Deviazioni moderniste della Liturgia. Prima Parte (1/2)

 Deviazioni moderniste della Liturgia.

Prima Parte (1/2)

Un Lettore ha voluto segnalarmi un articolo di Josè Antonio Ureta, il quale denuncia alcuni abusi liturgici con la tendenza ad attribuirne la responsabilità alla riforma promossa dal Concilio Vaticano II.

Nelle mie risposte chiarisco che la vera origine di tali abusi non è la riforma conciliare, ma bensì la corrente modernistica, falsificatrice della detta riforma.

 

Qui sotto il lettore troverà uno spunto per la discussione:

Cf: La liturgia come servizio pubblico - Seconda Parte (2/2)

https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-liturgia-come-servizio-pubblico_23.html 

 

Questo è lo scambio di domande e risposte intercorse tra me e il Lettore.

Caro Padre Cavalcoli:

Credo che José Antonio Ureta intenda trattare nel suo articolo (https://onepeterfive.com/wp-content/uploads/2022/08/Ureta-Complete.pdf) i fondamenti teologici su cui si basa la recente esortazione apostolica Desiderio Desideravi (DD), di papa Francesco. Sostanzialmente Ureta sostiene che questi fondamenti differiscono manifestamente da quelli dell'enciclica Mediator Dei di Pio XII in quanto pongono tutti gli accenti proprio sulle inclinazioni pericolose del Movimento liturgico tardo, contro il quale l'ultimo Papa preconciliare ha voluto mettere in guardia i fedeli.

Caro M., benchè io non sappia a quali frasi di Papa Francesco Ureta si riferisce, considerando semplicemente la tesi di Ureta, posso dire senz’altro che non è ammissibile che i fondamenti teologici della Mediator Dei siano in contrasto con la Desiderio Desideravi.

1) In primo luogo, osservo che nell'Autore non viene preso in considerazione un documento come Sacrosanctum Concilium o, salvando le distanze, la lettera apostolica Desiderio desideravi, come "atti del magistero". Li considera semplicemente come "concezioni teologiche". Avverte di non considerare questi documenti come magistero vincolante, ma come mere opinioni teologiche.

Un documento come la Sacrosanctum Concilium e la Lettera Apostolica Desiderio Desideravi sono atti del Magistero e niente affatto semplici concezioni od opinioni teologiche.

Vedere:
"Intendo mostrare nei paragrafi seguenti le deviazioni dottrinali che, a mio modesto parere, irrorano le meditazioni di Papa Francesco sulla liturgia, deviazioni che derivano dal nuovo orientamento teologico assunto nella costituzione Sacrosantum Concilium del Concilio Vaticano II. Lo farò confrontando la visione della liturgia insegnata nell'ultimo documento preconciliare sull'argomento, cioè l'enciclica Mediator Dei di Pio XII, con quella che emerge da Desiderio Desideravi".

l’importanza della partecipazione del Popolo di Dio alla Liturgia. Il documento di Papa Francesco è in linea con la riforma della Liturgia promossa dalla Sacrosanctum Concilium. Ora, si capisce come uno che si oppone al Concilio Vaticano II si opponga anche al documento di Papa Francesco. Questo vuol dire che lo sbaglio di Ureta, prima ancora di essere quello di contestare il documento del Papa, è quello di respingere la riforma liturgica promossa dal Concilio.

Per quanto riguarda la Mediator Dei, non è pensabile che essa sia in contrasto con la Sacrosanctum Concilium, in quanto nell’uno e nell’altro caso si tratta di dottrina della Chiesa. Il documento conciliare cita espressamente Pio XII e ne sviluppa il pensiero.

"Sotto l'influenza dei teologi del cosiddetto 'movimento liturgico', le cui idee furono raccolte nella Sacrosantum Concilium...".

Si ha così l'impressione che Ureta proponga che un documento precedente (preconciliare) del Magistero (come Mediator Dei) sia quello che dovrebbe guidare l'interpretazione del successivo (postconciliare). Quando infatti, come è noto, un passo più recente della Tradizione è quello che dovrebbe chiarire il passo precedente.

In fondo, penso che qui si noti uno degli errori tipici del passatismo (lefebvriano o filo-lefebvriano): negare che il Magistero abbia il potere di interpretare la Tradizione.
(Continuerò)

Caro M., fra Tradizione e Magistero esiste un rapporto biunivoco di influsso reciproco. Il Magistero è interprete della Tradizione. Esso la conferma, la esplicita e la sviluppa. Nello stesso tempo il riferimento alla Tradizione è il fondamento in base al quale il Magistero procede nel suo insegnamento.

