Papa Francesco non è un pragmatista senza ideali

 Papa Francesco non è un pragmatista senza ideali

Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam

Una questione impostata male

Ne La civiltà Cattolica del 5 settembre scorso il Padre Antonio Spadaro cerca di rispondere alla seguente domanda: Il governo di Francesco. È ancora attiva la spinta propulsiva del pontificato? Già la domanda è impostata male, in modo grossolano e assolutamente inadeguato a come occorre interrogarsi in modo decente circa la delicatissima questione dell’operato di un Pontefice. Spadaro sembra interrogarsi in base al ben noto principio di Nietzsche della volontà di potenza. La potenza di un Papa è un’altra.

Spadaro sa interpretare l’azione di Papa Francesco come io so interpretare i movimenti della nostra galassia. Non una parola sulla sua dottrina, sul dogma, sulla sua pastorale, sulla sua pietà religiosa, sul suo rapporto con Dio, sulle sue devozioni, sulla sua fede, sulle sue virtù, sui suoi difetti, sulle sue gioie, sulle sue sofferenze. Sì, è vero, cita Gesù Cristo, ma tutto si ferma lì. Come il Papa vive il suo rapporto con Cristo? Non lo dice. Insiste sulla spiritualità del Papa, fino a parlare di «mistica»; ma come la intende questa spiritualità? Non chiarisce. La interpreta in modo assolutamente ambiguo. Anche Hegel aveva sempre lo «Spirito» sulla bocca. Ma che Spirito era? E il demonio non è uno spirito?

Spadaro, con sottile compiacenza, poca intelligenza e molta astuzia, va a spilluzzicare con una intenzione disonesta alcune espressioni infelici del Papa – purtroppo ne ha molte -, ma è cosa crudele andare a pescare proprio quelle trascurando il ricco contesto positivo del Santo Padre, per cui dalla falsa presentazione del Padre Spadaro viene fuori un Papa che rifiuta l’ascetica, devoto di uno Spirito Santo «disordinato». Ridicolo! Ma quale ascetica più severa che quella di fare il Papa? E quale Spirito più ordinato di quello che possiede chi è a capo della gerarchia cattolica assistita dallo Spirito Santo?

La domanda di Spadaro che dà il titolo all’articolo, più che la domanda di un dotto Gesuita, Direttore della prestigiosa Civiltà Cattolica sull’operato di un Pontefice, sembra la domanda che un seguace di Teilhard de Chardin può porsi sull’evoluzione della terra o un fisico od un geologo può rivolgersi circa l’attuale attività di un vulcano o di un soffione boracifero, ossia di una mera forza fisica della natura e niente affatto una domanda che possiamo porci circa l’attuale forza spirituale che sorregge l’azione di Papa Francesco. In che consiste la spiritualità del Papa? Non una parola. È tutto un vago parlare di forze, movimenti, progresso, cambiamenti, tensioni, storia, concretezza, senza che si capisca di che cosa e verso che cosa.

Ricondurre l’evoluzione dei fenomeni umani è il metodo del miope positivismo ottocentesco. Trovare questa mentalità nel Direttore de La Civiltà Cattolica nel giudicare non un fenomeno semplicemente umano, ma addirittura dell’operato di un Pontefice è sorprendente e, direi senza mezzi termini, scandaloso e offensivo del Papa stesso, trattato come se fosse una qualunque espressione delle forze fische o biologiche della natura.

La domanda dunque va posta in ben altro modo. Occorre cercare di capire su quale forza divina il Santo Padre attualmente sta facendo fidamento. Che cosa è che, nell’ambito della fede, lo spinge, gli dà iniziativa, forza e coraggio? Secondo quale linea di azione? Quale via al cielo sta percorrendo? Con quali prospettive? Con quali speranze? Quali gli insuccessi? Quali i successi? Quali gli ostacoli? Contro chi deve combattere? Come si difende? Che speranza ha di vincere? Chi l’aiuta?

Secondo me, la forza propulsiva del Santo Padre è lo Spirito Santo e il nemico contro il quale sta combattendo da solo è un altro spirito, ma questo menzognero e omicida: è il demonio. Questo, secondo me, è il segreto per capire a fondo l’animo di Papa Francesco, il suo dramma, la sua lotta, le sue qualità, i suoi doni, le sue imprese, i suoi progetti, i suoi discorsi, i suoi successi, i suoi fallimenti, le sue sofferenze, le sue delusioni, i suoi errori, i suoi peccati. Combatte per la sua salvezza personale, combatte con Cristo sotto lo sguardo di Maria per tutti noi, per la Chiesa e per il mondo.

