Polvere tu sei e in polvere tornerai


Polvere tu sei e in polvere tornerai
Gen 3,19
Meditazione per la Quaresima

Queste parole, che si pronunciano nel rito del Mercoledì delle Ceneri,  sono spaventose e sembrano gettare nella disperazione. Dov’è il Dio della misericordia? Come può Dio definire così quell’uomo, che Egli  ha creato a sua immagine e somiglianza? Dov’è finita l’immagine e la somiglianza di Dio? È distrutta? È distrutta la ragione? È distrutto il libero arbitrio? Il peccato è permanente? L’uomo è un «essere-per-la-morte»? La concupiscenza è invincibile?

Si ha la netta sensazione delle parole sprezzanti e cariche di odio di una persona fortemente offesa ed adirata, o di uno spirito di vendetta, che sottolinea in maniera esagerata ed offensiva la colpa, la fragilità e la debolezza dell’avversario, al fine di umiliarlo e spaventarlo, nel quale non trova nulla di buono o di utile, ma solo repellente materiale di scarto da gettare nella spazzatura. Cristo stesso parlerà della «ghehenna», l’immondezzaio di Gerusalemme.

Non si fa alcun cenno all’immortalità dell’anima, notoriamente uno degli insegnamenti più importanti e consolanti della Bibbia, come se ci trovassimo davanti ad una concezione materialista dell’uomo: un uomo totalmente distrutto o azzerato. Lo spirito sembra non esistere. In realtà si tratta di una forma enfatica di riferimento alla tragedia dell’uomo, conseguente al peccato originale, per cui occorre stare attenti a non cadere negli eccessi di Lutero o del materialismo.

Ci pare di trovarci davanti a un Dio che non sente più l’uomo come sua amata creatura, ma come un odioso nemico da allontanare da sé e da gettare nel nulla. C’è molta materia per il nichilismo leopardiano dell’uomo che viene dal nulla e al nulla ritorna. L’uomo, «una passione inutile», come disse Sartre. L’uomo, «un puro nulla», come troviamo nelle proposizioni di Eckhart condannate da Papa Giovanni XXII (Denz.976). Un «essere-per-la-morte», secondo l’antropologia di Heidegger. Pare di trovarsi davanti a quelle statue di sabbia, che i ragazzi costruiscono sulla spiaggia, e che, abbandonate a se stesse e al vento, vengono poi dissolte  per gioco da altri ragazzi.

È chiaro che si tratta di un’aspra espressione retorica, che va interpretata con grande prudenza, inserendola nell’ampio contesto dell’insegnamento biblico ed in particolare mettendola in rapporto col dogma della Redenzione.

Il tema biblico della polvere è molto importante e poco purtroppo se ne parla nell’omiletica, nella pastorale e nella letteratura ascetica. Eppure è molto istruttivo. La polvere, per gli Antichi, che non possedevano le moderne conoscenze della chimica e della microfisica, che ci mostrano le meraviglie di questo mondo immenso, dinamico e svariatissimo, invisibile all’occhio nudo, ma che cela formidabili energie, rappresentava la cosa più spregevole che si potesse immaginare, la dissoluzione estrema, caotica e più totale di una qualunque sostanza materiale, vivente o non vivente, naturale o artificiale.

La polvere non interessa nessuno ed è semplicemente qualcosa di cui occorre sbarazzarsi e liberarsi, l’emblema di ciò che non vale niente e bisogna gettare via o semmai gettar contro il nemico in segno di disprezzo. È per antonomasia ciò che è da rifiutare, da tener in non cale e da disprezzare.

Associata a volte all’immagine del fango, della sabbia e della cenere, la polvere, tuttavia, anche per la Bibbia, non è priva del tutto di una sua dignità, benchè minima. È infatti utilizzando la polvere del suolo, quella che aristotelicamente si potrebbe chiamare «materia prima», che Dio plasma il corpo di Adamo (Gen 2,7), infondendo in esso un «alito di vita», ossia l’anima spirituale, sicchè Adamo «divenne un essere vivente» (ibid.).

Ad ogni modo, a parte questo uso che solo Dio creatore dell’uomo e della materia può permettersi, l’uomo antico non ha alcun interesse e non trae alcun giovamento tecnico o pratico dalla polvere, ossia dalle minuscole particelle della materia, come potrebbe fare la moderna chimica. La polvere però assume diversi significati simbolici, sempre connessi con l’idea della disintegrazione, della dispersione, della dissoluzione, della distruzione, dell’umiliazione, dell’inutilità, dell’insensatezza, della sconfitta, del nulla, del lutto e della morte.

Così la Bibbia parla di «polvere» come mancanza di fondamento (cf Gb 4,19) in modo simile alla «sabbia» (Mt 7,26); della polvere come di qualcosa di vano e di insignificante (cf Gen 18,23; Gb 5,6; Sal 30,10; 103, 14; Is 5,24, Ger 17,13; Sap 11, 22); come il nulla nel quale si ricade con la morte (I Mac 2,63; Gb 10,9; 34,15; Sal 22,16.30; 90,3; 104, 29; Qo 3,20); come condizione di umiliazione (I Sam 2,8; I Re 16,2; ; Sal 113,7); come simbolo di lutto, amarezza, penitenza: sedere nella polvere (Gb 42,6; Sal 44,26; 119,25; Ger 6,26; Lam 3,16); coprirsi di polvere (Gs 7,6; I Sam 4,2; II Sam 1,2; 15,32; Ne 9,1 ecc.).

