Ateismo e salvezza - Settima Parte (7/10)

 

Ateismo e salvezza

Settima Parte (7/10)

Hegel[1]

Hegel non ha difficoltà ad ammettere l’esistenza di Dio: anzi egli si professa luterano col proposito di dare fondamento filosofico alla sua fede luterana. Ma egli si pone nella linea dell’impostazione anselmiana portandola alle estreme conseguenze. Se infatti Sant’Anselmo era realista e intendeva essere realista – cosa che salva la validità del suo concetto di Dio e della sua fede in Dio -, Hegel, che identifica il pensare con l’essere, ammette un Dio che non è più il Dio che trascende il pensiero umano, ma che è prodotto del pensiero.

Per lui basta concepire il concetto dell’essere per sapere che Dio esiste. Dice egli infatti che «l’Assoluto è l’essere»[2]. Ma nel contempo «l’Assoluto è il nulla»[3]. Come mai questa contraddizione? Perché, come è noto, Hegel identifica l’essere col non-essere. Da qui il suo concetto nichilistico di Dio, che però ai suoi occhi è il Dio che muta e diviene, stante il fatto ben noto che Hegel fonda il divenire sulla contraddizione. Possiamo pensare al Dio di Leopardi, che viene dal nulla e ricade nel nulla, il Dio Arimane negatore dell’essere.

D’altra parte l’essere hegeliano non è altro che l’essere ridotto a concetto, l’essere degli idealisti. Ma se non si dà un essere che trascende il pensiero, ne viene che la nostra ragione non concepisce l’essere assoluto, come essere che la trascende, esistente indipendentemente da lei, non concepisce e non intende l’Assoluto in se stesso a prescindere dal mondo, dal divenire, alla storia e dall’uomo, ma connesso con l’autocoscienza, e la coscienza del mondo. Così pure noi secondo Hegel non concepiamo lo spirito se non in relazione con noi e col mondo.

Per questo il Dio di Hegel, non è lo Spirito Santo che trascende il pensiero, il mondo, l’uomo, il divenire, il tempo e la storia, ma è quello che San Paolo chiama lo «Spirito del mondo» (I Cor 12,2), «Dio di questo mondo» (II Cor 4,4), che non è altro che il demonio.  Hegel confonde quindi Dio col demonio.

Aristotele, benché pagano, è del tutto libero da queste terribili confusioni, anche se, come si sa, non giunge ad ammettere un Dio creatore, ma si ferma solo ad un Motore immobile, causa del moto e del divenire, non dell’essere. Platone arriva a concepire il Bene ideale, contemplabile, amabile partecipabile ed imitabile, ma non creatore del partecipante, dell’imitante, del contemplante e dell’amante.

Lo spunto per una concezione di Dio come ipsum Esse il Greco l’avrebbe potuta trovare in Parmenide, attraverso un opportuno discernimento distinguendo nell’einai parmenideo l’essere sussistente dall’essere come tale. Invece Parmenide, col suo affermare l’essere come eterno, unico, immutabile e necessario, identifica il pensare con l’essere, la causa con l’effetto, il necessario col contingente, l’univoco con l’analogo, l’uno con i molti, il mutevole con l’immutabile, il possibile con l’attuale l’eterno col temporale e cade così in un monismo panteistico.

Neppure Aristotele e Tommaso sono riusciti a rintracciare l’ipsum Esse nell’einai parmenideo. Aristotele non è mai arrivato a concepire Dio come ipsum Esse, sebbene vi sia andato vicinissimo quando lo ha concepito come nòesis noèseos, autocoscienza assoluta. Tommaso ci è arrivato sulla base di Es 3,14.

La visione hegeliana si presenta come monoteistica, ma di tipo dialettico, sicchè il Dio di Hegel congiunge essere e non-essere, vero e falso, bene e male, materia e spirito, finito e infinito, mutevole e immutabile, semplice e composto, pacifico e conflittuale, assoluto e relativo.

Il Dio di Hegel è ad un tempo essere e non-essere, tutto e nulla, buono e malvagio, verace e bugiardo, giusto e ingiusto, misericordioso e crudele, amico e nemico, fedele e volubile, vivificante ed assassino, affidabile e inaffidabile, promotore e distruttore. Ricorda gli dèi germanici Thor e Odino. È ad un tempo il Dio di San Tommaso e l’Arimane cantato da Leopardi[4].