Stando così le cose, in campo dottrinale non ci può essere contrasto tra il dato tradizionale ed una eventuale innovazione dottrinale proposta del Magistero, e ciò per il fatto che la Chiesa in campo dottrinale cammina sempre nella verità e per questo non si smentisce mai, per cui non ci può essere una rottura del Magistero con la Tradizione, ma esiste sempre una continuità nel progresso.

Per questo, chi pretende di criticare le posizioni attuali del Magistero in nome della Tradizione o non ha capito la Tradizione o non ha capito il Magistero.

Altra osservazione da fare è che il buon cattolico ha fiducia nel Magistero, per cui, quando il Magistero enuncia una nuova dottrina, si pone in un atteggiamento di fiducioso ascolto e, se sorge in lui qualche perplessità, non ha troppa difficoltà, magari facendosi aiutare da qualche esperto, a rendersi conto della sostanziale continuità del nuovo insegnamento con i dati della Tradizione.

2) La finalità del culto liturgico. Ureta accusa il papa Francesco di unilateralismo nell'indicare i fini della liturgia.

"Mediator Dei stabilisce con solare chiarezza che il culto cattolico ha due scopi principali che si intrecciano e si sostengono a vicenda: la gloria di Dio e la santificazione delle anime. Ma, evidentemente, il primato spetta all'omaggio reso al Creatore. [...] Infatti, la dimensione catabatica ha anche lo scopo anabatico di condurre le persone a Dio e di farle glorificare. Ma nella Desiderio desideravi, Papa Francesco sottolinea quasi esclusivamente questa concezione primariamente catabatica della liturgia e lascia in ombra la glorificazione di Dio, che per Pio XII è il suo elemento primario".

In Desiderio desideravi "il senso catabatico e discendente della liturgia -entrare in possesso della salvezza- è molto ben sottolineato. Ma il fatto, messo in rilievo da Pio XII nel testo già citato, che la prima funzione sacerdotale di Cristo è quella di adorare il Padre Eterno in unione con il suo Corpo Mistico, è stato completamente omesso".

Noto come prima cosa che Papa Francesco non intende svolgere l’argomento in modo completo, ma trattare semplicemente alcuni punti che gli stanno a cuore. L’aspetto di adorazione nella Santa Messa sembra effettivamente solo adombrato. Tuttavia sarebbe del tutto fuori luogo sospettare che il Santo Padre non abbia presente la Mediator Dei, quando essa dice che la Liturgia è il culto reso da Gesù Cristo al Padre in unione con il Corpo Mistico.

Nel contempo è evidente l’intento di Papa Francesco di sviluppare il punto di vista dell’insegnamento conciliare, il quale sottolinea l’importanza della partecipazione del Popolo di Dio al culto liturgico e in questo orizzonte mette in luce quello che è l’effetto interiore e spirituale della bellezza della celebrazione liturgica.

C’è inoltre da tener presente che si tratta di un documento eminentemente pastorale, dove il Papa potrebbe anche aver fatto qualche scelta discutibile, ma nel quale documento comunque ha la piena facoltà di decidere di quali temi trattare.

"Questa unilateralità è rafforzata in un altro paragrafo (DD n.43) che tratta specificamente l'aspetto anabatico ascendente, cioè la glorificazione della divinità da parte dei fedeli riuniti. Questo testo insinua che la gloria di Dio è secondaria, in quanto non aggiunge nulla a ciò che già possiede in cielo, mentre ciò che è veramente importante è la sua presenza sulla terra e la trasformazione spirituale che essa produce [...] Le parole sono giuste, perché è vero che l'uomo aggiunge a Dio una gloria che è solo 'accidentale', ma è stato Dio stesso a volerla ricevere da lui quando lo ha creato. Ma gli accenti, con la loro unilateralità, inducono i fedeli in una posizione sbagliata, che facilmente degenera nel culto del vitello d'oro".