La polvere è gettata in segno di disprezzo verso il nemico (I Sam 16,13; Is 52,2; Mt 10,14; Lc 10,11; At 13,51). Essa ha tutt’al più un significato positivo per esprimere una grandissima quantità di persone o di cose (Gen 13,16; 28,14; II Cr 1,9; Zc 9,3). Il serpente genesiaco è condannato a «mangiare polvere» (Gen 3,14), a significare quanto insensate sono state le sue scintillanti promesse fatte ai Progenitori, che d’ora innanzi mangeranno polvere anche loro per aver seguìto il loro maestro.

Per qual motivo in Quaresima ricordiamo le suddette tremende parole del Signore? Il motivo è dato dal fatto che questo periodo liturgico ha lo scopo di prepararci alla Pasqua, che rappresenta la pienezza finale della vita cristiana nella resurrezione. Ora, la Quaresima si propone di farci ripercorrere o percorrere il cammino spirituale, che dal peccato, dalla polvere nella quale siamo stati gettati, giunge alla pienezza della vita nuova nella Pasqua. Si apprezza il valore della meta, quando si ha ben chiaro il punto di partenza. Il cammino dalla Quaresima alla Pasqua è una sintesi liturgica di tutto il cammino della vita presente dalla miseria della polvere verso la Pasqua eterna della resurrezione.

La Quaresima, pertanto, ha lo scopo di farci ricordare il peccato originale, ossia il male che in Adamo abbiamo fatto e che ha causato la situazione di miseria della vita presente. Dobbiamo ricordarci da che cosa dobbiamo risorgere per poter giungere alla Pasqua. E quindi che cosa dobbiamo fare o non fare in ordine a questo scopo. Ecco le pratiche quaresimali di penitenza, di mortificazione, di emendamento, di conversione, di fraterna carità, di più intenso fervore di opere buone e di ricerca di Dio.

Ma com’è che allora l’uomo risorge dalla polvere? Quel «sei polvere» non va preso alla lettera. Va inteso bene. L’uomo con la morte non torna tutto in polvere. Che vuol dire allora quel «ricordati che sei polvere e in polvere tornerai»? Non bisogna esagerare le conseguenze del peccato originale, come ha fatto Lutero. La natura umana è ferita, è indebolita, non totalmente distrutta. È inclinata al male, ma non è essenzialmente malvagia.

L’anima sopravvive alla morte del corpo. La ragione ci vede ancora. La volontà ha ancora forza. Devono essere purificate, sostenute, aiutate, guarite. L’uomo continua a sapere che Dio esiste. Ma ecco che Dio ha avuto pietà di Adamo peccatore incapace di riconciliarsi con Lui.

Già subito dopo la caduta Dio promette ad Adamo una futura rivincita sul serpente  (Gen 3,15). È l’oscura profezia dell’avvento della croce di Cristo, che ha rialzato Adamo e la sua progenie dalla polvere, ha restaurato l’immagine di Dio deturpata dalla colpa, perdonandoli, liberandoli dal peccato, dalla morte e da Satana ed elevandoli allo stato di figli di Dio nel Figlio Gesù Cristo.

Si tratta, come ci dice S.Paolo, di «mortificare», «crocifiggere» e «seppellire» nel battesimo l’«uomo vecchio», carnale, corruttibile, schiavo del peccato e di Satana ed inclinato al peccato, per diventare gradualmente e sempre più «nuova creatura», «uomo nuovo»,  spirituale, ad immagine di Cristo, mosso dallo Spirito Santo, figlio di Dio e della resurrezione.

Così l’intera vita cristiana è una lunga Quaresima in preparazione alla Pasqua eterna. Essa, nel suo ciclo liturgico e nel suo significato ascetico, è un succedersi di morti e di resurrezioni, di rinunce e di conquiste, di abbandoni e di acquisti,  di sacrifici e di guadagni, di vittorie e di sconfitte, di sofferenze e di gioie, di Quaresime e di Pasque, grazie a cui l’uomo vecchio gradualmente si estingue, mentre l’uomo nuovo cresce ed avanza.

Per questo, sperimentiamo già fin da adesso gli inizi e i prodromi della resurrezione e della vita futura, l’immortalità nella vita mortale, l’incorruttibilità insieme con la corruzione, la grazia insieme col peccato, la fortezza insieme con la debolezza, un tesoro in un vaso fragile, la gioia nella sofferenza, ciò che Paolo chiama «primizie e caparra dello Spirito Santo». Il regno di Dio è già presente, ma non è ancora giunto alla pienezza finale.

Le miserie visibili progressivamente dileguano, «passa la scena di questo mondo», mentre l’invisibile comincia a diventare visibile, la notte sta calando e la luce sta avanzando. Il mistero si sta svelando, il mondo nuovo sta sorgendo. Con la nostra morte l’uomo vecchio sarà morto del tutto, mentre il nuovo, che sta germinando già adesso, apparirà in tutta la sua gloria. Quello che ci attende è certo ancora misterioso, ma è in linea con ciò che sperimentiamo già adesso, perchè è lo stesso mistero di salvezza, di santità e di beatitudine.

P.Giovanni Cavalcoli
Varazze, 9 marzo 2019

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