Padre Spadaro fa una lettura del pontificato di Papa Francesco dove egli è convinto di farne l’encomio, ma in realtà si ferma ad alcune sue frasi o dichiarazioni estemporanee ed occasionali, che non rispecchiano affatto la vera linea di Papa Francesco come Successore di Pietro, Pastore universale della Chiesa e Maestro della Fede. Coglie gli aspetti più superficiali e contingenti, e non afferra quelli più profondi ed essenziali. Loda quello che dovrebbe criticare e trascura, disprezza o non capisce quello che dovrebbe lodare e difendere contro gli attacchi dei nemici della Chiesa, interni ed esterni.

Spadaro, con linguaggio vago, allusivo, oscuro e politicizzante, senza mettere le cose in chiaro, con raffinata astuzia adulatoria, richiamandosi falsamente all’ideale ignaziano, sfruttando astutamente e slealmente le frasi occasionali più infelici del Papa, finge di essere seguace e sostenitore del Papa, ma in realtà male interpreta il suo magistero e il suo modo di portare avanti la riforma conciliare, ignora la sua costante predicazione di Cristo crocifisso e risorto, la sua ecclesiologia, la sua mariologia, la sua predicazione morale della giustizia e della misericordia,  dell’ecologia integrale, dell’urgenza e del metodo dell’evangelizzazione, dell’importanza del dialogo ecumenico ed interreligioso e con i non-credenti, dell’elogio del martirio, nonché il grande tema della fratellanza universale.

Spadaro non chiarisce il senso di certe frasi infelici del Papa obiter dictae, presenta opinioni personali del Papa come fossero magistero, ignora la sua guida di Maestro della fede e di Pastore universale della Chiesa, e quindi praticamente ostacola l’attuazione del suo ministero petrino riducendolo alle manovre opportunistiche di un abile capo politico.

Fraintende in senso soggettivistico ed hegeliano la spiritualità del Papa, evita di mettere in luce i veri grandi valori del suo pontificato, che non sono di carattere politico ma dogmatico, ascetico e dottrinale, come il valore delle virtù umane e teologali, la condanna dell’opposizione alle dottrine del Concilio Vaticano II e della loro falsa interpretazione, la condanna del rigorismo e del lassismo morali, la condanna dello gnosticismo[1], del pelagianesimo, dell’idealismo, del materialismo, del secolarismo, della mondanità e la messa in luce dell’importanza della demonologia, dell’opera ispiratrice, illuminante, pacificatrice, unificante, liberante, fortificante, purificatrice, santificante, conciliatrice ed armonizzante dello Spirito Santo.

Spadaro crede che al Papa non interessi il problema di distinguere la verità dall’eresia, crede che ami barcamenarsi tra il sì e il no, crede che gli piacciano le contraddizioni, non capisce la sua fedeltà a Cristo, non capisce il valore soprannaturale del suo ragionare e della sua azione pastorale, s’immagina che al Papa non interessi condurci all’eterna salvezza in Cristo e alla visione beatifica celeste nella vita futura, ma che le sue prospettive siano semplicemente infrastoriche, siano limitate al conseguimento di una felicità puramente terrena, crede falsamente che il Papa, alla maniera del prassismo marxista, voglia far scaturire la verità dalla prassi, anziché basare la prassi sulla verità, crede che non sappia spaziare col pensiero nel mondo dei valori assoluti, crede che disprezzi il potere speculativo e astrattivo del pensiero in nome di un concretismo immerso nel contingente, come fanno gli animali, incapace di cogliere la verità nella sua trascendenza, universalità ed immutabilità e quindi i valori teorici e morali del cristianesimo nella loro assolutezza, indipendentemente dal tempo, dal divenire e dalla storia. Il che è come dire, in buona sostanza, che il Papa non sarebbe capace di capire gli articoli del Credo o i concetti della metafisica perché troppo astratti.

Spadaro non capisce che quando il Papa parla di soggezione o subordinazione dell’idea al reale, non fa altro che richiamarsi al realismo gnoseologico  biblico-tomista[2], e non intende affatto disprezzare il valore dell’idea come principio mentale e spirituale, nonchè  progetto  propulsivo e regolatore dell’azione.

Il Papa sa benissimo che il concreto dall’azione discende dall’astratto dei princìpi e della legge. I dieci comandamenti mosaici non sono forse princìpi astratti? Gli articoli del Credo non sono forse concetti astratti? Gli articoli della Costituzione italiana non sono forse princìpi astratti? Eppure è in questi codici che il cattolico italiano trova la base e l’ispirazione della sua condotta morale, religiosa e civile. Non facciamo del Papa un volgare pragmatista marxista!

Egli sa benissimo che è la verità che libera, e soprattutto la dottrina di fede, che deve illuminare e guidare l’azione e non è l’azione che, a cose fatte – come fanno i comunisti – per giustificare la propria violenza, inventano la dottrina ad hoc. Non è la volontà che determina la verità, ma è la verità che guida la volontà al bene.

