizionalisti e vengono intese in senso modernista dai modernisti;

4. correggere le deviazioni dei modernisti e dissociarsi dalle strumentalizzazioni delle quali egli è da loro fatto oggetto;

5. rispondere alle obiezioni e alle difficoltà dei tradizionalisti;

6. riconoscere che, mentre le dottrine del Concilio sono insegnamenti vincolanti in coscienza ed assolutamente veri, benché non ci siano definizioni dogmatiche,  insegnamenti che confermano e sviluppano la tradizione, la parte pastorale del Concilio, dopo sessant’anni di sperimentazione, si è rivelata bisognosa di alcune correzioni e modifiche, che, senza smentire il recupero dei valori della modernità, allontanino il rischio del buonismo e di una visione eccessivamente positiva ed indulgente del mondo moderno.

Ma il nostro Dio è lo stesso che il loro?

A questo punto, però, nasce un problema: alcuni ritengono che il confronto fra il concetto cristiano di Dio e quello islamico di Dio non implichi un problema di vero e di falso. Per costoro, cioè, non si tratta di stabilire chi ha ragione e chi ha torto, ma si tratterebbe di una semplice diversità di punti di vista, una diversità di opinioni su di un tema circa il quale nessuno è in possesso della verità così da poter dire all’altro: tu sbagli. Anche se l’altro non la pensa come noi, dobbiamo rispettare la sua opinione.  Sarebbe infatti per loro come chiedersi chi ha ragione fra chi preferisce gli spaghetti e chi preferisce i maccheroni.

Secondo costoro il Papa penserebbe a questo modo, per cui il suo rifarsi al Dio di Abramo non sottende che noi cristiani e loro musulmani abbiamo lo stesso concetto di Dio. Magari si domandano: chissà che concetto Abramo aveva di Dio? Che ne sappiamo? Neanche il Papa lo sa. Costoro non hanno quindi alcun problema a vedere un Papa – cosa mai successa finora, ma era ora che succedesse – parlare a musulmani del Dio di Abramo come se il concetto di questo Dio fosse lo stesso del nostro.

 Costoro intendono che il Papa si è espresso come si è espresso supponendo falsamente che il Papa non riconosca che su Dio si può ammettere il vero ma anche il falso e per questo, secondo loro, tra le religioni esiste solo diversità e nessun errore, così come chi preferisce gli spaghetti non dice che chi preferisce i maccheroni sbaglia, ma semplicemente che ha gusti diversi.

Essi credono falsamente che il Papa ritenga che la concezione cristiana di Dio non sia la migliore di tutte le altre religioni, ma sia un’opinione fra le altre, alla pari delle altre. Il Papa saprebbe benissimo che la nostra opinione in merito contrasta con l’opinione dei musulmani, giacchè nessuno saprebbe veramente che cosa Abramo pensasse di Dio. Ma si tratterebbe di una mossa diplomatica del Papa simile a quella colui, che, parlando a due persone, delle quali una ama gli spaghetti e l’altra i maccheroni, dicesse che essi amano la pasta, senza giudicare delle preferenze dell’una e dell’altra, e senza far questione di chi ha ragione, perché non avrebbe senso.

Vi sono invece altri, ai quali sta bensì a cuore sapere qual è la verità su Dio, alcuni che sanno benissimo che su Dio non esistono solo opinioni, ma anche verità di fede certissime e necessarie alla salvezza di tutti, sanno benissimo che la concezione cristiana di Dio è l’unica vera fra quella di tutte e altre religioni, però esprimono questa convinzione dicendo, per esempio, che il Dio cristiano è quello vero, mentre il Dio del Corano è falso, è un idolo.

Il Dio di Abramo come lo intende il Corano, non sarebbe il vero Dio uno ed unico, ma un idolo. Altri, come ho detto, sostengono che neppure noi cristiani sappiamo che concetto Abramo si era fatto di Dio. Per questo, secondo loro, Papa Francesco, pretendendo di rivolgersi al Dio di Abramo come fosse un Dio comune a noi cristiani ed ai musulmani, avrebbe camminato sull’incerto o, come dicono altri più audacemente, sul «vuoto».

Ora, bisogna dire che per noi cattolici un Papa o un Concilio, quando, come dottori della fede, trattano di Dio o dei suoi attributi, anche esprimendo valutazioni o giudizi sulla concezione di Dio delle altre religioni, sono infallibili.  Per questo, l’insegnamento del Concilio Vaticano II circa il concetto e gli attributi di Dio nella religione islamica, è da recepire con ossequio della mente e della volontà come insegnamento autentico della Chiesa, anche se non è formulato a modo di definizione dogmatica e tuttavia è da accogliere come assolutamente vero ed espressione della divina Rivelazione.

Supporre, quindi, che il Papa, parlando ai musulmani del Dio di Abramo e anche invocandolo insieme con loro e a nome loro nella preghiera, possa essersi sbagliato nell’interpretare quale concetto Abramo si era fatto di Dio e qual è la concezione che si fanno i musulmani, considerando che il Papa riprende quanto il Concilio stesso insegna su questo argomento, vuol dire mancare di rispetto per l’autorità dottrinale del Papa, cosa inammissibile per un cattolico.

Possiamo e dobbiamo pregare assieme

Alcuni, come Mons. Schneider, obiettano che questo nostro pregare insieme con i musulmani è un atto di irriverenza verso la Santissima Trinità, perché, essi dicono, noi cristiani, quando preghiamo, non preghiamo il semplice Dio Uno della religione naturale, ma il Dio Trino della fede.

