L’uomo creatura secondo il disegno di Dio - Quello che Cartesio avrebbe dovuto dire - Seconda Parte (2/2)

  L’uomo creatura secondo il disegno di Dio

Quello che Cartesio avrebbe dovuto dire

Seconda Parte (2/2)

 

Come so di essere creato

Come sappiamo, il pensiero extrabiblico non sa che l’uomo è creato da Dio a sua immagine e somiglianza: lo ha saputo solo dalla Scrittura, benchè di per sé sia una verità razionalmente dimostrabile. La Scrittura infatti insegna che Dio ha creato il cielo e la terra, e quindi successivamente anche l’uomo, all’inizio del tempo[1] o nel Logos, il Principio[2], a seconda di come si vuole interpretare l’espressione ebraica berescìt, «in principio».

Partendo dall’esperienza spirituale interiore dell’autocoscienza, ossia del nostro io e dal rapporto sociale interpersonale col prossimo, arriviamo a scoprire un Dio personale puro Spirito infinito ed assoluto, mentre, partendo dall’esperienza sensibile del nostro corpo, dei corpi altrui, dei prodotti della tecnica e delle realtà materiali della natura fisica e delle cose del mondo che ci circonda, ed applicando per analogia il principio di causalità efficiente e finale, arriviamo a dimostrare l’esistenza rispettivamente di una causa prima oltre le cause seconde e di un fine ultimo, al di là dei fini immediati o intermedi (Sap 13,5; Rm 1,19-20).  

Causa creatrice? Certamente causa motrice, un motore immobile (kinùn akìneton, come lo chiamava Aristotele). Certamente causa del divenire, del passaggio dell’ente dalla potenza all’atto, causa della vita fisica e spirituale, della generazione e della corruzione dei viventi materiali.

Causa prima non vuol dire ancora causa creatrice. Causa del moto e del divenire non è ancora causa dell’essere dell’ente. La produzione della forma da una materia presupposta, ordinare un materiale sparso, organizzare un tutto partendo dlle parti, sviluppare e far crescere e progredire la vita non è ancora creare.

Di ciò, ossia del fare, siamo capaci anche noi, anche se il nostro produrre non può dare la forma sostanziale a un ente, ma solo una forma accidentale. Possiamo generare un nostro simile, persona composta di forma sostanziale, l’anima, e di materia prima. Ma qui la forma è creata immediatamente da Dio al formarsi dello zigote.

Per poter scoprire di essere creato devo poter disporre di alcuni concetti e distinzioni metafisici o trascendentali, fornitici soprattutto a S.Tommaso: 1. la nozione analogica dell’essere; 2. la distinzione fra essenza ed essere: 3. la distinzione fra materia (res materialis) e spirito (res spiritualis); 4. La distinzione fra essere contingente ed essere necessario.

Il ragionamento che, utilizzando questi concetti, porta alla conclusione che io sono stato creato, si imbastisce così:

1.Mi scopro contingente, ossia noto che esisto, ma potrei non esistere. L’esistere non entra ella definizione del mio essere uomo e quindi nel mio essere io. Dunque non esisto necessariamente.

2. Posso avere un’idea dell’uomo e di me stesso, come semplice essenza pensabile, a prescindere dal fatto che io esista. Dunque il mio essere o esistere è realmente distinto dalla mia essenza di uomo e del mio io.

3. Se non esisto da me stesso e in forza di me stesso, se non sono autofondato, se non ho in me la ragione del mio essere, cioè se non ho per essenza quella di essere, vuol dire che io esisto in forza e a causa di un altro ente, la cui essenza, assolutamente necessaria, sarà quella di essere, con la potenza di far essere il contingente, cioè di crearlo. E questo Essere è Dio.

4. Per potermi concepire come ente contingente, la cui essenza è distinta dal mio essere, causata da un Ente, Dio, assolutamente necessario, la cui essenza è il suo essere, chiaramente non può bastarmi una nozione univoca dell’essere, legata all’ente il cui essere è contingente, ma mi occorrerà una nozione analogica, cioè non semplicemente una, ma una e molteplice, una e diversificata, una e graduata, tale da poter abbracciare l’ente la cui  essenza sia distinta dal suo essere e un ente, la cui essenza s’identifichi col suo essere, un ente materiale e un ente spirituale, un ente sostanziale e un ente accidentale, un ente reale e un ente ideale e così via..