Il Papa è tradito dai suoi

A questo punto ci sia lecito osservare che un falso amico è peggiore di un nemico dichiarato. Fino a Pio XII gli schieramenti erano chiari come due eserciti schierati l’uno contro l’altro: da una parte la Chiesa cattolica, unita sotto il Papa; dall’altra i nemici della Chiesa.

Ma a partire da S.Giovanni XXIII per un malinteso concetto del dialogo con i non-cattolici diffuso da Rahner, credendo ingenuamente che tutti gli uomini siano di buona volontà, l’episcopato, ingannato da Rahner, ha cominciato a permettere l’infiltrazione o la permanenza all’interno della Chiesa di traditori e nemici travestiti da cattolici, non solo trascurando di punirli o di combatterli, ma addirittura, a volte per opportunismo, a volte per una riprovevole ingenuità, consentendo loro di assumere funzioni guida nello stesso episcopato e nel mondo accademico della teologia.

I Papi sono rimasti spiazzati e si sono trovati sempre meno in grado di fermare l’avanzata del neomodernismo, a causa del mancato appoggio dei vescovi, tra i quali si era diffusa una falsa interpretazione della dottrina conciliare della sinodalità episcopale, per la quale si erano resi troppo indipendenti dai Papi, i quali in tal modo si sono ritrovati soli a combattere l’eresia. Caso emblematico e drammatico fu quello di San Paolo VI, quando nel 1968 pubblicò la famosa enciclica Humanae Vitae, alla quale fecero resistenza addirittura alcuni episcopati, mentre Rahner accusava il Papa di aver sbagliato.

Nel 1981

 
Ratzinger ai tempi del Concilio aveva collaborato con Rahner, che in quell’occasione si comportò bene. Ma, terminato il Concilio, allorché Rahner, abbandonando il suo finto tomismo, gettò la maschera manifestando apertamente la sua impostazione hegeliana, che conservava segretamente sin dal 1941, Ratzinger si staccò da lui ed anzi ne divenne severo critico e, in premio a questa sua opposizione, fu fatto Cardinale Prefetto della CDF da San Giovanni Paolo II.

Per vent’anni Ratzinger, da quella sede combatté il rahnerismo e affini, prendendo i pesci piccoli, mentre non si sentiva la forza di prendere il pesce grosso. Ma i rahneriani non gliela perdonarono e continuarono a tramare contro il magistero della Chiesa. Morto San Giovanni Paolo II, si ebbe l’elezione rapida di Papa Benedetto, nemico di Rahner, segno che il collegio cardinalizio voleva scongiurare l’aumento del pericolo rahneriano.

Ma già durante il pontificato, dai tempi di San Giovanni Paolo II, il partito rahneriano, capeggiato dal Card. Martini, aspirava a un Papa rahneriano, che poteva essere ravvisato in Martini. I Cardinali partigiani di Martini, allora, Martini in testa, durante il pontificato di San Giovanni Paolo II, formarono la famosa «mafia di San Gallo», un gruppo segreto col fine di lavorare per far eleggere Papa, dopo San Giovanni Paolo II, il Card. Bergoglio. Nel contempo manovrarono per farsi spazio alla Santa Sede, al fine di ostacolare e fermare l’azione di Papa Benedetto col circondarlo di falsi collaboratori rahneriani. Sappiamo tutti che cosa è successo a un certo punto: che Papa Benedetto, attorniato da nemici, fu costretto a dare le dimissioni.

Egli disse di averlo fatto liberamente. D’accordo. Certo non gli hanno puntato la pistola alla tempia, ma i malvagi, nella loro astuzia e perfidia, conoscono molti modi per costringere elegantemente uno a fare quello che vogliono loro, salvando le forme. Indubbiamente Benedetto ha rinunciato liberamente, come egli stesso ha dichiarato, ma nel senso di rinunciare liberamente all’esercizio di un potere, per il quale non si sentiva più le forze, come farebbe qualunque superiore di buon senso, se si accorge che i suoi sudditi gli disobbediscono.

Con l’elezione di Papa Francesco, il Papato ha rinunciato a lottare contro i rahneriani prendendoli di petto, ma ciò non vuol dire assolutamente che Papa Francesco, non sappia riconoscerne gli aspetti positivi, che egli sa assumere con fine discernimento. C’è da immaginare che i suoi cosiddetti «amici» e «collaboratori» facciano su di lui un’enorme pressione affinchè lodi e raccomandi pubblicamente Rahner.

C’è è persino chi, come Andrea Grillo[3], ritiene sfrontatamente che Papa Francesco ispiri a Rahner il suo insegnamento. Ma Papa Francesco, che non evita assolutamente di citare autori a lui graditi e anche discutibili e cita lo stesso San Tommaso d’Aquino, non ha mai detto una parola – dico una - a favore delle eresie di Rahner. È chiaro infatti che i rahneriani vorrebbero sostituire Rahner a San Tommaso d’Aquino. Ma da questo orecchio Francesco non ci sente assolutamente. E ciò è più che logico e comprensibile, giacché, come ha riconosciuto Spadaro, - è l’unica sua idea di questo articolo che condivido – Francesco non è affatto eretico e la famosa «correctio filialis», che cita Spadaro, è una vera e propria ipocrisia, oltre che essere un affronto gravissimo. Ma Spadaro non dice che Francesco non è eretico perché nessun Papa può essere eretico.

