Circa la rigorizzazione del concetto di creazione - Parte Prima (1/5)

 Circa la rigorizzazione del concetto di creazione
 
Parte Prima (1/5)

Un concetto di creazione

 ispirato alla filosofia di Emanuele Severino

Il filosofo Antonino Postorino propone un concetto di creazione che considera più rigoroso di quello del dogma cattolico, che egli chiama «concezione classica»[1], legata a quella tomistica[2], e lo accusa di essere un concetto «dualistico», perché ammette la distinzione fra l’essere necessario e l‘essere contingente e «nichilistico», perché parla di creazione «dal nulla», in quanto il nulla inteso come preesistente all’essere creato non esiste e sarebbe un concetto contradditorio, se ne supponessimo l’esistenza.

L’accusa di nichilismo nasce dalla tesi di Severino, che Postorino fa sua, secondo la quale il divenire e il nulla sono concetti contradditori e come tali nichilistici, essendo il nichilismo quella concezione per la quale l’essere è il non-essere ovvero l’essere non è ovvero l’essere non esiste; definizione giusta, ma male applicata, come vedremo. Ora, il concetto del nulla entra nella formula «creazione dal nulla», la quale, se non diventa proprio falsa, può e dev’essere quanto meno «rigorizzata» per purificarla da ogni ombra di nichilismo.

Postorino propone quindi di concepire la creazione non come creatio ex nihilo, ma come creatio ex Deo. In italiano purtroppo abbiamo un unico termine, da, per esprimere sia il complemento d’agente (ab) che quello di provenienza (ex), per cui in italiano la formula sarebbe: il mondo è creato da Dio dal nulla.

Postorino obietta con apparente saggezza: no, il mondo proviene da Dio, non dal nulla. Dal nulla non viene nulla, il nulla non produce nulla, il nulla è nulla, il mondo non è nulla, ma essere. Tutte osservazioni apparentemente sensate, rispettose dell’essere divino e dell’essere del mondo, ma che invece nascondono un’insidia pericolosa[3], perché, come vedremo, conduce al panteismo.

Ma dovrebbe già subito essere evidente che egli gioca sull’equivoco approfittando dell’equivocità del termine italiano da. In questo articolo mi sono proposto di svelare questa insidia, che suppone, ancor prima che l’eresia, l’assurdità ed un uso sofistico della logica e della ragione filosofica.

Diciamo però subito, a titolo d’introduzione, che Postorino sbaglia nel concepire la creatura in modo emanatistico o come l’apparire di Dio, come se essa fosse una teofania. Ma la teofania è un’altra cosa; essa non è una sostanza distinta da Dio, come invece è la creatura; la teofania è una rivelazione o manifestazione mentale della verità o della realtà divina proveniente da Dio.

Occorre far presente che la creatura non proviene da Dio come l’acqua proviene dalla sorgente, o il raggio di sole proviene dal sole o il calore proviene dal fuoco. L’essere finito non emana dall’essere infinito e non è neppure una finitizzazione dell’infinito. Non è così che la fede e una sana metafisica o la teologia naturale concepiscono la creazione.

L’uomo è sì creato a somiglianza di Dio, ma non è un essere divino. Semmai è la grazia ad essere un effluvio, o una partecipazione della vita divina. Invece la creatura è originata o trae origine da due princìpi: Dio e il nulla, Dio che le dà l’essere e il nulla, che è ciò da cui Dio la trae per darle l’essere; per cui Dio creandola, la fa passare dal non-essere all’essere, dal possibile al reale.

Per questo, i paragoni paradigmatici usati dalla Bibbia per significare la creazione non sono quelli del sole o della sorgente o del fuoco, ma quello dell’artigiano, che progetta un’opera e la realizza, dà forma alla materia, con la differenza che Dio fa essere anche la materia, che l’artigiano deve invece presupporre. Creare non è far fluire, non è emanare o promanare, non è apparire o svelarsi, non è manifestare, ma dare esistenza, causare l’essere, produrre la creatura.