Questo è vero. Ma Mons. Schneider evidentemente non ha recepito la distinzione fra preghiera cristiana e preghiera interreligiosa introdotta dal Concilio nella Nostra Aetate 3, distinzione che spiega e giustifica la preghiera interreligiosa, praticata ormai sin dai tempi di San Giovanni Paolo II.

Essa può essere paragonata alla richiesta fatta ad un Capo di Stato da parte di una delegazione di cittadini, per chiedere una grazia. Facciamo ipotesi che in questa delegazione alcuni membri conoscono tutte le competenze del Capo dello Stato in questo campo, mentre altri ne conoscano solo alcune, tra le quali appunto quella richiesta di grazia sulla quale tutti i membri hanno concordato.

Che cosa importa se alcuni membri della delegazione non conoscono tutte queste competenze? L’importante per alimentare la speranza di essere ascoltati ed esauditi dal Capo dello Stato è che tutti hanno fiducia nel Capo dello Stato e tutti sono d’accordo nel chiedergli la medesima grazia, sapendo che è nelle sue facoltà concederla. 

A nessuna persona sanae mentis verrebbe in mente di pensare che, siccome tra i membri della delegazione c’è un avvocato costituzionalista accanto al garzone del fornaio, il Capo dello Stato per il primo non sia il medesimo che per il secondo, ma si tratti di due persone diverse: una per l’avvocato e l’altra per il garzone.  Allo stesso modo ragionano o sragionano coloro che dicono che il Dio di noi cristiani non è lo stesso Dio del Corano, come se si trattasse di due dèi diversi: quello vero sarebbe il Dio cristiano, mentre quello del Corano sarebbe un idolo, come dice Magdi Allàm.

In base a queste considerazioni, dobbiamo dire che con tutto l’ateismo che c’è in giro, il poter pregare assieme cristiani e musulmani il Dio di Abramo è già una grande grazia per tutti e un potente appello agli atei a convertirsi a Dio. Per questo, la Preghiera che il Santo Padre ha fatto ad Ur è un esempio ed un modello magnifico datoci dal Vicario di Cristo.

È stato un evento di portata epocale che apre l’animo di tutti alla speranza. Non era mai accaduto infatti dalla nascita dell’islam 14 secoli fa che un Romano Pontefice, consenzienti gli Islamici, in terra islamica peraltro minacciata dal terrorismo, si rivolgesse a Dio per chiedere a nome di tutti gli uomini di buona volontà il dono della concordia, della giustizia, della riconciliazione, della misericordia, della fratellanza e della pace.

È chiaro che in una preghiera interreligiosa, condotta nel rispetto della coscienza altrui, non possiamo chiedere a Dio altro che ciò che la ragione e la religione naturali ci suggeriscono di chiedere a Dio. Ma nessuno impedisce a noi cristiani, quando ci troviamo assieme nella condivisione della nostra santissima fede, di supplicare la Santissima Trinità, affinché illumini la mente e scaldi i cuori dei musulmani e li conduca a Cristo ed alla Chiesa cattolica.

L’errore di chi crede che non preghiamo lo stesso Dio

 Occorre tuttavia dare una risposta alla suddetta obiezione facendo una distinzione, perché non è priva di un lato di verità. Essa però dipende da un serissimo equivoco consistente nel fatto che l’obiettore, forse senza rendersene conto, è caduto nella trappola dell’idealismo hegeliano, che riduce il reale al concetto del reale, e quindi scambia per realtà le idee che ha in testa, magari anche giuste. Costoro, infatti confondono il concetto di Dio con la realtà di Dio. Per loro, in ultima analisi, il concetto di Dio che hanno loro è Dio.

Invece non è così, benché il concetto di Dio come Trinitario sia giustissimo e il più alto concetto di Dio, rivelato da Cristo stesso, del quale la mente umana, illuminata dalla fede, è capace. Questo concetto rappresenta certo Dio, ma in fin dei conti è un’entità mentale, è un contenuto della nostra mente, formato dalla nostra mente, ma non è assolutamente quel Dio creatore, che esiste in sé stesso, fuori, e indipendentemente dalla nostra mente, prima e al di sopra della nostra mente.

È chiaro dalla Sacra Scrittura che il Dio di Abramo è lo stesso che il Dio di Mosè, Colui che è, l’Io sono, l’ipsum Esse per se subsistens di San Tommaso: lo ha rivelato Egli stesso a Mosè. Ed è notorio che Cristo è figlio di Abramo. Se dunque c’è chi adora sinceramente e con cuore puro il Dio di Abramo ignorando in buona fede che è lo stesso Dio di Mosè e di Cristo, è già in comunione col Dio Trinitario senza saperlo e va in paradiso.

Dio è lo stesso per tutti,

ma non da tutti è conosciuto allo stesso livello

Si deve dire che Dio, in se stesso, nella sua realtà, è uno solo e il medesimo per noi e per loro, è lo stesso Dio. Diversi invece sono i concetti di Dio che noi e loro abbiamo. Quindi in tal senso si può dire che il nostro Dio non è il loro, nel senso che ciò che noi cristiani sappiamo di Dio è infinitamente di più di ciò che sanno loro, perché il Dio dell’Islam, come il Dio di tutte le religioni monoteistiche, Ebraismo compreso, non è altro che Dio conosciuto dalla ragione e quindi dalla religione naturale, fondamento della fratellanza universale, regolata dalla legge morale naturale.                                                                                                                                                                                            

Per questa fratellanza siamo figli di un unico Dio Padre, non nel senso trinitario, ma in senso metaforico, mentre il Dio trinitario, conosciuto nella fede grazie alla rivelazione cristiana, è il fondamento della figliolanza e fratellanza cristiane, soprannaturali, fondate sul battesimo. Non c’è dubbio che Dio è il Dio trinitario e che Dio è Trinità e che la Trinità è Dio. Ma è possibile, per mezzo della semplice ragione, sapere che Dio esiste, conoscere gli attributi della sua natura[1], senza avere, e non per colpa propria, quella fede teologale che consente di sapere che Dio è trino.