Ribadisco che la limitatezza del riferimento alla glorificazione del Padre non significa affatto in Papa Francesco una minor stima di tale glorificazione di quanta ne avesse Pio XII, ma va interpretata come una sua legittima scelta personale. Le ultime parole citate di Ureta, sono assolutamente inaccettabili e gravemente offensive dell’insegnamento del Papa. Il n. 43, citato da Ureta, non dà infatti nessun appiglio ad una accusa di tale gravità.

Inoltre non è vero che c’è unilateralità nel discorso del Papa. Infatti egli, senza affatto dimenticare la direzione verso l’alto, evidenzia opportunamente l’aspetto soteriologico della Liturgia.

3) "Il mistero pasquale come centro della celebrazione".
"Nell'enciclica Mediator Dei, Pio XII sottolinea la centralità della Passione nella vita di Nostro Signore Gesù Cristo e nella nostra redenzione. [...] Questa insistenza sulla centralità del sacrificio della croce per la redenzione del genere umano fu una risposta alle elucubrazioni dei teologi più radicali del movimento liturgico che, già allora, lo misero in ombra, sottolineando il trionfo e il Risurrezione di Cristo e nel suo presente stato glorioso".
Ureta sottolinea poi che il Concilio Vaticano II ha cambiato quel paradigma: "Il cambio di paradigma cessò di essere mera speculazione dei teologi e cominciò a passare alle cattedre ecclesiastiche già nel periodo di elaborazione del precedente schema della Costituzione sulla liturgia, ancor prima dell'inizio della prima sessione conciliare. Il titolo originario del capitolo sull'Eucaristia, approvato il 10 agosto 1961, era De sacro sancto Missae 'sacrificio'; ma nella seduta del 15 novembre dello stesso anno divenne De sacro sancto Eucharistiae 'misterio'...".

Quello che di fatto è avvenuto con la riforma della Liturgia promossa dal Concilio Vaticano II, è stata una diminuzione dei riferimenti al sacrificio nella Santa Messa e una maggiore accentuazione della prospettiva pasquale.

Non si tratta quindi di nessun cambio di paradigma, quasi si trattasse di un mutamento di dottrina, ma semplicemente di un mutamento di accentuazione di espressioni liturgiche, dettato da prospettive ecumeniche e dal formarsi di una spiritualità che abbandonò un certo dolorismo per acquisire una visuale più positiva della vita presente, come preannuncio della futura resurrezione.

"Papa Francesco minimizza la morte redentrice di Cristo. È proprio questo accento unilaterale a favore della Pasqua e a scapito della Passione –contrariamente all'equilibrio tradizionale– che trasuda da tutti i pori di Desiderio desideravi. [...] La stessa definizione che offre della Liturgia soffre di questa parzialità. Per Francesco è 'il sacerdozio di Cristo rivelato e donatoci nella sua Pasqua...' (DD n.21).

La differenza tra Pio XII e Papa Francesco nel definire la Liturgia come sacerdozio di Cristo è una semplice differenza di accentuazione e non di contenuti, perché non avrebbe senso separare la croce dalla resurrezione, mentre possiamo e dobbiamo concepire una resurrezione futura nella quale la croce sarà scomparsa, perché saranno asciugate tutte le lacrime (Ap. 7,17 e 21,4).

E parlando del rispetto delle rubriche, dice che è necessario non derubare l'assemblea di ciò che le appartiene, 'cioè il mistero pasquale celebrato in modo rituale' (DD n.23)... Più avanti, egli afferma che 'l'azione celebrativa è il luogo in cui, attraverso il memoriale, si rende presente il mistero pasquale perché i battezzati, in virtù della loro partecipazione, lo possano vivere nella loro vita' (DD n.49)".
"Il rischio con questo cambio di accento è che (di ciò che resta) la fede dei fedeli possa deformarsi in due dimensioni. Da un lato, possono essere indotti a pensare che l'opera della salvezza va attribuita più al Padre e allo Spirito Santo che a Gesù, Verbo incarnato, figlio di Maria, che ha versato il suo sangue per i nostri peccati. D'altra parte, potrebbero arrivare a pensare che Gesù Cristo non è proprio il Redentore, ma piuttosto il luogo in cui Dio ci salva, poiché è nella Pasqua di Cristo che ci si rivela l'amore del Padre. La pietà dei fedeli può essere portata anche a svalutare tutte le devozioni tradizionali che li incoraggiano a espiare i peccati propri e dell'umanità e li inducono a pretendere di salvarsi mediante la sola fede nel disegno salvifico di Dio, senza completare nella loro carne 'ciò che manca delle sofferenze di Cristo' (Col 1, 24); o, peggio ancora, credere in una salvezza universale per l'indefettibile Alleanza di Dio con il genere umano".