Possiamo dire che Dio è l’Essere originario ed esemplare, sommo analogato dell’essere, essere per essenza, dal quale origina e deriva ogni altro essere di grado inferiore, essere partecipato o diminuito, essere inferiore per somiglianza o per imitazione, sempre però tenendo presente che si tratta dell’effetto della sua causalità efficiente, che lo trae e produce dal nulla.

Si può considerare Dio come il principio dell’essere degli enti, ma è meglio definirLo come causa, perché la ragione di principio dice un dedurre o far discendere o fluire il principiato dal principio, cosa che non appartiene al creare, perché noi non originiamo da Dio così da essere degli enti divini o dei semidei.

 Non possono esistere gradi nella divinità, perché la vera divinità è l’Assoluto e l’Assoluto è semplicissimo e uno solo, ma da solo si erge infinitamente al di sopra del nulla e se qualcosa fuori di Lui deve esistere, non è perché esca o fluisca da Lui o che Egli si degradi, perché l’Assoluto o c’è tutto o non c’è; ma è perchè Lui, onnipotente, fa sorgere dal nulla tale ente più alto e tale più basso, lo fa iniziare e lo fa finire, questo o quell’ente, come, quanto, dove e quando Egli vuole.

Solo la grazia, che non è Dio, ma dono di Dio, benchè sia divina, proviene da Dio, ma anch’essa è creata e limitata come lo sono il mondo, l’uomo e gli angeli, per cui col peccato, nonostante essa sia partecipazione della natura divina, può essere annullata.

Postorino accusa di nichilismo e di dualismo la concezione tomista di creazione, come productio totius entis a Deo ex nihilo sui et subiecti, la quale invece è rigorosamente fondata in ragione e perfettamente conforme alla Scrittura e al dogma cattolico del Concilio Lateranense IV del 1215.

Quadro generale della tesi di Postorino

La tesi di Postorino che stanno alla base della sua interpretazione della creazione, si può riassumere nei seguenti punti:

 1) l’essere è per essenza uno e necessario; non può esistere un essere contingente, perché questo è un concetto contradditorio;

2) Il nulla non esiste. Il nulla è nulla. Credere che esista il nulla è contradditorio. Pensare che esista un nulla, precedente all’essere, un nulla  dal quale Dio trae l‘essere è assurdo. Quindi bisogna espungere la parola nulla dal concetto di creazione perché non ha senso;

3) creare non vuol dire produrre, causare, ma apparire. Dio non produce il mondo, ma appare come mondo. Il mondo non è effetto di una causalità divina efficiente, ma è una teofania, è Dio che appare nel finito e come finito.

I principi logici e metafisici, dai quali parte Postorino non sono la concezione analogica dell’essere, la formulazione aristotelica del principio di identità-non- contraddizione, nonché la concezione aristotelica del divenire e il concetto tomista biblico di causalità come causa dell’essere, ma sono il concetto parmenideo monistico dell’essere come essere necessario escludente il contingente perchè considerato o mera apparenza o contradditorio e il principio logico parmenideo «l’essere è; il non-essere non è». Postorino, al seguito di Severino, lo interpreta così: esiste solo l’essere assoluto; il nulla non esiste.

Inoltre, la visione del mondo di Parmenide assomiglia alla concezione indiana della maya. Ma allora vale la pena cercar di conoscere l’ente mobile e sensibile? È vero ente? È veramente qualcosa? O è un sogno, come dice l’India? È chiaro qual è qui la posta in gioco: la possibilità della scienza fisica, della filosofia della natura. Ed è chiaro che se il mondo è vana apparenza, occorrerà riformare il concetto biblico di creazione del mondo.

Dio può creare vane apparenze? Per questo Postorino, convinto che sulla questione del divenire abbia ragione Parmenide e non Aristotele, si è messo nella formidabile impresa di proporre un concetto veramente rigoroso di creazione, che ci risparmi il supposto dualismo e nichilismo del concetto biblico-tomista.

