Riflessioni sul dialogo interreligioso

Riflessioni sul dialogo interreligioso

Nel rispetto dei valori delle altre religioni

resta sempre per noi cristiani valido

il dovere di predicare a tutti il Vangelo come

via obbligatoria per tutti per raggiungere la salvezza.

 

L’«Avvenire» del 3 marzo scorso* pubblica la recensione di Roberto Righetto al libro di un ebreo, Vittorio Robiati Bendaud, «Storia di un’ebrea», dedicato a Santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, libro che, scritto da un Ebreo,  comprensibilmente biasima la conversione di Edith al cattolicesimo, considerando tale infausto evento come un’«apostasia», «pietra d’inciampo per il mondo ebraico ieri come oggi», per cui l’esempio di Edith «ben difficilmente può costituire un modello per il dialogo ebraico-cristiano». Ora, a leggere un articolo del genere vien da domandasi se stiamo leggendo un quotidiano cattolico o un quotidiano ebraico.

Evidentemente questo tipo di Ebrei vuole sì dialogare, ma a patto che non li si importuni con sgradevoli proposte di incontrare Gesù Cristo e di abbandonare i loro inveterati pregiudizi contro di Lui e contro la Chiesa. Sono quegli Ebrei che vorrebbero sentirsi dire da noi cristiani che possono benissimo salvarsi anche senza Cristo, in barba a tutta la predicazione di San Paolo, che fa la figura di un retrogrado personaggio del preconcilio, incapace di capire che cosa è il dialogo interreligioso.

Sono quegli Ebrei che alla minima critica del loro anticristianesimo, si mettono a strillare, a fare le vittime e ad accusare di antisemitismo evocando lugubri immagini del passato e sapendo bene di essere ascoltati da un pubblico compiacente che non aspetta altro che avere l’occasione per attaccare e  distruggere la Chiesa e il cristianesimo.

Inoltre mi chiedo chi ha dato a Bendaud l’autorità di rappresentare l’Ebraismo mondiale, come se su questa importante questione della scelta della Stein l’Ebraismo mondiale avesse pronunciato una sentenza ufficiale uniforme. Che cosa sa, invece il Bendaud, che davanti alla eroica testimonianza di Edith Stein a favore del Popolo d’Israele, molti Ebrei non si siano piuttosto commossi e non siano stati toccati nella loro coscienza, non dico per farsi cristiani, ma quantomeno per riflettere su cosa significhi essere cristiani?

Dunque non posso che dissentire nettamente da Bendaud quando dice che la testimonianza di Benedetta ostacola il dialogo ebraico-cristiano. Ostacola dei faziosi come lui, Ebrei arroganti, ma non certo i «veri Israeliti nei quali non c’è inganno» (Gv 1,47), il che, ripeto, non significa assolutamente che costoro di punto in bianco vogliano o si sentano di voler farsi cristiani. 

Evidentemente Avvenire non ha idee chiare su come il Concilio Vaticano II ha avviato il dialogo interreligioso. Infatti il Decreto Nostra aetate, nel capitolo dedicato al dialogo con gli Ebrei, ribadisce il «dovere della Chiesa, nella sua predicazione, di annunciare la Croce di Cristo come il segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia» (n.4).

Ora, che cosa ha fatto Santa Teresa Benedetta della Croce, se non annunciare con la sua saggia parola, con i suoi eccellenti scritti, con la sua esemplare testimonianza di monaca carmelitana, con la santità della sua vita e la testimonianza eroica della sua morte, se non annunciare il Vangelo a quella parte di Ebrei che ancora non si sono convertiti a Cristo?

Inoltre, del tutto falsa è la tesi di Bendaud secondo la quale Edith fu indotta a convertirsi al cristianesimo perché attirata dalla «cultura europea e tedesca in particolare». Semmai è stato proprio l’idealismo di Husserl a ritardare la conversione di Edith e d’altra parte è noto che il cristianesimo non è legato a nessuna particolare cultura perché tutte le abbraccia nella sua universalità. E se ha privilegiato la cultura greco-romana per la formulazione del diritto e del dogma, il solo motivo è dato, come ha spiegato più volte Benedetto XVI, dal suo carattere di universalità.

