Perché soffrono i bambini?

 Perché soffrono i bambini?

Nella trasmissione televisiva di ieri il Papa ha dato ancora una prova della sua grande sensibilità umana, che raggiunge il cuore di tutti. Egli avverte in modo particolare l’ingiustizia di coloro, che chiusi nel loro egoismo, non hanno occhi per i sofferenti e per i poveri, in particolare per i bambini sofferenti. In mille occasioni ci ha mostrato la sua tenerezza e il suo affetto per loro. Le parole con le quali parla dell’amore e della cura che dobbiamo avere per loro sono commoventi e stimolanti, da tutti comprensibili ed accettabili, tranne da coloro che hanno il cuore indurito.

La denuncia che egli fa delle ingiustizie commesse contro i bambini, non è effetto di informazioni di seconda mano, ma di innumerevoli contatti personali avuti nelle esperienze dei suoi viaggi, nei suoi incontri e nelle sue innumerevoli relazioni umane.

Efficacissimo è stato il suo richiamo all’importanza del senso del tatto come espressione della vicinanza e della comprensione, come segno sensibile dell’amore e della tenerezza per le persone che amiamo, soprattutto se sofferenti, bisognose, malate o angosciate. Ha ricordato ancora una volta le due grandi parabole del buon samaritano e del figliol prodigo, che sembrano essere la luce-guida del suo pontificato, così evidentemente incardinato sul binomio inscindibile misericordia-pentimento.

Il pentimento senza sperare nella misericordia porta alla disperazione.  Il credere di essere perdonati senza essersi pentiti è ipocrisia, è tentare Dio.  Il puntare sulla misericordia per sfuggire alla giusta pena è vana astuzia. Il rifiuto di perdonare chi ci chiede perdono è crudeltà.

Molto efficace è stato anche un altro tema a lui caro: il mettere in luce con orrore e giusto sdegno l’irrazionalità e l’ingiustizia della guerra intesa non come legittima difesa, ma come violenza e distruzione. Dio ci ha creati per la vita: perché distruggerci fra noi? Dio vuole la pace: perché gli uomini vogliono la guerra? Dio vuole l’amore: perché l’odio? Dio vuole che siamo tutti fratelli: perché le discriminazioni, le disuguaglianze, le sopraffazioni, l’oppressione, lo sfruttamento, la faziosità, il guardare dall’alto al basso? Bellissimo è stato quando ha detto: c’è un unico modo di giustificare questo atteggiamento: quando si vuol sollevare il fratello caduto in basso prendendolo per mano affinchè si rialzi. Non poteva mancare il tema degli immigrati. Francesco ha posto dei paletti: ogni paese deve dire chiaramente quanti immigrati può accogliere ed ha ripetuto i quattro verbi a lui cari: avvicinare, accogliere, accompagnare, integrare.

Dopo questa carrellata di temi così profondamente umani, da tutti sentiti e condivisi con ampio consenso di applausi da parte del pubblico, temi però nei quali insistente era quello della sofferenza dei bambini, l’intervistatore non poteva non fare la domanda cruciale, quella che da sempre fa «tremare le vene e i polsi»: perché la sofferenza dei bambini? Domanda che ne suscita altre: ma Dio che cosa fa? Perchè non interviene? Non è misericordioso? Che colpe hanno i bambini?

A questo punto il Papa, anziché dare la risposta che viene dalla fede, ha preferito in un primo tempo mantenersi sul piano semplicemente umano, sul quale fino a quel momento si era mantenuta la conversazione, trattando temi condivisibili da credenti e non-credenti. Ha però detto una cosa commovente: io voglio stare vicino ai bambini che soffrono, ma sempre fermandosi al piano umano.

Ha però accennato al fatto di possedere la fede, e pertanto ha accennato all’origine del male come effetto dell’«invidia del demonio», all’ l’onnipotenza di Dio e dello «scandalo della Croce di Cristo. Ha quindi posto le basi della risposta. Ma il collegamento tra le due cose non è immediatamente perspicuo e sarebbero stati necessari alcuni passaggi. Brevissimamente si potrebbe dire che la sofferenza dei piccoli innocenti concorre alla salvezza del mondo in unione alla Croce del grande Innocente.

