La Russia e l’Europa - Prima Parte (1/2)

La Russia e l’Europa

Prima Parte (1/2)

Dall’oriente all’occidente grande è il mio nome fra le genti

e in ogni luogo è offerto incenso al mio nome

e una oblazione pura, perché grande è il nome fra le genti

Ml 1,11 

La guerra in Ucraina è la conseguenza

della frattura dell’Europa avvenuta nel 1054.

L’attuale guerra in Ucraina mostra in modo lampante le estreme conseguenze della gravissima frattura fra l’Europa occidentale e l’Europa orientale, un tempo interamente cattolica e dipendente dalla guida del Romano Pontefice, frattura avvenuta con lo scisma d’Occidente del 1054, aggravato successivamente dal primato direttivo della Chiesa rivendicato da Mosca su Costantinopoli del 1589. Nel contempo nel 1517 la riforma luterana allontanava ancora di più, a causa delle sue eresie, il cristianesimo europeo occidentale dal cristianesimo ortodosso orientale.

Lutero ha diviso un’Europa occidentale già separata da quella orientale, in un’Europa occidentale nordico-tedesca anticattolica da un’Europa occidentale meridionale latina rimasta cattolica. La corruzione dottrinale provocata da Lutero è peggiore di quella provocata dallo scisma del 1054, giacchè, mentre in questo caso l’edificio dogmatico ha subìto solo modeste lesioni, per cui il guaio è consistito sostanzialmente nel rifiuto dell’obbedienza al Papa, Lutero ha semidistrutto l’edificio dogmatico lasciandone solo le fondamenta e qualche muro di sostegno.

È successo tuttavia che mentre con gli ortodossi i cattolici interruppero i rapporti e la cosa fu facile, date le distanze geografiche, nel caso dei protestanti i cattolici erano obbligati a vivere fianco a fianco, per cui dopo i terribili scontri dalla fine del sec. XVI fino a metà Seicento, si dovette per forza trovare un modus vivendi.

Viceversa, per quanto riguarda la convivenza con gli ortodossi, le nazioni più occidentali rimaste cattoliche non ebbero questo problema, come invece capitò a ai paesi dell’Europa centro-orientale confinanti col mondo ortodosso. E tra questi da sempre c’è stata l’Ucraina, la quale, a differenza della Polonia decisa a restare cattolica o di altre decisamente passate all’ortodossia, come la Serbia o la Grecia o la Bulgaria, non ha compiuto una scelta netta, ma è rimasta divisa tra cattolici ed ortodossi, senza riuscire ad organizzare un sereno modus vivendi. E oggi nella guerra in Ucraina assistiamo alle conseguenze tragiche di questa inveterata incapacità di convivenza.

Differenza fra occidente ed oriente come mondi umani

La cristianità europea occidentale, i cosiddetti «Latini» e la cristianità europea orientale, formata dai cosiddetti «Greci», sin dai primi secoli, sono state caratterizzate e lo sono tuttora, da due ben precise identità sociologiche, ben note agli storici delle civiltà, delle spiritualità, delle culture e delle religioni.

Sia l’Europa occidentale che quella orientale hanno una radice greca. Il logos aristotelico l’occidente; l’idea platonica, l’oriente. Aristotele però in occidente si congiunse con lo jus romano. L’oriente con l’esychìa[1], il silenzio mistico. La teologia occidentale è catafatica; quella orientale, apofatica[2]. L’occidente coltiva l’esteriorità e da essa sale al trascendente. L’oriente è spontaneamente interiore e dall’interiorità guarda all’esteriorità. Per l’occidentale la realtà è comprensibile; per l’orientale è misteriosa. L’occidente è attivo, l’oriente è contemplativo. L’occidente è attratto dalla natura; l’oriente dallo spirito. L’occidente è per il progresso; l’oriente per la tradizione. Per l’occidentale è importante progettare, per l’orientale, ricordare.

Un mondo a sé è indubbiamente il mondo islamico, sorto nell’Asia minore.  Unisce la religiosità orientale, fino al fatalismo, all’attivismo occidentale, fino alla più violenta aggressività.