Interessante il confronto fra il Dio di Hegel e quello di Schelling.  Il Dio di Hegel è il Concetto assoluto, non contiene misteri. Il Dio di Schelling, per dirla con Hegel, è la «notte dove tutte le vacche sono nere», ossia è il Dio del buio assoluto, dove – col pretesto del mistero - non ci si capisce nulla e tutto si confonde con tutto.

L’ateismo di Marx deriva dal falso teismo di Hegel

Il paradigma principale dell'ateismo moderno è Marx; la figura massima del panteismo moderno è Hegel. Ebbene, entrambi non si spiegherebbero senza il presupposto del Dio biblico-cristiano. Infatti il Dio al quale l'uomo si identifica è l'Ipsum Esse di Es 3,14 nell'interpretazione di San Tommaso: l'Ente nel quale l'essenza coincide con la sua esistenza.

La differenza col cristianesimo è data dal fatto che sia in Hegel che in Marx il rapporto umanità-divinità non comporta la distinzione, ma un'unità o identità dialettica nella contraddizione, che interpreta gnosticamente o razionalisticamente il mistero della Redenzione. Sia Hegel che Marx ammettono l'Essere assoluto autosussistente ed esistente da sé ed a sé o, come dicono i teologi, la aseitas.

La differenza sta nel fatto che mentre Hegel riconosce la religione come approccio a Dio ed ammette esplicitamente Dio ed anzi lo stesso insegnamento del cristianesimo, ma identifica formalmente-dialetticamente l'uomo con Dio, fraintendendo il mistero dell'Incarnazione, Marx, come è noto, considera la religione come una forma di alienazione e nega formalmente Dio ed anzi lo considera come negazione dell'uomo.

Da qui sorge l'ateismo, al fine di affermare dialetticamente l'uomo, ossia in opposizione a Dio. Ma nel contempo, nella linea di Feuerbach[5], ecco che l'ipsum Esse è ammesso, ma non è Dio, bensì è l'uomo in sé o tornato in sé dall'opposizione a Dio superata mediante la dialettica della rivoluzione proletaria e l'instaurazione della società comunista.

Ma l'ateismo marxiano e il cristianesimo panteista hegeliano hanno in comune il fatto che il teismo hegeliano è già implicitamente un ateismo, quando Hegel concepisce Dio come il vertice dell'umano e l'orizzonte supremo dell'autocoscienza di origine cartesiana, mediata da Lutero, da Kant e da Fichte. Un Dio di tal genere non è altro che l'apoteosi finale dell'antropocentrismo umanistico-rinascimentale al quale ho accennato sopra.

Nel corso dei secoli precedenti era avvenuto un sistematico appropriarsi da parte dell'uomo degli attributi divini, fino a che con Hegel i tempi erano ormai maturi perchè l'uomo si sostituisse a Dio prendendo il posto di Dio.

Hegel chiama quindi "Dio" non il vero Dio, trascendente e creatore dell'uomo, raggiunto per induzione e analogia partendo dall'esperienza delle cose e illustrato dalla fede della Chiesa, ma il Risultato del processo storico-dialettico per il quale l'Essere nega se stesso come Nulla o non-Essere, nega la sua negazione e torna a Sè come Divenire o come Storia.

Questo Essere però è il Soggetto o lo Spirito o l'Idea o la Ragione, vale a dire l'Autocoscienza umana cartesiana e luterana come coscienza di Dio o Dio nella coscienza, un Dio che non è in sé sopra di me, ma un Dio-per-me, il Dio che appare a me, l'idea che io ho di Dio, un Dio-pensato-da-me o secondo me.

Ora Marx recepisce di Hegel il suo umanesimo, la sua concezione dell'uomo come Essere assoluto, coincidenza di essenza ed essere, non però come identità come il Dio tomista, ma come divenire logico-materiale, perchè si tratta dell'uomo, fatto di carne ed ossa. Attribuendo all'uomo l'essere divino, Marx espropria Dio del suo essere e lo attribuisce all'uomo.