Le preoccupazioni che Ureta esprime si attagliano molto bene ad una certa corrente filoprotestante che tende a sminuire il valore del sacrificio di Cristo, per una sopravalutazione del tema della Pasqua, sicchè c’è il rischio che venga eliminato dalla vita presente l’elemento ascetico per accentuare troppo quello edonistico, che avrebbe la pretesa di rappresentare le primizie della vita escatologica.

Tuttavia non mi sembra il caso di fare riferimento al Papa, anche se si può notare in lui una sottolineatura della misericordia, forse eccessiva, della quale il credente è oggetto e che lo porta alla suddetta pregustazione della gioia pasquale.

4) "Dal sacrificio del Calvario alla memoria della Presenza".
"Trattandosi del sacrificio eucaristico, la Mediator Dei ribadisce l'insegnamento del Concilio di Trento che la Santa Messa è un vero e proprio sacrificio e non una semplice rievocazione della Passione o dell'Ultima Cena. [...]
"Il cammino aperto dalle tesi pionieristiche di padre Charles Journet e del filosofo francese Jacques Maritain, per i quali la presenza reale di Gesù Cristo si raddoppierebbe in una sorta di presenza reale di sacrificio, è un'opzione teologica a favore della commemorazione, che omette di affermano che la Messa è un rinnovamento incruento del Sacrificio del Calvario e afferma che durante la sua celebrazione quest'ultimo è appena presente, offre una debole interpretazione del dogma della fede proclamato dal Concilio di Trento". [...]
"Desiderio desideravi assume in modo chiaro e insistente questa opzione teologica a favore della Messa come memoria che solo secondariamente assume l'aspetto sacrificale nella misura in cui è commemorazione". [...] "Si noti che nel paragrafo descrittivo della Messa nel documento (DD n.4), oltre alla teoria della rappresentazione di un atto irripetibile, il Papa afferma che la Messa è una rappresentazione della Cena e non del Sacrificio del Calvario". [...] "Vale anche la pena notare che questo paragrafo suggerisce che tutti gli uomini dovrebbero mangiare e bere del Corpo e Sangue di Cristo, cioè fare la comunione. Ciò suggerisce un universalismo soteriologico coerente con l'autorizzazione pratica data da papa Francesco a tutti i cristiani –cattolici e non, in stato di grazia o meno, che vivano o meno secondo il decalogo– a ricevere l'Eucaristia".

Per quanto riguarda queste accuse al Journet e al Maritain, il cui pensiero conosco da cinquant’anni, ed anche a Papa Francesco, non mi sembrano affatto credibili e mi sembrano calunniose, perché toccano materia di fede, circa la quale non si può dubitare dell’ortodossia degli accusati. Per questo motivo mi astengo dal fare commenti, non avendo sott’occhio una necessaria documentazione, che possa indicare la fonte.

Secondo Ureta, sembra che per papa Francesco "la Messa sia un ricordo del dono che Gesù ha offerto nell'Ultima Cena". [...] "Quando parla di come va inteso il dinamismo che descrive la Liturgia, Francesco usa (DD n.49) le stesse parole che rendono chiaro che, per lui, il carattere sacrificale della messa deriva dalla commemorazione della Pasqua di Gesù". [...] "Non solo omette del tutto l'offerta di Cristo durante la Passione (di cui la Cena era un'anticipazione rituale), e non solo evita di dire che il Sacrificio si rinnova, ma evita la stessa parola sacrificio e la chiama immenso dono".

Gli elementi dogmatici del mistero della croce, citati da Ureta, sono evidentemente sottintesi al. n. 49. Non si può pretendere che un Papa tratti di questo mistero ricordando ogni volta tutti gli elementi dogmatici.

In questo documento il Santo Padre ha operato una precisa scelta pastorale, così come poteva sceglierne un’altra. È chiaro che in questo campo egli ha la piena facoltà di farlo, a seconda delle circostanze e a sua discrezione.

Se noi vogliamo trarre profitto dall’insegnamento del Papa, non dobbiamo quindi ricordare elementi dogmatici che qui non sono presenti, per il semplice fatto che essi sono sottintesi. È bene invece che assumiamo le sue indicazioni, avendo fiducia in quel giudizio pastorale del Sommo Pontefice, che lo ha portato a scrivere quello che ha scritto.