Resta il fatto che il Papa ha affermato di non saper rispondere alla domanda. Come mai questa reticenza? Di ciò infatti si tratta. In realtà il Papa lo sa benissimo, come Papa lo sa meglio di noi il perchè: basterebbe del resto leggere quello che il Catechismo della Chiesa Cattolica dice sulle conseguenze del peccato originale e ripassare la liturgia dei Santi Innocenti. Egli avrebbe potuto essere più chiaro e dire: da un punto di vista umano non lo so. Lo so invece come credente. E poteva, secondo me, riferire brevemente il contenuto della Rivelazione cristiana.

Non era, questa, l’occasione per un atto di quella evangelizzazione, sulla quale egli insiste continuamente? E non dice spesso che non dobbiamo temere di annunciare a tutti il Vangelo con coraggio, pronti a soffrire per esso, a ricevere opposizioni, senza temere il mondo, ma con coerenza, traducendolo nei fatti se necessario fino al martirio?

Ha forse temuto di non essere compreso, data la presenza di molti non credenti? Io penso che, dato che lo stesso Fazio gli aveva rivolto la domanda davanti a un pubblico che applaudiva in continuazione, le parole del Papa, per quanto ostiche alla ragione, sarebbero quanto meno state prese in considerazione, se non proprio credute. Francesco non ha appunto parlato di «scandalo della Croce»? Tutte le verità di fede appaiono a tutta prima scandalose.

Va bene infatti annunciare il contenuto umano del Vangelo. Ma il suo contenuto umano naturale non caratterizza ancora il Vangelo, nella sua unica ed insostituibile originalità, perché qui ciò che il Vangelo insegna lo troviamo già nell’umana ragione, nella coscienza morale dell’uomo onesto, nelle diverse culture dell’umanità. Lo troviamo ascoltando quel buon cuore che può avere anche un non-credente, quello che ci dice la semplice etica naturale o la filosofia morale.

 Ma lo specifico del Vangelo, la sua meraviglia e grandezza incomparabili, il suo potere unico di illuminare, confortate e consolare l’uomo sofferente, bambino o adulto che sia, provengono dalla rivelazione che Cristo ci fa da Se stesso o mediante la sua Chiesa, di verità soprannaturali e divine, misteriose e superiori alla ragione, senza essere contro la ragione, verità nascoste in Dio, che rispondono a domande, come per esempio quella adesso posta, alle quali la ragione non ha la luce sufficiente per rispondere. 

E sono, tra le principali, le domande che ruotano attorno al problema della sofferenza: da dove viene la sofferenza? Perchè esiste la sofferenza? Chi le ha dato origine?  Come mai soffre anche l’innocente? Perché certi criminali la fanno franca? Qual è il rimedio alla sofferenza? A che serve la sofferenza? Non sarebbe meglio che non ci fosse? Possiamo liberarci dalla sofferenza?

Alla domanda dell’intervistatore forse il Papa poteva rispondere così: «è, questa, una domanda, alla quale io come semplice uomo, non so rispondere. Tuttavia, come credente, e soprattutto come Papa, trovo una risposta in Cristo e nella sua Chiesa.

So che ho davanti anche non-credenti e forse anche atei. Ebbene, però, visto che mi mostrate fiducia con la vostra calorosa accoglienza, ve la dico ugualmente affinchè ci riflettiate sopra per vedere se la trovate interessante o degna di essere presa in considerazione, per quanto strana agli occhi della semplice ragione e – mi rivolgo ai non-credenti – se vi invoglia a credere a Cristo e a quella Chiesa che io indegnamente rappresento e guido.

Certo, come ho detto, umanamente è impossibile rispondere a questa domanda. Umanamente però qualche luce l’abbiamo: sappiamo che Dio è bontà infinita. Egli non può volere il peccato, causa di sofferenza. Può volerlo solo la creatura dotata di libero arbitrio, come ho detto prima parlando della cattiveria umana.

Se dunque la sofferenza esiste, essendo Dio di per Sé contrario alla sofferenza, perché Egli è il Dio della vita e della gioia, avendo Egli la possibilità di impedirla o toglierla, ma non lo fa sempre, si vede che ha un motivo saggio e salvifico, che però noi non conosciamo. Questo è il discorso di Giobbe. Fin qui arrivano la ragione naturale, la filosofia e le religioni.

Che cosa ci dice la Bibbia? Che tutti noi veniamo al mondo in uno stato di sofferenza. Anche l’embrione soffre nel seno di sua madre. Come mai? Noi immaginiamo solitamente la sofferenza come pena per un delitto commesso. Ed è giusto, altrimenti che ci starebbe a fare l’ordinamento giudiziario dello Stato e la parte penale del Diritto canonico? Ebbene la Bibbia ci dice che veniamo al mondo sofferenti, prima di esercitare il libero arbitrio e quindi prima di commettere peccati meritevoli di castigo. Ora la sofferenza giusta non può che essere pena del peccato; l’innocente non merita affatto di essere punito, ma premiato.