Le due entità europee sono simboleggiate dalle due lingue, greco e latino. Esse sono reciprocamente complementari; ma accentuando esageratamente le peculiarità di ciascuna, si finisce per contrapporle in un’esclusione reciproca che rende impossibile l’accordo.

Se questo conflitto trasborda dal piano delle idee, stimola le passioni, muove la volontà all’azione e questa azione si organizza collettivamente sul piano delle forze militari, sotto la direzione dello Stato, nasce la guerra. E come farla cessare? Bisogna agire sulle cause, che sono le idee contrapposte e reciprocamente escludentisi, così come il vero si oppone al falso. La guerra è l’effetto della falsità. La pace è l’effetto della verità. Promovendo la verità, e confutando il falso, generatore dell’odio e della guerra, si promuove la volontà che ottiene il bene della pace e si fa cessare la guerra.

Oriente ed occidente sono noti anche ad Israele. È interessante come Israele si trovi tra l’Europa e l’Asia, quasi a fare da fattore di congiunzione e di mediazione. E di fatti nella Scrittura troviamo sia le qualità dell’oriente che quelle dell’occidente. La Parola di Dio è per l’oriente e per l’occidente e nello stesso tempo al di sopra di entrambi ed indipendente da entrambi.

Stupisce come l’Antico Testamento narri una serie di guerre feroci di Israele contro i suoi nemici, con distruzione non solo di soldati, ma anche di civili e di intere città. Sono i segni di un popolo ancora crudele e non possiamo prenderle ad esempio. Simboleggiano in un modo oggi inaccettabile, il primato di Israele sugli altri popoli, voluto da Dio stesso.

Tuttavia, quei racconti sanguinosi dell’Antico Testamento ci ripugnano. Nulla hanno a che vedere con la mitezza della morale evangelica e l’umanità dei racconti evangelici o degli atti degli apostoli. Il che non esclude la possibilità dell’uso lecito delle forze armate e il valore salvifico della guerra apocalittica escatologica di Cristo contro le forze del male. Tuttavia in base a queste considerazioni detestiamo le stragi di civili e le distruzioni di città operate dai Russi in Ucraina.

Un’operazione bellica può essere giustificata se compiuta contro l’esercito dello Stato nemico, ma quando uno Stato compie azioni del tipo di quelle che sono state o sono compiute dai Russi in Ucraina, qui non si può più parlare di azioni di guerra, ma di crimini di guerra, che vanno puniti con la massima severità, mentre i responsabili sono tenuti a riparare i danni.

La Chiesa ortodossa russa

La Russia, già cattolica nel sec. IX grazie al Battesimo di San Vladimiro, Re di Kiev e dei Russi, si è separata, come è noto, dall’Europa cattolica con lo scisma del 1054, aggravato dalla separazione di Mosca da Costantinopoli del 1589. Essa ha ripudiato la soggezione al Vescovo di Roma e l’introduzione del Filioque nel Credo come eresie, ma ha mantenuto i dogmi fondamentali della Santissima Trinità, dell’Incarnazione. della Redenzione, la fede nella Sacra Scrittura, il rispetto della Tradizione dei Padri, la dottrina cattolica fino al Concilio di Nicea II del 787, la struttura sacramentale, santificante, apostolica, sinodale e patriarcale della Chiesa.

Già Costantinopoli nel 1054 aveva cessato di riconoscere al Papa la sua autorità magisteriale, giurisdizionale e pastorale universale e aveva limitato tale autorità a quella dei Patriarchi, che sono Vescovi che risiedono in una sede di governo statale di una data nazione, dotati di autorità nei confronti dei Vescovi suffraganei e del popolo fedele, nei limiti della loro circoscrizione ecclesiastica su base etnico-nazionale.

Costantinopoli fissò il numero dei Patriarcati per lo più di origini apostoliche, che dovevano costituire la cosiddetta «pentarchia ecclesiastica»: quello di Gerusalemme, quello di Antiochia, quello di Alessandria, quello di Costantinopoli e quello di Roma, togliendo però a quest’ultimo la primazia sugli altri.