Oppure è possibile sapere che Dio esiste, come per esempio il musulmano e rifiutare il mistero trinitario non per malizia, ma per errore o equivoco invincibile. Dio è il medesimo per i cristiani e per i musulmani, anche se costoro non ammettono in buona o cattiva fede che Dio è Trino. Questo Dio, che è il Dio trinitario, è comune agli uni e agli altri, perché è il creatore e il Salvatore degli uni e degli altri, benché non sia conosciuto allo stesso livello di conoscenza dagli uni e dagli altri.

Il Dio di Abramo, riconosciuto da noi cristiani e dai musulmani,

è il vero ed unico Dio di Mosè e di Gesù Cristo 

Sebbene il Corano presenti la figura di Abramo con alcuni aspetti leggendari, che non coincidono con quelli presentati dalla Sacra Scrittura, è evidente che il Corano e la Bibbia si riferiscono con somma venerazione alla stessa persona per i caratteri essenziali con la quale la descrivono: il profeta che per primo, nella storia dell’umanità, ha abbandonato il politeismo e l’idolatria presente nel proprio paese e tra gli stessi suoi familiari.

Abramo, secondo la Bibbia, è colui, che, nell’umanità decaduta dopo il peccato, per primo ha scoperto con chiarezza l’esistenza dell’unico vero Dio, un Dio che lo ha affascinato ed attratto, un Dio che gli si è rivelato nella sua sconfinata bontà e generosità sì da promettergli di essere padre di un’infinita moltitudine di genti.

Questo Dio, come è noto, esorta Abramo a lasciare la sua patria Ur: 

 

 «Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che Io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò» (Gen 12, 1-2).

 

La Scrittura ci presenta la decisione di Abramo di lasciare la sua terra come obbedienza a un comando divino. Ma ciò non esclude una parte umana in tale decisione, e cioè è possibile che Abramo sentisse il bisogno di una migliore sistemazione umana ed economica. Come deduciamo dalla rivelazione divina fatta a Mosè della terra promessa, Dio presenta ad Abramo e ai suoi discendenti la prospettiva di una terra «dove scorre latte miele» (Es 3,8). Non è altro, come poi Abramo scoprirà, che la Palestina, allora chiamata «paese di Canaan» (Gen 13,12; 16,3).

Ma nel contempo non c’è da dubitare che Abramo, dopo aver scoperto il Dio Altissimo, il Dio del cielo, decidesse di emigrare anche per liberarsi dall’ambiente idolatrico nel quale viveva e trovare una terra dove poter render culto liberamente al suo Dio. 

la Lettera agli Ebrei ci presenta un Abramo assetato di una patria celeste nell’oltretomba. Essa dice che Abramo

 

 «soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11, 9-10). Abramo, secondo la medesima Lettera, lasciò la sua patria perché aspirava ad una «patria migliore, cioè quella celeste» (Eb 11,14).

 

È vero che Abramo s’innamora del Dio del cielo. E ciò suppone certamente, almeno in modo implicito, una segreta aspirazione al cielo, che però, per la verità, non risulta esplicitamente seguendo le vicende della sua vita, certo ispirate all’obbedienza a Dio, con episodi di grande pietà religiosa, ma nel contempo segnati da grossi affari e guadagni terreni, atti guerreschi, agitate vicende coniugali, poligamia e polemiche, nessun accenno di ascetismo o di austerità, che saranno il segno della santità cristiana assetata di vita celeste.

Resta tuttavia che la figura di Abramo è grandissima per aver capito su Dio  

le cose seguenti:

1.   La vera divinità non può essere che una sola, perché essa deve contenere tutte le perfezioni, che invece sono sparpagliate nel politeismo. Quindi non è possibile che esista un dio che non ha quello che ha un altro dio. Il vero Dio deve avere e deve essere tutto ciò che di vero e di buono può esistere. Il politeismo dunque è falso.

2.  La vera divinità non può essere un idolo fatto dall’uomo, perché è Dio che crea l’uomo e non viceversa. Il vero Dio protegge ed aiuta l’uomo; ma come fa l’uomo a trovare aiuto e protezione in qualcosa che egli stesso ha prodotto, fragile come lui?

3.    Il vero Dio non può essere un dio fra altri dèi alla pari di lui, indipendenti da lui. Il vero Dio deve dominare tutto, dev’essere al di sopra di tutto, perché deve contenere in sé tutte le perfezioni, anche le più sublimi, dev’essere, per dirla come avrebbe detto 5200 anni dopo Sant’Anselmo, id quo nihil maius cogitari potest. Dev’essere l’ottimo, il sommo e il massimo.

4.    Ma come possiamo rappresentare questo concetto? Con quali immagini? Abramo ne inventò due, molto efficaci e molto intuitive: quella dell’altezza e quella del cielo. Esse si corrispondono, perché il cielo è in alto. Da qui l’attributo del vero Dio: Egli è l’«Altissimo», il «Dio degli dèi» (El eliòn), al di sopra di tutti gli dèi, «creatore del cielo e della terra» (Gen 14,22). Egli è al vertice di tutta la realtà, la quale dipende da Lui perché l’ha creata.

