Il valore nutritivo e medicinale della Eucaristia - Prima Parte (1/2)

 Il valore nutritivo e medicinale della Eucaristia

Prima Parte (1/2)

Coerenza eucaristica

Gesù Cristo ci parla della necessità per avere la vita eterna, di nutrirci della sua carne nella forma del sacramento dell’Eucaristia. Egli si presenta come cibo dell’anima, cibo che non perisce come quello materiale, ma che le consente di vivere una vita soprannaturale e divina, per la quale potremo risorgere da morte e vivere corpo e anima in eterno presso Dio godendo della visione del suo Volto. L’Eucaristia ha anche un potere guaritore, anzi vivificatore: fa risorgere da morte (Gv 6,54). Tuttavia occorre che l’anima sia già purificata dalla grazia. 

È viva oggi nella Chiesa la discussione sulle condizioni interiori ed esteriori necessarie per ricevere degnamente e fruttuosamente la Santa Comunione. Ci rendiamo conto tutti che i pastori non devono essere troppo facili nel concedere la Comunione, affinchè il cibo divino non sia dato a chi potrebbe profanarlo e quindi non potrebbe assimilarlo, ma d’altra parte non devono neppure chiedere troppe condizioni, perché Cristo vuole che il cibo eucaristico sia offerto a tutti per ottenere quella vita eterna, che Egli offre a tutti. Dove sta l’equilibrio? È ciò che tutti cerchiamo.

Succede infatti che certi pastori, considerando che Dio vuol salvare tutti e che ogni uomo è fatto per Dio, tendono a facilitare le dette condizioni fino a ridurle al semplice desiderio del fedele di fare la Comunione. Altri, che puntano l’attenzione sulla necessità che ci sia una corrispondenza fra le condizioni interiori del fedele e il cibo eucaristico che egli desidera assumere, mettono in evidenza il previo dovere del fedele di porsi nelle condizioni adatte, in modo tale che si verifichi questa corrispondenza, inquantoché, se essa dovesse mancare a causa di una indisposizione del suo spirito,  l’assunzione del cibo eucaristico non gli sarebbe fruttuosa ma dannosa, similmente a una persona che assumesse un cibo che essa non è in grado di digerire.

Inoltre, una persona che, pur dicendosi cattolica, mostra una condotta pubblica palesemente contraria ai princìpi morali cattolici, può forse apparire credibile e riscattare la sua condotta col semplice accostarsi alla Comunione o non susciterà piuttosto nei buoni fedeli una reazione di disgusto e di disapprovazione?

Che senso ha fare i propri comodi, servire al mondo, imitare i peccatori e poi pretendere di ottenere, testimoniare ed esprimere quel vertice sommo e mistico – fons et culmen totius vitae christianae - dell’intima unione con Dio e con la Chiesa, che è la pratica dell’Eucaristia? A che serve a costoro la Comunione, se poi nel loro quotidiano non danno nessun segno o quanto meno segni insufficienti di aver ricevuto fruttuosamente la Comunione con una degna conversione e correzione dei propri vizi?

Che senso ha fare la Comunione e poi vivere in modo contrario a quanto logicamente discende dal fare la Comunione o a quanto è richiesto per farla degnamente? Fare la Comunione che cosa diventa? Recitare una commedia, fare del teatro, o fare l’attore, ma non esprime più una pratica di vita alla quale si crede seriamente come a sorgente indispensabile della propria vita morale e spirituale.

Diventa una semplice pratica convenzionale come il timbrare il cartellino all’inizio del lavoro, il portare una certa divisa o il parlare una data lingua, tutte cose che l’operaio accetta non per se stesse, ma solo perché sono condizioni per essere accolto in fabbrica e poter lavorare. Quello che all’operaio interessa è lavorare; alle condizioni suddette si adatta, ma non le cerca per se stesse.

Così per il cattolico fariseo: la Comunione non interessa per se stessa, ma solo perchè ritiene che il farla lo renda accetto alla comunità. Ma non fa i conti esatti, perché pensa che i fedeli, salvo gli ipocriti come lui, lo accolgano volentieri e vedano in lui un esempio di comportamento cattolico. 