Il Patriarca, che significa «primo dei Padri», nella concezione ortodossa, concede l’autocefalia a vescovi metropoliti a lui soggetti, che, per meriti acquisiti, possono salire al grado di Patriarchi. In tal modo essi diventano giuridicamente indipendenti e mantengono col Patriarca soltanto un legame di ossequio morale.

Da quando Mosca ricevette da Costantinopoli l’autocefalia nel sec. XV, cosa che poi le consentì di essere elevata a Patriarcato, essa è andata oltre le prerogative ad essa concesse e con la famosa teoria della Terza Roma del 1589 ha preteso di essere al di sopra di Costantinopoli, la quale già si riteneva al di sopra della Roma dei Papi.

Per questo Mosca aggravò la separazione da quest’ultima sostituendosi ad essa nella pretesa di guidare direttamente nel nome di Cristo e dello Spirito Santo la Chiesa universale e tutta la cristianità civile e religiosa.  Si è dunque staccata da Roma, in una forma ancora più scismatica e pretenziosa di quella di Costantinopoli, la quale già pretendeva di essere l’erede dell’antica Roma. Mosca invece ha preteso di essere ancora più in alto dell’antica Roma («Terza Roma»), di quanto non lo fosse Costantinopoli («Seconda Roma»).

Tuttavia la situazione attuale del Patriarcato di Mosca è divenuta drammatica per non dire tragica, essendo oggi caratterizzata dall’aver perso la fiducia della quasi totalità delle Chiese ortodosse, non ultima quella del Patriarca Onofrio di Kiev, a seguito dell’essersi separato da Cirillo in segno di protesta per l’invasione dell’Ucraina e dopo che lo stesso Patriarca Cirillo, offeso per l’autocefalia concessa senza il suo permesso al Patriarca di Kiev Epifanio dal Patriarca di Costantinopoli, ha scomunicato – fatto inaudito in tutta la storia dell’ortodossia – lo stesso Patriarca di Costantinopoli.  

In tal modo il Patriarca Cirillo si trova ad essere isolato e a sua volta emarginato dall’insieme delle Chiese ortodosse. Quasi nessuna riconosce più a Mosca quella supremazia panortodossa di Terza Roma, della quale essa si è sempre vantata sin dal 1589, anno della sua autocefalia da Costantinopoli.

La dottrina della Terza Roma, da sempre utilizzata da Mosca per fruire del primato su tutta l’ortodossia e sulla stessa Costantinopoli, è ormai respinta per non dire sbeffeggiata dalle stesse Chiese ortodosse, le quali si sono ormai accorte, soprattutto nell’atteggiamento di Mosca verso l’Ucraina, che cosa in realtà nasconda quella dottrina: la voglia indomabile della Russia di dominare il mondo. Esse pertanto semmai preferiscono tornare a Costantinopoli o restare fedeli a Costantinopoli, dove il Patriarca Bartolomeo non può certo esser considerato strumento di un potere politico espansionista, oltre al fatto che risiede un uno Stato islamico come la Turchia.

Bartolomeo, quindi, col suo atteggiamento modesto e dignitoso, aperto al dialogo ecumenico e comprensivo verso l’Occidente, fedele alla Tradizione ortodossa, appare oggi più di Cirillo, troppo compromesso con Putin, l’interlocutore più autorevole dell’oggi più che mai necessario dialogo ecumenico cattolico-ortodosso. Costantinopoli non ha mai accettato la supremazia che Mosca si è attribuita nel 1589 e l’ha pazientemente sopportata. Ma negli anni recenti, allorchè Cirillo si è adirato per il fatto che Bartolomeo avesse concesso l’autocefalia ad Epifanio Patriarca di Kiev, Cirillo è giunto all’audacia inaudita di scomunicare il Patriarca Bartolomeo.

A questo punto Onofrio, altro Patriarca di Kiev fino ad allora fedele a Cirillo, ha preso le distanze in segno di protesta per l’appoggio dato da Cirillo all’invasione russa dell’Ucraina. E così la Chiesa ortodossa russa non si è mai trovata tanto a malpartito come oggi.