Difficoltà a metter pace nella Chiesa

Un punto circa il quale la pastorale del Papa è criticabile è la sua difficoltà ad essere giudice imparziale nel grave conflitto che sta dividendo i cattolici ormai da 50 anni fra modernisti ed ultraconservatori. Il Papa del dialogo non riesce a far dialogare fra di loro fratelli fede che si «mordono e si divorano gli uni gli altri» (cf Gal 5,15). Non riesce a convocare gli uni e gli altri attorno ad un tavolo presieduto da lui.

Questa difficoltà è data dal fatto che il Papa è troppo indulgente con i modernisti e troppo severo verso gli ultraconservatori. Mentre non ha difficoltà a riconoscere la validità del riformismo conciliare dei primi, stenta a riconoscere l’istanza dei secondi per il recupero di valori tradizionali perduti e per la conservazione del deposito immutabile della fede, scambiano per «rigidezza» la fermezza delle loro convinzioni di fede, anche se è vero che essi in campo morale sono effettivamente rigidi laddove occorrerebbe essere duttili e comprensivi. È comprensibile allora che gli ultraconservatori, vedendosi misconosciuti nelle loro giuste esigenze, non hanno fiducia nel Papa come mediatore di conciliazione di pace.

Sembra che Francesco stenti a riconoscere che in realtà conservazione e progresso sono fatti per integrarsi a vicenda sulla base dei valori comuni della fede. Il Papa fatica a mostrare agli uni e agli altri che tutto sommato i valori che portano avanti non sono che una parte del complesso dei valori cristiani, mentre l’altra parte si trova nel partito avverso. Non tutto il bene è dalla propria parte e non tutto il male è dall’altra.

Commento ad alcuni passi dell’articolo di Spadaro

Nota. Le frasi tra graffette angolate sono citazioni da Spadaro; le citazioni in graffette curve all’interno delle citazioni di Spadaro sono citazioni dai discorsi del Papa.

Dopo questo giudizio d’insieme dell’articolo di Spadaro, vediamo adesso di fermarci su alcuni punti dell’articolo.

1.Egli, parlando della riforma guidata dal Papa, parla di «strutture», che dovrebbero cambiare:

«La riforma è un processo davvero spirituale, che cambia – ora lentamente ora velocemente – anche le forme, quelle che chiamiamo “strutture”». Riporta anche delle parole del Papa: “Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia”».

Mi domando: le strutture della Chiesa non ne costituiscono la sostanza o essenza immutabile? Spadaro le identifica con la «forme», Intende distinguere queste dalla sostanza? Non lo spiega. Se cambiano anche le strutture, che cosa è che non cambia?

 E se le strutture sono, come nota il Padre Congar[4], i sacramenti, la dottrina e il potere delle chiavi, perché mai rafforzare le strutture sarebbe uno sguardo mondano? Le strutture della Chiesa non sono le vie al cielo istituite da Cristo? Qui il discorso del Papa cala molto di tono e il buon Spadaro, che va a raccogliere gli scarti del Papa, è ben felice di sbatterceli in faccia.

Per questo, riguardo alle parole riportate del Papa, mi chiedo: non è cosa buona rafforzare le strutture senza per questo venir meno alla misericordia? È grave che Spadaro non chiarisca su questo punto, perchè uno si domanda: ma nella Chiesa che cosa può cambiare e che cosa non può cambiare? Per il grande ecclesiologo domenicano Yves Congar, le strutture della Chiesa sono i suoi elementi costitutivi ed immutabili. Ma forse l’idea di struttura richiama qualcosa di meccanico, mentre la Chiesa è un organismo vivente. Allora forse sarebbe più semplice parlare di «essenza» o «natura» della Chiesa, come fa lo stesso magistero della Chiesa? In ogni caso occorre un temine che indichi quello che nella Chiesa non può mutare perchè voluto da Cristo. 

Papa Francesco è devotissimo allo Spirito Santo. Ne parla spesso e in diversi modi sia in relazione alla Chiesa che in relazione alla vita personale. Era proprio necessario andare a pescare queste infelicissime frasi sfuggite di bocca al Papa: lo Spirito Santo, che «provoca disordine con i carismi, ma in quel disordine crea armonia» e la «tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo»? Se c’è uno Spirito che crea ordine dal disordine, questo è proprio lo Spirito Santo. È lo spirito del demonio che crea disordine. San Bonaventura parla giustamente dello Spirito gerarchico, perchè è quello che fissa i gradi del sacramento dell’Ordine.