5. Mi accorgo di essere animato da un’anima spirituale e di essere composto di anima e corpo. Prendo coscienza della superiorità dello spirito sulla materia. D’altra parte sia lo spirituale che il materiale appartengono al mondo dell’essere. Ma per pensare e concepire questo, mi occorre una nozione analogica dell’essere, perché la materia è diversissima dallo spirito; eppure la mia anima spirituale è in armonia col mio corpo, perché ne è la forma sostanziale.

6. Certamente sono cosciente di esistere e quando penso sono cosciente di pensare. Indubbiamente questa coscienza mi porta a scoprire il mio io. Tuttavia io posseggo questa autocoscienza non come fondamento e inizio del mio sapere né tanto meno, come credeva Fichte, come ciò che pone il mio io o il mio essere, anche se è vero che con essa io scopro il mio io o il mio essere di persona.

7. Io non parto dall’autocoscienza per raggiungere le cose esterne, come credeva Cartesio, ma al contrario, parto, come insegnano Aristotele e S.Tommaso, dall’esperienza delle cose sensibili esterne (quidditas rei materialis), create da Dio, per scoprire o prender coscienza della mia coscienza o del mio io, dei quali pure scopro che sono  creati da Dio. Cartesio manca di precisare tutto questo.

8. E non so che Dio esiste perché ne ho l’idea innata, come credeva Cartesio, ma acquisto l’idea di Dio perché, partendo dalla conoscenza delle cose del mondo ed applicando il principio di causalità, mi accorgo e concludo che Dio esiste. Noi sappiamo che Dio esiste usando rettamente la ragione, e non con l’immaginazione o l’intuizione o il sentimento o per esperienza. Lo sappiamo, certo, anche per fede, ma sempre e solo sulla base della ragione.

9. Ciò allora vuol dire che io non pongo, non creo il mio essere; lo pongo solo in senso intenzionale, semplicemente perché lo penso. Per questo il cogito cartesiano nell’interpretazione di Fichte porta prima al panteismo (io pongo me stesso) e poi all’ateismo (io non sono creato ma creo me stesso).

10. Mi accorgo che la materia è prodotta dallo spirito ed è governata dallo spirito e che lo spirito è immensamente più potente e più importante della materia, come dice Cristo: «lo spirito è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41).

11. Mi accorgo di avere una natura attorno a me, accanto a me, sotto di me e sopra di me. Noto un’affinità tra le leggi della natura e le leggi della ragione, per cui ne devo dedurre che le une e le altre derivano da un’unica Mente ordinatrice, legislatrice e provvidente, amante dell’uomo.

12. Mi accorgo che l’uomo è maschio e femmina. Noto che l’anima, benché specificamente una in forza della specie umana condivisa, è tuttavia sottospecificamente diversa nell’uomo e nella donna, sì che si può creare una reciprocità spirituale.

13. Dunque Dio, creatore del mio spirito, degli spiriti umani ed angelici, nonché delle realtà materiali, dev’essere uno Spirito assoluto, per cui io sono simile a Lui, creato a sua immagine e somiglianza, così come l’effetto è simile alla causa e può esserne un’immagine. Così come nell’ opera d’arte si legge o s’intravede lo spirito dell’artista che l’ha creata. Mi ha fatto come un prodigio (cf Sal 139,14).

14. Dunque Egli è una persona sostanza (usìa) come io sono una persona. La mia anima spirituale è immagine[3] di Lui purissimo Spirito, mentre il mio corpo ne è vestigio[4]. So questo con la mia ragione prima ancora di sapere per fede che in Dio ci sono tre Persone relazionali (hypostasis)[5]. Dunque ci possiamo parlare ed amare. Ma, come dice Hegel, lo spirito è fatto per lo spirito. Dunque è in Lui che trovo il mio sommo bene, il mio fine ultimo, la mia beatitudine eterna.