Vorrei dunque esprimere l’impressione che Avvenire non abbia capito o non voglia capire come il Concilio vuole che sia il dialogo interreligioso e quale scopo si prefigga. Sono trent’anni che nelle mie pubblicazioni sto spiegando qual è su questo punto il vero insegnamento del Concilio, ma devo notare con dispiacere l’ostinazione rocciosa con la quale la setta dei modernisti continua a falsare l’insegnamento del Concilio ignorando le sue chiarissime parole, laddove è detto che la Chiesa «annuncia ed è tenuta ad annunciare incessantemente Cristo, che è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6), in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato in Sé tutte le cose” (II Cor 5, 18-19)».

Errore gravissimo della concezione modernista, evidentemente influenzata dalla massoneria, della diversità delle religioni, è quello di concepirla sul modello della diversità delle lingue, ove non avrebbe senso, come invece ha senso nel caso delle religioni, affermare l’esistenza di una lingua modello suprema, assolutamente perfetta, rispetto alla quale le altre lingue sarebbero solo imitazioni imperfette e difettose, tenute quindi ad adeguarsi tutte all’unica lingua modello, sicchè dovere di coloro che parlano questa lingua modello è quello di imporla a tutti coloro che non la parlano, avvertendo che solo coloro che parlano questa lingua sanno esprimersi, da cui l’obbligo per tutti di arrivare a parlare nell’unica vera lingua, modello per tutte le altre.

Come emerge chiaramente dalle parole di Cristo e dalle Lettere neotestamentarie, da tutta la tradizione evangelica cattolica e dagli insegnamenti del Concilio, sviluppati e chiariti dalla Dichiarazione della CDF «Dominus Jesus» del 2000, le suddette affermazioni si attagliano invece perfettamente alla diversità delle religioni.

Queste, infatti, sebbene indubbiamente posseggano ciascuna a livello umano, estetico, ritualistico, artistico e culturale valori peculiari diversi nelle une e nelle altre, che giustificano una loro complementarità reciproca, mettono in gioco con la questione della verità ciò che è universalmente necessario alla salvezza, a proposito della quale la pienezza dei valori si trova solo nella religione cristiana.

Sotto questo punto di vista non è più questione di identico o diverso, ma di verità e di falsità e laddove c’è il falso, esso dev’essere sostituito dal vero. Ora, sotto questo punto di vista si deve dire che mentre il cristianesimo possiede la pienezza delle verità salvifiche, le altre religioni posseggono per un verso alcune verità, ma sotto altri riguardi sono lacunose e affette da errori, i quali, se non sono eliminati alla luce del cristianesimo, minacciano di trasformare quelle religioni da via di salvezza a via di perdizione.

E mentre nel campo del diverso, vale la legge dell’et-et, per cui l’uno convive e coesiste pacificamente con l’altro, il questo col quello, senza escludersi ma anzi arricchendosi e completandosi a vicenda – è questo il sano pluralismo - , nel campo della verità e dell’universalità vale la legge dell’aut-aut: il vero è incompatibile col falso e si escludono a vicenda: se esiste l’uno, fa sparire o deve sparire  l’altro. Qui vale la legge della non-contraddizione o del terzo escluso; diversamente, avremmo l’equivoco o la doppiezza, che è un’odiosa forma di opportunismo, di falsità e di ipocrisia.

P. Giovanni Cavalcoli      

Fontanellato, 4 marzo 2023

 * https://www.avvenire.it/agora/pagine/stein-pietra-dinciampo-per-ebrei-e-cristiani

 

Che cosa ha fatto Santa Teresa Benedetta della Croce, se non annunciare con la sua saggia parola, con i suoi eccellenti scritti, con la sua esemplare testimonianza di monaca carmelitana,

 

 

con la santità della sua vita e la testimonianza eroica della sua morte, se non annunciare il Vangelo a quella parte di Ebrei che ancora non si sono convertiti a Cristo?