Ma ciò comporta appunto la negazione dell'esistenza di Dio. Per questo, a differenza del cristiano Hegel, Marx non dà alcun significato positivo alla parola "Dio", perchè invece Dio, divenuto il rivale dell'uomo, deve essere eliminato affinchè l'uomo esista. Quindi l'ateismo marxiano, il quale non è il volgare e grossolano ateismo degli epicurei, dei positivisti o degli empiristi, ma un ateismo il quale mette in gioco l'essenza di Dio nel momento in cui la nega, potrebbe esser detto paradossalmente un ateismo "teologico" o forse meglio diabolico, perchè solo una mente acuta e malvagia come la sua poteva escogitare un ateismo tanto raffinato, empio e perverso.

Tuttavia Marx non fa che portare all'esplicito quell'ateismo che in Hegel è già implicito a causa di una falsa concezione del mistero dell'Incarnazione, che secondo lui non comporta la distinzione delle due nature, come insegna il Concilio di Calcedonia, ma l'"unità", come fu già l'eresia di Eutiche. Dev'essere dunque motivo di grande scandalo il fatto che oggi vi siano dei cristologi cattolici, i quali hanno la stoltezza e l'impudenza di utilizzare Hegel per l'interpretazione del mistero dell'Incarnazione e della Redenzione[6].

Vediamo adesso le basi e i fondamenti dell'ateismo marxista e del panteismo hegeliano nel loro reciproco nesso. Come è noto, Marx concepisce la realtà secondo lo schema o movimento dialettico hegeliano. Secondo Hegel, l'essere non è identico a sè, fisso o immutabile, ma progredisce e si supera contraddicendosi. Esso avanza, sale, si eleva (Erhebung), si trascende, pur restando identico a se stesso come Totalità ed Assoluto.

Quindi, primo momento: l'essere pone se stesso come assoluto. Secondo momento: nega sè nell'altro da sè (Entāusserung, alienazione) o nell'opposto a sé (Entfremdung, estraneazione)[7]. Terzo momento: la negazione nega se stessa, per cui l'opposto torna all'identico, si riconcilia con esso e con se stesso, e ritrova l'identità iniziale; ma nel contempo superata dalla negazione, ossia dal movimento dialettico, che esprime l'essere come divenire.

Per cui il ciclo ricomincia, né ha mai fine, perchè rappresenta il divenire dell'Assoluto, il divenire o la "storia" di Dio, che è tutto (panteismo). Il simbolo di questo eterno divenire della vita è la svastica, già presente nell'antica simbologia del panteismo indiano.

Mentre il fondamento ontologico e il punto di partenza (Anfang) della dialettica hegeliana è lo Spirito, l'Autocoscienza, l'Idea, l'uomo come spirito e come persona, come io o soggetto (vedi Fichte al seguito di Cartesio), per Marx tutto ha origine e fondamento dalla materia, che è eterna ed assoluta, ma non la materia come semplice materia, bensì come l'uomo corporeo sensibile (influsso di Feuerbach), non come individuo ma come collettività, come genere umano (Gattungswesen), l'uomo faber, punto di partenza della dialettica.

L'uomo poi pone se stesso, si "oggettiva", ossia si oppone a se stesso mediante la prassi e il lavoro (vedi ancora Fichte), intesi - ecco il secondo momento dialettico - come negazione od opposizione (la religione e lo sfruttamento capitalista).  A questo momento segue il processo di liberazione, ossia la negazione della negazione (lotta di classe e ateismo), per la quale l'uomo si libera dalla alienazione e torna al suo essere assoluto iniziale. Ecco la società comunista.

Non è dunque l'idea che determina la materia, come in Hegel, ma è la materia che determina lo spirito come sovrastruttura della materia. Qui troviamo il cosiddetto "realismo" marxiano in opposizione all'idealismo hegeliano. Marx afferma la realtà come fondamento oggettivo della coscienza; riconosce l'indipendenza del mondo materiale dalla coscienza umana e la dipendenza di questa dalla realtà; per cui sembrerebbe recuperata la nozione tomista di verità come adaequatio intellectus ad rem; ma tale dipendenza della coscienza dal reale sembra più ontologica che intenzionale;  più che riferirsi alla rappresentazione o al concetto che rispecchi il reale così come è in sé, sembra più una derivazione dello spirito dalla materia.