D’altra parte, il modo col quale Alexander Dugin difende la dottrina della Terza Roma mescolandola con aspirazioni egemoniche sulle grandi formazioni religiose dell’Asia, anche se non privo di ampiezza di vedute, ha però tutto il sapore di un programma imperialistico di dominio sull’Asia da parte della Russia.

Come l’occidente può rispondere alla sfida dell’oriente?

All’oriente che propone Alexander Dugin come suo campione, l’occidente deve saper contrapporre un campione adeguato, che non può essere Rahner, come credono gli American, sollecitati dalla massoneria e i Tedeschi, sollecitati dai protestanti, perché Rahner e Dugin, per quanto contrapposti e per quanto siano significativi rappresentanti delle rispettive aree geografiche, hanno la stessa matrice hegeliana, che appare chiarissima nella stessa ammirazione per Heidegger, il filosofo del nazismo.

Il campione che l’occidente deve esibire all’oriente, grandissimo teologo che capisce sia l’occidente che l’oriente, è San Tommaso d’Aquino, Dottore Comune della Chiesa. Nella sintesi tomista confluiscono sia Platone che Aristotele, sia i Padri latini che quelli greci, sia l’istanza della teologia razionale che di quella mistica, nel momento che Tommaso elenca con franchezza gli errori dei Greci opponendone la correzione.

Il campione proposto dai modernisti Rahner, è sì sensibile ai valori dell’oriente, ma indulge alla loro tendenza panteistica ed apofatica, che ha un qualche riflesso nell’idealismo tedesco, che fa da sfondo alla teologia rahneriana. Nel contempo il pensiero rahneriano riflette l’aspetto evoluzionistico-storicista nella cultura occidentale, col suo liberalismo e relativismo morale, aspetto tipico del modernismo, bersaglio di giusta critica da parte dell’ortodossia, ben consapevole dell’importanza della tradizione dei Padri, dell’immutabilità del dogma e dell’articolo di fede. Quindi Rahner è più adatto a far confusione che a chiarire le cose. E la pace non nasce dalla confusione, ma dalla chiarezza e dalla distinzione.

Attualità della questione del Filioque

Se l’occidente vuol essere autorevole e credibile presso l’oriente e confutare Dugin, occorre ben altro: bisogna che, alla luce delle direttive del Concilio Vaticano II, sappia imbastire un ecumenismo costruttivo e concludente, il quale, nel momento in cui accoglie la stima orientale per lo Spirito Santo, mostri all’oriente che per un’autentica e perfetta devozione allo Spirito Santo non è sufficiente accogliere lo Spirito che procede dal Padre, ma bisogna accogliere anche lo Spirito che procede dal Figlio; il che implica l’accoglienza del carisma petrino, che è appunto l’effetto della processione dello Spirito dal Figlio. Ciò comporta come conseguenza una nozione di Chiesa, per la quale la Chiesa è animata dallo Spirito del Figlio, che fa sì che la Chiesa sia guidata da Pietro.

La dottrina secondo la quale lo Spirito Santo procede dal Figlio è motivata, come spiega San Tommaso[3], dal fatto che diversamente non ci sarebbe possibilità di distinguere il Figlio dello Spirito Santo, perché le Persone procedenti sono distinte in base all’origine e il Figlio e lo Spirito Santo hanno la medesima origine dal Padre. Gli ortodossi sostengono che le due Persone sono già sufficientemente distinte per la differenza della loro azione nell’opera della salvezza. Senonchè però le proprietà di tale azione si trovano anche nella natura divina. Per questo esse non bastano a differenziare le persone.