Uno forse potrebbe obiettare: siamo tutti inevitabilmente degli incoerenti; chi può dire di essere un perfetto esecutore di tutte le leggi della morale? Inoltre, che ne sappiamo della coscienza degli altri, se sappiamo a malapena giudicare la nostra? Non potrebbero essere scusati? Non potrebbero essere in buona fede? Chi è senza peccato, scagli la prima pietra!

Non è invidiabile la responsabilità del vescovo o del Papa, che hanno il potere di non rimettere i peccati (Gv 20,23), di processare, di scomunicare, di interdire, di deporre, di allontanare, di esiliare e cose del genere! In certi casi la misericordia sarebbe falsa e dannosa, mentre è benèfica e guaritrice la giustizia, anche se fa soffrire chi la subisce e ancor più chi la deve esercitare. In certi casi non bastano i farmaci, ma occorre la chirurgia. Tuttavia i pastori posseggono un apposito carisma di discernimento e devono usarlo, nella sicurezza di fare il bene del gregge, anche quando occorre essere severi.

Oggi si parla dunque di «coerenza eucaristica» per significare che il fedele deve tenere una condotta morale che sia coerente con quella richiesta, ovverosia con le condizioni interiori necessarie per poter accedere fruttuosamente alla Comunione.

Con l’espressione coerenza eucaristica s’intende quindi la necessità che il fedele associ la sua pratica eucaristica o esprima il suo desiderio di fare la Comunione ad una condotta di vita di sostanziale anche se non perfetta osservanza dei comandamenti del Signore, perché se egli viceversa non accetta i doveri morali imposti dal Vangelo e insegnati dalla Chiesa, e ciononostante fà la Comunione o desidera fare la Comunione, tale suo comportamento è in contraddizione con la sua condotta morale, la quale non corrisponde alla forma che deve avere per essere in armonia con la pratica eucaristica.

Soltanto infatti l’esempio di una retta condotta morale può manifestare esteriormente e può giustificare una sincera e fruttuosa pratica eucaristica, anche se purtroppo resta la possibilità non aleatoria – vedi il fenomeno del farisaismo - che il fedele manifesti esteriormente e socialmente una buona condotta morale, senza con ciò essere gradito a Dio in quanto o cela dei peccati al prossimo o non è sincero nel compimento delle buone azioni.

È chiaro che in tal caso la sua posizione canonicamente regolare nei confronti della pratica eucaristica non gli serve a nulla ed anzi diventa causa di perdizione, come avverte San Paolo (I Cor 11, 29) per chi fa la Comunione indegnamente in quanto conscio di colpa mortale.

Ci si potrebbe chiedere come ciò possa avvenire, dato che sembra impossibile mancare di sincerità nella pietà religiosa, come se Dio non si accorgesse della nostra ipocrisia. Ma il fatto tragico è che appunto l’ipocrita, pur sapendo bene di offendere Dio, tiene maggiormente al giudizio degli uomini e per questo, per ottenere il successo umano, finge una retta condotta esteriore, che in realtà non è gradita a Dio ed è contro la sua stessa coscienza.

A costui non serve a nulla far bella figura davanti agli uomini, se non si cura innanzitutto di essere gradito a Dio e di ascoltare la propria coscienza. L’insuccesso umano non ci è di danno, se noi siamo fedeli a Dio. Ma se teniamo ad esser graditi agli uomini prima che a Dio, ciò non può esser per noi altro che causa di perdizione.

Naturalmente, affinchè la detta coerenza si verifichi non si richiede al fedele una pratica di vita scevra da qualunque colpa morale, - si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit? (Sal 129, 3) - anche se veniale, perché questo è impossibile anche ai grandi Santi, ma quantomeno si richiede la volontà di evitare il peccato mortale, mentre, nel caso che il fedele sia caduto in una colpa mortale, occorre, come è noto, che, per accostarsi a Colui che è l’Innocenza fatta persona, il fedele proporzioni, per quanto gli è possibile, la propria imperfetta innocenza a quella del Signore, recuperandola nel sacramento della penitenza, ove l’avesse perduta.