Si nota ogni tanto nel parlare del Papa una urtante simpatia per la conflittualità,che spiega secondo me il fatto che egli non pare preoccuparsi più di tanto dello scoppiare o dell’esistenza di contrasti, contraddizioni e discordie nella Chiesa, quasi compiacendosene come di cose normali, anziché adoperarsi fattivamente con cura alla loro soluzione[5]. Sembra voler conciliare l’inconciliabile.

2. Nei seguenti brani notiamo come per Spadaro il Papa non ricava la sua azione concreta da un piano concettualmente elaborato, da uno «sguardo teorico», da una visione intellettuale praticabile, applicata alla realtà, ma al contrario da un’«esperienza interiore» o un «vissuto» evidentemente atematici e preconcettuali, successivamente «esplicitata»: evidente interpretazione rahneriana dell’attività intellettuale del Papa. Si nota una sconveniente antipatia per l’attività astrattiva del pensiero teorico e speculativo, che è alla base delle seguenti domande di Spadaro:

«Ma che cos’è il “progetto” di Ignazio, così come lo legge Bergoglio? Una visione teorica pronta per essere applicata alla realtà per costringerla nei suoi limiti? Un’astrazione da calare nel concreto? In realtà, nulla di tutto questo. Il progetto ignaziano di Francesco “non è una pianificazione di funzioni, non è un assortimento di possibilità. Il suo progetto consiste nel rendere esplicito e concreto ciò che egli aveva vissuto nella sua esperienza interiore”».

Osserva ancora Spadaro sempre su questa linea:

 «La strada che il Papa intende percorrere è per lui davvero aperta, non c’è una road map soltanto teorica: il cammino si apre camminando. Dunque, il suo “progetto” è, in realtà, un’esperienza spirituale vissuta, che prende forma per gradi e che si traduce in termini concreti, in azione. Non un piano che fa riferimento a idee e concetti che egli aspira a realizzare, ma un vissuto che fa riferimento a “tempi, luoghi e persone”, secondo un’espressione tipica di Ignazio; dunque, non ad astrazioni ideologiche, a uno sguardo teorico sulle cose».

Ancora:

«Non c’è un piano astratto di riforma da applicare alla realtà. Pertanto, “gli Apostoli non prepararono una strategia; quando erano chiusi lì, nel Cenacolo, non facevano la strategia, no, non preparavano un piano pastorale”».

Ancora: «Francesco crea le condizioni strutturali di un dialogo reale e aperto, non preconfezionato e studiato a tavolino strategicamente». Per Spadaro il lavoro intellettuale ad un tavolo di studio è evidentemente pericoloso,

Spadaro interpreta l’attività intellettuale del Papa in questo modo:

 «E soprattutto non si fa discernimento sulle idee, anche tra le idee di riforma, ma sul reale, sulle storie, sulla concreta storia della Chiesa, perché la realtà è sempre superiore all’idea. Per questo il punto di partenza è sempre storico e consiste innanzitutto nel riconoscere che “Dio lavora e opera per me in tutte le cose create sulla faccia della terra”».

Come se l’attenzione al reale non richiedesse formazione di idee sul reale e conseguentemente riflessione metodica, logica ed ordinata su queste idee, onde renderle sempre meglio conformi al reale.

3. Per Spadaro il Papa non è interessato a stabilire se è o non è il caso di ordinare sacerdoti viri probati e la cosa non ci deve interessare:

«Non si tratta qui di risolvere la questione tra chi ha ragione e chi ha torto, né tantomeno di dire se il Papa è d’accordo o meno con il tema dell’ordinazione sacerdotale di viri probati».

Spadaro afferma che il Papa «non crede a un idealismo rigido né a un “eticismo” né a un «“astrazionismo” spiritualista». Quando si usano parole inconsuete o neologismi, la correttezza della comunicazione esige che esse vengano spiegate, cosa che Spadaro non fa. Per questo, tali espressioni lasciano il tempo che trovano e se le poteva risparmiare.

Spadaro cita poi una frase del Papa che è rimasta famosa: «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…». Osserviamo che è giusto e doveroso curare le ferite. Dobbiamo però anche chiederci chi sono i feritori e, per quanto è possibile, cercare di fermare la loro azione criminosa. La misericordia dev’essere accompagnata dalla giustizia.

4. Spadaro tocca la grave questione dei conflitti che lacerano la Chiesa ed osserva:

 «Non bisogna temere neppure i conflitti, che a volte scuotono e impauriscono. Francesco ha usato una bella immagine parlando ai superiori degli Ordini religiosi maschili nel novembre del 2013: “accarezzare i conflitti”».