 15. Mi accorgo di essere stato progettato ed amato e voluto dall’eternità per trovare in Dio la mia beatitudine. So dalla fede che Dio ha in Cristo un piano di salvezza per tutta l’umanità decaduta dopo il peccato originale. Siccome l’uomo è dotato di libero arbitrio, sta in lui il poter rifiutare questo piano di salvezza, perchè si ritiene autosufficiente. Ciò è connesso al fatto che, essendo Dio il salvatore dell’uomo mediante Cristo, è Lui che muove il libero arbitrio verso la salvezza di coloro che ha eletto nel suo imperscrutabile disegno. È questo il mistero della predestinazione (Rm 8, 28-30)[6].

L’essere creato è un accidente della creatura

Una cosa degna di nota è che il mio essere non s’identifica col mio essere creato, ma l’essere creato si aggiunge al mio essere sostanziale come accidente contingente. Questa tesi non si trova nelle opere di San Tommaso, ma si deduce da quanto egli insegna esplicitamente sul rapporto ontologico della creatura al creatore e sull’essenza del creare in rapporto alla conservazione della creatura.

Questa tesi quale interesse può presentare? Essa serve a chiarire il significato dell’essere creato, sia inteso come unione di un sostantivo (essere) con un aggettivo participiale (creato), sia inteso come infinito passivo (essere creato) e quindi fa capire meglio il concetto del creare e il suo effetto nella creatura. La tesi mostra la consistenza ontologica e sostanziale della creatura davanti a Dio.

La creatura non sparisce sotto l’influsso della creatività divina; la sua passività nei confronti dell’atto divino creatore (l’esser creata) non è un vuoto d’essere, che lascia tutto il campo all’invasione ed alla recezione dell’atto creativo lasciando a lui tutto il campo dell’essere, che sembra sostituirsi alla creatura, ma, benchè essa dipenda dall’atto creativo nella totalità del suo essere, l’atto creativo non è così invadente da azzerarla, ma al contrario consente e fonda la sostanzialità della creatura. Ora, il creare si può considerare come atto divino al passivo (essere creato). Sotto questo punto di vista, possiamo immaginare, per così dire, che Dio «si fa da parte» limitandosi al ruolo di accidente della sostanza creata[7].

A tutta prima questa tesi parrebbe sminuire il mio rapporto creaturale con Dio, mentre l’idea che il mio essere si esaurisca nel mio essere creato sembrerebbe esprimere in modo eccellente il mio essere creatura totalmente dipendente da Dio.

Invece non è così. Se infatti esaminiamo attentamente le implicanze di questa tesi, avremo una grossa sorpresa e cioè che se il mio essere s’identificasse col mio essere creato, io sarei Dio. Perchè? Perché Dio s’identifica realmente col suo atto dell’avermi creato. Ma il mio essere creato (come sostantivo) in Dio coincide con lo stesso essere divino, perché Dio è semplicissimo, come insegna il Concilio di Firenze del 1442: «in Deo omnia sunt unum» (Denz.1330).

Nessuno mette in discussione la dipendenza totale della creatura dal creatore. Se Dio nel creare, come dice San Tommaso, produce dal nulla l’ente nella sua totalità, è chiaro che nella creatura non c’è nulla, a cominciare dal suo stesso essere, che non dipenda dal creatore.

L’idea che l’esser creato come accidentale rispetto alla sostanza della creatura, sia un’idea che svaluta l’importanza del fatto creativo, nasce dal non distinguere l’essere creato dal dipendere e il creare dal far dipendere. Ora l’essere creato non si identifica col dipendere, né il creare nel far dipendere. Il dipendere non è legato solo al creare, ma anche al conservare. Un conto è il creare, e un conto è il conservare un essere. Senza questa conservazione della creatura nell’essere da parte di Dio, essa cadrebbe nel nulla.

L’essere creato non riguarda solo l’esser passato dal non essere all’essere grazie all’atto creativo divino, ma tocca anche l’ente in quanto esistente e conservato in essere da Dio. Nel primo caso l’esser creato tocca effettivamente la sostanza dell’ente. Lo coinvolge tutto. Ma quando la creatura esiste in atto nella realtà, se essa è mantenuta in essere da Dio in una totale dipendenza da Lui nell’essere, non per questo essa fa a meno del suo esser creata per il fatto che quell’esser creata appartiene al suo passato, ma nel contempo, proprio per questo, dato che ormai essa esiste da quando è stata creata, il suo esser creata in atto non la tocca più nella sostanza, ma è diventato un semplice accidente.