5.    Abramo capì che, essendo Dio creatore dell’uomo, ed essendo l’uomo una persona, Dio non poteva che essere supremamente un Dio personale, quindi un Dio provvidente, che parla all’uomo, interloquisce con lui, ascolta le sue preghiere e le sue suppliche, gli mostra la sua volontà, lo guida sulla via del bene, lo protegge e lo salva.

6.    Abramo concepì Dio come un Signore, col quale stabilire un patto, un contratto di lavoro: il Signore dà al lavoratore un lavoro da fare, protegge il lavoratore contro i nemici, lo aiuta nel lavoro, gli promette di compensarlo quando avrà terminato il lavoro, a patto che il lavoratore abbia compiuto il lavoro obbedendo alle sue direttive. Si tratta di ciò che la Bibbia chiama «alleanza» (berìth) fra l’uomo e Dio.

7.   Abramo, da uomo umile, onesto e religioso, ha coscienza di essere peccatore e di dover riparare davanti a Dio, per cui ha capito che occorre offrirGli sacrifici per ottenere il suo perdono, la sua benevolenza e la sua grazia. Ha capito anche che bisogna sacrificare a Dio ciò che si ha di più prezioso, perché è giusto che Dio, dal quale ci vengono i beni più preziosi, riceva da noi ciò che abbiamo di più prezioso.

8.   Abramo sa che Dio ha per ciascuno di noi un meraviglioso piano di salvezza. Ma questo piano per noi è misterioso: ce lo deve rivelare Lui. Egli non manca di rivelarcelo, ed è veramente un piano stupendo, che ha dell’incredibile, considerando la nostra piccolezza e la nostra miseria.

9.   Occorre allora che ci fidiamo di quello che Dio ci comanda di fare perché in noi possa realizzarsi questo piano.

10.                   Abramo sa che Dio ci vuol mettere alla prova per vedere se veramente ci fidiamo di Lui. Non si tratta di un’un’autentica verifica da parte di Dio, perché Egli sa benissimo in anticipo quali sono le nostre forze e quale sarà la nostra risposta, ma si tratta di un’azione divina con la quale Dio, facendoci superare la prova grazie al suo aiuto, vuole darci la gioia di aver superato la prova e di amarlo più di prima.

11.                   Abramo ha capito che questa messa alla prova consiste nel fatto che Dio ci comanda qualcosa che sembra in contraddizione con le sue promesse oppure consiste nel chiederci di metterci a totale disposizione della sua guida e della sua volontà, momento per momento, pronti a grandi rinunce, senza sapere in anticipo dove esattamente ci vuol condurre e come ci libererà dai pericoli che temiamo, con l’assoluta fiducia che obbedendoGli, tutto andrà bene e anche meglio di quanto immaginavamo. E così di fatto succede. Per questo, avendo sperimentato la sua lealtà, siamo pronti ad affrontare prove ancora più grandi, certi che anche in quelle circostanze, se rimaniamo fedeli, non mancherà il suo aiuto.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 14 marzo 2021


Visita di cortesia al Grand Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani a Najaf

Viaggio Apostolico in Iraq (5-8 marzo 2021) - da:                   http://www.photogallery.va/content/photogallery/it/eventi/iraq2021.html

 

 


[1] Cf R.Garrigou-Lagrange, Dieu, Son existence et sa nature, Beauchesne, Paris 1950.

13 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    sulla preghiera interreligiosa, pur apprezzando questa sua pregevole e stimolante riflessione, io avverto un certo disagio interiore.
    Quando recitiamo il “Padre nostro”, pur essendo tale preghiera rivolta a Dio Padre, nella nostra intima partecipazione, nel profondo del nostro cuore… noi non escludiamo Colui che ce l’ha insegnata, il Verbo incarnato, né lo Spirito Santo, amore increato, donatoci dal Padre e dal Figlio, che nello stesso pregare ci assiste.
    Come posso allora, da cattolico battezzato e cresimato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo, durante la preghiera interreligiosa rivolgermi soltanto al Dio abramitico, escludendo interiormente Nostro Signore Gesù Cristo e lo Spirito Santo? Sarebbe come operare una sorta di “sospensione” della mia fede per “rispetto della coscienza altrui”, in attesa di potermene pienamente riappropriare quando di nuovo mi troverò a pregare coi soli fratelli in Cristo. Ma quale passo della Scrittura mi autorizzerebbe a compiere una tale dolorosa mutilazione, sia pur temporanea, del mio credo?
    Non mi è possibile. Dunque, trovandomi a recitare la preghiera interreligiosa, pur rivolgendomi al Dio di Abramo, non potrei far a meno di sapere e sentire, nel profondo, che Egli è il Padre che da sempre genera il Figlio nello Spirito Santo.
    Ma in un’analoga situazione interiore verrebbe a trovarsi il fratello musulmano che sta recitando, accanto a me, la stessa preghiera interreligiosa. Si rivolgerebbe sì al Dio abramitico, ma a suo modo “sapendo” e sentendo che Egli coincide con l’Allah, assolutamente non trino, che nulla ha che fare con il Crocifisso, in quanto l’Uomo sulla Croce, per l’Islam, non era nemmeno Gesù di Nazareth.
    E poi se davvero amo cristianamente il mio prossimo, ovvero mi sta a cuore soprattutto la sua salvezza eterna, mentre recito la preghiera interreligiosa o al termine, dovrei, nei riguardi del fratello islamico, rinunciare a chiedere per lui che possa trovare la luce della vera fede trinitaria, oppure pregare: “Signore, oggi, in questo momento, non posso chiederti di illuminare questo mio fratello in Abramo, perché non sarebbe rispettoso nei suoi riguardi… ma alla prima occasione in cui potrò, certamente te lo chiederò”. Che senso avrebbe un atteggiamento del genere? Mentre manifesto al Signore un’intenzione buona come preghiera di intercessione, chiedo nel contempo a Dio di aspettare ad esaudirla…
    Naturalmente, non è difficile immaginare anche in questo una reciprocità da parte del musulmano che, con le migliori intenzioni dalla sua prospettiva, non potrà esimersi dal pregare Allah che aiuti a far capire al povero cristiano, che gli prega accanto, che Dio non può avere figli perché non ha moglie, ecc…
    Ecco allora che, nella preghiera interreligiosa, noi cristiani accanto ai musulmani, pur pronunciando insieme le medesime parole rivolte al Dio di Abramo, quasi inevitabilmente, dal nostro intimo, comunicheremmo al Signore, anche: pensieri, devozioni ed intenzioni discordanti e contradditorie tra loro.
    E’ lecito allora domandarsi se una siffatta preghiera, al di là dei possibili benefici effetti sulla pace e la fratellanza umana, sia davvero gradita a Dio.