Come al Papa può esser venuta in mente un’espressione del genere? Che vuol dire? Si accarezza un bimbo, si accarezza un malato, si accarezza la persona amata. Ma come si può accarezzare un conflitto? Una cosa che suscita dolore, sdegno, scandalo, sconcerto? Probabilmente con quella espressione il Papa intende riferirsi non tanto ai conflitti in se stessi, quanto a piuttosto a coloro che sono le vittime di questi conflitti. Questi vanno estinti, ma quelle devono essere consolate ed accarezzate.

Nelle parole di Spadaro sembra trapelare un certo modo di condursi del Papa, che non può non destare qualche preoccupazione e che ormai dopo sette anni di pontificato, si è rivelato con una certa chiarezza, tale da indurci alle seguenti considerazioni. L’impressione che ricaviamo da queste parole è quella di una certa incuria nei confronti dei conflitti, soprattutto quelli più gravi e dolorosi, quali quelli che affliggono oggi la Chiesa, come quello fra lefevriani e modernisti. In conflitti di questo genere c’è la presunzione, la disobbedienza, la superbia, l’arroganza, l’ostinazione, la violenza, l’ipocrisia, l’eresia, spesso l’odio e l’invidia.

Continua Spadaro:

«Ma per Bergoglio la caratteristica stessa della Compagnia di Gesù è “rendere possibile armonizzare le contraddizioni” cosa certo non favorita dalla rigidità, davanti alla quale il Papa spesso chiede di stare attenti. Le contraddizioni fanno parte di una storia feconda. Come pure i problemi, in realtà. A tal punto che non sempre è opportuno risolverli, scrive Bergoglio. Non è detto che un problema sia sempre da risolvere, immediatamente. C’è un discernimento che implica la storia e verifica i tempi e i momenti».

Analogamente dicasi per le contraddizioni. I contradditori o le contraddizioni sono per definizione inarmonizzabili ed inconciliabili. Contraddizione e disarmonia sono la stessa cosa. È armonizzabile ciò che può essere armonizzato. O vogliamo conciliare Cristo con Beliar? La contraddizione è una malattia, un impaccio, un tormento dello spirito, così come un cancro è la sventura del malato. Esso va semplicemente tolto. O vogliamo armonizzare la malattia con la salute? Le contraddizioni fanno parte di una storia feconda. Sì, ma in quanto vengono vinte ed eliminate. La grande arte della sapienza e della carità è il saper sciogliere o risolvere le contraddizioni, che bloccano il pensiero nel suo cammino verso la verità.

Mettiamo le cose a posto

Esiste una notevole letteratura dedicata ad una valutazione del pontificato di Francesco, ma purtroppo la maggior parte di quanto si pubblica esprime gli sfoghi di due partiti avversi: gli spregiatori e gli adulatori. I primi prendono esclusivamente in considerazione con accanita puntigliosità i difetti del Papa veri o presunti e partendo da lì mancano di obbedienza al Papa, lo insultano, disprezzano il suo magistero, fino al punto in certi casi di accusarlo di eresia o di negare che egli sia vero Papa.  

Anche i secondi vanno a pescare i difetti umani del Papa; tuttavia non li considerano difetti ma pregi e ne fanno le lodi come fossero altissime qualità al fine di essere giustificati nell’imitazione dei medesimi difetti. Qui il Papa è lodato in modo sperticato come Papa rivoluzionario, grande riformatore, iniziatore di una svolta epocale, il Papa della Misericordia, della Pace e della Libertà. Sono questi i modernisti, e Padre Spadaro è tra costoro.

Ma sia gli uni che gli altri difettano di una conoscenza giusta di quello che è l’ufficio del Papa, i gradi di autorità del suo magistero, l’ampiezza e i limiti della sua competenza pastorale, la base umana e morale del ministero petrino, l’ambito della sua peccabilità come uomo. Gli adulatori ne fanno un leader politico di sinistra. I secondi lo attaccano come fosse un modernista.

Sbagliano pertanto gli uni e gli altri. I primi sono attenti ai valori perenni e sanno anche che cosa è lo spirito, si curano della dottrina e della morale, ma, per il rifiuto di progredire e migliorarsi, si irrigidiscono e, sotto pretesto della fedeltà alla tradizione, pretendono superbamente ed ipocritamente di correggere un Papa supposto eretico, si chiudono alla novità dello Spirito e alla speranza teologale, restano attaccati come fossero perenni a cose vecchie e superate e a quanto appartiene al passato e vogliono conservare ciò che non serve più.

I secondi invece sono uomini carnali ed ipocriti, che, col pretesto del progresso, della riforma e del rinnovamento, non ammettono niente di immutabile, di universale e di oggettivo, ma sono chiusi in una visuale puramente terrena, strumentalizzano la figura e il pensiero del Papa come fosse un modernista o un marxista o un rahneriano per loro utilità, risolvono la religione nella politica, la scienza e la fede nell’opinione soggettiva e col pretesto del pluralismo, del dialogo, della libertà e della diversità, predicano e praticano il relativismo e lassismo morali e l’immoralità.