Inoltre, la nozione biblica di creazione comporta la produzione o causazione efficiente dell’ente contingente e diveniente. Ma anche questo ente non appare forse alla ragione come contradditorio, benché esso risulti all’esperienza sensibile?  Ma c’è verità nell’esperienza sensibile? O vane apparenze?

 Come vedremo in questo articolo, in realtà il concetto di creazione di Postorino non è un concetto più rigoroso, ma è una nozione assurda di tipo panteistico, ispirata al pensiero di Parmenide reinterpretato in chiave hegeliana per la mediazione della metafisica di Gustavo Bontadini ed Emanuele Severino.

Come è noto, Severino si rifà inizialmente al modo di Parmenide di concepire l’essere come uno, unico, identico a se stesso, necessario, immutabile, totale, attuale, forma, perfettissimo, infinito ed eterno. Esiste dunque solo l’essere assoluto sussistente. Quindi tutto è uno, tutto è eterno, tutto è adesso. L’essere è l’intero, il tutto. Mentre il divenire a Parmenide appare illusorio, a somiglianza della maya dell’induismo.

Faccio notare che Severino esplicita il nascosto aspetto di assurdità implicito nell’essere parmenideo, che smentisce lo stesso principio di non-contraddizione da lui dichiarato. Infatti l’essere parmenideo è un essere monolitico ed astratto, che si oppone all’evidenza empirica e fenomenologica del divenire e del molteplice.

Severino, per rimediare al difetto di Parmenide che non riconosce come reale il divenire, ricorre all’ontologia dialettica hegeliana, la quale, identificando l’essere con l’essere pensato, ossia con l’apparire al soggetto umano, offre la categoria dell’apparire come categoria con la quale interpretare il divenire e riconoscergli la realtà che gli spetta.

Severino prende solo questo aspetto idealistico dell’essere hegeliano; si accorge che anche Hegel è nichilista nel fare del divenire l’Assoluto; ed inoltre respinge la concezione efficientistica, la Wirklichkeit hegeliana dell’essere, che gli ricorda la nozione aristotelica del motore immobile, causa efficiente dell’ente diveniente quando per il Severino parmenideo, il divenire è concetto contradditorio e assurdo.

In realtà già in Parmenide appare la categoria dell’apparire alla mente, che è lo svelamento dell’essere (a-lètheia, il non-nascondimento, la rivelazione, la manifestazione), la verità dell’essere o la verità ontologica, ciò che Aristotele chiama l’alethès, il vero. Aristotele distingue così l’ente in quanto ente (on e on) dall’ente un quanto vero, ossia davanti alla mente.

Parmenide, dal canto suo, già parla del noèin, il pensare e lo distingue concettualmente dall’einai, dall’essere; ma a causa del suo rigido monismo ontologico, sembra identificare il pensare con l’essere (to autò to noèin kai to einai). Tutto infatti deve identificarsi con tutto. Tutto è uno e uno è tutto. Così almeno ha interpretato Hegel.

Ma può essere che Parmenide intendesse solo significare che nell’atto del pensare o del conoscere ciò che interiormente pensiamo, ossia il contenuto del concetto è ciò che sta fuori del pensare, ossia l’essere reale. Nel qual caso si tratterebbe di una definizione della verità gnoseologica, quella che San Tommaso chiamerà adaequatio intellectus et rei sulla scorta dell’assioma aristotelico «l’intelletto in atto è l’inteso in atto».

L’essere che appare interiormente alla mente, dirà Platone, è l’idea, mentre per Aristotele è il nòema, il concetto. Gli Scolastici lo chiameranno ens rationis (il numero, la chimera, il concetto, l’ideale, il nulla, la negazione, il male, il possibile, l’assurdo, il contradditorio).