A questo punto la Bibbia, soprattutto attraverso San Paolo, ci dice che tutti nasciamo in uno stato di colpa, quello che la Chiesa chiama «peccato originale», colpa commessa dai nostri progenitori ai primordi della creazione e che si trasmette per generazione a tutta l’umanità. In base a ciò, bisogna tenere presente che quando parliamo di «bambino innocente», certo, non avrà la malizia dell’adulto, ma è sempre soggetto alle conseguenze del peccato originale.

Ecco, cari amici, vi ho detto tutto con franchezza e a cuore aperto, qual è il mio dovere di cristiano e di Papa, cose che forse qualcuno sapeva già.  Mi rendo conto che questa dottrina del peccato originale ci fa un discorso molto strano, che sembra addirittura assurdo, ma in realtà, come ci spiega la teologia, non lo è, benché resti un mistero; ma è un mistero di salvezza, di luce e guida per la nostra vita».

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 febbraio 2022

https://www.rainews.it/video/2022/02/papa-francesco-ed2b3e06-7062-4063-a4c0-f8f8aaf028a5.html 

8 commenti:

  1. la sofferenza di un bambino innocente non provocata da terzi sarebbe dovuta al fatto che «egli sarà pur innocente nel senso che non avrà la malizia dell’adulto, ma è sempre soggetto alle conseguenze del peccato originale»? Quindi la sofferenza del bambino innocente sarebbe conseguenza di una colpa dei suoi primi avi Adamo ed Eva? E perché altri bambini altrettanto innocenti e altrettanto originalmente colpevoli non nascono autistici? Padre Giovanni, vorrebbe dire che se Adamo ed Eva non avessero peccato nessun loro discendente avrebbe avuto da soffrire alcunché se innocente? Francamente questi sillogismi mi lasciano assai perplesso e preferisco dichiararmi incapace di spiegare il male innocente piuttosto che usarli come testimonianza di fede sedicente più esplicita di quella del Papa; non oserei mai sciorinare questi sillogismo davanti a genitori di bambini sofferenti ad esempio di autismo violento.
    http://www.xamici.org/tw/20150125Modificare311e412catechismoDioPermetteIlMale.htm

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    1. Caro Czz,
      secondo la fede cristiana la sofferenza di tutti coloro che vengono a questo mondo è la conseguenza del peccato originale, ossia di quella disobbedienza che Adamo ed Eva hanno compiuto nei confronti del comando divino di non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
      La diversità delle sofferenze dei bambini è essa stessa una conseguenza del peccato originale. In che senso? Nel senso che le malattie e le malformazioni che, geneticamente oppure per cause di fattori esterni, come sostanze nocive o traumi, colpiscono i bambini concepiti non derivano dalla natura umana come tale, ma derivano appunto dalle varie conseguenze di quella colpa originaria.
      Infatti Adamo ed Eva, con la colpa originale, che non è stata soltanto una colpa personale, ma una colpa che si è estesa per generazione a tutta l’umanità, esclusa Maria Santissima e Gesù, hanno perduto l’immortalità e la giustizia originale, cadendo in una situazione di morte, di fragilità e di tendenza al peccato.
      La Redenzione del Nostro Salvatore Gesù Cristo, nuovo Adamo, con la sua croce e resurrezione, ha ridonato a tutta l’umanità la grazia perduta e ha risanato l’umanità con il suo potere divino, facendoci figli di Dio, ma in questa vita permangono le conseguenze del peccato originale e dei peccati personali di tutti gli uomini.
      Il mio discorso col quale ho spiegato per quale motivo i bambini soffrono non va assolutamente inteso come una esplicitazione della fede del Papa, ma come una esplicitazione di quello che il Papa ha sottinteso.
      I sillogismi, che ho usato, sono cosa normale in teologia, la quale ha appunto il compito di collegare, mediante argomentazioni razionali, le premesse di fede con le conclusioni che da esse si possono trarre per capire meglio le verità di fede e come applicarle nella nostra vita. La cosa importante è ragionare bene, perché, se il teologo ragiona male, le conseguenze che trae invece di aiutarci nella nostra vita cristiana, ci portano fuori strada.
      Certamente davanti alle situazioni e alle persone concrete, che vivono nella sofferenza e non sono nelle condizioni di poter comprendere tutto il ragionamento di fede, occorre prudenza e grande compassione, in modo da non accentuare il dolore.
      A tutti però possiamo indicare il Cristo Crocifisso, l’Innocente per eccellenza, al quale questi bambini sono uniti, come cooperatori del Salvatore. Essi partecipano al Mistero della morte, passione e resurrezione di Cristo.