Certamente, chi può dire di avere una coscienza così pulita da ricevere degnamente il Corpo del Signore? Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo et sanabitur anima mea. Occorre comunque essere preparati, occorre sapere Chi si va a ricevere, occorre essere pentiti dei propri peccati ed essere animati da un sincero amore per il Signore, occorre un sincero desiderio di comunione con Lui e con i fratelli e una grande riverenza per la sua infinta Maestà, occorre un’immensa gratitudine per la Sua misericordia e il suo desiderio di voler venire ad abitare nel nostro cuore.

Chi alza il prezzo per accedere alla Comunione ci ricorda che siamo peccatori, che abbiamo un conto aperto col Signore, dobbiamo restituirGli ciò che Gli appartiene, abbiamo debiti da estinguere, dobbiamo riparare alle nostre cattive azioni, dobbiamo essere riconciliati con Lui. L’impuro non si concilia col Puro. Occorre essere puri per ricevere il Puro.

Un morto non può nutrirsi; occorre essere vivi per alimentare la vita. Per questo l’Eucaristia è chiamato sacramento dei vivi, s’intende che non siamo in stato di peccato mortale. Ciò non vuol dire che per accostarsi alla Comunione sia necessario essere santi come San Francesco o San Domenico, e tuttavia occorre essere in grazia, giacchè se non la dovessimo possedere, il nostro desiderio dell’Eucaristia non potrebbe essere sincero, ma sarebbe motivato dalla pretesa di ottenere la benevolenza di Dio senza fare ciò che Dio ci chiede per ottenere la sua benevolenza.

Solo invece a condizione di aver assolto ai suddetti obblighi di giustizia, potremo avvicinarci a Dio e fruire della sua amicizia e potremo mostrarci con Lui sinceri amici. La Comunione è un incontro fra amici. Io non posso pretendere l’amicizia dall’amico se ho con lui un conto in sospeso od ho obblighi di giustizia inevasi o egli è risentito con me perchè l’ho offeso e non gli ho chiesto perdono. Se sono attaccato ai miei peccati, con quale faccia mi presento davanti a Colui che disapprova i miei peccati, pretendendo di avere la sua benevolenza e la sua amicizia? Non dovrei prima togliere ciò che in me Gli arreca dispiacere o almeno darGli segni di volerlo togliere?

Eucaristia pane dei peccatori?

D’altra parte, quelli che abbassano il prezzo ci ricordano anche loro che siamo tutti peccatori, ma sotto un’altra luce. I primi lo fanno per ricordarci che per accostarci all’Eucaristia dobbiamo essere purificati dal peccato, mente i secondi lo fanno per ricordarci il valore medicinale dell’Eucaristia, farmaco d’immortalità. Se quindi essa non toglie il peccato mortale – per questo occorre la confessione -, essa però purifica dal peccato veniale il peccatore pentito.

Per questo si può dire con i primi che l’Eucaristia è il pane degli angeli, mentre con i secondi si può dire che è il pane dei peccatori. Ma occorre fare una precisazione in entrambi i casi. A parte il fatto che «pane degli angeli» è un evidente metafora, giacchè il puro spirito non ingerisce materia ed inoltre gli angeli santi sono tali per il solo fatto di aver ricevuto eternamente la grazia, bisogna dire che la metafora pane degli angeli vuol dire che l’Eucaristia è il nutrimento di chi è sano.

Non si esclude un nutrimento per il malato, ma è chiaro che, data la debolezza del malato, tale nutrimento non potrà richiedere nel paziente quella forza di assimilazione che è richiesta dal nutrimento per la persona sana e robusta.

In secondo luogo, parlando di «pane dei peccatori», l’espressione può essere giusta in riferimento al fatto che tutti, in fin dei conti, chi più chi meno, in quanto figli di Adamo, siamo peccatori, quanto meno tendenti a peccare, anche i più santi. Ma questa espressione non dev’essere usata nel senso di non distinguere giusti da peccatori, perché in tal caso saremmo come un medico che non distinguesse il sano dal malato. Se non esistesse questa distinzione perché premiare le persone oneste e mettere in carcere i delinquenti? Lasciamo tutti a piede libero, tanto siamo tutti peccatori!