Per capire la diversità dell’atteggiamento dei lefevriani e dei modernisti nei confronti di Papa Francesco bisogna vedere il modo differente col quale i due partiti concepiscono l’ufficio del Papa. I lefevriani ammettono una verità assoluta indipendente dallo spazio-tempo, mentre per i modernisti la verità è relativa allo spazio-tempo. Per questo, mentre per i primi esiste una verità immutabile, per i secondi la verità muta. Inoltre, mentre per i lefevriani esiste una verità universale, per i modernisti la verità è relativa al soggetto, per cui essa non è una per tutti, ma è molteplice, varia e si diversifica a seconda delle culture e delle religioni. Per i lefevriani esiste un’opposizione vero-falso sempre valida per tutti gli uomini. Invece per i modernisti questa opposizione è solo relativa ai vari tempi, alle varie culture e religioni.

Ne viene che il compito magisteriale del Papa per i lefevriani è quello di proclamare un’unica, immutabile ed universale verità, quella del Vangelo, a tutta la Chiesa, a tutto il mondo, a tutte le culture, a tutte le religioni, a tutti i tempi. I lefevriani ammettono il progresso dogmatico, ma solo come proclamazione di nuovi dogmi, non come progresso delle dottrine dei Papi e dei Concili, che secondo loro possono essere sbagliate, come sarebbe il caso del Concilio Vaticano II e di Papa Francesco. Per loro giustamente il Papa può opporre il vero al falso in modo infallibile, universale e definitivo.

Invece per i modernisti il magistero pontificio o conciliare non è mai infallibile, perché la verità muta e varia. Le condanne pontificie valgono solo relativamente a un dato tempo e a una data cultura. Il Papa, quindi, non è maestro universale di verità e guida dell’umanità al cielo, ma semplicemente leader di una particolare religione fra le altre e, nella Chiesa, coordinatore delle opposte tendenze. L’eresia non è una proposizione assolutamente e perennemente falsa, ma lo è solo all’interno di un dato tempo e di un dato contesto storico.

In base a queste vedute, i lefevriani respingono Papa Francesco perché ritengono che il suo insegnamento rompa con la Tradizione; i modernisti invece accettano Francesco perché lo interpretano un modernista come loro, ma manca loro la fede nel suo carisma come maestro infallibile della verità evangelica, per cui in fin dei conti la loro devozione al Papa si risolve in un equivoco, ossia non si tratta di un atteggiamento di fede in un’autorità soprannaturale rivelatrice e custode di un messaggio divino che indica in nome di Cristo la via al cielo a tutta l’umanità, ma si tratta per loro di una soggezione utilitaria e di convenienza a colui che essi ritengono un uomo fallibile come tutti, solo investito di un incarico di presidenza democratica di una comunità ecclesiale pluralistica e non unitaria (il «poliedro»), intesa quindi non come convocazione di tutti gli uomini alla salvezza in Cristo, in base a una verità salvifica universale ed obbligatoria per tutti, che la Chiesa possederebbe in esclusiva, ma come una delle molteplici comunità religiose alla pari delle altre, membro come le altre della federazione internazionale delle religioni, senza mire ultraterrene, ma con la semplice funzione di collaborare con le altre religioni per l’edificazione della giustizia, della fratellanza, della libertà e della pace tra i popoli della terra.

Per rimediare a tutte queste idee false, è bene allora ricordare chi veramente è il Papa. Il suo compito dev’essere concepito così come lo ha concepito Cristo nel servizio che egli rende alla Chiesa. Il Papa è un fratello di fede che ama Cristo più degli altri fratelli, e che Cristo ha scelto come pietra fondamentale e basilare, sulla quale Cristo costruisce o edifica la sua Chiesa come edificio indistruttibile. In tal senso si può parlare di «strutture» della Chiesa, a patto che le si intenda come immutabili, come fa il Congar.

Il Papa è stato confermato da Cristo nella fede ed ha ricevuto da Cristo il mandato e il potere infallibile di confermare i fratelli nella fede. Quindi, quando il Papa come maestro della fede, insegna il Vangelo al popolo di Dio sia nel suo insegnamento ordinario che in quello straordinario, insegna la verità, non s’inganna e non inganna.

Il Papa ha da Cristo il compito di pascere il suo gregge. In questa funzione il Papa ha ricevuto il potere di aprire e chiudere l’accesso al regno dei cieli, di comandare, permettere o di assolvere («sciogliere») e di proibire o impedire («legare»). Il primo è l’esercizio della misericordia, che accoglie, solleva, guarisce, libera, innalza, promuove il bene. Il secondo è l’esercizio della giustizia e della severità, che punisce il malvagio, combatte, reprime ed esclude il male, l’ingiustizia, la falsità e il peccato per la salvezza del peccatore. In questa azione pastorale il Papa, per quanto assistito dallo Spirito Santo, può sbagliare e peccare. Per questo in questo campo può essere corretto dal popolo di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 5 settembre 2020



[1] LA DIPENDENZA DELL’IDEA DALLA REALTA’ NELLA EVANGELII GAUDIUM DI PAPA FRANCESCO, in PATH, 2, 2014, Periodico della Pontificia Accademia Teologica, pp.287-316.