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  2. Tralasciando per un attimo la sofferenza dell'umanità e guardando la violenza e l'aggressività nel mondo animale e le calamità naturali,tutte cose negative secondo il nostro punto di vista,viene da pensare che tutto questo fa parte della creazione e che quindi bene e male devono coesistere per il "divenire" insito nella creazione stessa.La perfezione invece contiene in sé in concetto di immobilismo ,attributo dell'eternità e quindi di Dio.
    Ora la fede interviene come sottomissione all'ineluttabile (incomprensibile) e come accettazione del dolore sull'esempio del sacrificio supremo di Cristo che è morto per tutti noi.

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    1. Cara Laura,
      la presenza della morte dei viventi infraumani, piante ed animali, e le calamità naturali sarebbero stati presenti anche nella creazione originaria, ossia nel paradiso terrestre.
      Senonché l’umanità, se non avesse peccato, sarebbe stata capace di utilizzare queste cose a suo favore, dominando e coltivando il cosmo intero.
      Per quanto riguarda la questione del bene e del male, essa non riguarda ciò che avviene nella natura, ma riguarda la nostra condotta morale. Esiste sì il male di pena, cioè la nostra sofferenza, ma, come sappiamo dalla fede, la sofferenza e la morte sono conseguenza del peccato originale e dei peccati personali di tutti gli uomini.
      La perfezione non comporta affatto solo ciò che è immobile, come per esempio la immutabilità della natura umana, ma anche il divenire, perchè l’una e l’altra cosa sono create da Dio. È vero che è solo Dio che, essendo eterno, è assolutamente immobile, perché, come diceva Aristotele, è il Motore Immobile. Invece, noi, sue creature, benchè abbiamo in noi stessi dei valori immutabili, in quanto siamo composti di materia, tendiamo naturalmente all’evoluzione e al divenire.
      La fede interviene come sottomissione alla volontà di Dio, il Quale vuole, per mezzo della Croce di Cristo, liberarci dalla sofferenza e dal peccato, causati dal peccato originale, provenienti dalla libera scelta dell’uomo.
      Per quanto riguarda l’ineluttabile, esso effettivamente esiste in questa vita. Si tratta della sofferenza e della morte. Per questo hai detto bene che occorre l’“accettazione del dolore sull'esempio del sacrificio supremo di Cristo che è morto per tutti noi”.

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  3. Penso che sul tema della sofferenza dei bambini, si possano aggiungere queste considerazioni che traggo dal domenicano Padre Angelo Bellon (https://www.amicidomenicani.it/dove-la-giustizia-di-dio-quando-si-vedono-i-bambini-che-soffrono-e-quando-la-malattia-strappa-loro-la-vita/):

    “[…] la luce di Cristo ci ricorda che “in seno alla vita presente, se ne prepara un’altra, la cui importanza è tale che alla sua luce bisogna esprimere i propri giudizi” (congregazione per la dottrina della fede, De abortu procurato (18.11.1974), n. 25).
    Se la vita presente fosse l’unica, vedere un bambino che soffre sarebbe lo scandalo più grosso.
    Ma se questa vita è in funzione di un’altra, se questa vita ne prepara un’altra, allora tutto cambia.
    […] dalla luce di Cristo vengono ribaltati tutti i criteri umani.
    Quelli che noi consideriamo ultimi e soggetto di ingiustizia sono quelli che di là stanno più vicini a Dio e sono incoronati per sempre.
    E quelli che noi di qua consideriamo primi, perché stanno bene e godono di potere, e magari sono privi della grazia, di là saranno ultimi.
    Se i bambini che di qua hanno sofferto e adesso sono in Paradiso potessero parlare non direbbero affatto che si è trattato di un’ingiustizia.
    […] Di là sono tra i primi per sempre.
    Mentre molti tra quelli che di qua sono stati i primi sono ultimi, e cioè fuori dal Paradiso, “dove c’è pianto e stridore di denti” (Mt 8,12).
    […] Gesù è nel bambino che soffre e domanda amore, domanda dedizione.
    In tal modo fa sprigionare amore in tanti adulti che proprio in questa dedizione riscoprono il senso della vita presente, che non è quello del godere ma del donare.
    E così li aiuta “a mettersi da parte un buon capitale per il futuro per acquistarsi la vita vera” (1 Tm 6,19).
    […] si comprende quanto san Giovanni Paolo II ha scritto al termine della sua enciclica sulla sofferenza:
    “la sofferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell’amore…
    Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a far del bene con la sofferenza e a far del bene a chi soffre.
    In questo duplice aspetto egli ha svelato fino in fondo il senso della sofferenza” (Salvifici doloris 30).”