Infatti è vero che il Figlio è il Logos e lo Spirito è l’Amore, ma è altrettanto vero che il Figlio pure, in quanto Dio, è amore e lo Spirito in quanto Dio è sapienza. Ed è pure vero che anche il Padre in quanto Dio è amore e sapienza. Nessuno nega la differenza nell’opera nel mondo, fra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il progetto è del Padre, l’esecuzione iniziale è del Figlio, quella completiva è dello Spirito. Il Padre ha voluto la Chiesa, il Figlio la guida mediante i doni gerarchici, lo Spirito la muove mediante i doni carismatici. Il Padre ha creato il mondo; il Figlio lo ha salvato; lo Spirito lo ha santificato.

Lo Spirito che procede dal Padre è lo Spirito del Padre, che compie le opere del Padre. Lo Spirito che procede dal Figlio è lo Spirito del Figlio, che compie le opere del Figlio. Le opere dello Spirito sono le opere del Figlio e del Padre.

La processione dello Spirito dal Figlio congiunge strettamente le opere dello Spirito: l’illuminazione, la purificazione, la santificazione, l’amore, la perfezione, la concordia, la pace, alle opere del Figlio: la redenzione, il sacerdozio, il pontificato, la gerarchia, i sacramenti, la dottrina, l’ordine, la giustizia, le opere buone. Il rifiuto della processione dello Spirito dal Figlio reca pregiudizio alle opere del Figlio e di riflesso anche a quelle dello Spirito.

Gli ortodossi accettano la formula dal Padre per mezzo del Figlio. Ma ciò non è sufficiente ad esprimere la differenza di origine del Figlio e dello Spirito Santo, perché non esprime l’origine dal Figlio. Il Figlio quindi è principio dello Spirito come lo è il Padre. Il Figlio è principio dello Spirito non subordinatamente al Padre o come mezzo del Padre, ma per conto proprio, alla pari del Padre. Il Figlio tuttavia procede dal Padre, mentre il Padre non procede da nessuno.

Lo Spirito Santo ha dunque due origini alla pari: il Padre e il Figlio. La Trinità, dunque, non dev’essere intesa secondo uno schema discensivo: il Padre al vertice; dal Padre si scende al Figlio e dal Figlio si scende allo Spirito. È vero che il Padre è l’unica origine di tutta la Trinità, ma è alla pari del Figlio nello spirare lo Spirito. Il Padre e il Figlio sono alla pari in quanto Dio. Per capire quindi il Filioque occorre avere una nozione rigorosa dell’unità della natura divina, ed è qui che l’ortodossia è carente. Essa è troppo presa dalla distinzione delle persone e lascia in ombra l’unità della natura, rischiando il triteismo.

Essa manca della percezione che la persona divina è una pura relazione sussistente d’origine[4] e tende invece a sostanzializzarla (ypostasis) come fosse una divinità. Invece la vera substantia, come precisarono i Latini, è la natura.

Agli ortodossi Dio appare prima come persona che come natura. Per questo, concentrandosi sulle persone, rischiano di triplicare la natura. Essi faticano a concepire un monoteismo così puro come quello della Chiesa cattolica, che riprende la nozione biblica di Dio come ipsum Esse, «Colui Che È» (Es 3,14) e per questo accusano di modalismo (o sabellianismo) i cattolici male interpretando l’omoùios di Nicea, che i Latini traducono con consubstantialis. Essi credono che così i Latini confondano la persona del Padre con quella del Figlio. Invece non si tratta altro che della dichiarazione che il Figlio è Dio come il Padre è Dio. Comunque occorre riconoscere che anche gli ortodossi distinguono l’usìa (natura) dalla persona (ypostasis).

La carenza del monoteismo ortodosso si manifesta anche nella sua famosa distinzione in Dio fra l’essenza (usìa) e le «energie» (enèrgheiai), che sembra sdoppiare la natura divina in una sostanza e in accidenti (ta perì Theù), come se esistessero due Dei: uno superiore, inconoscibile e un altro, inferiore, alla nostra portata e comprensibile. Da qui nasce la tipica separazione ortodossa fra catafatismo e apofatismo, tra mistica e dogma.