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    1. Caro Bruno, si può spiegare la preghiera interreligiosa in una maniera molto semplice. Pensa al rapporto di una maestra con lo scolaro. Cosa fa la maestra? Comunica allo scolaro una nozione, che lei già conosce, e che lo scolaro capisce. Che cosa succede? Che lei e lui condividono la stessa verità. Tuttavia la maestra, nella sua mente, possiede molte altre nozioni, che il bambino sul momento non potrebbe capire, per cui non è il caso che gliele comunichi, ma essa le tiene per sé, aspettando che il bambino un po' alla volta, ascoltando l'insegnamento della maestra, impari quelle nozioni che per adesso non sarebbe in grado di capire o che potrebbe fraintendere.
      Spero che tu abbia capito questa metafora. Infatti possiamo paragonare il bambino al musulmano e la maestra a noi cristiani. A questo punto tu capisci bene che la maestra, nascondendo al bambino le nozioni che essa già possiede, non smentisce affatto queste nozioni, ma anzi fa un atto di carità e di prudenza nei confronti del bambino, il quale, se venisse a conoscere all'improvviso una di quelle nozioni, potrebbe non comprendere o scandalizzarsi.
      Anche Gesù ha usato questa metodologia, quando ha detto ai suoi apostoli: "Altre cose avrei da dirvi, ma per adesso non siete capaci di portarne il peso".
      D'altra parte, quando recitiamo i Salmi, preghiamo Dio senza citare la Santissima Trinità.
      Questa preghiera è gradita a Dio? Certamente, perchè a Lui piace che preghiamo assieme, come uomini ragionevoli di buona volontà. D'altra parte Dio vede le buone intenzioni di tutti, e quindi scusa l'ignoranza invincibile di tutti, anche nostra, e accoglie quel tipo di preghiera, da parte di tutti, che ognuno di noi è capace di esprimere con amore, entro i limiti delle nostre conoscenze.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    la metafora della maestra che insegna una nozione al bambino per cui, nella preghiera interreligiosa, il ruolo della maestra spetta a noi cristiani e quello del bimbo agli islamici, se come strategia pastorale può sembrar valida ai fini della missione cristiana, non potrebbe certo essere condivisa dagli islamici se a loro palesata, oppure potrebbe essere parimenti adottata da loro stessi, a parti invertite.
    Ma in entrambi i casi, nello spirito dell’amicizia sociale, non sarebbe molto corretta, perché a fronte di un esplicito patto teso a rinsaldare un rapporto fino alla fratellanza, celerebbe un secondo fine, da una o da ambedue le parti, poco confessabile…
    Peraltro, ho qualche dubbio che il Santo Padre approverebbe tale interpretazione della preghiera interreligiosa, pur in privati colloqui e in presenza di soli cattolici.

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    1. Caro Bruno, ti rispondo nei seguenti punti.
      1) Si suppone che si tratti di musulmani in buona fede, aperti alla verità. E’ evidente infatti che coloro che pretendono di avere ragione contro di noi, ci rimarranno ostili.
      2) In questo metodo non c’è nessun inganno e nessun secondo fine, ma si tratta del normale metodo pedagogico per il quale l’insegnante nasconde allo scolaro le nozioni che successivamente l’insegnante gli insegnerà, non perché tali nozioni non siano benefiche per lo scolaro, ma semplicemente perché sul momento lo scolaro non è in grado di intenderle o potrebbe fraintenderle, come può succedere per l’Eucarestia e la Santissima Trinità.
      3) E’ comprensibile che i musulmani, se hanno accettato la preghiera del Papa, però nel loro intimo mantengano il loro contrasto con la nostra fede e segretamente si propongano di imporci la loro fede. Ma tu capisci che un atteggiamento del genere è ben diverso dal nostro, perché, mentre nel nostro caso noi cristiani, senza merito nostro, conosciamo la pienezza della Verità, loro, siano o non siano in buona fede, purtroppo, come è noto, rifiutano alcuni misteri di fede che riguardano Dio e che ci sono stati rivelati da Gesù Cristo.
      4) Devi considerare la differenza di metodo tra noi e loro nel proporre i contenuti della fede. Infatti, come sappiamo bene, noi cristiani, almeno in linea di principio, sentiamo l’obbligo di proporre il Vangelo con gradualità, nel rispetto della libertà di coscienza altrui, producendo delle prove e dei segni di credibilità, attendendo con pazienza la conversione del fratello, pregando per lui, dando l’esempio di obbedienza al Vangelo, sapendo che la grazia in ogni caso li sollecita alla conversione.
      Invece sappiamo come purtroppo spesso il loro metodo sia di tipo impositivo e facile alla minaccia, il che rischia di condurre non ad una fede convinta, ma ad una fede per paura. E si tratta appunto di quello che il Papa chiama “proselitismo”.
      5) Considerando queste cose, possiamo essere sicurissimi che questo è il metodo che sta seguendo il Santo Padre, perché non possiamo non essere convinti del fatto che egli, come nostra guida nella predicazione del Vangelo, nutre la ferma speranza che anche i musulmani si avvicinino a Cristo.
      Infatti Gesù Cristo è morto in croce anche per loro.