Che senso avrebbe distinguere chi è in comunione con la Chiesa e chi non lo è? La Chiesa non è fatta di peccatori? Se siamo tutti peccatori, che senso ha la canonizzazione dei Santi? Che senso avrebbe il voler seguire i buoni esempi ed evitare i cattivi esempi? A che serve raccontare la vita dei Santi o il culto dei Santi? Se siamo tutti peccatori, che senso ha sforzarsi di essere giusti? Che senso ha voler acquistare meriti presso Dio? Egli non ha comunque misericordia per tutti? La salvezza non è forse gratuita?

Viceversa, se tutti siamo figli di Adamo, non tutti siamo figli di Dio, nel senso che non tutti siamo cristiani battezzati. Non tutti siamo in grazia. Ora, guardando ai fatti e alla storia, è evidente la superiorità in fatto di condotta morale, dei popoli battezzati nei confronti di quelli non battezzati, benché tutta l’umanità sia un’unica famiglia chiamata ad una fratellanza universale, per la quale certi non battezzati possono essere moralmente migliori di altri non battezzati. Ma se nei grandi numeri la detta superiorità non si manifestasse nei fatti, sia pure tra eccezioni, a che servirebbe il battesimo?

Alcuni credono che il distinguere giusti da peccatori faccia sì che ognuno si ritenga giusto e disprezzi gli altri da lui ritenuti peccatori. Ora ciò effettivamente può accadere, come dimostra la parabola del fariseo e del pubblicano.  Ma ciò non è necessario. Sarebbe come se a un medico venisse lo scrupolo di essere un presuntuoso perché ritiene di essere sano, mentre temesse di mostrare disprezzo per colui che ritiene essere malato, mentre sarebbe semplicemente uno che concepisce la salute in un modo diverso.

Ma se le cose stessero così, come potrebbe funzionare l’organizzazione sanitaria? Similmente, se i pastori fossero colti dallo scrupolo di farsi giudici del prossimo, come potrebbero diagnosticare e correggere difetti e peccati, togliere scandali, ingiustizie, sedizioni, scismi, eresie ed apostasie, come potrebbero assolvere degnamente al loro compito di medici dello spirito?

Se nel campo dell’alimentazione non esistessero precise e differenziate norme per i sani, per i forti, per i deboli, per i malati, per i minori, per gli adulti e per gli anziani come potrebbero esistere la dietologia e la dietetica? Così le condizioni che la Chiesa pone per fare la Comunione, i permessi, le limitazioni o i divieti che essa dà in merito non esprimono altro che lo zelo e la cura che la Chiesa ha per la salute spirituale dei fedeli e per la promozione del culto eucaristico in modo che esso possa dare il massimo dei benefìci spirituali che esso può produrre.

E come nessuno si può improvvisare medico o dietologo, così è ancora più temerario, data la maggiore importanza degli interessi spirituali, improvvisarsi medici dello spirito con la pretesa di sostituirsi al corpo medico istituito da Cristo stesso, ossia i Successori degli Apostoli.

Le cure materne della Chiesa

Per questo gli Apostoli hanno avuto l’incarico da Cristo di disciplinare l’amministrazione e la recezione dei sacramenti, per cui nel corso dei secoli la Chiesa ha sempre emanato leggi e norme pratiche in questo campo, affinchè, a seconda dei tempi, dei luoghi e delle circostanze i fedeli potessero fruire nella maniera migliore possibile dell’immenso beneficio dei sacramenti.

 Per questo, come accettiamo con fiducia il parere del medico che ci proibisce certi cibi, così si deve avere fiducia nella Chiesa, quando essa tiene lontano dalla Comunione una certa categoria di peccatori.

Considerando le cose sotto questa angolatura, si deve dire allora che la Comunione è fatta per i giusti e non per i peccatori. Ciò non vuol dire assolutamente che i pastori ed ogni fedele non debbono preoccuparsi ed occuparsi dei peccatori e fare tutto il possibile per chiamarli, esortarli, correggerli ed ottenere possibilmente che essi, raggiungendo la piena comunione con la Chiesa, possano accedere alla Comunione.