La dipendenza da Dio resta totale, tocca tutto l’essere, ma il suo esser creata non la tocca più, perché essa è già passata dal non-essere all’essere, è già stata creata, l’essere l’ha già ricevuto, per cui adesso l’essere creata si aggiunge soltanto come accidente predicabile della sua sostanza, cosa che significa semplicemente che la creatura non ha l’essere per essenza.

Altra considerazione. Già l’analisi logica della proposizione «la creatura è creata da Dio» dovrebbe farci riflettere. Il soggetto rappresenta la sostanza. Il predicato «è creata» esprime l’essenza della sostanza? Esprime certo una cosa che appartiene alla sostanza. Ma appartiene come? Le appartiene necessariamente? Essenzialmente? No! La sostanza come essenza sarebbe pensabile anche senza quell’attributo, anche se certamente non potrebbe esistere. Ma l’esistere (esser creata) non entra nella sua essenza, se no sarebbe Dio! Dunque le appartiene come accidente. E difatti che cosa è l’accidente? Ciò che ci sia o non ci sia, la sostanza resta immutata. E difatti l’essenza della creatura, che sia esistente nella realtà o sia in mente Dei è sempre la stessa. Gioca anche qui la distinzione fra essenza ed essere.

Altro argomento, questo di carattere metafisico. Al creare corrisponde l’essere creato. Al verbo all’attivo corrisponde il passivo; all’atto del creare corrisponde l’essere dell’ente creato. Essere creato può avere due significati: come sostantivo (insistenza sull’essere) e come verbo al passivo (insistenza sul participio passivo creato).

Dio non crea senza che con ciò stesso sorga dal nulla sia l’essere creato dell’ente creato o dell’essenza creata, giacchè l’essere della creatura è un essere creato. In ogni caso creare ed esser creato rimandano a Dio creatore, non all’essenza della creatura.

Infatti, Dio è realmente l’atto del suo creare e l’esser creato dipende da Dio. In Dio l’atto del dare l’essere alla creatura, coincide con lo stesso essere divino. Dio dona l’essere alla creatura e la creatura ossia l’essenza della creatura lo riceve.

 Ma quell’atto è Dio! Se dunque la creatura si identifica con quell’atto, sia pur ricevuto, come essa non si identificherà con Dio? Dunque, per scongiurare questo risultato nefasto, bisogna distinguere la creatura dal suo essere creata: l’esser creata lo attribuiamo a Dio, la creatura resta creatura e così evitiamo il panteismo. Ma il prezzo da pagare è l’evitare di identificare l’essere della creatura col suo esser creata.

Io sono creato perché in me l’essenza è distinta dal mio essere

Dio, creando la creatura nel suo essere e nella sua essenza, all’essenza della creatura, da Lui pensata e progettata ab aeterno, e presente nella mente e nell’essenza divina come ente possibile, per mezzo della volontà aggiunge l’essere all’essenza e quindi la fa essere dal nulla nella realtà. E così la creatura esce da nulla dal punto di vista dell’essere. Ma come essenza creabile o possibile era già pensata e progettata ab aeterno da Dio.

Dal punto di vista di Dio, la creatura in Dio, come puro possibile o idea divina o ideato divino, è Dio. Qui c’è solo una distinzione concettuale fra Dio e la creatura. Ma in se stessa, una volta creata e fuori di Dio, realizzata nella realtà, Dio vede quello stesso che vediamo noi e come lo vediamo noi, benché ovviamente molto meglio, essendo il creatore. Qui però il nostro sguardo coincide sostanzialmente con quello di Dio; ha la stessa oggettività e verità, mentre il primo sguardo divino è proprio di Lui solo, perchè è Dio stesso e noi non siamo Dio.

In Dio tutti i suoi attributi, le persone divine, tutte le creature create e creabili, possibili ed attuali, progettate e realizzate, realizzate e realizzabili, esistenti e non esistenti, tutto s’identifica con Lui. Come dice la Scrittura, «Egli è tutto» (Sir 4,27); non però tutte le cose esistenti separatamente, perché questo sarebbe panteismo, ma tutte le perfezioni unite assieme in uno.