C’è dunque una differenza tra il pensiero e la realtà. Nella realtà distinguiamo l’esistente dal non esistente. Ma per il pensiero ogni oggetto pensabile esiste nel pensiero, benche in certi casi con fondamento reale. Così esiste anche il nulla e l’inesistente. Non per questo, dicendo che il nulla esiste, cadiamo in contraddizione, perché tutto nel pensiero, anche il contradditorio, è pensabile ed unificato per il semplice suo essere pensato. Nel pensiero anche ciò che è contradditorio e incompossibile diventa possibile e coerente. Il pensiero è bloccato solo davanti all’impensabile, anche se di nuovo l’impensabile non come contenuto, ma dal punto di vista formale, può essere ancora pensato e definito.  

Occorre quindi pensare il divenire non come vana apparenza, ma come realtà razionalmente concepibile. Parmenide ebbe il merito di scoprire l’essere e quindi di fondare la metafisica e il principio di non-contraddizione, ossia del rigore e dell’onestà del pensare e quindi della logica. Ma lasciava scoperta l’intellegibilità e l’indagine storica, della natura, delle cose sensibili, del cosmo, dell’uomo stesso, ente spirituale, ma anche materiale.

Dopo questa esposizione della tesi di Postorino e la relativa risposta che ad essa si può e si deve dare, passiamo adesso all’esame più puntuale di alcuni nodi fondamentali della discussione.

Occorre interpretare il divenire con le chiavi di Aristotele

Aristotele era perfettamente consapevole della difficoltà di concepire e di intendere il diveniente, di scoprirne l’intellegibilità. Non abbiamo dubbi che esista; è continuamente sotto i nostri occhi; noi stessi siamo un ente diveniente. Ma si era accorto che nessun filosofo prima di lui, compreso il grande Platone, nonostante gli sforzi fatti, era riuscito a darci una concettualizzazione o categorizzazione soddisfacente e coerente del divenire, così importante per la nostra vita quotidiana e i nostri bisogni materiali.

Esso infatti sembra contradditorio, ma non è realmente contradditorio. Ha una sua identità ed intellegibilità. Ma quale? Come categorizzarla? Esso ha una identità, che non è la stessa dell’ente immutabile e necessario, più facilmente da noi concepibile perché il nostro intelletto, per poter capire le cose, ha bisogno che esse siano ferme per il fatto che i nostri concetti sono fissi, si fissano in quelle date forme, e il fisso non può rappresentare il mobile. Ma Aristotele ha capito che occorreva elaborare una serie di categorie per intendere concettualmente le cose divenienti e mutevoli, che sono quelle con le quali quotidianamente abbiamo a che fare, compresi noi stessi.

Platone aveva bensì scoperto la bellezza dell’ideale. È possibile pensare l’universale, l’uno, il necessario, l’eterno, l’immutabile, il modello, il perfetto, l’assoluto, il tutto, l’infinito. Ma in fin dei conti noi ci troviamo a vivere in questo mondo: forse che siamo tra vane apparenze, illusioni, sembianze, contraddizioni? Platone aveva scoperto il valore dell’immagine, della rappresentazione, dell’imitazione, della partecipazione, della presenza, della manifestazione, dell’apparire che non è apparenza, ma è verità, a-letheia, non nascondimento. Sì, ma non era riuscito a concepire il divenire se non in termini contradditori: un «essere-che-non-è», temendo di aver ucciso Parmenide suo padre, il quale invece aveva detto giustamente che l’essere è.

Aristotele affrontò la grave questione col massimo impegno e il suo genio gli permise di giungere ad una chiarificazione definitiva, che ha avuto solo bisogno dell’apporto che è venuto dalla rivelazione biblica della creazione e dell’essere divino come ipsum Esse per Se subsistens.

Aristotele, pur accettando la nozione dell’ente e il principio di non-contraddizione scoperto da Parmenide, non cadde in nessun nichilismo o dualismo, ma al contrario perfezionò e rigorizzò la filosofia parmenidea dando al divenire quello spazio d’intellegibilità, che né Parmenide né il suo discepolo Platone era riuscito a dare.