Ora è vero che Dio per noi è un mistero infinito incomprensibile ed ineffabile, ma Egli stesso si è degnato di lasciarsi vedere e concepire per mezzo di Cristo, Quindi quello che noi vediamo nella visione beatifica non è qualcosa di divino che appartiene a Dio distinto da Dio, ma è l’essenza divina. La grazia sì che è una semplice partecipazione dell’essenza divina distinta dall’essenza divina, ma gli ortodossi confondono l’atto intellettuale del vedere con l’atto d’essere dell’anima in grazia. Il beato del paradiso vede Dio ma non per questo diventa Dio[5].

L’atto del suo intelletto, benché veda l’Infinito, resta finito e non è che perché vede Dio che il suo atto d’essere diventi infinito, ma resta finito. Nessun panteismo: la creatura resta creatura e il creatore resta creatore. L’intelletto s’identifica con Dio intenzionalmente, non realmente, come avviene in ogni atto di conoscenza.

Un altro grave inconveniente dell’assenza della processione dello Spirito dal Figlio, che ha cominciato a manifestarsi nella spiritualità russa a partire dal sec.XVII, è una certa falsa concezione della santità, che si esprime nella figura dello yurodivjie, il cosiddetto «pazzo in Cristo», un fraintendimento del precetto paolino per cui il cristiano deve farsi stolto per divenire sapiente (cf I Cor 3,18).

 Col pretesto dello scandalo della croce il santo ha il dovere di scandalizzare. Il santo combatte e vince il peccato peccando. Si capisce dov’ il fraintendimento: in realtà San Paolo intende dire che il santo deve accettare l’umiliazione di apparire stolto e scandaloso agli occhi del mondo. Ma San Paolo si guarda bene dal fare l’elogio della stoltezza. Se c’è un Autore biblico che tanto esalta il valore della sapienza, questo è proprio S.Paolo.

La possibilità di una simile stortura nasce quando manca il controllo dell’autorità petrina – espressione della processione dello Spirito dal Figlio -   circa l’autenticità dei carismi. Si suppone che lo Spirito agisca per conto proprio indipendentemente dalla sua uscita dal Figlio, rappresentato dall’autorità ecclesiale, per cui si crede di poter riconoscere l’azione dello Spirito indipendentemente dalla supervisione del Papa nei confronti della pastorale dei vescovi.  

Così il vescovo, privato di questo riferimento a Pietro, voluto dallo Spirito Santo in quanto Spirito del Figlio, si lascia facilmente gabbare da falsi profeti, falsi mistici, falsi santi[6]. I mistici tendono a prendere la mano ai vescovi, così come nel protestantesimo non è il vescovo, che non esiste neppure, ma è il teologo o il biblista che stabilisce che cosa è di fede e che cosa non lo è. In tal modo nell’ortodossia russa il popolo tende a dar fiducia più a veggenti o visionari che alla rivelazione pubblica trasmessa dai successori degli Apostoli.

Ma il guaio è che è la stessa tradizione governativa russa, ieri gli zar, oggi il governo Putin, sembrano influenzabili da questo misticismo russo, che dà alla Russia una missione apocalittica di vittoria sulla corruzione dell’occidente, dove è evidente che la religione diventa il pretesto di un imperialismo politico mondiale in antitesi con le mire universalistiche degli Stati Uniti. 

Il rifiuto del Filioque comporta quindi gravi danni alla vita spirituale del singolo e della Chiesa, come è dimostrato facendo il confronto fra la storia del cattolicesimo e quella dell’ortodossia. La spiritualità cattolica è una spiritualità che congiunge sapientemente ed armoniosamente l’istituzione col carisma, l’unità con la molteplicità, la disciplina con la creatività, l’uniformità con la diversità, la conservazione col progresso, la pastoralità con la dottrina, la sinodalità col primato petrino, l’apostolicità con la laicità, la cattolicità con la multiformità, la teologia scolastica con la teologia mistica, l’ascetica con la mistica, l’obbedienza con la libertà, l’azione con la contemplazione, la parola col silenzio, lo spirito con la carne, l’intelletto con la volontà, la giustizia con la misericordia, l’ordine con la spontaneità.

La spiritualità ortodossa su parecchi di questi punti è carente, contrappone ciò che va congiunto, divide ciò che va unito, confonde ciò che va distinto, esclude ciò che va incluso, include ciò che va escluso.