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  3. Sul fatto che recitando i salmi non si citi (esplicitamente) la Trinità, sono d’accordo; ma sul piano della partecipazione interiore più profonda, ciò resta valido soltanto “prima” della nascita, Passione e Resurrezione di Cristo.
    Dopo, da parte di chi ha abbracciato la fede cattolica, vale per me quanto ho già detto riguardo al “padre nostro”: qualsiasi preghiera reciti non posso e non debbo dimenticare o rimuovere dal mio intimo il Figlio e lo Spirito Santo.
    Del resto, lei mi insegna che la Sacra Bibbia deve essere letta come un’unica Rivelazione, l’Antico Testamento alla luce del Nuovo… e quanti rimandi troviamo tra i Salmi e gli stessi Vangeli.

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    1. Caro Bruno, anch’io naturalmente leggendo i Salmi penso sempre alla santissima Trinità, perché noi abbiamo il dono delle fede cattolica.
      Ma il problema del dialogo interreligioso sta proprio nel fatto che non tutti sono illuminati da questa fede, non solo gli islamici, ma anche gli ebrei. Eppure tutti accettiamo, mediante la ragione, l’esistenza di Dio, Creatore del cielo e della terra, Provvidente, Giusto e Misericordioso.
      Questa comune consapevolezza di noi cristiani, ebrei e musulmani, è la verità teologica universale conosciuta dalla ragione naturale, che tutti possediamo, verità sulla quale più che opportunamente il Papa si è basato, dietro suggerimento del Concilio, per la formazione della preghiera a Dio che ha recitato ad Ur.
      Ora, sono sicuro che il Santo Padre, mentre recitava quella preghiera, pensava alla Santissima Trinità, però pensava anche a coloro che in buona fede non la conoscono, però sanno che Dio esiste.
      Questo fatto è stato sufficiente per poter pregare insieme, con la speranza di poter essere esauditi e di vivere assieme la fratellanza universale di creature create ad immagine e somiglianza di Dio.
      Bisogna tenere presente anche quanto Gesù ci ha insegnato con la sua vita. Egli, come ebreo, ha pregato nel tempio di Gerusalemme e ha chiamato questo tempio ebreo “Casa del Padre Mio”.

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  4. Resta il fatto che nella preghiera interreligiosa io vedo possibili due vie, ed ambedue mi lasciano a disagio, perché comportano non poca problematicità ed ambiguità. Provo a spiegarmi meglio.
    La prima via la sintetizzerei come lo sforzo reciproco e rigoroso, tra noi, gli islamici e i giudei, di attenersi al “massimo comun condivisibile” sul piano religioso, identificato nel pregare il Dio unico di Abramo, creatore misericordioso, per cui gli uomini che Lo riconoscono, sue creature, devono sentirsi come fratelli.
    Questa prima via, se davvero perseguita con il massimo del rigore e della lealtà reciproca tra i partecipanti delle tre religioni, dovrebbe escludere ciò che non rientra nel “massimo comun condivisibile”. Ma per essere veramente tale, questa esclusione, non può limitarsi alle sole parole che si pronunciano insieme, bensì dovrebbe estendersi anche all’intero atteggiamento interiore, perché la preghiera che sale al Signore non è costituita puramente dall’insieme delle parole dette, né solo dalla concentrazione che proviamo a mantenere per distrarci, ma dalla partecipazione di fede con cui le accompagniamo, le facciamo risuonare nel nostro intimo, le sentiamo alla luce dell’interezza del nostro credo… Peraltro, se bastassero le sole parole per pregare bene, non si capirebbe la recente reprimenda del Papa verso chi prega a pappagallo.
    Se questa premessa è vera, ne consegue che, nel mentre si recita insieme la preghiera interreligiosa, per attenersi il più possibile al patto del “massimo comun condivisibile”, i musulmani dovrebbero cercare di escludere o rimuovere, dal proprio atteggiamento interiore, la figura di Maometto per esempio; i giudei, a loro volta, il Talmud per esempio; i cristiani, il Dio Uno e Trino.
    Ma è ciò realmente, umanamente possibile?
    E quand’anche lo fosse, come ho già scritto, è lecito per me cattolico battezzato, attuare questa sorta di “sospensione” dell’interezza della mia fede per “rispetto della coscienza altrui”, quasi come se il credo trinitario fosse per me un abito che, di regola indosso, ma in certe occasioni posso anche dismettere?