Ma la Chiesa, nella sua premura materna, non manca di organizzare un’apposita pastorale per quelle categorie di peccatori o di persone in posizioni irregolari, che non sono nelle condizioni di fare una fruttuosa Comunione, benché esse possono desiderarlo. Indubbiamente, quando gli è concesso dalla legge, il pastore prudente può fare delle eccezioni nei casi da lui attentamente vagliati.

Ma quando la pastorale ufficiale della Chiesa non lascia spazio ad eccezioni, egli deve avere l’umiltà e la saggezza di adeguarsi al giudizio della Chiesa, giudizio che, non toccando materia di fede ma di pastorale, un giorno potrà anche cambiare. Ma finché tale giudizio è in vigore, il buon pastore vi si deve attenere, se non vuol rischiare di mettere in pericolo la salute del fedele.

Similmente, quando esistono direttive certe della scienza medica o delle autorità sanitarie, il buon medico non deve giudicare di proprio arbitrio, ma deve attenersi scrupolosamente alle direttive ufficiali. I pastori che fanno di propria testa peccano o di lassismo appellandosi a sproposito alla divina misericordia o di rigorismo invocando imprudentemente le esigenze della giustizia.

L’accentuazione esagerata del fatto che siamo tutti peccatori rischia di far dimenticare la distinzione fra il vizio e la virtù e per conseguenza porta a trascurare la correzione del vizio e lo sforzo per acquistare la virtù. Accade inoltre che alcuni pensano nel contempo che, benché tutti peccatori, siamo tutti in fondo, in modo atematico e preconscio, orientati verso Dio con un’opzione fondamentale universale, per cui tutti sono oggetto della misericordia divina e già salvi fin da adesso.

Non c’è dunque da temere castigo per il peccato, che dipende solo da fragilità e non da malizia, ma si deve sempre esser certi di essere l’oggetto della misericordia divina. Le pene della vita non sono conseguenza del peccato, ma sono solo occasione per cimentarci nella lotta contro la sofferenza grazie ai progressi della scienza e della medicina.

Le esagerazioni del comunionismo

Esiste oggi una pastorale eccessivamente comunionista, nella quale si insiste troppo nell’invitare i fedeli a fare la Comunione e quasi li si obbliga, quasi che la Messa non sia valida senza la Comunione. Si assume l’atteggiamento dell’anfitrione che offre a tutti un bicchiere di vino, anche a chi si schermisce perché è astemio.

Certo che se si riduce la Messa a un semplice banchetto, allora è logico che non si può andare a un banchetto senza mangiare. Si è persa di vista l’utilità pastorale, in certi casi, di dissuadere il fedele dal fare la Comunione, suggerendogli piuttosto la Comunione spirituale.

Ci si è dimenticati che il pastore è il buon medico che distoglie il paziente dall’uso di certi cibi proprio per andare incontro alle esigenze della sua salute. Certi pastori temono irragionevolmente che il proibire ad alcuni fedeli di fare la Comunione sia una specie di atto discriminatorio, che divide i fedeli in buoni e cattivi, in degni e indegni, in santi e peccatori, in comunicanti e scomunicati, in appartenenti ed esclusi. Per converso gli esclusi si sentono offesi e trattati ingiustamente, senza misericordia o rintracciano nell’esclusione inconfessati atteggiamenti elitari o motivi politici o fisime ideologiche o pregiudizi farisaici o sentimenti razzisti o chiusure preconcette.

Indubbiamente il paziente che non resiste alla tentazione di rinunciare ai cibi gustosi che gli ha proibito il medico, sarà facilmente portato a disobbedirgli. Così il fedele che non accetta la proibizione fattagli dalla Chiesa o dal vescovo di accedere alla Comunione, cercherà un sacerdote compiacente che lo accontenti. Tuttavia è buona norma che il celebrante non respinga nessuno di quelli che pubblicamente si presentano per fare la Comunione, anche se è un pubblico peccatore. Lo affiderà al giudizio divino; ma non è conveniente che lo respinga creando una situazione di imbarazzo e col rischio che il fedele abbia reazioni inconsulte. Ricordiamo il fatto che Gesù all’ultima Cena non negò la Comunione neppure a Giuda. Ha permesso che si prendesse le sue responsabilità davanti a Dio.