5) Un'altra critica di Ureta a Desiderio Desideravi si riassume nel titolo: "Da Sacerdoti del Sacrificio a Presidenti di Assemblee".
Ureta, partendo sempre da quella che considera la guida suprema della liturgia (l'enciclica Mediator Dei di Pio XII) e attraverso un'approfondita considerazione delle concezioni dei riformatori protestanti, le concezioni teologiche protestanti che Ureta sottolinea furono fatte proprie dal movimento liturgico del tempo di Pio XII e che trovarono poi riscontro nella Sacrosanctum Concilium, concezioni da respingere. Ureta conclude affermando che il Sacerdote è ridotto a presidente, e i laici sono elevati a concelebranti: "Desiderio Desideravi sottolinea che il celebrante è l'intera assemblea e riduce il ministro dell'altare a presidente, omettendo del tutto che Egli solo compie l'immolazione incruenta del Sacrificio eucaristico in persona Christi" [...].
La critica di Ureta si concentra qui sui nn. 36, 56 e 57 di Desiderio Desideravi.
In connessione con tale critica, Ureta ne aggiunge un'altra: in Desiderio Desideravi "l'individualità si fonde con la collettività": "D'altra parte, questa immersione quasi totale del ministro ordinato nell'assemblea è attestata dal fatto che quest'ultimo termine, assemblea', viene menzionato 18 volte, evidenziandone la funzione celebrativa e il carattere collettivo, che spesso rende difficile per ogni fedele rendere a Dio un vero culto interiore, offrendo se stesso personalmente a Cristo-vittima, in intima unione con Lui". [...]

Il fatto che il Papa si fermi a parlare della presidenza del celebrante e della funzione dell’assemblea non esclude assolutamente la dottrina tradizionale che il presidente è il presbitero e che l’assemblea partecipa all’offerta del sacrificio.

L’idea, secondo la quale non si dovrebbe più parlare di un unico celebrante e si sostiene che l’assemblea è celebrante, non risulta assolutamente dal testo pontificio, ma è una dottrina eretica sostenuta da Schillebeeckx.

La dottrina tradizionale è viceversa chiaramente presente in queste parole del Santo Padre: DD n. 56 “… Come tutti gli uffici che è chiamato a svolgere, non si tratta primariamente di un compito assegnato dalla comunità, quanto, piuttosto, della conseguenza dell’effusione dello Spirito Santo ricevuta nell’ordinazione che lo abilita a tale compito. Anche il presbitero viene formato dal suo presiedere l’assemblea che celebra”.

L’espressione “l’assemblea che celebra”, stando a quanto il Papa ha detto in precedenza, e quindi dal contesto, va interpretata nel senso che l’assemblea partecipa alla celebrazione del celebrante, cioè del presbitero.

"Bisognerebbe chiedersi se l'abbandono della Messa domenicale che ha seguito la riforma liturgica non derivi in gran parte dal dispiacere di molti fedeli per il carattere 'assemblesta' e collettivista con cui il nuovo rito è stato celebrato nella maggior parte delle parrocchie, senza lasciare spazio a pietà individuale".
"Soprattutto c'è da chiedersi se il vertiginoso calo delle adesioni ai seminari non sia dovuto al fatto che alcuni di coloro che possono avvertire una vocazione non rispondono positivamente perché l'immagine di un ministro ordinato ridotto a 'presidente dell'assemblea' non corrisponde all'immagine tradizionale del sacerdozio, quella in cui il sacrificio personale trova il suo modello e compimento nella realtà sacrificale della Santa Messa".

La liturgia assemblearista purtroppo effettivamente esiste e anche il modello secolarizzato di sacerdote purtroppo viene proposto in certi seminari, ma questi cattivi atteggiamenti o indirizzi non partono certamente dalla riforma conciliare, la quale viceversa li esclude nettamente, ma provengono da ambienti modernisti, che pretendono falsamente di rifarsi al Concilio.

6) Infine, nell'ultima parte del suo saggio, Ureta non può resistere a quella che mi sembra la sua inclinazione fondamentale, cioè il rifiuto passatista della Messa di Paolo VI, quando intitola il suo ultimo capitolo, senza alcun imbarazzo: "La Messa di un’altra Fede?".