[2] LA CONDANNA DELLO GNOSTICISMO NELLA GAUDETE ET EXSULTATE DI PAPA FRANCESCO E I RIMEDI PROPOSTI DAL SERVO DI DIO TOMAS TYN, in PATH, pp.83-97.

 

[3] Vedi il mio articolo su questo blog.

[4] Vera e falsa riforma della Chiesa, JacaBook, Milano 1972.

[5] Massimo Borghesi ha dedicato un apposito documentato studio al modo di pensare di Bergoglio: Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book,Milano 2017, pp.33-44.

4 commenti:

  1. Si dice che "tra le molte riviste cattoliche, la Civiltà Cattolica è l'unica ad essere esaminata in fase di bozza dalla Segreteria di Stato della Santa Sede e ad averne l'approvazione definitiva."
    C’è fortemente da dubitare che anche questa volta la bozza dell’articolo sia stata sottoposta al suddetto esame preventivo e sia stata approvata da chi di dovere…
    Leggendo le argomentazioni piuttosto dirompenti di uno Spadaro chiaramente deluso, l’articolo è infatti pieno di recriminazioni più che di giustificazioni sul pontificato di papa Bergoglio, vien da chiedersi perché proprio Spadaro - finora ritenuto un autorevole ghostwriter del Papa - lo abbia fatto e … cui prodest?

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    1. Caro er, non saprei dirle come sia andata la questione dell'approvazione dell'articolo di P.Spadaro, da parte della Segreteria di Stato. Quello che io mi sentirei di osservare riguardo al suo intervento, è che non mi pare di notare in Spadaro delle "recriminazioni". La cosa molto brutta, che ho notato, è il tentativo disonesto di presentare il Papa come influenzato dal materialismo marxista. D'altra parte non è di molto tempo fa la sfrontata affermazione di Spadaro, secondo la quale "il Papa è un rivoluzionario, che sta tasformando il mondo, secondo il metodo marxista".

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  2. Padre, a tratti lei descrive il papa come un fantoccio impotente, assediato e manipolato da altri... ma i modernisti e i disonesti che lo circondano li ha chiamati lui stesso accanto a sé! Il cardinal Muller che avrebbe voluto aiutarlo lo ha invece allontanato bruscamente... Francesco il p. Spadaro lo conosce bene e un articolo così non uscirebbe sulla Civiltà Cattolica senza il consenso del pontefice. Di conseguenza il buon senso suggerisce (fino a prova contraria) che Francesco si riconosca nella presentazione che Spadaro ne fa. Sebbene questa presentazione rasenti il culto della personalità, il fatto stesso che esca su questa prestigiosa rivista lascia pochi dubbi sul fatto che Francesco creda davvero di essere ciò che Spadaro scrive. Un'ultima osservazione: non ci sono solo i modernisti e i lefebriani, ci sono anche i wojtyliani e mi pare che soprattutto questi ultimi (penso a mons. Caffarra) siano stati trattati molto male nel corso di questo pontificato.

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    1. Caro Stefano, quello che, come cattolico, mi preme sostenere e difendere nel Papa è il suo munus petrino e in particolare l'infallibilità del suo magistero, infallibilità che resta intatta anche nel caso di un Papa come questo, che ingannato da un difetto ben conosciuto dei Gesuiti, tende ad assumere i panni dell'avversario, in modo tale che assomiglia proprio a colui che vuole confutare. Ora, P.Spadaro mostra un Pontefice evidentemente infetto di metodo marxista, metodo che non solo è contrario alla fede, ma anche alla ragione, perché, invece di far discendere la prassi dalla teoria, pretende di fare emergere la teoria dalla prassi. Ora, ci si potrebbe domandare che cosa il Papa abbia capito di un tranello del genere. Se il Papa ha approvato l'articolo di P.Spadaro, c'è da pensare in parte che si sia lsciato ingannare e in parte che abbia adottato questo atteggiamento furbo di mascherarsi da marxista. Che giudizio dare di questo comportamenteo? Per salvare l'infallibilità pontificia siamo obbligati a parlare di un riprovevole atteggiamento morale, forse non del tutto consapevole, per il fatto di respirare come gesuita quella mentalità di cui sopra. In sostanza siamo davanti ad una forma di gesuitismo deteriore, che non intacca l'autorità apostolica del Santo Padre, perché si tratta di un difetto morale e non dottrinale.

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