E difatti poi il problema di fondo di Marx non è quello della conoscenza ma della prassi trasformatrice, sicchè la stessa verità non appare più opera dell'intelletto ma della volontà; non è più vero ciò che è, ma ciò che l'uomo decide, come comunità, come classe e come partito nella sua prassi liberatrice rivoluzionaria.

Questo orientamento prassistico del pensare e dell'agire è già presente in Hegel, il quale lo prende da Fichte, ed è un'eredità dell'umanesimo rinascimentale con la sua simpatia per la magia[8], un orientamento che vedrà poi il suo culmine nel sec. XX in Giovanni Gentile e in Nietzsche.

Hegel parla bensì di pensiero "speculativo", ma la speculazione hegeliana non ha per fine la adaequatio intellectus ad rem, ma bensì la costruzione del sistema della logica dell'Assoluto come vertice supremo della fenomenologia dello spirito, che dal terreno del sensibile sale dialetticamente e necessariamente ai fastigi supremi della Scienza assoluta, dell'Idea e del Concetto assoluto.

Invece, la scienza del materialismo storico-dialettico, secondo Marx, non ha affatto queste mire pseudoteologiche, fatte apposta per ubriacare lo spirito e distoglierlo dai veri problemi, ma coglie la verità e le contraddizioni della realtà sociale, storica ed umana come regola dell'azione. Per Marx, l'idealismo hegeliano è l'espressione più compiuta e fascinosa dell'impostura religiosa. E in parte ha ragione. Il guaio di Marx è il confondere la vera religione con la superstizione idealista.

Nietzsche

Federico Mugnai, studioso di Nietzsche, ci dà un ritratto del pensatore in questi termini[9]:

«Per Nietzsche il cristianesimo, il socialismo, ma anche certo razionalismo hanno infiacchito l’esistenza dell’uomo, lo hanno messo in gabbia, gli hanno fatto credere all’esistenza di paradisi terrestri o ultraterreni, lo hanno posto nella condizione di essere schiavo e non arbitro del proprio destino. Affermare sé stessi, significa dire sì alla vita, dare libero sfogo alle proprie passioni, realizzare sé stessi e i propri sogni, liberarsi da tutte le sovrastrutture morali e non solo che legano l’uomo, abbracciare il senso “dionisiaco” della vita. La volontà di potenza è una risposta positiva al nichilismo. La volontà umana, con l’affermarsi degli ideali ascetici si è indirizzata verso il nulla».

«Per questo – osserva Mugnai - occorreva la trasvalutazione di tutti i valori, una traversata del deserto che lo stesso Nietzsche considerava densa di ostacoli e patimenti. Ma era necessaria per affermare nuovamente il sì dionisiaco alla vita, alla potenza della volontà, intesa come affermazione dell’individuo sulla vita stessa e non come sopraffazione sugli altri. Si trattava dell’unico modo per vincere il nichilismo incombente, di cui il cristianesimo era stato per Nietzsche, il principale responsabile».

Un passo significativo di Nietzsche citato da Mugnai e tratto dalla Genealogia della morale è il seguente.

«Ero il primo a vedere il vero contrasto: da una parte l’istinto degenerante, che si rivolta contro la vita con rancore sotterraneo (il cristianesimo, la filosofia di Schopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme tipiche), e dall’altra una formula della affermazione suprema, nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire si senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto. Quest’ultimo, gioiosissimo, straripante sì alla vita non solo è la visione suprema, ma anche la più profonda, confermata e sostenuta col massimo rigore dalla verità e dalla scienza».

Nietzsche si proclama in possesso della «visione suprema» e dell’«affermazione suprema ma anche la più profonda,» che consisterebbe in un «gioiosissimo, straripante sì alla vita». Ma di che vita si tratta? La vita eterna? La vita divina? Per nulla. Si tratta di un «dire sì senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto». Siamo dunque davanti ad un ben misera esaltazione della vita: la vita mescolata al dubbio, al dolore, al peccato e alla morte.