"Nei quattro aspetti che abbiamo analizzato nelle parti precedenti (1. lo scopo del culto liturgico, 2. il mistero pasquale come centro della celebrazione, 3. il carattere commemorativo della Santa Messa e, infine, 4. la presidenza dell'assemblea liturgica) è diventato del tutto evidente che la visione della liturgia di Desiderio Desideravi è unilaterale [...] Ciò che sembra essere sottolineato sono le teorie e le preferenze dei liturgisti moderni, non la dottrina tradizionale della Chiesa". [...]

Non bisogna confondere la liturgia moderna con la tendenza modernistica. La prima è doverosa, perché si suppone che il moderno sia migliore e più progredito del passato, anche se è vero che ci può essere un moderno che è sbagliato o nocivo. La tendenza modernistica invece è appunto una modernità nociva, perché pretende falsamente di presentarsi come la sana modernità, che ha origine dal Concilio.

La Chiesa, sollecitata giorno per giorno dall’impulso dello Spirito Santo, è una comunità in continua crescita e in un incessante sviluppo nei corso dei secoli, per i quali, conservando immutato il deposito della Tradizione, lo conosce e lo pratica sempre meglio.

"Un'analisi dettagliata mostra che la lettera Desiderio Desideravi è in definitiva una presentazione della vita sacramentale della Chiesa, e in particolare del rito della Santa Messa, che non sembra armonizzarsi, nel suo insieme, con i principi e i consigli pastorali dell'ultimo grande enciclica precedente al Concilio Vaticano II, cioè Mediator Dei di Pio XII.

La Liturgia, dai tempi di Pio XII all’attuale Pontificato, ha fatto certamente un cammino notevole, nel senso di realizzare una Liturgia, la quale, senza dimenticare il valore del sacro e l’aspetto espiativo della Redenzione, ha voluto, per fini ecumenici, evidenziare alcuni elementi che abbiamo in comune con i fratelli separati; per fini ecclesiali ha voluto valorizzare il laicato; per fini evangelizzatori ha introdotto il principio dell’inculturazione; per fini di santificazione ha messo in luce il valore della Pasqua come primizia della vita escatologica; per fini di promozione della donna, ha sottolineato il valore della mariologia.

Dobbiamo quindi porci una domanda scomoda: queste due forme rituali molto diverse corrispondono alla stessa Fede? La risposta degli innovatori più avanzati è chiara. Dicono apertamente che si tratta di due posizioni liturgiche incompatibili che corrispondono a due posizioni dogmatiche incompatibili. Una è la fede che permea il rito tradizionale, l'altra è la fede che permea il nuovo rito... la 'nuova Messa' soppianta definitivamente (e, va detto, ripudia) l'orientamento teologico e la posizione della vecchia Messa".

I cosiddetti innovatori citati sono i modernisti, i quali non fanno testo. Nel dare una valutazione del passaggio di Pio XII a quella di Papa Francesco, si deve ascoltare quello che dicono i Papi e in particolare Papa Benedetto XVI, il quale ha parlato di “progresso nella continuità”.

Il tradizionalista (confesso) Ureta conclude: "...è per ragioni teologiche che i tradizionalisti ritengono che il rito di Paolo VI si discosti dagli insegnamenti tradizionali sulla Messa su punti essenziali. In nome della fede perenne, essi non accettano e non possono accettare che il nuovo rito sia 'l'unica espressione della lex orandi del rito romano', come sostiene la Traditionis Custodes e ribadisce Desiderio Desideravi (n.31)".

Con la formula “unica espressione della lex orandi del Rito Romano”, il Papa intende riferirsi al dovere di tutti i Cattolici di Rito Romano di fruire del Novus Ordo. Ma il Papa non intende affatto abolire il Vetus Ordo, tanto è vero che ne dà le norme, sia pure restrittive, per la sua celebrazione.

La giusta preoccupazione di Papa Francesco è quella che tutti i Cattolici si riuniscano attorno all’unico altare, considerando il fatto che l’Eucarestia è il principio, la fonte e il vertice di tutta la comunione ecclesiale e della stessa unità della Chiesa. Stando così le cose, è evidente che questa unità mistica deve essere rappresentata anche in un forma esteriore e sociale.