Se ci può essere una cosa di Parmenide che Aristotele non afferrò, è stato non l’on di Parmenide, ma l’einai, l’essere come atto d’essere, che invece fu colto da Tommaso illuminato dalla fede in Dio Atto puro di essere. Infatti per Aristotele l’einai non può esistere da sé come l’aveva concepito Parmenide, ma è la semplice copula del giudizio, che ha bisogno di un soggetto e di un predicato.  

 Aristotele era perfettamente consapevole dell’esistenza della realtà, dell’intellegibilità e dell’ente fisico e diveniente e s’impegnò a fondarne l’intellegibilità giustificando l’intellegibilità del dato empirico e rendendo così possibili le scienze storiche, tecnologiche, della natura, del cosmo e dell’uomo. Se Aristotele non avesse insegnato all’Occidente ad usare ed applicare il logos, a capire la logica del divenire, saremmo ancora fermi alla spiritualità indiana di 3000 anni fa riflessa in Parmenide, indubbiamente nobile e mistica, ma inetta davanti alle scienze della natura, e se oggi anche l’India conosce le scienze e le tecniche più avanzate, lo deve ad Aristotele. Per questo, il ritorno a Parmenide operato da Severino e Bontadini, nell’idea di trovare una metafisica più rigorosa di quella di Aristotele, è stata un’impresa fallimentare, che non ha fatto che rafforzare l’idealismo e il panteismo.

Aristotele ha il merito di aver formato una serie di concetti che ci aiutano nella comprensione scientifica e filosofica delle varie forme del divenire, così da renderlo familiare alla ragione e da poter utilizzare il sapere che otteniamo per il progresso dell’uomo e per la sua sempre migliore residenza su questa terra.

In tal modo tutte le preziose e vitali esperienze del moto locale, dell’evoluzione della natura, della generazione e corruzione, della crescita e del decremento dei viventi, della trasformazione ed alterazione, rese concepibili ed esprimibili nel linguaggio, entrano a far parte del nostro pensiero senza  dare l’apparenza della contradditorietà, ma al contrario presentandosi come oggetto di scienza e come condizione del progresso della tecnica e del dominio razionale dell’uomo sulla natura.

Credere di trovare in Parmenide una rigorizzazione del concetto di essere o addirittura dello stesso metodo del filosofare è un errore gravissimo, che non fa avanzare il sapere filosofico, ma lo fa retrocedere ad un livello, che, per quanto importante, comporta difficoltà già a suo tempo risolte da Aristotele, per cui Tommaso, partendo dalle soluzioni aristoteliche, alla luce della rivelazione biblica e del dogma cristiano della creazione, ha ulteriormente fatto avanzare la filosofia fino alle dottrine dei moderni tomisti.

È quindi assurdo, come sembra pensare Postorino, che lo stesso concetto tomista di creazione abbia bisogno di essere rigorizzato tornando al primitivo tentativo di Parmenide, che non è riuscito a dare uno statuto scientifico neanche all’ente fisico, oltre a presentare una concezione dell’essere panteistica, che non distingue l’essere necessario dall’essere contingente e considera il divenire come vana apparenza al modo della maya della filosofia indiana.

Fine Prima Parte (1/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 novembre 2022 

Occorre far presente che la creatura non proviene da Dio come l’acqua proviene dalla sorgente, o il raggio di sole proviene dal sole o il calore proviene dal fuoco. L’essere finito non emana dall’essere infinito e non è neppure una finitizzazione dell’infinito. 


Non è così che la fede e una sana metafisica o la teologia naturale concepiscono la creazione.

L’uomo è sì creato a somiglianza di Dio, ma non è un essere divino.


 

 

 


Immagini da Internet:
- La creazione dell'uomo, Michelangelo
- La creazione dell'uomo, Maurits Cornelis Escher





[1] Il concetto della «creatio ex nihilo». Ipoteca nichilistica e rigorizzazione metafisica. In Sacra Doctrina, 2017, 1, pp.199-269.