Viceversa Nietzsche scaglia tutto il suo odio e le sue invettive contro la vera e somma esaltazione della vita, che è il cristianesimo, fraintendendo completamente il suo aspetto ascetico, che se parla di mortificazione, rinuncia e sacrificio, lo fa proprio per togliere freni, impedimenti ed ostacoli alla più alta e gioiosa affermazione e fruizione della vita, che è la vita eterna che ci ha donato Cristo col suo sacrificio redentore. Egli vede nichilismo e morte laddove trionfa l’eterna beatitudine e «pienezza e sovrabbondanza» laddove c’è il peccato, il dolore, la morte, l’orgoglio, l’empietà, lo sfogo delle passioni, il disprezzo dei deboli, la crudeltà, lo scatenarsi della violenza e della guerra.

Dice infatti Nietzsche in Ecce homo riferendosi al cristianesimo:

«questo odio contro l’umano, più ancora contro il ferino, più ancora contro il corporeo, questa ripugnanza ai sensi, alla ragione stessa, il timore della felicità e della bellezza, questo desiderio di evadere da  tutto ciò che è apparenza, trasmutamento, divenire, morte, desiderio, dal desiderio stesso – tutto ciò significa, si osi rendersene conto, una volontà del nulla, un’avversione alla vita, una rivolta contro i presupposti fondamentali della vita, l’uomo preferisce ancora volere il nulla, piuttosto che non volere».

Scrive inoltre in “Al di là del bene e del male”:

«La fede cristiana è fin da principio sacrificio: sacrificio di ogni libertà, di ogni orgoglio, di ogni autocoscienza dello spirito, e al tempo stesso asservimento e dileggio di sé stessi, automutilazione».

Il sovrauomo

Nel pensiero di Nietzsche l’uomo sostituisce chiaramente Dio. Si tratta dell’uomo che, superando se stesso, determina due livelli di umanità la quale suppone una scissione in se stessa, un’opposizione interna, simile all’opposizione fichtiana di io-non-io: la polarità positiva è il superuomo o sovrauomo; è l’uomo sano e forte, soggetto esistente da sé e sufficiente a se stesso, straripante di vita, anche se mortale, popolo di signori, volontà di potenza, eterno ritorno dell’uguale, benché soggetto al Fato. La polarità negativa è l’umanità debole, frustrata, teista, dolorista, corrotta, masochista, autolesionista, spregiatrice del corpo e del piacere, nichilista, in una parola: l’umanesimo cristiano.

Come nota Heidegger in un suo ponderoso studio su Nietzsche[10]

«Nietzsche assegna alla forma più alta di uomo il nome di “animale da preda” e vede l’uomo supremo come la “magnifica bestia bionda» – evidente riferimento al Tedesco - «che vaga bramosa di preda e di vittoria”».

Nietzsche non ignora affatto l’esistenza e la potenza dello spirito. A provarlo, basterebbe lo stesso concetto di volontà di potenza. Si sa infatti che la volontà è una potenza spirituale insieme all’intelletto. Nietzsche stesso è ben consapevole dell’influsso spirituale che egli esercita sui suoi lettori e se non avesse creduto nella potenza dello spirito, neanche si sarebbe impegnato a interrogarsi e a pronunciare sentenze sui problemi dell’esistenza, dell’uomo e della morale.

Heidegger arriva a dire che la volontà di potenza nicciana sarebbe la stessa ontologia di Nietzsche[11], per cui la sua concezione dell’essere coinciderebbe col volere e col fare, alla maniera di Fichte e Schelling. Mi sembra una tesi azzardata, anche se è vero che il concetto di volontà di potenza è certo un concetto per lui fondamentale. Ma altrettanto importanti sono l’eterno ritorno e il sovrauomo, che difficilmente possono ricondursi ad un’ontologia e sono piuttosto collegabili con le antiche mitologie pagane della ruota della vita e della potenza fisica e passionale del dio mondano.

Di fatto Nietzsche mostra sommo disprezzo per la metafisica, che egli associa giustamente alla teologia, parimenti da lui disprezzata. È comunque sicuro che Nietzsche non ammette l’esistenza di un puro spirito, separato dalla materia o dal corpo, come l’anima spirituale separata, l’angelo e Dio.