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    1. Caro Bruno,
      sono d’accordo con te nella necessità che noi e loro facciamo uno sforzo per cercare un “massimo comune denominatore”.
      Sono convinto che il Papa, insieme con Al-Sistani, stanno facendo questo sforzo comune, che mi pare abbia dato buoni risultati nella preghiera comune.
      A questo punto certamente si aprono nuovi orizzonti, che indubbiamente per noi cristiani creano problemi e domande: quale passo prossimo possiamo proporre ai musulmani? Seguendo quanto Papa Francesco sta insegnando, potremmo chiedere con maggior forza che venga concessa la libertà religiosa ad ogni singolo fedele, anche musulmano.
      In tal modo, chiunque, ateo, musulmano, ebreo, induista, ecc., ha la possibilità di conoscere la verità e di esprimersi secondo coscienza. Dal canto loro la grazia di Cristo e lo Spirito Santo portano avanti la loro opera misteriosa di salvezza per i singoli e per l’intera umanità.
      Questa preghiera comune che ha fatto il Papa non è semplicemente un insieme di parole, che potrebbero generare l’equivoco, ma è un insieme di concetti. E che essi siano condivisi dai musulmani risulta, per quanto ne so, dal fatto che non si sono sentite contestazioni e proteste. E questa è una cosa che fa molto piacere ed è un segno di speranza nel progresso del dialogo.
      Per quanto riguarda l’eventualità che i musulmani debbano sospendere le idee di Maometto, io direi che, in quanto sono erronee, esse gradualmente e nei singoli, dovranno essere superate, corrette ed abbandonate.
      Coloro che invece sono in buona fede, non hanno affatto il dovere di accantonarle, allo stesso modo di come facciamo noi cristiani. Semmai per quanto riguarda tutte queste idee, le loro e le nostre, che per il momento non sono poste sul tappeto, bisogna che noi cristiani, insieme con il Papa, studiamo la prossima mossa da fare.
      Il fatto peraltro che Papa Francesco sia andato in Iraq con un messaggio di pace e di perdono, ci indica la via maestra per proporre a tutti il Vangelo.

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  5. La seconda possibile via alla preghiera interreligiosa è quella che, riconoscendo quantomeno l’impraticabilità della prima via, proponga sì una stessa preghiera da recitare insieme, ma lasciando ciascun credente, liberamente, nella propria disposizione interiore, di integrarla nell’interezza del credo cui aderisce.
    Ciò comporta che nel mentre io e il musulmano pronunciamo le medesime parole rivolte al Dio di Abramo, io penso e sento che quel Dio di Abramo ha da sempre generato il Verbo incarnato morto per me sulla Croce, e Padre e Figlio vivono nell’unità dello Spirito Santo; il musulmano pensa e sente che quel Dio di Abramo è il Dio uno non trino rivelatogli dal profeta Maometto.
    Sicché pur pregando insieme le stesse parole, in realtà, noi cristiani e i non cristiani, non stiamo elevando al Signore la “stessa” preghiera, dato che, come ho cercato coi miei limitati mezzi di spiegare, la preghiera non consiste solo delle parole pronunciate, ma anche dell’intera disposizione interiore del pregante, che le accompagnano.
    Per fare una metafora è simile a un’orchestra che sta provando prima del concerto: alcuni strumentisti eseguono parti diverse dei pezzi di loro competenza, altri si sciolgono con le scale musicali… il risultato sonoro complessivo è inevitabilmente un frastuono disarmonico.
    Lei ritiene che siffatta dissonante e contraddittoria preghiera sia comunque gradita a Dio, perché Lui sa vedere le buone intenzioni di tutti e scusare l'ignoranza invincibile di tutti?
    Io resto a disagio.

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    1. Caro Bruno,
      come ti ho già detto, non si tratta di dire tutti insieme le stesse parole. Questo non serve a niente ed anzi, se mi è consentito, sembra quasi una presa in giro gli uni verso gli altri.
      Ciò che è avvenuto ad Ur non è stato un ritrovarsi insieme nelle stesse parole, ma negli stessi concetti, ossia nel concetto comune a noi e a loro, come dice il Concilio, di un Dio Unico e Vero, Creatore del cielo e della terra.
      Ciò non toglie che nel nostro patrimonio religioso e nel loro, come dice il Papa, vi siano delle diversità dalle quali può nascere una reciproca integrazione. Per esempio i musulmani potrebbero essere più sensibili al nostro concetto di misericordia divina, mentre noi cristiani possiamo imitarli nella franchezza con la quale essi assieme pregano anche in modo pubblico davanti a tutti, anche a non musulmani.
      La metafora dell’orchestra non ci deve far pensare ad un insieme di cacofonie, come avviene nell’orchestra prima di iniziare il concerto, ma ci deve far pensare a queste diversità reciprocamente integrabili, delle quali parlava Papa Francesco quando ha detto che la diversità delle religiose è voluta da Dio.
      Al riguardo però stiamo attenti a non confondere il diverso con il falso. Il fatto che Maometto non ammetta la Trinità, non è una diversità, ma è una falsità.
      Dio però vede i cuori, e coglie l’armonia della preghiera che sale a Lui da coloro che pregano con cuore puro e sincero, secondo la propria religione. In tal modo questa orchestra eseguisce una perfetta sinfonia, molto gradita a Dio, anche se a noi, per il momento, sembra quasi una cosa impossibile.
      Papa Francesco infatti parla di un “sogno”, che però, a Dio piacendo, un giorno potrà diventare realtà.