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    1. Caro Bruno,
      ho molto apprezzato questi bei pensieri di P. Bellon, del quale ho la massima stima.
      Sono pensieri molto semplici, ma profondi, perché ricavati dal Vangelo.
      Credo pertanto che essi siano molto adatti a confortare i genitori dei bambini che soffrono.

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  4. Caro Padre Cavalcoli,
    I miei ringraziamenti per questo suo articolo. Sono d'accordo con le sue idee al cento per cento.
    Tuttavia, la sua riflessione non è riuscita a sminuire la mia preoccupazione e il mio continuo disappunto nei confronti delle parole e dei gesti di papa Francesco, come è avvenuto dall'inizio del suo pontificato.
    So perfettamente che è il Papa, il Vicario di Cristo, e che quando si rivolge ai cattolici, come in tante occasioni, non manca di insegnare il Vangelo come Maestro della Fede, con il suo particolare carisma di insegnamento infallibile, come successore di Pietro.
    Ma per quale motivo la sua reticenza nel rivolgersi ai non credenti?
    Come lei giustamente dice, non era forse questa l'occasione per compiere quel dovere di evangelizzazione che lo stesso Papa non manca di ricordare ai semplici fedeli? Quale esempio sta dando per adempiere a tale dovere?
    Questi atteggiamenti di papa Francesco rendono per me molto comprensibili le reazioni di chi, scandalizzato, non fa altro che criticarlo, o addirittura descriverlo come un eretico. Si sbagliano, certo, ma li capisco perfettamente.
    Grazie.

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    1. Caro Silvano,
      comprendo le tue considerazioni. Si tratta di situazioni nelle quali tutti noi, predicatori del Vangelo, spesso ci troviamo. Viene in mente il saggio Qoèlet, capitolo 3, il quale dice: “C’è un tempo per parlare e un tempo per tacere”.
      Effettivamente non è sempre facile capire che cosa si deve fare nel mutare delle persone che ci stanno davanti. Se è un credente ne approfitto per illuminarlo maggiormente. Ma se è un non credente, che cosa faccio? È disposto ad ascoltarmi? Non è sempre facile saperlo in anticipo.
      D’altra parte abbiamo pure il dovere di annunciare il Vangelo. E allora, che cosa può capitare? O che al nostro parlare l’altro reagisce male, oppure può capitare di avere successo. Ma è difficile sapere in anticipo come potrà agire l’altro. Da qui la facilità con la quale possiamo sbagliare in questo campo.
      Il Papa qui, certo, ha un carisma speciale, però resta con la sua fragilità umana e con la possibilità di sbagliare. E con ciò entriamo nel merito della cosa. Qui il problema non è solo quello della reticenza, ma è quello dell’uso di un linguaggio equivoco. Mi spiego. Alla domanda del perché i bambini soffrono, il Santo Padre ha detto di non saperlo. Ora, chi sente una risposta del genere, che cosa può pensare? Che non sappia in modo assoluto. Invece non è possibile che il Papa, Maestro delle fede, non lo sappia in modo assoluto.
      Che significa, questo? Che avrebbe dovuto distinguere. Avrebbe dovuto dire: dal punto di vista umano, non lo so; invece la mia fede cristiana mi dice che lo so. È vero che il Papa ha citato la fede, ma non ha fatto una proposizione articolata, per cui la semplice parola “fede”, sebbene significativa, è rimasta una semplice parola. Successivamente ha detto che il Padre ha lasciato andare Suo Figlio sulla Croce. Anche questa espressione è molto significativa, ma non dice ancora esplicitamente per quale motivo i bambini soffrono.
      Il Papa in qualche modo ha sottinteso che noi, in quanto credenti, dovremmo sapere che questi bambini sono uniti alla Croce di Gesù. Io mi chiedo, però, che cosa hanno capito coloro che, pur in buona fede, non conoscono di preciso qual è l’opera della Redenzione.

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