Così tutto a Lui è possibile e solo in parte è realizzato. Tutto tranne l’impossibile: Egli è l’onnipotente perché può realizzare tutto ciò che può essere realizzato. L’impossibile, ossia il contradditorio, non può essere realizzato. Egli è anche un’infinità di possibili che mai si realizzeranno.

Pertanto, quando diciamo che Dio non può fare l’impossibile, non neghiamo la sua onnipotenza, ma chiariamo in che cosa consiste, come spiega bene San Tommaso[8]: non si tratta di un’impotenza da parte di Dio o di un limite alla sua potenza, come se fosse maggior potenza fare l’impossibile, come credeva Ockham, ma implica impossibilità passiva da parte dell’oggetto, il quale, in quanto contradditorio, non può esistere e quindi non può essere creato.

Per questo la concezione hegeliana dell’essere diveniente come autonegazione esclude che il divenire sia creato, non perchè il divenire sia autosufficiente, ma perchè l’essere hegeliano è un essere che non esiste e non può esistere. L’essere hegeliano, come è stato notato, porta al nichilismo.

In quanto io sono un ente contingente, il mio esistere non è necessario alla mia essenza, non entra a costituirla; è accidentale[9], ma è necessario al mio esistere; non è accidentale[10] rispetto al mio esistere, ma sostanziale perché se non fossi stato creato, se non avessi ricevuto l’essere, non esisterei.

Quindi il mio essere è essenzialmente un essere creato. Invece la mia essenza non è essenzialmente creata, ma di per sé è un creabile, perché Dio avrebbe potuto solo concepirla senza crearla, ossia senza darle l’essere nella realtà.

Da qui Tommaso trae la distinzione reale fra essenza ed essere e dice che per esempio l’essenza dell’uomo può essere concepita anche se non esistesse nessun uomo. Distinzione reale non vuol dire che essenza ed essere siano due cose, ma che l’essere non è essenziale alla creatura, ma solo a Dio.

Ossia la creatura non esiste necessariamente, ma è contingente: può non esistere. E se esiste, ciò è perché Dio la fa essere, facendola passare dalla possibilità in mente Dei all’attualità o alla realtà, dandole l’essere, ossia la crea.

Quindi per Tommaso la distinzione reale nella creatura fra essenza ed essere è importantissima, perché spiega la distinzione fra la creatura e il creatore e il fatto e l’essenza del creare: creare è unire l’essere all’essenza. E se non fossero distinte, come sarebbe possibile l’unione? Dio invece ha l’essere per essenza, è Colui Che È (Es 3,14). Non può non essere, perché la sua essenza è quella di essere.

E se l’essere, per l’Aquinate, nella creatura, è l’atto d’essere tale, l’essenza è il poter esser tale. L’ente esiste nell’esser tale perché è un poter esser tale. Se io esisto come uomo, è perché Dio mi ha dato o ha attuato il mio poter esser uomo, attuando la mia essenza di uomo, che è come una potenza d’essere rispetto al mio atto d’esser uomo e tale uomo.

C’è peraltro da notare che, affinchè un ente passi dalla potenza all’atto, occorre un altro ente in atto che attui quella potenza. E questo ente dev’essere un puro atto dessere, perché diversamente anche per lui occorrerebbe un altro ente, tale da farlo passare dalla potenza all’atto. Questo puro atto d’essere, senza potenza, è Dio, puro atto d’essere sussistente.

 Il che vuol dire che l’essere è vertice della perfezione dell’ente, si aggiunge all’essenza come sua attuazione nella realtà e quindi è realmente distinto dall’essenza e non è, come pensava Suarez, un semplice stato o modo d’essere dell’essenza nella realtà, fuori delle sue cause[11]. Infatti l’essenza come tale è qualcosa, ma non ha necessariamente l’essere, perché può essere concepita anche se non esiste nella realtà.