Per questo la sua antropologia simpatizza per la concezione positivista e darwiniana. Lo spirito o anima sono da lui intesi non come forma sostanziale del corpo, ma come sublimazione, trasformazione e perfezionamento del corpo, derivati dal corpo, una concezione sostanzialmente materialistica dell’uomo, del resto coerente con l’ateismo. È difficile infatti immaginare uno spiritualismo ateo. Dell’idealismo invece si potrà fare ogni critica, ma è indubbio che l’idealista sa farsi un concetto di Dio, anche se non sa dimostrare l’esistenza di Dio.

È chiaro che il sovrauomo di Nietzsche è una parodia dell’umanesimo soprannaturale cristiano, l’uomo elevato alla vita di grazia, il figlio di Dio mosso dallo Spirito Santo. Il sovrauomo nicciano, col suo egocentrismo, con le sue bravate, con la sua sconfinata superbia, la sua crudeltà e megalomania, sembra mosso piuttosto dal diavolo.

Il sovrauomo organizzatore dello Stato

Concretizzazione politica del progetto nicciano del superuomo assetato di volontà di potenza è la mitizzazione del popolo tedesco come razza dei signori destinata a dominare l’Europa, il che sarà poi l’impresa tentata da Hitler con lo scatenare la seconda guerra mondiale. Scrive Nietzsche nella Genealogia della morale:

«La profonda, gelida diffidenza che anche oggi nuovamente suscita il tedesco è ancor sempre una ripercussione di quell’inestinguibile terrore con cui l’Europa, nel corso di secoli, ha riguardato la furia della bionda bestia germanica. Si potrà anche avere tutto il diritto di non sbarazzarsi della paura per la bionda bestia che è nel fondo di tutte le razze aristocratiche e di stare in guardia: ma chi non preferirebbe cento volte temere, senza intanto potersi più liberare dalla vista disgustosa dei malriusciti, dei meschini, degli intristiti e intossicati?».

Questo concetto del popolo tedesco come il popolo eccellente, totalmente e supremamente sano avente il compito di liberare l’umanità dai popoli malsani che la corrompono fu fatto proprio da Hitler, come possiamo vedere da queste sue parole, che esprimono il suo programma politico:

«Dal punto di vista dei princìpi, al posto del concetto di individuo o del concetto di umanità, noi collochiamo l’idea di un popolo, del popolo nato dal sangue che scorre nelle nostre vene e del suolo che ci ha visti nascere. Per la prima volta, forse, nella storia dell’umanità si è proclamato in questo paese che di tutti i doveri che competono all’uomo, il più nobile, il più elevato consiste nel mantenere la razza che viene da Dio. Dal punto di vista giuridico ne derivano le seguenti conclusioni:

1)   La concezione secondo cui il diritto come tale trova in se stesso la giustificazione della sua esistenza, è falso.

2)   È ugualmente falsa la concezione secondo cui il diritto ha lo scopo di assicurare e mantenere la protezione dell’individuo e dei suoi beni. La rivoluzione nazionalsocialista ha dato al diritto e alla scienza giuridica un punto di partenza chiaro e senza equivoci.  Il vero compito della giustizia consiste nel conservare e nel difendere il popolo contro ogni elemento che si sottrae a quegli obblighi nei riguardi della comunità o che porta pregiudizio agli interessi di quest’ultima»[12].

In queste parole vediamo il concetto hitleriano di Dio: Dio è il Dio del popolo tedesco che lo ha destinato ad essere signore e dominatore di tutti i popoli, purificandolo e liberandolo da quei popoli, i quali, per la loro corruzione, lo infettano, lo inquinano e compromettono la purezza fisica e spirituale del popolo tedesco.

Sono esattamente le idee di Nietzsche, con la differenza che Nietzsche al posto di Dio mette il superuomo, che del resto è sottinteso nelle parole stesse di Hitler, giacchè, che Dio potrà mai essere quello che privilegia fisicamente un popolo fra gli altri assegnandogli il dovere di sterminare i popoli corrotti? Non sarà forse un dio mostruoso, un Thor o un Odino, che coincide col popolo stesso che lo ha inventato, un popolo che quindi divinizza se stesso, mettendosi al posto del vero Dio creatore del cielo e della terra? E allora perché questo popolo deificato non dovrebbe essere il superuomo di Nietzsche?