"Se la recente esortazione apostolica ha cercato di dare un fondamento teologico a tale affermazione, dobbiamo confermare, dopo questa breve analisi, che il colpo sembra essersi ritorto contro. La sua natura unilaterale non fa che confermare la convinzione del gregge tradizionalista che la nuova lex orandi non corrisponde alla lex credendi che la Chiesa ha ricevuto in deposito.

Occorre fare un chiarimento. Partiamo innanzitutto dal famoso principio lex orandi lex credendi. Un Papa evidentemente non può mutare la lex credendi, perché qui c’è in gioco il dogma. Per quanto invece riguarda la lex orandi bisogna distinguere. In questo campo il Papa ha il potere delle chiavi, che gli consente di pascere il Gregge a discrezione della sua prudenza pastorale. Così può capitare, e di fatto capita, che, restando la medesima lex credendi, un Papa può ritenere bene esprimere la lex credendi in una forma di preghiera diversa da quella espressa da un Papa precedente. Quindi, quando Papa Francesco ci dice che il Novus Ordo è l’unica lex orandi, non intende assolutizzare la sua scelta pastorale, ma, come ho detto, vuole chiamarci tutti attorno al medesimo altare del Novus Ordo, e ha tutto il diritto di farlo, perché egli il Sommo Liturgo e il Sommo Pontefice del culto cattolico.

E l'argomento che papa Francesco invoca come ultima ratio, che i tradizionalisti debbano accettare la nuova Messa perché rispondente agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, non è suscettibile di far loro cambiare idea proprio perché la stessa Costituzione Sacrosanctum Concilium, la successiva magisterium, e anche Desiderio Desideravi meritano le stesse obiezioni teologiche".

Infine, Ureta conclude il suo saggio in tono minaccioso: "In ogni caso, ecco un invito a teologi e specialisti in liturgia ad affrontare l'argomento e ad analizzare, in modo più profondo e scientifico, il contributo che Desiderio Desideravi ha dato al dibattito in corso. Lungi dal 'seppellire l'ascia di guerra', sembra aver aperto un nuovo fronte nella battaglia".

Caro M., l’atteggiamento di Ureta dimostra una straordinaria sfrontatezza per la maniera ostinata con la quale si oppone a tutti i maggiori documenti ufficiali, a partire dal Concilio fino a Papa Francesco. La Chiesa sostiene e raccomanda il Novus Ordo, senza escludere il Vetus Ordo, ma mettendolo in second’ordine come è giusto che sia dal momento che il Novus Ordo è il risultato di una riforma che ha avuto precisamente lo scopo di proporre il modo di rendere culto a Dio nel nostro tempo.

Padre Cavalcoli,
Concludo qui il mio intervento, che non ha voluto altro che riassumere in passaggi che mi sembrano fondamentali la concezione del passatista (pseudotradizionalista filo-lefebvriano) José Ureta. Sono solo felice di aver potuto esserti utile, almeno per la tua riflessione personale, senza illudermi, tanto meno chiedendoti di scrivere in base a questo riassunto che ti ho inviato. Sono entusiasta di averti offerto solo un materiale che potrebbe esserti utile per elaborare quello che vuoi, quando e come vuoi.

E concludo anch’io, manifestandoti la mia gratitudine per le informazioni che mi hai fornito, le quali mi fanno conoscere meglio le posizioni dei passatisti, nel momento in cui mi hai presentato il pensiero di Ureta, del quale conoscevo già le idee, avendo a suo tempo letto un suo libro dove trovai anche qualche giusta critica a Papa Francesco.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 settembre 2022

Come autorevole complemento dei temi trattati in questa conversazione, aggiungo il seguente discorso di Papa Francesco del 1 Settembre u.s.:

Cf. Papa Francesco ai membri dell'Associazione Italiana dei Professori e Cultori di Liturgia - 1 Settembre 2022

https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2022/9/1/cultori-liturgia.html 


Per quanto riguarda la Mediator Dei, 

non è pensabile che essa sia in contrasto con la Sacrosanctum Concilium,

in quanto nell’uno e nell’altro caso si tratta di dottrina della Chiesa. 

 

Il documento conciliare cita espressamente Pio XII e ne sviluppa il pensiero.