L’uomo è attuazione di un disegno di Dio

La Bibbia concepisce Dio sul modello di un artista che concepisce un’opera e la realizza; oggi diremmo di un ingegnere che concepisce una macchina, la realizza e ne stabilisce le regole del suo uso. Così già per Anassagora il nus, per Platone l’idea, per Aristotele la noesis o l’eidos sono princìpi divini, i quali danno forma, intelligibilità, organizzazione e moto alla materia ed alla realtà. Ecco allora il mito platonico del Demiurgo, un mediatore fra le Idee e il mondo, il quale in base alla contemplazione delle Idee e sul modello delle Idee plasma la realtà sensibile. Anche l’uomo per Platone ed Aristotele ha questo potere simile a quello di un dio, e questo potere è fondato sul possesso della psychè.

È successo così che Sant’Agostino e San Tommaso hanno rintracciato nella dottrina platonica delle idee un aiuto a capire o a interpretare la dottrina biblica della Mente divina ideatrice e creatrice del mondo. Tommaso tuttavia precisa che in Dio non esiste una molteplicità reale di idee in forza della sua assoluta semplicità, ma Egli è una solo Idea assoluta, coincidente col suo Essere, il Logos, «per quem omnia facta sunt», come diciamo nel Credo, il Verbo, nel quale il Padre concepisce e realizza tutte le cose e l’uomo stesso. Le idee divine sono quindi modi diversi delle cose di imitare e di partecipare all’unica Idea assoluta creatrice che è Dio stesso[12].

La Bibbia ci dice dunque che come Dio ab aeterno ci ha pensati, concepiti, progettati, amati, così esistiamo ed agiamo. Però attenzione: agiamo non come macchine o burattini, ma come esseri dotati di libero arbitrio. È questa la meraviglia della causalità e della mozione divina nei nostri confronti: che essa causa la libertà del nostro agire responsabile. Con ciò la Bibbia esclude sia un agire necessitato come quello degli animali, sia un agire incausato come quello divino.

Noi siamo dunque l’attuazione di un’idea divina, siamo mossi dalla volontà divina e siamo sotto il governo della sua provvidenza, fossimo anche all’inferno. Ma anche qui dobbiamo fare attenzione: siamo mossi fisicamente od ontologicamente, ma non tutti noi siamo mossi moralmente al bene, perché tra di noi alcuni, in forza del loro libero arbitrio, preferiscono scegliere ciò che è male agli occhi di Dio.

Il che vuol dire che Dio muove tutti noi verso di Lui, ci fa tendere tutti a Lui, ma nel contempo vuole essere l’oggetto di una libera scelta, cioè vuole che questo tendere si sia volontario, giacchè, sebbene per natura siamo fatti per Lui e solo in Lui troviamo la nostra vera felicità, abbiamo la possibilità di scegliere come nostro fine ultimo ed assoluto non Lui, ma qualcos’altro da Lui.

Rahner confonde questo tendere naturale, questo esser tutti progettati per Dio, con la nostra scelta di Dio, col fatto che Dio attira a Sé e predestina alla salvezza. La Bibbia ci dice chiaramente che non è la stessa cosa. Mentre tutti gli enti naturali infraumani tendono a Dio per natura e necessariamente, l’uomo è chiamato da Dio a tendere a Lui per libera scelta. Per questo, mentre non può darsi che qualcuno di noi non tenda a Dio per natura, può accadere che qualcuno non scelga Dio, ma qualcos’altro come fine della sua vita.

Ma affinchè avvenga il vero beatificante incontro finale con Dio nella vuta eterna non basta – ci dice la Bibbia - la tendenza naturale o «trascendentale» come la chiama Rahner, ma occorre che tale tendenza, che è di tutti ed è insopprimibile, sia confermata dalla libera scelta, scelta di Dio e per Dio, scelta che non è di tutti, ma, come dice S.Paolo, dei soli eletti e predestinati.

Lutero, benché neghi il libero arbitrio, conserva la predestinazione degli eletti. Rahner, invece, che pure nega la parte del libero arbitrio nella tendenza verso Dio e nella dinamica della salvezza, e intende questa tendenza come essenziale alla natura umana, arriva logicamente, contro la dottrina del Vangelo e contro Lutero, ad affermare che tutti si salvano, se è vero che tutti sono esseri umani. Quindi su questo punto il «cattolico» Rahner è lontano dal cattolicesimo ancora di più di Lutero.