Considerando la svolta (Kehre) di Heidegger avvenuta negli anni ’30 da una concezione intellettualistico-idealista dell’essere di tipo parmenideo ad una concezione volontaristico-prassista, mediata da Eraclito, e già preparata da Fichte ma chiaramente emergente da Nietzsche, si comprende come Heidegger abbia sposato il programma hitleriano, che non faceva altro che tradurre sul piano politico, sociale e statuale il progetto nicciano del sovrauomo e della volontà tedesca di potenza.

Così si spiegano le seguenti dichiarazioni entusiastiche di Heidegger il 27 maggio del 1933, nel suo discorso inaugurale come rettore dell’Università di Friburgo, appena salito Hitler al potere:

«Si tratta della inesorabilità di quella missione spirituale che ingiunge al destino del popolo tedesco di congiungersi con l’impronta della propria storia. Il popolo si riconosce nel proprio Stato» (evidentemente nazista) «e il suo mondo spirituale coincide con la più profonda custodia delle sue forze di sangue e di suolo»[13].

 Riferisce Andrea Colombo:

«Per capire meglio la portata del discorso del rettorato è necessario ricorrere ai Quaderni neri, gli appunti in cui il filosofo traccia le tappe più importanti del suo percorso intellettuale. Nelle note scritte nel 1933, dopo aver elogiato Hitler che ha “risvegliato una nuova realtà che mette il nostro pensiero sulla strada giusta e gli conferisce forza d’urto”, individua la necessità di promuovere “una nuova costituzione dell’Università”, che “avrà la sua efficacia solamente se assumerà il proprio compito nell’educazione di una nuova stirpe”. Il “risveglio” indica un “fare-ritorno-al-suolo per predisporre una prontezza d’azione”. L’Università diventa quindi uno “strumento di lotta” rivoluzionaria. Urge creare “una vera nobiltà spirituale, che sia forte abbastanza da configurare la tradizione del Tedesco in base a un grande futuro”. Per raggiungere l’obiettivo bisogna “restare in movimento”. “Il presupposto per questo è che il nazionalsocialismo resti in lotta”»[14].

Riferisce ancora Colombo:

«Nel 1943, parlando di Eraclito, Heidegger si lancia in un ultimo anelito di disperato patriottismo: “il pianeta è un fiamme. La natura dell’uomo è scardinata. Il senso della storia universale può venire solo dai tedeschi, posto che essi trovino e serbino ciò che è tedesco. La vera massima prova dei tedeschi deve ancora venire, se sono in accordo con la verità dell’essere[15], se al di là della disponibilità alla morte sono abbastanza forti per salvare contro la meschinità del mondo moderno il primordiale[16] nel suo spoglio ornamento”. Nel 1944 osa ancora chiamare i tedeschi “salvatori dell’Occidente, per ora e per molto tempo presumibilmente da soli”»[17].

Ricordiamo che secondo la Rivelazione biblica esiste effettivamente tra tutti i popoli un popolo superiore agli altri, non però per opprimerli, ma per guidarli alla vita eterna. E questo è il popolo d’Israele, dal quale è uscito Cristo. Dice bene, pertanto, il Maritain, quando sostiene che l’odio anticristiano di Nietzsche portava come conseguenza l’odio per il popolo d’Israele, odio che appunto sta alla base del programma politico (se si può chiamare «politico» o non piuttosto criminale) del nazismo[18].

Fine Settima Parte (7/10)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 3 novembre 2023

Marx non fa che portare all'esplicito quell'ateismo che in Hegel è già implicito a causa di una falsa concezione del mistero dell'Incarnazione, che secondo lui non comporta la distinzione delle due nature, come insegna il Concilio di Calcedonia, ma l'"unità", come fu già l'eresia di Eutiche.

Come è noto, Marx concepisce la realtà secondo lo schema o movimento dialettico hegeliano. Secondo Hegel, l'essere non è identico a sè, fisso o immutabile, ma progredisce e si supera contraddicendosi.