Nella sua millenaria storia la Chiesa ortodossa non ha mai sperimentato con tanta evidenza quanto in questa guerra in Ucraina le conseguenze incresciose ed anzi tragiche[7] del rifiuto del Filioque. Essa dovrebbe prenderne atto per decidersi finalmente, dopo tante inutili resistenze ed amare esperienze, dopo una lunga e sciagurata separazione a ricongiungersi con quella vera Chiesa di Cristo, dalla quale si è separata 1000 anni fa.

Ecco la grande chance dell’ecumenismo

L’ecumenismo non può limitarsi alla pur lodevole collaborazione pastorale ed alla preghiera comune, ma deve, con la forza dello Spirito Santo, nella comunione della carità, illuminare le menti dei fratelli separati, togliere le tenebre e diffondere la luce, colmare le lacune, togliere gli ostacoli, stimolare le volontà col dare un buon esempio di integrale obbedienza alla volontà di Cristo.

L’ecumenismo non è un dibattito fra teologi, non si tratta di discutere sottilmente raffinate opinioni teologiche, ma di mettere in luce con franchezza, gradualità, prudenza e carità verità di fede e respingere proposizioni che si oppongono ad esse, motivando il perchè di tale rifiuto. È un’opera di accompagnamento caritatevole e prudente, graduale e metodico, del fratello separato dalla sua condizione di separatezza ad una condizione di piena comunione con la Chiesa cattolica.

L’ecumenismo è proposizione di idee benefiche, giuste e salutari, basate sulla fede, sul dogma e sulla Parola di Dio, sorgenti di virtù e di santità, e la corrispettiva correzione delle sue idee sbagliate, sorgenti di confusione, di pericolo morale e di disobbedienza a Dio.

Non basta ad ogni incontro ecumenico constatare con dolore l’attuale permanere della mancanza della piena unità, e lasciare la situazione nello stesso punto, ma bisogna, per quanto è possibile, adoperarsi e lavorare con competenza, coraggio, tenacia e programmando i passi da compiere in vista dell’unità. Occorre avere idee ben chiare e fondate su ciò in cui consiste l’unità, e non limitarsi al vago e generico auspicio, altrimenti questa auspicata unità come la potrebbe concepire come termine del cammino e obbiettivo da raggiungere?

Bisogna dimostrare ai fratelli separati le conseguenze incresciose, per non dir di peggio (vedi la situazione attuale di Cirillo), che nascono o sono nate dalla separazione da Roma e i vantaggi spirituali che provengono dalla comunione con Roma.

Fare ecumenismo vuol dire invitare il fratello al banchetto di nozze preparato dal Padre; fargli capire che nella casa del Padre si sta bene e non si è costretti a mangiare le carrube dei porci.  L’ecumenista deve fare ogni sforzo per rendere al fratello quanto più amabile e desiderabile possibile il pellegrinaggio verso Roma ed accompagnarlo passo passo fino al conseguimento della meta.

Non è certo un puro operare sul fratello come farebbe un semplice educatore o istruttore, ma comporta anche apertura alle sue ricchezze, imparare dalle sue virtù, accettare la sua collaborazione, con umile accoglienza di eventuali correzioni o rimproveri, che egli può farci, ben consci che tutto ciò non fa che essere uno stimolo persuasivo e quasi irresistibile ad avvicinarlo a Roma.

L’unità è certo dono dello Spirito, da implorare continuamente nella preghiera, ma dev’essere anche il termine ben chiaro di un cammino le cui tappe si ricavano dalla consapevolezza di quali sono le verità mancanti che nei fratelli separati impediscono ad essi la piena comunione con Roma.