[2] Postorino nel citato articolo nel testo e alla nota 1, p,200, distingue un tomismo «classico», «dualista», da un tomismo anagogico, più avanzato, che si innesta funzionalmente sulla metafisica rigorizzata», che sarebbe quella che egli propone ispirata a Severino. Per lui dualismo o dualità sono la stessa cosa e bisogna eliminarli, perché il numero due lascia la ragione nell’inquietudine, mentre solo il numero uno «dà riposo al pensiero cerca della verità» (nota 8 a p.202. Si rimane a tutta prima stupefatti di una tesi simile, ma poi ci possiamo accorgere che essa può dipendere dal fatto ce Postorino confonde l’unità del principio (archè) in ontologia, per cui vale il comando di Cristo che non possiamo servire a due padroni, col principio fondamentale del sapere, il quale, come principio di identità, essendo un giudizio, non può non comportare la dualità di soggetto e predicato.  

[3] La Congregazione per la Dottrina della Fede in una Lettera del 2014 inviata al mio Superiore nell’Ordine ha definito «pericoloso» questo concetto.

2 commenti:

  1. Caro Padre, a proposito del nulla, mi piace ricordare che anche le leggi fisiche, pensate dal Padre Eterno, ammettono il nulla. Nella nota teoria del big bang, prima che avvenisse l'evento che diede inizio all'universo, non c'era letteralmente nulla. Il big bang ha dato inizio al tempo e allo spazio e in quell'istante si è? creata tutta la materia che compone l'universo così? come lo conosciamo. Quindi, da un punto strettamente fisico, il nulla è? ammesso. Questa è? una cosa che trovo straordinaria, cioè? che un concetto metafisico trovi una corrispondenza in un concetto fisico che ci dimostra come la materia, lo spazio, il tempo, possano scaturire dal nulla. La saluto e le assicuro un ricordo nelle mie preghiere. Giuseppe

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    1. Caro Anonimo,
      il concetto metafisico del nulla si ricava da quello fisico, nel senso che la prima esperienza che si fa del nulla è di tipo fisico: per esempio, io dico: “In quella camera non c’è nulla”. Una volta che si è fatta questa esperienza fisica, allora la mente può concepire il nulla metafisico. Che differenza c’è tra i due tipi di nulla? Che il nulla fisico è il nulla di un ente fisico, sensibile e mutevole; invece il nulla metafisico è il non-essere, essere che può essere sia materiale che spirituale.
      Per quanto riguarda la coincidenza dei risultati della scienza con la dottrina della Sacra Scrittura circa l’inizio del tempo e dello spazio, la cosa fa certamente molto piacere, perché comporta una corrispondenza della scienza con la fede.
      Un’altra osservazione da fare è che la Sacra Scrittura pone prima dell’inizio del tempo Dio, Creatore del tempo e dello spazio. Invece la fisica, che limita la sua conoscenza ai fenomeni, ossia all’ente sensibile-mobile, si ferma necessariamente nella sua indagine all’inizio dello spazio-tempo, per il fatto che la fisica applica il principio di causalità sempre sullo stesso livello ontologico dei fenomeni, per cui non è in grado, come la metafisica, di trascendere la causa seconda fenomenica, cioè l’ente creato, e di elevarsi al livello della causa prima, che sta del tutto al di fuori dell’orizzonte della fisica, perché è una causa puramente spirituale (Dio), mentre la fisica considera solo gli enti materiali.
      Riassumendo. Il nulla del fisico è il non essere dell’ente fisico. Il nulla del metafisico è il nulla dell’ente fisico e dell’ente spirituale. Inoltre, il metafisico può immaginare anche il nulla di Dio, ossia la non esistenza di Dio. In questo senso il metafisico ha la possibilità di essere ateo, nel senso che può concepire la natura divina e negarne l’esistenza. Mentre il semplice metafisico si ferma a immaginare la non esistenza di Dio, l’ateo nega l’esistenza di Dio nella realtà.
      Mentre il metafisico, che immagina la non esistenza di Dio, si ferma sul piano della logica, per cui può benissimo affermare l’esistenza di Dio sul piano reale, l’ateo, che pur sa che Dio esiste, ne nega l’esistenza reale e quindi commette una colpa morale.

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