Immagini da Internet


4 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    ho iniziato a leggere e meditare con serenità, tutte le vostre valutazioni e risposte al riassunto della mostra di José Antonio Ureta, che vi ho inviato.
    Sono enormemente grato e contento.
    Un dettaglio: in riferimento ai motivi per cui lei si astiene dal commentare le critiche di Ureta a Journet e Maritain, per mancanza di una fonte: chiarisco che, a tal proposito, Ureta cita: Philippe-Marie Margelidon O.P., en La théologie du sacrifice eucharistique chez Jacques Maritain, en Revue Thomiste, enero-marzo 2015, pp. 101-147.

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    1. Caro Massimo,
      ho trovato in rete la citazione che Ureta fa del passo su Maritain. È il seguente: “Molto caratteristico fu il pensiero di Jacques Maritain, elaborato in dialogo con Charles Journet, secondo il quale la transustanziazione avveniva contemporaneamente come una sorta di "presenza reale" del sacrificio della croce”.

      Da: Muy característico era el pensamiento de Jacques Maritain, elaborado en diálogo con Charles Journet, según el cual la transubstanciación se daba al mismo tiempo que una especie de «presencia real» del sacrificio de la cruz (2).
      (2) Ver Philippe-Marie Margelidon, op, « La théologie du sacrifice eucharistique chez Jacques Maritain », en la Revue Thomiste (enero-marzo 2015, pp. 101-147).

      Al riguardo mi sono accorto che Ureta non traduce bene il testo, perché parla di un “raddoppiamento della presenza reale eucaristica, con la realizzazione del sacrificio di Cristo”, aggiungendo gratuitamente che Maritain ometterebbe di ricordare che “la Messa è un rinnovamento incruento del Sacrificio del Calvario e afferma che durante la sua celebrazione quest'ultimo è appena presente, offre una debole interpretazione del dogma della fede proclamato dal Concilio di Trento".

      Faccio due osservazioni. Una. Maritain non sostiene alcun raddoppiamento della presenza reale eucaristica, con la presenza reale del sacrificio della croce, ma sostiene la simultaneità, il che suppone l’unicità della presenza eucaristica e della presenza del sacrificio, secondo la tradizionale dottrina cattolica, per la quale nella consacrazione eucaristica avviene il rinnovamento incruento del sacrificio della Croce.
      Seconda. Il fatto che Maritain non aggiunga quello che Ureta aggiunge, in sé perfettamente ortodosso, non dev’essere giudicato un’omissione, perché Maritain è stato libero di dire quello che ha detto, senza essere obbligato a dire il resto. Quindi, il fatto che non l’abbia detto, non va giudicato un’omissione, ma semplicemente una legittima astensione dal dire quello che Ureta aggiunge.
      Il tacere una cosa, se non si è obbligati a dirla, non è una omissione ma una legittima scelta. Ureta fa dire a Maritain quello che non ha detto e pretende che abbia detto quello che non era obbligato ad esplicitare.

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  2. Caro Padre Cavalcoli,
    tra i passaggi del lettore (M.) che lei cita ve n'è uno che ha catturato la mia attenzione, quando il lettore commenta: "...infatti, come è noto, un passo più recente della Tradizione è quello che dovrebbe chiarire il passo precedente...".
    È vero? È vero in questi termini?
    Ad esempio, allora, dovremmo dire che se due Concili o due Papi si riferiscono allo stesso dogma dato, l'affermazione del Papa più recente o del Concilio più recente è quella che chiarirebbe la precedente formulazione?
    Apprezzerei il suo chiarimento.

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    1. Caro Silvano,
      i chiarimenti operati dal Magistero, propriamente parlando, non costituiscono Tradizione, ma appunto sono atti del Magistero, per cui in questo senso distinguiamo Magistero e Tradizione. Una volta che il Magistero si è espresso con questo chiarimento, la sua sentenza diventa deposito della Tradizione.
      Quindi, la Tradizione non è altro che la collezione delle verità di fede, raccolte nella Scrittura e insegnate dal magistero, collezione che viene trasmessa di generazione in generazione fino alla fine del mondo. Ricordo altresì che la Sacra Scrittura e la Tradizione sono le due fonti della Rivelazione.
      Quando il Magistero chiarisce un dato della Tradizione, fa una duplice opera: conferma il dato della Tradizione e con la sua spiegazione lo chiarisce e lo esplicita a favore della Chiesa.
      In questo senso si potrebbe dire, come ha detto lei, che un insegnamento della Chiesa è un dato tradizionale che si aggiunge alla Tradizione, dato tradizionale in quanto espressione della Tradizione e finalizzato ad approfondirne il significato.

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