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  6. Caro Padre Giovanni,
    lei ha scritto: “poter pregare assieme cristiani e musulmani il Dio di Abramo è già una grande grazia per tutti”. Non le sembra però che ci sia una sostanziale differenza anche tra la concezione ebraico-cristiana di Abramo e quella coranica? Paolo Pasqualucci, già docente di Filosofia del Diritto e Storia delle Dottrine Politiche, ma studioso anche di teologia e filosofia della religione, ha scritto a proposito della figura di Abramo (http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2015/09/non-crediamo-nello-stesso-dio-dei.html):
    “L’Abramo dei mussulmani (Ibrahim) non ha nulla a che vedere con quello autentico della Bibbia. Come ha ricordato più volte, e non è stato certamente il solo, l’insigne arabista ed islamista Padre Antoine Moussali, lazzarista libanese (1921-2003), perfetto conoscitore del Corano stesso, il vero Abramo, nell’Antico Testamento, è il protagonista dell’Alleanza con Dio, dal quale riceve la Promessa di salvezza per il genere umano. Abramo, nostro padre nella fede (Eb 11, 8) è dunque l’uomo dell’Alleanza con Dio Padre e della Promessa di salvezza da Lui ricevuta. […] il concetto stesso di una Alleanza tra Dio e l’uomo sia del tutto impensabile e persino blasfemo per i mussulmani. Sarebbe, infatti, in contraddizione con l’assoluta alterità di Dio rispetto all’uomo, assolutezza che non può ammettere nemmeno una promessa fatta unilateralmente da Dio, per bontà verso la creatura. Allah non ci richiede la partecipazione nostra, con il nostro libero arbitrio, al suo disegno di salvezza. Non c’e’ in realtà nemmeno il concetto di un disegno o economia della salvezza, tutto appare predeterminato dall’eternità nel decreto imperscrutabile di Allah, dipendente esclusivamente dalla sua volontà, che crea la realtà in continuazione, in tutti i suoi aspetti. Gli appellativi di “clemente, misericordioso” dati ad Allah, non devono dunque trarre in inganno. “Misericordioso”, riferito alla divinità, è del resto pre-islamico, lo si è trovato scolpito sulle lapidi delle tombe. Si tratta, comunque, di una “misericordia”, nota il Padre Moussali, che è piuttosto benevolenza di un padrone assoluto nei confronti del suo servo. Essa non include il concetto di “amore per il prossimo” (e “per amor di Dio”), nozione del tutto sconosciuta all’islam, per il quale “il prossimo” (prochain) è in realtà “il vicino” (proche), determinato inizialmente dalla solidarietà tribale e poi dall’appartenenza alla comunità mussulmana, alla Ummah o comunità dei credenti in Allah, che avanza come una compatta falange contro tutto il resto del mondo, per conquistarlo. Ben diverso è dunque lo Ibrahim coranico da quello autentico. Egli è presentato come il tipo del sottomesso a Dio (muslim) perché avrebbe professato un monoteismo puro o sincero (hanif), assoluto, rappresentato da una incondizionata sottomissione ad un Dio unico come quello che compare nel Corano: “Io, in verità, volgo il viso verso colui che ha creato i cieli e la terra, da hanif, e non sono politeista” (sura 6 o del gregge, 79). […] Questo Dio che si presenta in tal modo, non fa dunque patti con l’uomo. Egli è soprattutto “l’Eccelso”, “il Padrone”, “il Dominatore” (sura 49 o delle stanze interne, 23), del quale l’uomo è il servo, lo schiavo (abd). […] Maometto costruisce la figura di Abramo quale prototipo del “mussulmano” in modo da escludere Antico e Nuovo Testamento dalla vera Rivelazione. Dice infatti il Corano: “O gente del Libro [ebrei e cristiani], perché disputate riguardo ad Abramo, mentre il Pentateuco e il Vangelo non sono stati fatti scendere se non dopo di lui? Non comprenderete dunque mai la verità? Abramo non era giudeo né cristiano: era bensì hanif e muslim e non era politeista” (sura 3, 60-61). Il Corano mette dunque Abramo in opposizione all’Antico e al Nuovo Testamento, affermando che non era “né giudeo né cristiano” e lo congiunge direttamente al Corano, il quale, contro i due Testamenti, testimonierebbe il vero monoteismo abramico, sì da permettere all’islam di autodefinirsi “religione di Abramo” (millat Ibrahim)!”

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    1. Caro Bruno, ho letto con piacere l’interessante sintesi, che hai presentato circa la concezione islamica della figura di Abramo.
      Bisogna tuttavia tener presente che, per il cattolico, la Chiesa, quando tratta degli attributi divini, anche in riferimento alla religione islamica, ci dà una interpretazione verace della natura divina, una interpretazione migliore di quella degli stessi islamici.
      Così pure, per quanto riguarda la figura di Abramo, come sai bene, la Nostra Aetate 3, per noi cattolici interpreta veracemente la figura di Abramo in un modo condivisibile anche per i musulmani.
      Ciò non impedisce di apprezzare le interpretazioni della figura di Abramo fatte da studiosi cristiani e musulmani. Tuttavia, come cattolico, io sono tenuto a ritenere autorevole in modo decisivo su questa materia l’insegnamento del Papa e del Concilio.
      Come ti ho già detto al riguardo è molto significativo il consenso che alla preghiera del Papa è venuto dal mondo islamico.
      Stando così le cose, bisogna che ci rendiamo conto che Papa Francesco per la prima volta nella storia dei rapporti dei Papi con l’Islam, è il primo Papa che, per grazia di Dio, è riuscito a ottenere il consenso dell’Islam nell’interpretazione del monoteismo e della figura di Abramo.
      Sia bene inteso che, se vogliamo essere realisti, su questa questione del vero Dio e della vera figura di Abramo, permangono punti di contrasto tra il Corano e la Bibbia. Tuttavia il passo che Papa Francesco è riuscito a fare insieme col mondo islamico su questi punti fondamentali relativi alla salvezza dell’umanità, si presenta come una svolta storica di capitale importanza che apre l’animo di tutti gli amanti della pace e i cultori della religione alla speranza che, su questa base comune, possiamo ulteriormente costruire dissipando equivoci e correggendo errori un’umanità fraterna che possa dimenticare i secolari conflitti sanguinosi del passato.

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