Ma occorre aggiungere che, secondo la Scrittura, Dio ha avuto un duplice piano su di noi: un progetto iniziale, primordiale, di costituirci in comunione con Lui nell’Eden. E, dopo la caduta dei progenitori, ha ideato nel Verbo un secondo e più alto piano non solo di salvezza dal peccato, ma di elevazione allo stato di figli di Dio, così da togliere il male di colpa, il peccato, ma utilizzando il male di pena come mezzo di salvezza ed effetto della sua giustizia.

Il disegno ultimo di Dio Padre sull’uomo è un disegno che ha concepito nel Verbo, ossia in Cristo, di glorificare Cristo al di sopra di tutte le cose e l’uomo con Cristo ed in Cristo, un disegno ad un tempo individuale per ciascuno di noi, diverso da individuo a individuo e collettivo per l’intera umanità come dice San Paolo:

«il disegno di ricapitolare (anakefalàiosthai) in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra. In lui siamo stati fatti anche eredi, essendo stati predestinati secondo il piano (prothesis) di Colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà, perché fossimo a lode della sua gloria» (Ef 1,10-12).

Si tratta di un disegno imperscrutabile, sapientissimo e misterioso di misericordia, per il quale, pur volendo tutti salvare ed offrendo a tutti la possibilità e i mezzi, lascia a tutti la facoltà di scegliere, per cui alcuni colpevolmente non corrispondono a questo disegno, mentre altri lo accettano. Ma poiché l’accettazione è dono della divina misericordia, ciò comporta che Dio elegga dall’umanità peccatrice coloro che Egli predestina alla salvezza, secondo le parole dell’Apostolo:

«Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno (prothesis). Poiché quelli che Egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché Egli sia il primogenito fra molti fratelli; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati» (Rm 8, 28-30).

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Fontanellato, 24 ottobre 2021

Conferenza tenuta on-line il 06.12.2021

Cf. DOCTOR HUMANITATIS 

https://mail.google.com/mail/u/0/#inbox/FMfcgzGljvJjhnDwWfbJDVNflPsfpZlc


 

Una cosa degna di nota è che il mio essere non s’identifica col mio essere creato, ma l’essere creato si aggiunge al mio essere sostanziale come accidente contingente. Questa tesi non si trova nelle opere di San Tommaso, ma si deduce da quanto egli insegna esplicitamente sul rapporto ontologico della creatura al creatore e sull’essenza del creare in rapporto alla conservazione della creatura.

Questa tesi quale interesse può presentare? Essa serve a chiarire il significato dell’essere creato, sia inteso come unione di un sostantivo (essere) con un aggettivo participiale (creato), sia inteso come infinito passivo (essere creato) e quindi fa capire meglio il concetto del creare e il suo effetto nella creatura. La tesi mostra la consistenza ontologica e sostanziale della creatura davanti a Dio.

Immagine da Internet


[1] Questa è l’interpretazione del Concilio Lateranense IV del 1215 e di San Tommaso.

[2] Questa è l’interpretazione di Origene, ispirata a Platone.

[3] Sum.Theol., I, q.45. a.7.

[4] Ibid., q.93, a.6.

[5] Come dice il Concilio di Firenze del 1442: «in Deo omnia sunt unum, ubi non obviat relationis oppositio» (Denz.1330.

[6] Sum.Theol., I, q.23.

[7] Viene in mente la dottrina dello tzim tzum di Isacco Luria, filosofo ebreo del sec. XVI, secondo il quale Dio nel creare si fa da parte per dare spazio alla creatura. Qui abbiamo una figurazione mitologica, ma la cosa può essere esposta in termini metafisici come tento di fare qui, ispirandomi a San Tommaso.

[8] De Potentia, q.1, a.3.

[9] Si chiama accidente predicabile.

[10] Accidente predicamentale.

[11] Gilson, L’être et l’essence, Vrin, Paris 1981, cap.V; J.-F. Courtine, Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svolta di Suárez, Vita e Pensiero, Milano 1999;

C.Fabro, Breve introduzione al tomismo, Desclée&C., Roma 1960, pp,81-84.

[12] Sum.Theol.,I, q.15.

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