 

 

Immagini da Internet:
- Edith Stein
- Sinagoga

2 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    condivido pienamente il contenuto di questo articolo e la sua critica al quotidiano Avvenire.
    Su quanto sia inaccettabile sostenere, come riportato dal giornale della CEI, che la figura di Edit Stein – Santa Teresa Benedetta della Croce “ben difficilmente può costituire un modello per il dialogo ebraico-cristiano”, valgono le seguenti parole del Papa san Giovanni Paolo II, in occasione della Lettera apostolica in forma di «Motu proprio» per la proclamazione di Santa Brigida di Svezia, Santa Caterina da Siena e Santa Teresa Benedetta della Croce compatrone d’Europa:

    «[…] Teresa Benedetta della Croce, infine, recentemente canonizzata, non solo trascorse la propria esistenza in diversi paesi d'Europa, ma con tutta la sua vita di pensatrice, di mistica, di martire, gettò come un ponte tra le sue radici ebraiche e l'adesione a Cristo, muovendosi con sicuro intuito nel dialogo col pensiero filosofico contemporaneo e, infine, gridando col martirio le ragioni di Dio e dell'uomo nell'immane vergogna della «shoah» […]

    L'incontro col cristianesimo non la portò a ripudiare le sue radici ebraiche, ma piuttosto gliele fece riscoprire in pienezza. Questo tuttavia non le risparmiò l'incomprensione da parte dei suoi familiari. Soprattutto le procurò un dolore indicibile il dissenso della madre. In realtà, tutto il suo cammino di perfezione cristiana si svolse all'insegna non solo della solidarietà umana con il suo popolo d'origine, ma anche di una vera condivisione spirituale con la vocazione dei figli di Abramo, segnati dal mistero della chiamata e dei «doni irrevocabili» di Dio (cfr Rm 11, 29).

    In particolare, ella fece propria la sofferenza del popolo ebraico, a mano a mano che questa si acuì in quella feroce persecuzione nazista che resta, accanto ad altre gravi espressioni del totalitarismo, una delle macchie più oscure e vergognose dell'Europa del nostro secolo. Sentì allora che, nello sterminio sistematico degli ebrei, la croce di Cristo veniva addossata al suo popolo e visse come personale partecipazione ad essa la sua deportazione ed esecuzione nel tristemente famoso campo di Auschwzitz-Birkenau. Il suo grido si fonde con quello di tutte le vittime di quella immane tragedia, unito però al grido di Cristo, che assicura alla sofferenza umana una misteriosa e perenne fecondità. La sua immagine di santità resta per sempre legata al dramma della sua morte violenta, accanto ai tanti che la subirono con lei. E resta come annuncio del vangelo della Croce, con cui ella si volle immedesimare nel suo stesso nome di religiosa.

    Noi guardiamo oggi a Teresa Benedetta della Croce riconoscendo nella sua testimonianza di vittima innocente, da una parte, l'imitazione dell'Agnello Immolato e la protesta levata contro tutte le violazioni dei diritti fondamentali della persona, dall'altra, il pegno di quel rinnovato incontro di ebrei e cristiani, che nella linea auspicata dal Concilio Vaticano II, sta conoscendo una promettente stagione di reciproca apertura. Dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio Continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, per formare una società veramente fraterna».

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    1. Caro Bruno,
      è veramente doloroso che un quotidiano, che si dichiara cattolico e che rappresenta il nostro episcopato, prenda posizioni così in contrasto con quanto la Chiesa insegna sul dialogo con gli Ebrei.
      Il brano di San Giovanni Paolo II è invece l’espressione nobile e genuina del modo autentico di toccare il delicato argomento sul dialogo ebraico-cristiano.
      Quello che dispiace nell’articolo di Avvenire non è tanto il fatto che il tema sia stato affidato ad un ebreo, ma è la velenosità dell’articolista, considerando il fatto che nel mondo ebraico esiste anche un moto di simpatia per il cristianesimo.
      Un quotidiano come Avvenire è l’unico cattolico che abbiamo in Italia. Questo fatto aggrava la sua responsabilità, perché non esistono altri quotidiani di denominazione cattolica, che possano fare da contrappeso. Non è la prima volta che è possibile notare, in questo quotidiano, posizioni in contrasto con il magistero della Chiesa.
      E se un quotidiano cattolico non difende il magistero della Chiesa, chi deve farlo?
      Quello che ci possiamo augurare, è che questo quotidiano si renda conto delle sue responsabilità e possa veramente essere in grado di fregiarsi del nome cattolico e di svolgere dignitosamente il suo ruolo di rappresentante della CEI.

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