Per cui il ciclo ricomincia, né ha mai fine, perchè rappresenta il divenire dell'Assoluto, il divenire o la "storia" di Dio, che è tutto (panteismo). Il simbolo di questo eterno divenire della vita è la svastica, già presente nell'antica simbologia del panteismo indiano.

Nietzsche mostra sommo disprezzo per la metafisica, che egli associa giustamente alla teologia, parimenti da lui disprezzata. È comunque sicuro che Nietzsche non ammette l’esistenza di un puro spirito, separato dalla materia o dal corpo, come l’anima spirituale separata, l’angelo e Dio.

Per questo la sua antropologia simpatizza per la concezione positivista e darwiniana. Lo spirito o anima sono da lui intesi non come forma sostanziale del corpo, ma come sublimazione, trasformazione e perfezionamento del corpo, derivati dal corpo, una concezione sostanzialmente materialistica dell’uomo, del resto coerente con l’ateismo.

Immagini da Internet:
- Charles Robert Darwin
- La svastica in un tempio buddhista

[1] Un’acuta analisi della concezione hegeliana di Dio si trova in Maritain, La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi, Morcelliana, Brescia 1972, pp.215-248. Molti teologi oggi sono influenzati da Hegel, per es. Küng, Rahner, Kasper, Forte, Bordoni, Vedi il mio libro Il mistero della redenzione, ESD, Bologna 2004 e Rahner e Küng. Il trabocchetto di Hegel Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021.

[2] Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Editori Laterza, Bari 1963, p.91. Da notare la confusione dell’essere come essere (ens ut ens) con l’essere divino, una confusione che ha una lunga storia, come ci racconta Werner Beierwaltes nel suo libro Platonismo e idealismo, c.I - Deus est esse, esse est Deus, Società editrice il Mulino, Bologna 1987.

[3] Enciclopedia, op.cit., p.92.

[4] Questo orribile concetto di Dio è ben illustrato dal Marita8in in La filosofia morale. Esame storico-critico dei grandi sistemi, Morcelliana, Brescia 1971, c.IX – l’idealismo hegeliano. Il Dio di Hegel.

[5] L.A.Feuerbach Opere, Editori Laterza, Bari 1965.

[6] Vedi i miei libri Il mistero dell'Incarnazione del Verbo, ESD, Bologna 2003; Il mistero della Redenzione, ESD, Bologna 2004.

[7] Vedi l'analisi di questi concetti nell'opera di G.M.-M. Cottier, OP, L'athéisme du jeune Marx et ses origines hégéliennes, Vrin, Paris 1959.

[8] Cf Giordano Bruno, De magia. De vinculis in genere, Edizioni Biblioteca dell'Immagine, Pordenone 1991; questa simpatia, come ha noto acutamente Julius Evola, resta nell'idealismo moderno. Vedi il suo libro Saggio sull'idealismo magico, Edizioni Mediterranee, Roma 2006.

[9] Da Google, alla voce NIETZSCHE E IL NAZISMO.

[10] Edizioni Adelphi, Milano 2013, p.428.

[11] Lo sostiene nel suo Nietzsche.

[12] Cit. da Maritain, Il mistero di Israele ed altri saggi, Morcelliana, Brescia 1964, p.127.

[13] Ct. Da Andrea Colombo, I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia, Edizioni Lindau,Torino 2017, p.64.

[14]  Ibid., pp.65-66.

[15] Probabilmente Heidegger pensa ad un futuro successo del suo pensiero, che effettivamente si è realizzato, anche in suoi epigoni non storicisti ma eternalisti, come Severino o addirittura in teologi cattolici, come Rahner. Ma alla radice di Heidegger non c’è altro che Lutero. In fondo siamo sempre davanti al perdurare del conflitto fra cattolici e luterani, che ancora non è cessato, nonostante le sagge indicazioni del Concilio Vaticano II.

[16] Cosa intende Heidegger per «primordiale»?  Il fondamento, l’originario, l’essere fenomenologico, l’esperienza e la verità dell’essere, l’essere di Anassimandro, Parmenide, Eraclito e Nietzsche.

[17] Ibid., p.71.

[18] Cf Maritain, Il mistero di Israele, op.cit., p.139.

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