Ma il sacerdote non è una guardia di frontiera che respinge uno che non ha i documenti necessari per varcare il confine o un bigliettaio che rifiuta l’ingresso allo spettacolo al tizio che non ha il biglietto. Entrare in contatto con Dio è un fatto troppo misterioso anche per noi ministri di Dio, perché possiamo giudicare con certezza che il tale finge e non è sincero.

È chiaro che il desiderio dell’Eucaristia nel fedele al quale è proibito l’accesso alla Comunione non può venire dallo Spirito Santo, ma viene dal demonio. Infatti la Chiesa in questa proibizione gli rappresenta Cristo stesso. Come può egli desiderare un’unione con Cristo se ribellandosi alla legge della Chiesa, si ribella di riflesso a Cristo stesso? Desidera veramente incontrare Cristo? Si attenga alla disposizione della Chiesa. Chieda perdono del suo peccato, faccia il sincero proposito di non più commetterlo e sia certo che egli riceve il perdono e la grazia come se avesse fatto la Comunione.

Si potrebbe obiettare: ma se Cristo stesso ha dato la Comunione a Giuda, in base a quale diritto la Chiesa proibisce a certi fedeli di fare la Comunione? Occorrerebbe forse accertare che essi hanno un concetto falso o eretico dell’Eucaristia? La Chiesa può sapere che quel dato fedele è in stato di peccato mortale? Indubbiamente possono esistere fedeli che mostrano una condotta in forte contrasto con le norme della morale cattolica, come per esempio coppie di omosessuali, divorziati risposati, pedofili, mafiosi, eretici, corrotti e malviventi.

I comunionisti vorrebbero allargare con ogni mezzo l’accesso alla Comunione a tutti i cristiani, anche non-cattolici, senza chieder loro di accettare il dogma della transustanziazione, il valore sacrificale dell’Eucaristia e la necessità della previa purificazione dal peccato. Essi rinunciano ad offrire l’Eucaristia agli Ortodossi perché sono loro stessi che non accettano il nostro rito. Restano esclusi i lefevriani, i sedevacantisti, i minutelliani, i benedettiani, i quali del resto ci rifiutano a loro volta.

Ma tra coloro che si considerano cristiani, i comunionisti sono propensi ad ammettere all’Eucaristia tutti, indipendentemente dal loro credo religioso, dalla loro concezione di Dio, di Cristo, dell’uomo, della morale e della Chiesa, siano essi luterani, calvinisti, anglicani, valdesi, rahneriani, scillebeexiani, massoni, marxisti, gnostici, pelagiani.

Il fenomeno quindi in atto in Germania di protestanti che desiderano la Comunione e di preti che la concedono è un fatto che profana il mistero eucaristico, è un atto che suppone il disprezzo o il fraintendimento della sua funzione nutritiva per la vita eterna e della sua finalità cultuale come partecipazione al sacrificio redentore del Salvatore e come testimonianza della volontà del fedele di unirsi alla passione riparatrice del Signore.

I comunionisti credono, con questo permissivismo scriteriato e questo allargamento confusionario, di aver realizzato l’unità ecumenica, che verrebbe a loro giudizio simboleggiata e realizzata liturgicamente con questa ammucchiata priva di comuni basi bibliche e dogmatiche, ma basata sull’emotività e sull’«esperienza atematica trascendentale». In realtà qui il significato oggettivo, dogmatico e di fede dell’Eucaristia è totalmente profanato ed obnubilato e ridotto al livello della camicia azzurra come simbolo della partecipazione a un congresso di Forza Italia.

Fine prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 24 giugno 2021


 

Ricordiamo il fatto che Gesù all’ultima Cena non negò la Comunione neppure a Giuda. Ha permesso che si prendesse le sue responsabilità davanti a Dio.

Ma il sacerdote non è una guardia di frontiera che respinge uno che non ha i documenti necessari per varcare il confine o un bigliettaio che rifiuta l’ingresso allo spettacolo al tizio che non ha il biglietto. Entrare in contatto con Dio è un fatto troppo misterioso anche per noi ministri di Dio, perché possiamo giudicare con certezza che il tale finge e non è sincero.

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