Rassegnarsi a che i fratelli rimangano all’infinito nella loro situazione deficitaria col pretesto della diversità non è lealtà, non è carità, non è ecumenismo, ma pigrizia, infingardaggine ed opportunismo. È l’atteggiamento del sacerdote sulla via di Gerico, che vede il viandante malmenato e passa oltre.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 giugno 2022

 

Bartolomeo, col suo atteggiamento modesto e dignitoso, aperto al dialogo ecumenico e comprensivo verso l’Occidente, fedele alla Tradizione ortodossa, appare oggi più di Cirillo, troppo compromesso con Putin, l’interlocutore più autorevole dell’oggi più che mai necessario dialogo ecumenico cattolico-ortodosso.

Lo Spirito Santo ha dunque due origini alla pari: il Padre e il Figlio. La Trinità, dunque, non dev’essere intesa secondo uno schema discensivo: il Padre al vertice; dal Padre si scende al Figlio e dal Figlio si scende allo Spirito. È vero che il Padre è l’unica origine di tutta la Trinità, ma è alla pari del Figlio nello spirare lo Spirito. Il Padre e il Figlio sono alla pari in quanto Dio. 

Per capire quindi il Filioque occorre avere una nozione rigorosa dell’unità della natura divina.

Fare ecumenismo vuol dire invitare il fratello al banchetto di nozze preparato dal Padre; fargli capire che nella casa del Padre si sta bene e non si è costretti a mangiare le carrube dei porci.   

L’ecumenista deve fare ogni sforzo per rendere al fratello quanto più amabile e desiderabile possibile il pellegrinaggio verso Roma ed accompagnarlo passo passo fino al conseguimento della meta.

Immagini da Internet:
- Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo
- Santissima Trinità, Rubens


[1] Cf Flavio Poli, Yoga ed esicasmo, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1981.

[2] La teologia è discorso su Dio, è un parlare di Dio; in tal senso si parla di teologia catafatica, ossia manifestativa mediante la parola. Ma il teologo, resosi consapevole del fatto che il parlare di Dio non basta ad esprimere ciò che Dio è, perché Egli è infinitamente di più di quanto si possa dire con la parola, allora ricorre al silenzio; e questa è la cosiddetta teologia apofatica o mistica, ossia che tiene nascosto e non manifesta. Sommo maestro orientale di questa teologia Dionigi l’Areopagita, noto però ed ammirato anche dalla spiritualità occidentale. Vedi di Dionigi: Mistica Teologia, a cura di Matteo Andolfo, Edizioni ESD, Bologna 2011. Vedi anche: V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, EDB, Bologna 2013 e l mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESD, Bologna 2002.

[3] Cf Summa Theologiae, I, q.36, a.2.

[4] Questo dogma fu definito al Concilio di Firenze nel 1439: «omnia in Deo sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio».

[5] Sulla delicatissima questione del vedere Dio la Scrittura sembra contraddirsi, perché in alcuni passi la beatitudine è presentata come un vedere Dio, mentre in altri afferma che Dio non si può vedere. San Tommaso ha trovato la seguente soluzione: noi possiamo vedere Dio, ma non tanto quanto Egli vede se stesso, lo possiamo vedere totus sed non totaliter, giacchè noi lo vediamo finitamente, mentre Egli vede se stesso infinitamente. Quando quindi la Scrittura dice che noi non possiamo vedere Dio o si riferisce allo stato presente, nel quale lo conosciamo solo per mezzo delle creature o intende dire che non possiamo vederLo tanto quanto Egli vede se stesso. Oggi una funzione simile a quella svolta da Rasputin sembra essere quella di Dugin, che alcuni hanno opportunamente paragonato a Rasputin.

[6] Esempio storico notissimo di questo fatto è il caso di Gregorio Rasputin, personaggio sconcertante di falso mistico, che riuscì ad avere un ascendente malefico sulla corte dello Zar Nicola II, tale da provocare il crollo morale e civile dell’Impero Russo e della Casa Romanov e la strada alla Rivoluzione russa del 1917. Cf Edvard Radzinskij, Rasputin. La vera storia del contadino che segnò la fine di un impero, Le Scie Mondadori, Milano 2000, c. VIII. 

[7] Recentemente Putin a definito «tragica» la guerra in Ucraina. Che cosa aspetta a pentirsi e ad ascoltare la voce dello Spirito?

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